Riassunto del libro di Cantelmi, De Santis e Scione, che prende in considerazione la principale patologia psicotica, la schizofrenia. Vengono descritti i primi studi sulla patologia, le teorie che nel corso degli anni hanno cercato di spiegarla, gli approcci sia psicologici che farmacologici secondo le diverse scuole di pensiero. Il disturbo psicotico viene ampiamente indagato inoltre nei suoi sintomi, nel substrato biologico, nelle sue caratteristiche, cause, incidenza. Riportati numerosi studi a riguardo.
Terapia ragionata della schizofrenia
di Paola Alessandra Consoli
Riassunto del libro di Cantelmi, De Santis e Scione, che prende in
considerazione la principale patologia psicotica, la schizofrenia. Vengono
descritti i primi studi sulla patologia, le teorie che nel corso degli anni hanno
cercato di spiegarla, gli approcci sia psicologici che farmacologici secondo le
diverse scuole di pensiero. Il disturbo psicotico viene ampiamente indagato
inoltre nei suoi sintomi, nel substrato biologico, nelle sue caratteristiche, cause,
incidenza. Riportati numerosi studi a riguardo.
Università: Università degli Studi di Roma La Sapienza
Facoltà: Psicologia
Titolo del libro: Terapia ragionata della schizofrenia
Autore del libro: Cantelmi T, De Santis A, Scione G
Editore: Scione Ed.
Anno pubblicazione: 19981. Evoluzione del concetto di schizofrenia
Il concetto di schizofrenia è molto cambiato dal tempo di Kraepelin. Nel volume “Cento anni di psichiatria”
Kraepelin aveva raccolto la più importante letteratura sul tema “processi psichici degenerativi”, tra i quali
c’era la dementia praecox. A quei tempi (fine ‘800) era in aumento l’incidenza di un disturbo che colpiva in
modo particolare giovani pazienti e causava deliri, allucinazioni, ritiro sociale, apatia e indifferenza emotiva.
Definì questa malattia demenza praecox, conosciuta oggi come schizofrenia.
Kraepelin aveva sottolineato l’importanza dell’approccio clinico-nosologico: seguire attentamente i sintomi
della nosodromia dei singoli casi clinici, per separare in essi l’essenziale dall’accidentale. Si impone il suo
approccio di ricerca: lo studio dell’intera storia di vita dei pazienti psichiatrici, sia pure in un ottica
assolutamente somatica e nosologica. L’impostazione nosologica kraepeliana ha mantenuto tutta la sua
validità per almeno due generazioni di psichiatri, con una sua attuale rinascita.
Fra i primi a recuperare la psiche nella dementia praecox furono Bleuler e il suo giovane assistente Jung. La
sua obiezione nei confronti della concezione kraepeliana è semantica: “chiamo la dementia praecox
schizofrenia nella speranza di mostrare che la dissociazione è una delle sue più importanti caratteristiche”.
Bleuler applica alla psicopatologia le idee di Freud, differenziando la schizofrenia dalle psicosi organiche e
ipotizzando l’attivazione di complessi carichi di Affekt. Sottolinea la necessità di postulare l’esistenza di
sintomi psichici primari, pur consapevole che la sintomatologia della schizofrenia consiste in gran parte di
sintomi secondari, la cui esistenza egli spiegava come prodotto dei complessi.
Kraepelin accettò solo in parte le concezioni bleuleriane; considerò il primario e il secondario come
obbligatorio e facoltativo, dando loro un significato diverso da quello bleuleriano; e fra i sintomi primari
accettò con notevole riserva l’ambivalenza e l’autismo, che invece costituiscono due cardini del pensiero
bleuleriano della schizofrenia.
Con la dura legge nazista sulla sterilizzazione obbligatoria negli schizofrenici ci fu la tendenza a riportare la
diagnosi nei severi limiti kraepeliani.
Paola Alessandra Consoli Sezione Appunti
Terapia ragionata della schizofrenia 2. Gli autori successivi a Kraepelin
Bleuler non fu il solo a tentare di introdurre la dimensione psichica nella comprensione della malattia. Alla
scuola di Seildelberg va il merito della fondazione vera e propria della psicopatologia della schizofrenia, nel
tentativo di superare i limiti di una psichiatria kraepeliana, esclusivamente nosologica e somatica.
L’assunto secondo il quale le psicosindromi formano una unità come malattia somatica è stato visto come un
postulato, un desiderio ancora non realizzato.
Da qui la necessità della psichiatria europea di esplorare il paziente dapprima psicologicamente, e oggi,
anche antropologicamente, cioè di appercepirlo come persona, con motivi, riflessioni e sentimenti, anche
sulla propria malattia.
