Appunti del corso. Nel corso vengono riprese le opere di Montale, Ungaretti , Pascal, Leopardi e Gozzano. Si cerca di analizzare le opere dei poeti, vengono trattati i temi principlai e il legame che emrge tra le diverse opere.
Letteratura moderna e contemporanea
di Gherardo Fabretti
Appunti del corso. Nel corso vengono riprese le opere di Montale, Ungaretti ,
Pascal, Leopardi e Gozzano. Si cerca di analizzare le opere dei poeti, vengono
trattati i temi principlai e il legame che emrge tra le diverse opere.
Università: Università degli Studi di Catania
Facoltà: Lettere e Filosofia
Esame: Letteratura italiana moderna e contemporanea
Docente: Giuseppe Savoca1. Introduzione a "L'ombra viva della bufera" di Montale
Il saggio intende avanzare alcune proposte per l'interpretazione di un testo chiave, Voce giunta col le
folaghe, in ordine al radicato tema montaliano del vivere e del morire, corollari de quale sono il disinganno
di una storia insensata e disumana e la frustrazione per l'incapacità di dare un senso ad ogni rottame della
vita. Temi, questi, diffusi lungo tutta la produzione poetica montaliana e centrali, in particolare, ne La
Bufera.
Il componimento appare per la prima volta nel giugno 1947, col titolo Una voce è giunta col le folaghe, nella
rivista L'immagine; verrà poi ristampata nel 1953, col titolo Una voce ci è giunta con le folaghe, nel numero
28 de La fiera letteraria. Troverà infine posto nella Bufera nella sezione delle Silvae, dopo La primavera
hitleriana e prima dell'Ombra della magnolia. La poesia è distinta in cinque strofe di undici endecasillabi (e
qualche settenario).
Pur essendo unanimemente riconosciuta come uno dei vertici della poesia montaliana, la lirica è stata più
ammirata che compresa, né Montale si è certamente speso in suggerimenti ermeneutici. Il componimento
introduce inizialmente l'immagine del padre del poeta, eccezionalmente fuori dal buio della morte, nell'ora
dell'alba, e collocato nel familiare paesaggio ligure. Nella seconda strofe, un'ombra femminile accompagna
il poeta alla tomba paterna; è una figura di donna dai caratteri imponderabili e trasparenti, tipici delle ombre
omeriche, virgiliane e dantesche. L'ombra dell'uomo è legata ancora ai ricordi terreni, l'ombra della donna è
accesa dalla fede; tra i due si instaura un dialogo a cui il figlio all'inizio, gravato com'è dal peso del corpo
terreno, non riesce a udire (siamo alla terza strofe), fino a quando il dialogo non muta in monologo, quello
dell'ombra femminile sul valore e la funzione della memoria (quarta strofe). Alla fine le due ombre si
confondono e il poeta, escluso dalla loro ritrovata unione, conclude la lirica sull'immagine del vuoto che ci
attende.
L'attribuzione del monologo all'ombra femminile è stata spesso contestata, sulla base di quello che è ormai
un noto errore tipografico: giunto del v. 41 al posto del corretto giunta. L'errore appartiene alla prima
edizione della Bufera (Neri Pozza, 1956) e solo a quella, considerato che giunta si trova sin dalla prima
stampa della poesia e in tutte le stampe successive, come in tutte le edizioni della Bufera successive alla
prima.
Gherardo Fabretti Sezione Appunti
Letteratura moderna e contemporanea 2. Le figure femminili di Montale
Meno pacifica sembra invece l'attribuzione di questa ombra viva femminile, spesso riconosciuta come quella
della donna amata dal poeta, l'assente – presente Iride – Clizia, la donna angelo. È questa l'attribuzione
avanzata per la prima volta, nel 1947, da Giovanni Macchia. Altri hanno invece preferito identificarla con
una allegoria della poesia oppure con una figurazione della coscienza e dell'anima. Riteniamo queste ultime
attribuzioni valide, ma secondarie, rispetto alla sostanziale figuratività e alla peculiare essenza umana e
femminile che compare.
