Montale : la figura della madre e di Cinzia
Quest'ombra viva è dunque, secondo noi, sia nle suo nucleo profondo sia nelle sue manifestazioni all'interno della lirica, quella della madre morta. Non si vuole, così, negare che nell'ombra si possano rintracciare alcuni segni di Clizia o di Volpe, ma l'afflato religioso di cui la donna è portatrice, il pathos fideistico, sostiene in primis il fantasma della madre, come si evince chiaramente dal componimento A mia madre. Ci sono delle componenti essenziali della poesia che ben si adattano a quella della madre, a ciò che di lei sappiamo dalla Bufera. Un discorso sostenuto anche dal fatto che, di contro, ci sono delle componenti essenziali dell'ombra femminile che risultano incompatibili con la figura del “visiting Angel”. Vediamone alcune.
Incompatibilità con altre figure.
La prima incompatibilità sta nel fatto che pur essendo Clizia rappresentata come assente, mai il poeta ce l'ha rappresentata come morta, senza peso e consistenza. L'epiteto viva qui è chiaramente riferito ad un defunto, e vivo nella poesia montaliana può dirsi anche dei morti: lo vediamo chiaramente proprio a proposito della madre morta, di cui Montale dice che vive in un eliso / folto d'anime e voci.
La seconda incompatibilità sta nel fatto che Clizia si colloca sempre in uno scenario nordico mente il paesaggio del componimento è tipicamente mediterraneo, di rupi e di mar ligure. È un paesaggio fermamente individuato in quella situazione di radicamento nel soggetto che il poeta coglie lucidamente in Dov'era il tennis, un paesaggio non a caso presente fortemente nella poesia A mia madre, un paesaggio legato fortemente al ricordo dei genitori.
La terza incompatibilità sta nel fatto che l'ombra femminile insiste fortemente sul legame, ormai passato, ma sempre vivo nella memoria, che in vita l'accomunava al morto, prima che lei morendo assumesse la ali per volare, libera come le folaghe, nel cielo dell'oltretempo. L'ombra della donna giunge per liberare l'amato dall'attaccamento alle sue prode terrnene, per fargli compiere la trasmutazione che finalmente renderà libero anche lui, ancora timoroso (vv. 32 – 33). Un discorso del genere è inapplicabile a Clizia. Due ombre sono dunque di fronte: quella silenziosa del padre, riluttante a riconoscersi definitivamente nella sua condizione di morto, e quella “viva” della madre, pacificata e ormai purificata dai ricordi terreni, nell'accettazione del distacco dalla terra e nell'adeguamento alle leggi dell'ordine diverso nel quale si trova ora a vivere, paga solo dell'amor di Chi la mosse e non di sé. È per questo che il figlio la chiama ombra viva.
Essa è viva nella dimensione della propria fede. Ciò che si dice nella terza strofa, a proposito dell'ombra, va inteso nel suo significato precipuo di valore salvifico – cristiano, a partire dall'aggettivo fidata, che travalica il puro significato dantesco (le fidate spalle virgiliane) per connotarsi in senso attivo, come fosse fedele.
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Dettagli appunto:
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Autore:
Gherardo Fabretti
[Visita la sua tesi: "Le geometrie irrequiete di Fleur Jaeggy"]
[Visita la sua tesi: "Profezie inascoltate: il "Golia" di Giuseppe Antonio Borgese"]
- Università: Università degli Studi di Catania
- Facoltà: Lettere e Filosofia
- Esame: Letteratura italiana moderna e contemporanea
- Docente: Giuseppe Savoca
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