Schneider vede la schizofrenia e la ciclotimia come tipi, proprio nel senso del tipo ideale, di Max Weber,
nella ricca varietà dei possibili quadri clinici, introducendo una maggiore relatività nella classificazione
delle psicosi endogene.
Possiamo servirci di entrambi, del criterio nosodromico e di quello psicopatologico, perché è solo la ricerca
del sintomo che ci permetterà la prognosi. I vantaggi della psicopatologia scheneideriana sono innegabili,
anche se non pervengono a un concetto diagnostico preciso della sindrome. Schneider distingue il tema (o
contenuto) e la forma, lasciando il tema alla psicoanalisi. All’analisi del tema, la diagnosi si arresta e con
essa anche l’eredità di Kraepelin.
Jaspers, con la sua metodologia psicopatologica (descrizione chiara, comprensione psicologica della
personalità e della storia di vita, e interazione tra queste e i sintomi), rende possibile la comprensione
reclamata dai rivoltosi, senza sacrificare la diagnosi.
Le tendenze attuali della psicopatologia da un lato tendono molto sul versante della psicopatologia
jaspersiana e dall’altro tendono a livelli diversi di concettualizzazione dei fenomeni psicotici indicati come
schizofrenici.
L’urto con il testo kraepeliano è ancora fecondo e ci aiuta a una presa di coscienza delle nostre
presupposizioni e dei nostri pregiudizi.
Paola Alessandra Consoli Sezione Appunti
Terapia ragionata della schizofrenia 3. Inquadramento diagnostico delle psicosi schizofreniche
Due sono i criteri fondamentali che devono guidare il clinico nella formulazione di una diagnosi di
schizofrenia: quello psicopatologico e quello nosodromico.
Il primo dei due criteri si basa sulla ricerca nel paziente dei sintomi dotati di una certa dose di tipicità
schizofrenica. Il secondo attribuisce maggiore importanza alle caratteristiche del decorso e degli esiti.
Il rilievo, nel paziente in esame, di disturbi con elevato carattere di tipicità schizofrenica, a coscienza lucida,
rende assai probabile la diagnosi di schizofrenia. Per giungere alla certezza diagnostica, è necessario
escludere l’esistenza nel paziente di una di quelle condizioni mediche che possono manifestarsi con quadri
di tipo schizofrenico.
Caratteristica peculiare della forma tipica o nucleare di schizofrenia è la coesistenza di sintomi sia positivi
che negativi e la loro persistenza nel tempo, sia pure in forma attenuata, per almeno 6 mesi. Questa
condizione si associa tipicamente a mancata disfunzione sociale o lavorativa.
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Terapia ragionata della schizofrenia 4. Tipologie di schizofrenia
Se ne distinguono 5 tipologie che si differenziano tra loro per la diversa combinazione dei sintomi e per
differenze di decorso:
- tipo paranoide: caratterizzato dalla prevalenza di sintomatologia delirante e allucinatoria in un contesto di
funzioni cognitive e di affettività sufficientemente conservate.
- tipo disorganizzato: comportamento ed eloquio disorganizzato, affettività appiattita o inadeguata.
- tipo catatonico: disturbi psicomotori (arresto psicomotorio, agitazione, negativismo, posture inadeguate o
bizzarre, manierismi, stereotipie).
- tipo indifferenziato: in questa categoria è possibile includere tutti i casi che non presentano aggregazioni di
sintomi caratteristici delle altre forme.
- tipo residuo: più che una varietà di schizofrenia ne costituisce una possibile fase evolutiva..
Il rilievo di tali sintomi psicopatologici deve avvenire mediante un esame psichico accurato che prenda in
esame tutte le principali funzioni mentali, neuropsicologiche e un esame medico generale e neurologico. Le
indagini di laboratorio devono escludere l’esistenza di una psicosi organica.
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Terapia ragionata della schizofrenia 5. Sintomi caratteristici della schizofrenia secondo il DSM IV
- Deliri: caratteristici soprattutto se bizzarri.
- Allucinazioni: caratteristiche soprattutto se uditive e sottoforma di voci dialoganti o che commentano il
comportamento o i pensieri del soggetto.
- Eloquio disorganizzato: con frequenti deragliamenti o incoerenze.
- Comportamento grossolanamente disorganizzato o catatonico
Sintomi negativi: appiattimento dell’affettività, alogia, abulia.