Non c'è, infatti, alcun dubbio sul fatto che l'ombra sia una voluta raffigurazione di una messaggera divina
che guida il poeta nella notte del mondo in tempesta. Basti osservare i vv. 14 – 17, che riprendono altre
raffigurazioni di Clizia (in Finisterre, La bufera e La frangia dei capelli) ma questa parola, scarto, compare
anche nei confronti di Volpe, altro personaggio della Bufera (troviamo un riferimento in Le processioni del
1949) che sembra avere anch'esso dei forti legami col componimento.
Le figure femminili di Montale.
Basti confrontare la sottesa presenza delle ali nella creatura con le ali con quelle che Volpe mostra di
possedere in due componimenti (Nubi color Magenta e Se t'hanno assomigliato) e ancora la mano d'infante e
la fronte incandescente che compaiono anche in Se t'hanno assomigliato, dedicata a Volpe. Dunque
possiamo concludere che gli attributi riservati da Montale alle sue figure femminili sono sostanzialmente
intercambiabili. Eppure, in mezzo a tutte queste figure femminili esiste un primum genetico di cui tutte le
altre ripetizione: la madre di Montale. Esiste un fantasma materno, nelle composizioni di Montale, che pur
parcamente presente a livello manifesto, scorre profondamente a livello nascosto nel rapporto uomo –
donna, fortissimo nella poesia montaliana.
Gherardo Fabretti Sezione Appunti
Letteratura moderna e contemporanea 3. Montale : la figura della madre e di Cinzia
Quest'ombra viva è dunque, secondo noi, sia nle suo nucleo profondo sia nelle sue manifestazioni all'interno
della lirica, quella della madre morta. Non si vuole, così, negare che nell'ombra si possano rintracciare
alcuni segni di Clizia o di Volpe, ma l'afflato religioso di cui la donna è portatrice, il pathos fideistico,
sostiene in primis il fantasma della madre, come si evince chiaramente dal componimento A mia madre. Ci
sono delle componenti essenziali della poesia che ben si adattano a quella della madre, a ciò che di lei
sappiamo dalla Bufera. Un discorso sostenuto anche dal fatto che, di contro, ci sono delle componenti
essenziali dell'ombra femminile che risultano incompatibili con la figura del “visiting Angel”. Vediamone
alcune.
Incompatibilità con altre figure.
La prima incompatibilità sta nel fatto che pur essendo Clizia rappresentata come assente, mai il poeta ce l'ha
rappresentata come morta, senza peso e consistenza. L'epiteto viva qui è chiaramente riferito ad un defunto,
e vivo nella poesia montaliana può dirsi anche dei morti: lo vediamo chiaramente proprio a proposito della
madre morta, di cui Montale dice che vive in un eliso / folto d'anime e voci.
La seconda incompatibilità sta nel fatto che Clizia si colloca sempre in uno scenario nordico mente il
paesaggio del componimento è tipicamente mediterraneo, di rupi e di mar ligure. È un paesaggio
fermamente individuato in quella situazione di radicamento nel soggetto che il poeta coglie lucidamente in
Dov'era il tennis, un paesaggio non a caso presente fortemente nella poesia A mia madre, un paesaggio
legato fortemente al ricordo dei genitori.
La terza incompatibilità sta nel fatto che l'ombra femminile insiste fortemente sul legame, ormai passato, ma
sempre vivo nella memoria, che in vita l'accomunava al morto, prima che lei morendo assumesse la ali per
volare, libera come le folaghe, nel cielo dell'oltretempo. L'ombra della donna giunge per liberare l'amato
dall'attaccamento alle sue prode terrnene, per fargli compiere la trasmutazione che finalmente renderà libero
anche lui, ancora timoroso (vv. 32 – 33). Un discorso del genere è inapplicabile a Clizia. Due ombre sono
dunque di fronte: quella silenziosa del padre, riluttante a riconoscersi definitivamente nella sua condizione di
morto, e quella “viva” della madre, pacificata e ormai purificata dai ricordi terreni, nell'accettazione del
distacco dalla terra e nell'adeguamento alle leggi dell'ordine diverso nel quale si trova ora a vivere, paga solo
dell'amor di Chi la mosse e non di sé. È per questo che il figlio la chiama ombra viva.
