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Crisi delle fonti del diritto e la crisi delle istituzioni


La perdita di credibilità, e quindi di legittimazione, dei principali partiti politici sul cui “patto” era fondata la c.d. Costituzione materiale, dal 1948 in poi ha condotto, per un verso, all’abbandono del sistema elettorale proporzionale e, per altro verso, ad una rilettura della rappresentanza politica.
Ed è proprio questa crisi a mettere in discussione, insieme con la capacità rappresentativa delle istituzioni, la natura stessa delle leggi del Parlamento come espressione della volontà popolare, che ne giustifica il carattere primario.
Da un lato, invero, si è assistito ad un’enorme proliferazione di richieste di referendum abrogativo, dall’altro si è sviluppato un fenomeno di massiccia espropriazione da parte del Governo della potestà legislativa spettante al Parlamento soprattutto attraverso l’impiego, al di là dei “casi di straordinaria necessità e di urgenza”, dello strumento del decreto-legge.
Ma anche sul terreno della potestà legislativa delegata, l’erosione a vantaggio dell’esecutivo dei poteri legislativi del Parlamento appare evidente.
Basti pensare alla sufficienza delle delimitazioni contenutistiche della legge di delegazione sia in termini di “oggetti definiti” che di “principi e criteri direttivi”.
Ma ancor più deve riflettersi sulla ritenuta ammissibilità delle c.d. deleghe bifasiche, nelle quali, fermi restando i criteri direttivi nonché i limiti di materia, è stato concesso al Governo di intervenire ripetutamente, integrando, modificando e correggendo i propri decreti legislativi appena emanati.
Con siffatte deleghe il Governo è stato investito di un potere legislativo primario continuo, ancorché a termine.
Infine la crisi della legge si manifesta nel fenomeno, che largamente si è diffuso negli ultimi anni, della delegificazione.
E’ ben vero che lo scopo di tale genere di operazione è quello nobile di alleggerire l’ordinamento dalla sovrabbondanza di “leggine” settoriali e di modesto significato politico per restituire alla legge il suo originario ruolo di fonte primaria, ma è altresì vero che, per come è stato attuato, il fenomeno delle delegificazione ha superato i confini finendo con l’investire scelte di fondo della legislazione amministrativa e materie o porzioni di materie che, secondo la Costituzione, dovrebbero essere riservate alla legge.
Si ha, insomma, l’impressione che la delegificazione sia divenuta, più che uno strumento di semplificazione legislativa, un mezzo per aggirare, da parte di Governi insicuri della loro maggioranza, gli scogli della discussione parlamentare.
Ne è conferma evidente la prassi degli ultimi anni, che ha visto il legislatore sempre più nettamente discostarsi dal modello di delegificazione, addirittura attribuendo al Governo, in sede di normazione regolamentare, il potere di abrogare disposizioni legislative previgenti.

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