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Terapia ragionata della schizofrenia 6. Indagini diagnostiche sulla schizofrenia
Tra le indagini neurofisiologiche, l’EEG ha il compito di evidenziare l’esistenza di segni indicativi di un
disturbo organico sottostante. I potenziali evocati tardivi sono onde evocate dalla somministrazione di uno
stimolo sensoriale, che compaiono dopo i primi 250msec e che appaiono quindi associate ad eventi cerebrali
implicati nel processamento cognitivo e psicologico dello stimolo. Due onde in particolare: la P300 e la
N100 mostrano alterazioni costanti e specifiche nei soggetti affetti da disturbo schizofrenico.
E’ necessario valutare nel paziente le caratteristiche psicopatologiche allo scopo di individuare il grado di
“tipicità schizofrenica” del quadro morboso presentato.
La successiva valutazione riguarderà le caratteristiche della personalità del paziente nei vari aspetti della
dotazione intellettiva di base, della componente istintuale, di quella temperamentale e della struttura del
carattere.
Ciò è importante ai fini della terapia per la possibilità di identificare, all’interno del quadro sintomatologico,
quegli elementi temperamentali e caratteriologici che possono richiedere una specifica correzione con
terapie farmacologiche o psicoterapia (terapia spettro-mirata).
I metodi di valutazione e reattivi mentali utilizzabili nella schizofrenia:
scale di valutazione: valutazione qualitativa e quantitativa dei sintomi schizofrenici,
test di personalità, test cognitivi.
Per quanto riguarda l’impatto che problemi psicosociali e ambientali possono aver avuto sul paziente,
attraverso un meccanismo di “messa in moto” di una predisposizione endogena, è necessario fare attenzione
a quegli avvenimenti in grado di provocare significativi segni di sofferenza nella maggior parte delle
persone in simili circostanze e culture.
Si rende necessario effettuare una valutazione dei funzionamento globale del soggetto in ambito sociale e
familiare, sia prima dell’esordio del disturbo, sia dopo la risoluzione dell’episodio acuto, allo scopo di
valutare l’entità di un eventuale difetto residuo.
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Terapia ragionata della schizofrenia 7. Iter diagnostico per la schizofrenia
L’iter diagnostico ha lo scopo di formulare una diagnosi di tipo categoriale che consiste nell’identificare a
quale categoria diagnostica appartiene il disturbo del soggetto, facendo riferimento a sistemi classificatori
internazionali (DSM IV e ICD10). L’inquadramento diagnostico categoriale consentirà al clinico di fare
previsioni prognostiche e di decidere la terapia di base. Il passo successivo sarà quello di individuare lo
stadio evolutivo.
Ad ogni stadio corrispondono prospettive prognostiche diverse e differenti devono essere gli obiettivi della
cura: nel caso di un primo episodio acuto o sub-acuto, dovrà porsi l’obiettivo di ottenere una remissione
completa con restituito ad integrum, nel caso di una esacerbazione quello di un ritorno alle condizioni
precedenti alla riacutizzazione, nel caso di una poussè evolutiva si deve cercare di limitare i danni provocati
dalla comparsa dei sintomi nuovi, talvolta ricorrendo a terapie combinate e molto aggressive.Per una
ulteriore individuazione del trattamento (terapie complementari, scelta del neurolettico), si dovrà tenere
conto anche della particolare pregnanza che nel caso specifico assumono alcune associazioni di sintomi.
Fare una diagnosi dimensionale significa identificare per ogni singolo caso clinico qual è il peso relativo che
le singole dimensioni psicopatologiche assumono in quel caso. Il “peso” è dato dall’intensità,
dall’interferenza e dalla durata dei sintomi che caratterizzano la dimensione.
L’approccio categoriale e quello dimensionale alla diagnosi sono complementari. Si tratta di due fasi
successive di un medesimo processo finalizzato ad ottimizzare la cura del paziente.
Sarebbe più indicato parlare di processo diagnostico, caratterizzato da diverse fasi, per ciascuna delle quali
si utilizzerà un sistema diagnostico differente.
Valutazione multi assiale secondo il DSM IV:
Asse I: disturbi clinici e altre condizioni che possono essere oggetto di attenzione clinica.
Asse II: disturbi di personalità e ritardo mentale.
Asse III: condizioni mediche generali.
Asse IV: problemi psicosociali e ambientali.
Asse V: valutazione globale del funzionamento.
Diagnosi di stadio evolutivo:
1° episodio: boufflè delirante allucinatoria acuta
fase di esacerbazione senza comparsa di sintomi nuovi
poussè evolutiva con comparsa di sintomi nuovi e aggravamento del difetto
fase di remissione totale o parziale.