Essa è viva nella dimensione della propria fede. Ciò che si dice nella terza strofa, a proposito dell'ombra, va
inteso nel suo significato precipuo di valore salvifico – cristiano, a partire dall'aggettivo fidata, che travalica
il puro significato dantesco (le fidate spalle virgiliane) per connotarsi in senso attivo, come fosse fedele.
Gherardo Fabretti Sezione Appunti
Letteratura moderna e contemporanea 4. La terza strofa di "L'ombra viva della bufera" - Montale -
Una vexata quaestio della terza strofa è quella che riguarda i versi 33 – 34. Il tema di un fuoco interno era
già attivo negli Ossi, in un quadro cosmogonico dominato dal rapporto disarmonico uomo – natura: qui il
poeta si riconosceva come ombra incapace tanto di attingere la conoscenza del fuoco eterno della natura,
quanto di portare alla luce il frammento di fuoco che ogni uomo ha dentro di sé. Anche l'uomo della Bufera
ha smarrito la nozione e il significato del fuoco delle origini, ed è la donna a rammentargli con la sua ombra
la doppia perdita del fuoco e del senso (cfr. Personae separatae) ma la grande novità della Bufera sta nel
trapasso dal motivo del fuoco a quello del senso, mai posseduto e pacifico, ma sempre incalzante,
ineludibile. Questa prevalenza del senso dell'umano comporta una metamorfosi dei termini originari della
semantica del fuoco, per cui ora prevale la vampa dell'amore (cfr. Finestra fiesolana), il nuovo incendio (Da
un lago svizzero). I temi del fuoco, e del fuoco della guerra, si confondono con quelli del sangue e della
fede. L'ombra fidata di Voce giunta col le folaghe brucia “che scorporò l'interno fuoco” va semplicemente
intesa nel senso che nella donna, con la morte, si è liberato, privato del peso e dell'impaccio del corpo, quel
fuoco divino che essa si portava dentro da sempre. Il che, fuor di metafora, significa che essa si è inserita
nella dimensione dell'oltretempo, e attinge direttamente al fuoco e al senso perduti da chi è preso ancora dal
mondo, o spera di sopravvivere nel debole fuoco del ricordo umano. La differenza di fondo tra le due ombre
sta appunto nel fuoco diverso cui esse si rapportano. E ci sembra che cui ci troviamo dinanzi ad un
riconoscimento esplicito che il poeta fa della fede cristiana della donna e che, quando scrive, l'una forse I
ritroverà la forma in cui bruciava / amor di Chi la mosse e non di sé (vv. 28 – 30) egli alluda precisamente
alla riconquista della forma corporea secondo la credenza cristiana nel Giudizio universale. Rimane, però, il
fatto che Montale introduca la prefigurazione della risurrezione della carne con un avverbio di dubbio
(forse) che è sintomatico di una sua incapacità, più che insufficienza, di fede. Ma questa mancanza di fede
non gli impedisce di dare una sua drammatica adesione alla scommessa pascaliana sul terreno della
speranza.
Gherardo Fabretti Sezione Appunti
Letteratura moderna e contemporanea 5. La questione dell'ombra viva - Montale -
L'ombra non è dunque viva come lo possono essere genericamente tutti i morti nel sistema montaliano vita /
morte. Essa è viva perché vive nella pienezza di quella fede che, forse, ha un senso anche per il poeta, e che
comunque egli rispetta, cogliendo l'afflato salvifico che investe la messaggera celeste, la Cristofora, e infine,
o a principio, la madre.
Montale celebra nella Bufera i riti sacri delle sue origini, le memorie familiari più profonde e viscerali, e in
cui, nuovo Ulisse, tende al ritorno alla sua casa, al reincontro con i suoi perduti. Ci sembra una
interpretazione restrittiva quella che riduce la sopravvivenza della madre al luogo della memoria del figlio.
La donna di Voce, che è l'ombra di A mia madre, denunzia energicamente i limiti e il vizio di una memoria
che si ripieghi su se stessa, e si alimenti dei suoi indugi morbosi.
