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Dosaggio ed efficacia dei neurolettici per la schizofrenia


La relazione tra dosaggio giornaliero ed efficacia è complessa da valutare poiché possono subentrare altre variabili, oltre al farmaco, che possono determinare una variazione del quadro sintomatologico. E’ rimasta a tutt’oggi nella pratica clinica la tendenza a somministrare elevati dosaggi di neurolettici. Le principali motivazioni erronee di questa pratica sono:
elevati dosaggi di neurolettici nei pazienti schizofrenici acuti determinerebbero una più rapida regressione della sintomatologia, vantaggio perseguito sotto la pressione sociale di ridurre la durata o le spese dell’ospedalizzazione psichiatrica o di evitare entrambe. In realtà anche utilizzando un elevato dosaggio di neurolettici non si ha una riduzione del tempo di latenza di circa 2 settimane, tempo necessario perché si manifestino i miglioramenti clinici, quando il farmaco raggiunge lo steady-state;
la possibilità di determinare un effetto sedativo ed ansiolitico in pazienti agitati e violenti, egualmente raggiungibile con farmaci con effetti collaterali più lievi quali le benzodiazepine;
possibilità di trasformare i pazienti non-responders in responders. Un miglioramento è possibile solo con un cambiamento della terapia farmacologica e con l’introduzione di neurolettici atipici.
Nella pratica clinica i dosaggi differiscono a seconda se viene utilizzato un neurolettico a bassa o ad elevata potenza. I neurolettici ad elevata potenza sono utilizzati in dosi da 4 a 7 volte più elevate rispetto all’equivalente quantitativo di cloropromazina.
I neurolettici a bassa potenza sono utilizzati rispetto ai neurolettici ad elevata potenza in dosi di circa la metà. La spiegazione di tale pratica risiede nel fatto che i neurolettici ad elevata potenza sono in genere ben tollerati a dosi elevate perché determinano effetti collaterali neurologici che possono essere prevenuti o trattati con farmaci anticolinergici antiparkinsoniani.
Invece, i neurolettici a bassa potenza sono considerati meno maneggevoli perché comportano un maggiore rischio di insorgenza di sedazione, ipotensione, effetti anticolinergici e reazioni sistemiche tossiche, quali infiammazione epatica, soppressione del midollo osseo e danno retinico. Il dosaggio di 400-600 mg di equivalenti di cloropromazina è adeguato per la maggior parte dei pazienti.
Concentrazione plasmatica dei neurolettici ed efficacia clinica
Il dosaggio plasmatico è una tecnica disponibile per misurare piccoli quantitativi di sostanze nel sangue. Ancora non si conoscono i metaboliti dei neurolettici che sono terapeuticamente attivi o tossici né quelli che potrebbero essere più rilevanti per misurare la risposta clinica. Per ovviare a tali difficoltà, si è tentato di costituire tecniche specifiche per tale valutazione.
Alcuni radioimmunoreagenti sono stati individuati per rintracciare bassissimi livelli di neurolettici nel sangue; tale metodica presenta però dei limiti, poiché tali sostanze creano spesso problemi di cross-reattività con altri metaboliti.
Più interessante sembra l’individuazione di radiorecettori, che servono per misurare il quantitativo di sostanza radioattiva in grado di legarsi ai recettori dopaminergici.
Tutti gli studi che hanno tentato di correlare la concentrazione plasmatica dei neurolettici con la risposta clinica hanno prodotto risultati inconsistenti e nessun risultato univoco.
Anche se il dosaggio plasmatico non può essere utilizzato come strumento di routine per determinare il quantitativo di farmaco da somministrare, importanti indicazioni, con possibili sviluppi futuri ci giungono dagli studi recenti che si avvalgono di nuove metodiche come la PET (Tomografia con Emissione di Positroni).
E’ importante che ulteriori studi indaghino sulla valutazione del dosaggio ottimale dei neurolettici tipici da utilizzare nella fase acuta della schizofrenia. Tale valutazione è importante per ovviare alla pratica clinica che utilizza spesso elevati dosaggi di neurolettici non per ridurre la sintomatologia positiva e negativa ma per raggiungere altri scopi, come la riduzione del comportamento aggressivo e violento e per trattare pazienti non responders.
Dosaggi non elevati di neurolettici sono sufficienti per trattare la fase acuta della schizofrenia mentre all’aggressività si può far fronte utilizzando farmaci più specifici quali i beta-bloccanti, il buspirone, gli SSRI e gli stabilizzanti dell’umore.

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