Incidenza: colpisce l’1% circa della popolazione mondiale.
Insorgenza: si manifesta fra i 15 e i 45 anni di età in modo graduale o repentino, generando sintomi
classicamente suddivisi in positivi e negativi.
Paola Alessandra Consoli Sezione Appunti
Terapia ragionata della schizofrenia 8. Valutazioni prognostiche e strategie terapeutiche per la
schizofrenia
La terapia della schizofrenia è un problema complesso che richiede un intervento multidimensionale. La
terapia farmacologica è la base del trattamento. Lo psichiatra deve essere consapevole delle implicazioni
etico-deontologiche che l’omissione di tale trattamento dal programma terapeutico può comportare.
Nei disordini schizofrenici la possibilità di ricadute è una caratteristica paradigmatica del corso della
malattia e la sua prevenzione può essere considerata come il principale obiettivo del trattamento neurolettico
di mantenimento, dato che vi sono sufficienti prove dell’efficacia della prevenzione. I fattori di cui tenere
conto per un corretto intervento:
- eterogeneità etiopatogenetica dei disturbi schizofrenici,
- gravità degli effetti collaterali dei neurolettici,
- profilo farmacodinamico dei neurolettici impiegati,
- posologia dei farmaci e modalità di somministrazione,
- precocità ed adeguatezza della terapia nella fase d’esordio,
- cattiva compliance del paziente alla terapia (rifiuto, autoriduzione, abbandono, terapia intermittente), ma
anche della famiglia e dei medici curanti. La limitata utilizzazione dei neurolettici nella prevenzione delle
ricadute è dovuta a pregiudizi ideologici, alla scarsa attività di ricerca e di informazione, per cui gli
psichiatri sono lasciati soli nella loro esperienza personale,
più stretta modulazione della terapia neurolettica (e di altro tipo) con le variazioni del quadro
psicopatologico rispetto al decorso. I neurolettici hanno cambiato la schizofrenia nella sua psicopatologia ed
evoluzione. Ciò che non è cambiato è la fase d’esordio, acuta. Diagnosi precoce ed inizio immediato di una
farmacoterapia sono indispensabili per ottimizzare l’intervento a breve termine, ridurre il rischio di ricadute
e minimizzare la possibilità di cronicizzazione.
Paola Alessandra Consoli Sezione Appunti
Terapia ragionata della schizofrenia 9. Fasi dell’intervento terapeutico per la schizofrenia
Si distinguono 3 fasi di intervento terapeutico in relazione agli stadi di evoluzione della malattia: una fase
acuta, una fase di proseguimento e una fase di mantenimento. Ottenuta la remissione della sintomatologia
acuta che può avvenire in poche settimane, deve iniziare una terapia di proseguimento, allo scopo di evitare
le ricadute. Un episodio acuto schizofrenico molto raramente tende alla cronicizzazione sin dagli esordi,
mentre prevale un’evoluzione ad episodi psicotici subentranti secondo 3 principali modalità:
episodi subentranti con remissione totale della sintomatologia nelle fasi intercritiche,
episodi subentranti con deficit stabile intercritico,
episodi subentranti con deficit progressivo.
La durata della terapia di proseguimento non può essere inferiore ad un anno (la Consensus Conferente
indica 2 anni in assenza di ricadute e 5 anni in presenza di ricadute) a dosaggi standard, non inferiori a quelli
con i quali si è ottenuta la remissione della fase acuta.
Il paziente deve raggiungere una condizione di superamento stabile della sintomatologia acuta e sub-acuta
più produttiva, di tipo psicotico, affinché possa ritenersi libero sia dal tipo di evoluzione cronicizzante (rara),
sia dal tipo di evoluzione a poussè.
Paola Alessandra Consoli Sezione Appunti
Terapia ragionata della schizofrenia 10. La possibilità di recidive della schizofrenia
Benchè il paziente possa beneficiare di lunghi periodi di remissione dalla sintomatologia, almeno nei primi
anni, è nota la tendenza spontanea alle ricadute nel proseguo di tempo. Questo dato impone la prosecuzione
di una terapia neurolettica di mantenimento, anche dopo che si possa ritenere superata la fase acuta e sub-
acuta della sintomatologia e l’introduzione in programmi di riabilitazione, se l’evoluzione sta comportando
deficit stabili o progressivi. La riabilitazione non è consigliata nel caso in cui il paziente abbia ripreso il suo
consueto livello di partecipazione sociale. Tale valutazione può essere svolta ad un anno dall’esordio.
