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La rilevanza delle norme giuridiche interne


Se, come si è sin qui sostenuto, la disciplina delle fonti è materia costituzionale, indipendentemente dai settori che esse siano chiamate a regolare, lo studio delle fonti del diritto amministrativo non differisce dallo studio in generale delle fonti del diritto; salva la particolare attenzione a quelle che disciplinano l’organizzazione e l’azione amministrativa ed a quelle che sogliono definirsi le norme interne.
Questa categoria era frutto di una cultura costituzionale che non riusciva a far penetrare nella totalità dell’ordinamento il principio di legalità, onde opponeva alla sua affermazione in rilevanti settori dell’ordinamento vuoi la teoria dei rapporti di soggezione speciale vuoi la teoria degli ordinamenti interni.
Rispetto a tali teorie, quella della norma interna rappresentava l’affermazione di una legalità dell’organizzazione amministrativa diversa e talvolta contrapposta a quella generale.
Nel momento però in cui il principio di legalità si espande e si propaga in tutto l’ordinamento, la sorte della teoria delle norme interne è inevitabilmente segnata: o la norma interna viene ricondotta alle fonti dell’ordinamento generale, ed allora essa acquista rilevanza esterna alla stessa stregua delle altre norme, ovvero la sua esistenza appartiene all’area del non giuridico.
Nel nostro sistema la vicenda delle norme interne della pubblica amministrazione ed in particolare quella della rilevanza delle circolari e delle istruzioni segue la prima delle due strade; sì che la loro violazione determina l’invalidità degli atti dell’amministrazione (poco importando se tale invalidità venga qualificata come “violazione di legge” o come “eccesso di potere”).
La vicenda delle norme interne del Parlamento, invece, segue tutt’altro percorso.
I regolamenti parlamentari stentano ad uscire dal recinto delle norme interne.
Il carattere separato dell’ordinamento parlamentare non è stato mai, almeno esplicitamente, ammesso dalla Corte costituzionale; tuttavia essa si è sempre preoccupata di assicurare alle camere ampi spazi nell’interpretazione delle norme regolamentari, giungendo a sostenere l’idoneità del “diritto parlamentare” a dare “esaustiva qualificazione” ai comportamenti dei membri delle camere, sì da impedire qualificazioni legislative diverse e, soprattutto, escludere un “sindacato esterno da parte dell’autorità giudiziaria”.
E’ certo che questa soluzione tende a restituire al diritto parlamentare e alle sue fonti quel carattere di norma interna, impermeabile ed insensibile al principio di legalità, che la dottrina aveva ritenuto appartenere al passato ordinamento.

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