Essa può condannare i peccati della memoria perché non vive soltanto nel breve cerchio del ricordo del
figlio ma nel cielo libero del suo Dio d'amore. La memoria attinge miracolosamente l'eccezionale traguardo
della presentificazione degli assenti, in quanto esistenti di per sé, indipendentemente dal ricordo di altri.
Rimozioni
Si ha l'impressione che tra i personaggi del tutto soppressi dalla memoria di molti lettore della Bufera ci sia
proprio la madre. Ma il bello è che il primo ad essersi dimenticato del posto che alla madre spetta nel libro è
stato lo stesso Montale, che nella citatissima nota ad Iride dice: il personaggio è quello del Giglio rosso e di
tutta la serie di Finisterre. Ritorna in Primavera hitleriana, in varie Silvae (anche col nome di Clizia) e nel
Piccolo testamento […] Altra è la figura della Ballata scritta in una clinica; altra ancora quella dei Flashes e
dediche e dei Madrigali.
In relazione a questa nota, occorre innanzitutto rilevare che Montale non dà alcuna autorizzazione per
l'identificazione con Iride – Clizia dell'ombra di Voce, che anche se stretta tra due poesie dedicata a Clizia
può benissimo appartenere a quelle Silvae in cui non si parla di Clizia. Eppure Montale su un punto è molto
chiaro: il personaggio di Iride è quello di tutta la serie di Finisterre. Un'affermazione strana, se si considera
che A mia madre è il ventesimo e ultimo componimento della sezione. Montale con quel tutta è purtuttavia
categorico. A questo punto abbiamo due soluzioni: la figura della madre si è così condensata e fusa con gli
altri personaggi femminili da risultare da essi indistinguibile; oppure, il ruolo della madre è oggetto di una
dimenticanza e di una rimozione sconosciute allo stesso poeta.
Gherardo Fabretti Sezione Appunti
Letteratura moderna e contemporanea 6. Il fantasma materno di Montale
In realtà l'ipotesi di una confusione della madre con l'immagine di altre donne non è incompatibile con
quella di una difesa inconscia dal / del fantasma materno, perché Montale, per quanto possa essersi proposto
di conservare alle diverse figure femminili una loro individualità, non ha potuto impedire che queste
tendessero virtualmente a confondersi in un unico fantasma, a trapassare l'una nell'altra. Quando parla è
certamente sincero, sinceramente vuole distinguere le destinatarie dei componimenti ma nel concreto della
poesia le cose stanno diversamente, in essa i tanti sono uno e si direbbe che per il poeta incontrare una donna
sia un ritrovare i tratti di una donna inesistente, archetipica, mai vista o forse troppo presente.
Le fitte componenti materne
A questo punto, anche se non si vuole sconfinare con la psicanalisi nell'idea che amare una persona
significhi ritrovare l'immagine della madre perduta, appare molto probabile che nella dinamica del
personaggio femminile della poesia di Montale, siano presenti componenti materne che andrebbero
adeguatamente colte e valorizzare anche, e diremmo, soprattutto, in assenza di indicazioni esplicite dello
stesso poeta, il cui silenzio sull'immagine della madre in Finisterre, può intendersi come la non menzione di
una presenza scontata, continua e vitale e, in più, ripeto, un modo di difendere e proteggere quella figura
originaria dalla confusione con le sue ripetizioni.
La bufera è tutta una corsa da uno strenuo bisogno di sottrarre i propri cari alla irreversibilità della caduta
nella fossa fuia. Esemplare in questo senso è l'Arca, tesoro familiare, tomba e nave che salverà dal diluvio
finale tutti quelli che son calati, / vivi nel trabocchetto. E il tetto del componimento si costituirà, al di là della
morte e della terra bruciata e insanguinata dalla guerra, nel recupero certo, anche se lontano, della
comunanza perduta, e in un luogo, la cucina, che è il cuore della casa, l'ideale centro materno predestinato
per l'agape del ritrovamento. Non per niente, nella Casa delle due palme (Farfalla di Dinard), Federigo lega
il ritorno dei suoi morti in terra alla continuità indistruttibile della cucina e dei cibi. E non è un caso che
questo componimento, come A mia madre, manifesti un chiaro corsivo grafico nel significante (quello era il
sapore della famiglia; quelle mani, quel volto) che segnala un accrescimento di significato, una sigla di
unicità e diversità essenziale rispetto ad altre mani, altri volti e altri sapori.