In assenza di trattamento attivo, la probabilità di riacutizzazione nei 3 anni che seguono l’esordio è del 60-
90%, che si riduce al 20-30% con le terapie di mantenimento. La terapia di mantenimento va protratta per
almeno 2 anni.
La terapia neurolettica può essere interrotta dopo 3 anni dall’esordio solo in condizioni molto favorevoli e in
assenza di ricadute, altrimenti va continuata per almeno 5 anni.
Altri fattori che possono entrare in gioco nel determinismo delle ricadute del paziente schizofrenici sono:
l’intervento educativo della famiglia sulla gestione degli effetti collaterali dei farmaci e sulla riduzione delle
emozioni espresse nel proprio ambito,
l’intervento riabilitativo e di sostegno psicoterapico.
Notevoli miglioramenti possono essere raggiunti nella prevenzione delle ricadute attraverso la pratica di
educazione della famiglia alla riduzione dello stress intrafamiliare. Tali metodiche ridurrebbero le ricadute
dal 38% con sola terapia neurolettica al 13%, mentre non sarebbe significativa la differenza
nell’associazione alle pratiche riabilitative e psicoterapiche.
Paola Alessandra Consoli Sezione Appunti
Terapia ragionata della schizofrenia 11. Interventi possibili in fase prodromica della schizofrenia
Sarebbe importante poter intervenire nella lunga fase prodromica aspecifica (insieme di segni e sintomi che
precede la manifestazione clinica della malattia) nella quale i segni di un impoverimento cognitivo e di
prestazioni sociali sono spesso frequenti e costituiscono uno dei pochi indicatori di una certa validità di
cattiva prognosi della malattia, anche perché la loro mancanza, al contrario, sarebbe un valido indicatore di
buona prognosi.
Se appare possibile una terapia farmacologica intermittente, agendo contemporaneamente su base
riabilitativa, appare di estremo interesse la possibilità di un riconoscimento precoce dei prodromi della
possibile ricaduta.
Un terzo elemento è quello della forte somiglianza dei sintomi prodromici con quelli della fase residuale,
che potrebbero giovarsi di terapie di tipo profilattico.
La necessità di una medicazione continua per lunghissimi periodi e, forse, per sempre in molti casi, rende
più necessaria ed urgente la ricerca e la sperimentazione a questo fine di nuovi farmaci, non tanto ai fini
terapeutici, quanto ai fini profilattici e di mantenimento.
Paola Alessandra Consoli Sezione Appunti
Terapia ragionata della schizofrenia 12. Sviluppo cognitivo, livelli di rappresentazione e schizofrenia
L’approccio neuropsicologico di Frith è un tentativo di spiegare i segni e i sintomi piuttosto che la
schizofrenia, il che lo porta a studiare pazienti con certi sintomi piuttosto che con certe diagnosi. Egli
sostiene da una parte l’importanza degli studi caso-singolo e dall’altra, negli studi neuropsicologici su più
soggetti, il reclutamento per “deficit cognitivo” più che per “localizzazione della lesione”. I sintomi negativi
sono associati ad un decremento generale del QI e ad un comportamento perseverativo e alla tendenza ad
omettere risposte. I sintomi positivi non sembrano associati né con un declino intellettivo, né con specifici
deficit ai test psicometrici. Frith ha proposto che i processi cognitivi implicati nei segni e sintomi della
schizofrenia si riferiscono alla seguente tripartizione:
1) Disturbi dell’azione intenzionale: i sintomi negativi e alcuni disturbi della coerenza del pensiero
(stereotipie, perseverazioni e inappropriatezze del linguaggio) sarebbero espressione di un disturbo
dell’azione intenzionale, in particolare delle azioni intenzionali autogenerate. Tale disturbo comporterebbe
una ridotta capacità di agire in differenti aree: movimento, linguaggio, affettività. I casi estremi sono
descrivibili come forme di abulia (assenza di volontà), alogia (mutacismo) e atimia (assenza di sentimenti). I
pazienti sono in grado di eseguire azioni routinarie indotte da uno stimolo ambientale, ma hanno difficoltà a
mettere in atto un comportamento spontaneo in assenza di stimoli esterni. Il paziente è incapace di produrre
un comportamento adeguato di propria iniziativa e non è in grado di inibire un comportamento
inappropriato. Azioni recenti sono ripetute (perseverazioni) e vengono date risposte a stimoli esterni
irrilevanti, linguaggio e comportamento sono incoerenti. La difficoltà nelle azioni intenzionali autogenerate
spiegherebbe l’alterata performance a test in cui la decisione deve essere presa dal soggetto senza
riferimento a stimoli esterni.
2) Disturbi nella capacità di autocontrollo: alcuni sintomi positivi definiti come “esperienze passive” o
“sentimenti costruiti, impulsi costruiti, atti costruiti” (deliri di controllo dall’esterno, di riferimento,
allucinazioni uditive in seconda persona: il paziente sente voci che parlano di lui) e le esperienze di
trasmissione ed inserimento del pensiero sarebbero determinati da quello che Frith chiama “difetto di
autocontrollo”. I soggetti con tali esperienze non riconoscerebbero il linguaggio interiore come
autogenerato; si tratterebbe di una difficoltà a monitorare dall’interno le proprie intenzioni. La
discriminazione tra esperienza autogenerata e determinata dall’esterno è un compito che il sistema nervoso
risolve continuamente: siamo consapevoli di un atto intenzionale prima di realizzarlo e siamo in grado di
correggere errori di azioni che non abbiamo ancora realizzato, senza il feedback periferico (percezione), ma
monitorando dall’interno l’azione che stiamo per realizzare.
3) Disturbi nel controllo delle intenzioni altrui: disturbi della coerenza del linguaggio, le allucinazioni in
terza persona, i deliri di riferimento e paranoide. I deliri sperimentati dagli schizofrenici sembrano
riguardare la collocazione del paziente nell’universo sociale, suggerendo che il ragionamento fallisce
soltanto nel comprendere le interazioni umane (ragionamento sociale). I pazienti schizofrenici mostrano
delle compromissioni specifiche solo a livello del discorso, nell’uso delle regole che guidano il modo in cui
le frasi possono essere combinate per costruire un’idea precisa o una storia. Le anomalie del linguaggio
schizofrenico sono di espressione più che di ricezione.
Paola Alessandra Consoli Sezione Appunti
Terapia ragionata della schizofrenia 13. Le teoria di Frith e Harvey sulla schizofrenia
Frith suppone che l’aspetto linguistico implicabile nei disturbi di questo gruppo (deliri paranoidei, di
riferimento, allucinazioni in terza persona e incoerenza) si possa individuare nell’ambito della pragmatica,
cioè a livello dei processi con cui usiamo il linguaggio per comunicare i nostri pensieri e i desideri degli
altri.
Alcuni disturbi del pensiero schizofrenico riflettono un disturbo della comunicazione causato in parte
dall’incapacità del paziente di prendere in considerazione la conoscenza dell’ascoltatore nella formulazione
del proprio discorso. Ciò comporterebbe la difficoltà degli schizofrenici a comprendere i significati
metaforici o ironici della comunicazione. Per comprendere tali livelli della comunicazione, non basta
decodificare il significato letterale ma bisogna tener conto del contesto e fare supposizioni riguardo la
conoscenza e le intenzioni del locutore.
Harvey individua, negli schizofrenici, un’alterazione del processo di Reality Monitoring, ovvero nell’abilità
a discriminare la fonte di un’informazione presente nella memoria a breve termine; ne conseguirebbe una
difficoltà a discriminare un compito mnestico, un’informazione detta da quella solo immaginata, pensata.
Frith giunge a sostenere che nella schizofrenia, come nell’autismo, ci sia un disturbo comune e soggiacente
alle 3 classi menzionate che riguarda la capacità di metarappresentazione. Grazie a questa competenza il
bambino diventa capace di predire il comportamento proprio ed altrui sulla base di stati effettivi: è il periodo
critico per l’acquisizione della “Teoria della mente”.
Una caratteristica delle metarappresentazioni è la loro nocività, ricorsività che si può applicare all’infinito
(ottenendo credenze di secondo, terzo, quarto, quinto ordine).
Se solo a partire dai 4 anni emergerebbe la capacità di metarappresentazione, relativa a credenze di primo
ordine, bisogna attendere i 6-7 anni per veder comparire la capacità di attribuire credenze di secondo ordine.
L’idea di Frith è che gli schizofrenici abbiano alterazioni simili ai pazienti autistici, con un deficit nel
meccanismo che presiede alla capacità di mentalizzare (metarappresentare). In molti casi questo
meccanismo funziona in modo adeguato fino al primo scompenso psichico e si manifesta in modi diversi.
L’autistico non ha mai avuto consapevolezza del fatto che gli altri posseggono la capacità di pensare; invece
lo schizofrenico sa che gli altri posseggono questa capacità, ma ha perduto la capacità di inferire sugli altri
contenuti di pensiero, convinzioni e intenzioni e possono sempre perdere la capacità di riflettere sui
contenuti della propria mente. Avranno comunque a disposizione rituali e comportamenti routinari per
interagire con gli altri che non richiedono inferenze sugli stati mentali.