Se si recupera il fantasma materno di Voce come perno della sezione Silvae, si può dare un senso più
articolato e pieno al ritornante tema delle memorie e della religione familiari. Tra l'altro, la critica non ha
mai tentato una lettura della sezione alla luce della figura materna, riducendo così, ad esempio, la
comprensione di un componimento importante come L'orto, specialmente nelle prime due strofe. La
perentoria enunciazione di ignoranza dell'incipit, ripetuta cinque volte ribadisce ostinatamente l'incapacità
del poeta a distinguere l'orma presente della messaggera divina dalle tracce e dai segni di una creatura
passata e morta, ma che forse per lui si rifà viva appunto nel passo e nell'orma della donna d'oggi. Le strofe
non vanno banalizzate in senso realistico ma vanno intese nel loro valore di metafora della donna, della
madre, nella quale il figlio si proietta e si riconosce interamente. E dovrebbe apparire anche chiaro, stando
proprio all'interno della storia familiare rappresenta nella Bufera, che l'immagine del “mio specchio”
infranto dal vento sulla punta del Mesco non può che alludere alla morte della madre, colei che dorme il
sonno eterno presso “i clivi / vendemmiati del Mesco”. È per tutto questo che l'incontro con la donna d'oggi
(anche se il poeta non lo sa) è forse il ritrovamento della madre perduta, che torna da un tempo remoto.
Occorre però avvertire che il bisogno di ripresa e rifondazione del proprio passato familiare si situa dentro la
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Letteratura moderna e contemporanea storia, anche se in essa non si esaurisce. L'incontro con la madre morta avviene nel contesto della lotta dei
viventi che infuria, e l'ombra di Voce ha “ricordato per tutti” (v. 34) come per tutti tende a distruggersi
nell'Altro la Clizia della Primavera hitleriana. È il “colloquio con le ombre” che salva il poeta dalla storia, e
lo riporta ai temi più profondi della sua vita, dove la conoscenza e la memoria si iscrivono ad un livello
biologico – esistenziale irriducibile al divenire della storia e inattingibile con un atto di pura astrazione
razionale.
Il componimento esprime intensamente, nella forma condensata e mascherata del sogno, il desiderio
manifestato esplicitamente nella prosa della novelletta Sul limite, di reicontrare i genitori perduti. La poesia
si chiude sui puntini di sospensione, e perciò resta aperta, come il sogno che si confonde con i pensieri del
risveglio, e il verbo su cui essa si sospende è splendidamente ambiguo; un ritrovarci che nasconde forse una
speranza.
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Letteratura moderna e contemporanea 7. L'abisso di Ungaretti
Alle origini della poesia ungarettiana, e per tutta la sua durata, stanno un sentimento dello spazio che tende
ad un altro luogo, ad un'altra dimensione, e un sentimento del tempo che è di rottura col tempo, un'
aspirazione a essere scagliato dalla fionda del tempo in un altro tempo. La discussione è ampiamente visibile
in Perché?, dove si pone in termini radicali questo duplice tema di base della poesia ungarettiana.
Ha bisogno di qualche ristoro
il mio buio cuore disperso
Negli incastri fangosi dei sassi
come un'erba di questa contrada
vuole tremare piano alla luce
Ma io non sono
nella fionda del tempo
che la scaglia dei sassi tarlati
dell'improvvisa strada
di guerra
Da quando
ha guardato nel viso
immortale del mondo
questo pazzo ha voluto sapere
cadendo nel labirinto
del suo cuore crucciato
Si è appiattito
come una rotaia
il mio cuore in ascoltazione
ma si scopriva a seguire
come una scia
una scomparsa navigazione
Guardo l'orizzonte
che si vaiola di crateri
Il mio cuore vuole illuminarsi
come questa notte
almeno di zampilli di razzi
Reggo il mio cuore
che s'incaverna
Gherardo Fabretti Sezione Appunti
Letteratura moderna e contemporanea