Negli studi di Frith, il deficit di Teoria della Mente si è manifestato in test di Falsa Credenza generalmente
sia di 1° che di 2° ordine, ed in pazienti schizofrenici acuti ricoverati. Nei pazienti in remissione
sintomatologica ed in soggetti normali, la performance metacognitiva è corretta.
Il bambino dopo i 4 anni è in grado di riconoscere stati mentali immediatamente passati (desideri, credenze)
anche se falsi, come propri.
Di fronte ad un compito non alla sua portata (differenziare l’esterno, ossia come gli altri lo vedono,
dall’interno, ossia da quello che prova) il bambino può mostrare una sorta di decalage, cioè tornare ad una
performance tipica di una fase precedente, già superata. Il decalage si manifesterebbe con l’incapacità a
mantenere il riconoscimento di ciò che credeva/desiderava prima di essere confrontato con il punto di vista
esterno.
Paola Alessandra Consoli Sezione Appunti
Terapia ragionata della schizofrenia 14. Il ruolo della famiglia nella schizofrenia
I genitori esercitano una rilevante influenza sul modo con cui il bambino impara a decodificare e a
riconoscere le proprie esperienze emotive.
Ogni volta che l’esperienza diretta del bambino differisce dalla spiegazione delle sue emozioni fornitagli dai
genitori, i pensieri e le emozioni esperite vengono esclusi, e con tutta probabilità verrà presa in
considerazione ed ulteriormente elaborata la ridefinizione offerta dei genitori.
Mentre prima dei 6-7 anni la ridefinizione delle emozioni ha effetto immediato sulla definizione del senso di
sé e riguarda direttamente l’identità, dopo i 6-7 anni una ridefinizione di questo genere significa per il
bambino scoprire di non essere in grado di leggere le sue emozioni e di capirle, e quindi doversi affidare
sempre più a contesti esterni per decodificarle.
Quindi, il tipo di difficoltà cognitiva prevedibile sulla base di difficoltà di attribuzione di credenze di 2°
ordine sembra comportare, non una impossibilità di riconoscimento dei propri ed altri stati mentali ed
emotivi, quanto una instabilità, una difficoltà nel mantenere ciò che si può anche riconoscere, specialmente
in situazioni conflittuali.
Questo è il livello metacognitivo che appare deficitario in pazienti psicotici ambulatoriali.
Invece nei pazienti schizofrenici ricoverati studiati da Frith il difetto è anche a livello di competenze di 1°
ordine, mentre nei pazienti in remissione l’autore non ha evidenziato una performance metacognitiva
alterata.
Le capacità di auto/eteroattribuzione di stati mentali, sia prima dell’esordio che in fase di remissione
completa, presenterebbero una vulnerabilità che porterebbe alla performance deficitaria di fronte a vissuti di
particolare significato e minaccia per il processo di mantenimento della coerenza-continuità del senso di Sé
in corso.
In quest’ottica acquisterebbe ancor più rilevanza una analisi esperienziale, una ricostruzione attenta dei
vissuti emotivi, delle situazioni che hanno preceduto l’esordio psicopatologico, con l’obiettivo di lavorare
con il paziente in una puntuale ricostruzione dell’interfaccia tra l’esperienza immediata e la spiegazione che
il paziente si da della propria esperienza.
La clinica spinge verso un approccio più molare. Spesso una sintomatologia non è semplicemente
l’espressione di un deficit molecolare da eliminare, ma è espressione e svolge un ruolo per l’intero
organismo.
L’udire voci può essere diventato parte della loro identità e può aver assunto la funzione (disadattiva) di una
manovra di sicurezza per evitare esperienze ancora più penose. Tali pazienti sono in genere molto restii a
perdere le loro allucinazioni, anche quando ne hanno capito il meccanismo di insorgenza e le condizioni che
le mantengono in vita.
Paola Alessandra Consoli Sezione Appunti
Terapia ragionata della schizofrenia 15. L’azione dei neurolettici sui sistemi recettoriali
La comparsa dei neurolettici tra le terapie per i disturbi mentali ha determinato un radicale cambiamento
nella possibilità di cura dei sintomi e del disagio di cui soffrono i pazienti con disturbi dell’area
schizofrenica. Il numero di ricoverati che superava la cifra di 550.000 nella prima metà degli anni’50, dopo
l’introduzione dei neurolettici nella terapia del disturbo schizofrenico, è sceso negli anni successivi fino ad
arrivare sotto ai 200.000 ricoverati nel 1975. Questa massiccia deistituzionalizzazione è resa possibile da un
migliore trattamento della sintomatologia schizofrenica, soprattutto di quella positiva (deliri, allucinazioni,
comportamento bizzarro), con un conseguente miglioramento delle capacità di socializzazione e più
favorevoli condizioni cliniche per una dimissione dei pazienti dai luoghi in cui erano ricoverati.
Non tutti coloro che soffrono di schizofrenia si giovano della terapia con i neurolettici tradizionali, dotati di
un’elevata affinità per i recettori dopaminergici di tipo D2; circa il 30% dei pazienti sono farmaco-resistenti.
Per una buona percentuale di essi si riescono ad ottenere dei risultati terapeutici favorevoli con la
prescrizione di neurolettici atipici, definiti così perché la loro azione terapeutica si caratterizza per
l’intervento anche su altri recettori, oltre il D2.
Il primo e ancora oggi più efficace tra i neurolettici atipici è la clozapina.
Paola Alessandra Consoli Sezione Appunti
Terapia ragionata della schizofrenia 16. Neurolettici tipici e funzionalità recettoriale
I neurolettici tipici non agiscono su un solo sistema recettoriale, ma influenzano più tipi di recettori. Questa
situazione determina degli effetti terapeutici comunemente attribuiti alla loro azione sui recettori
dopaminergici di tipo D2, mentre gli effetti collaterali vengono riferiti all’affinità che i neurolettici hanno
per altri sistemi recettoriali, quali: i recettori per l’istamina di tipo H1, i recettori colinergici di tipo a1 e
quelli muscarinici M1.
Ai recettori H1 sono attribuiti gli effetti collaterali di sedazione ed aumento di peso di cui si lamentano
alcuni pazienti in terapia con neurolettici. La sedazione dovuta a questi recettori è utilizzata da alcuni
psichiatri che hanno la necessità di ridurre i sintomi psicopatologici correlati a comportamenti aggressivi o
ad agitazione psicomotoria.
Ai recettori a1 sono dovuti gli effetti collaterali di diminuzione della pressione sistolica e vertigini.
All’azione sui recettori M1 si devono effetti collaterali quali: bocca secca, difficoltà nella messa a fuoco con
visione indistinta, stitichezza, letargia e rallentamento motorio.
Paola Alessandra Consoli Sezione Appunti
Terapia ragionata della schizofrenia 17. Effetti dovuti all’azione dei neurolettici sui recettori della
dopamina
Fino a pochi anni fa erano conosciuti solo 2 tipi di recettori dopaminergici: il tipo D1 incrementa la
produzione del secondo messaggero intracellulare AMPc nei neuroni dopaminergici, mentre il tipo D2 la
diminuisce. Il tipo D2 ha anche funzioni di autorecettore.
La classica distinzione tra recettori dopaminergici di tipo D1 e D2 è stata ridefinita dalla scoperta di nuovi
tipi di questi recettori. Si conoscono 5 tipi di recettori dopaminergici di cui è stata clonata la sequenza
genica. Essi vengono distinti in 2 famiglie: i recettori di tipo D1-simile, che sono i recettori D1 e D5, e i
recettori di tipo D2-simile che sono il D2, il D3 e il D4. Nell’encefalo esistono 4 tipi di vie dopaminergiche:
mesolimbica, mesocorticale, nigrostriatale e tuberoinfundibolare.
L’influenza che i neurolettici tipici esercitano sui recettori dopaminergici a livello mesolimbico bloccando
l’uptake della dopamina, viene ritenuta responsabile dell’effetto antipsicotico e terapeutico di questi farmaci.
E’ l’azione che i neurolettici esercitano sui recettori D2 ad essere determinante. L’azione terapeutica dei
neurolettici tipici nella schizofrenia si manifesta quando è stato raggiunto un blocco dei recettori D2 tra il 65
e il 75%. La potenza di un neurolettico tipico si misura sulla base dell’affinità del farmaco per i recettori D2.
L’azione dei neurolettici sulla via dopaminergica mesocorticale viene indicata come responsabile
dell’incremento della sintomatologia negativa di cui soffrono molti pazienti schizofrenici.
I più frequenti effetti collaterali dei neurolettici sono i sintomi extrapiramidali, dovuti all’azione di questi
farmaci sulla via dopaminergica nigrostriatale: il blocco dei recettori D2 induce una riduzione
nell’inibizione dell’attività colinergica esercitata a livello dello striato da neuroni dopaminergici provenienti
dalla sostanza nera.
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