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Teoria delle relazioni internazionali:
Appunti delle lezioni del corso di Teoria delle relazioni internazionali, tenuto dal Prof. Marco Cesa presso l'Università degli Studi di Bologna. Gli appunti sono integrati con i riassunti dei libri elencati in bibliografia. Il risultato è una guida approfondita e ragionata alle Teoria delle relazioni internazionali che parte dall'Antica Gracia e arriva alla strategia militare e politica di Bush.
Dettagli appunto:
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Autore:
Elisa Bertacin
[Visita la sua tesi: "La geoinformazione diventa geostrategia: l'Information Warfare attraverso alcuni scenari bellici del XX secolo"]
[Visita la sua tesi: "Guerra ed innovazione tecnologica: il fenomeno della RMA dalla Grande Guerra all'Information-based Warfare"]
- Università: Università degli Studi di Bologna
- Facoltà: Scienze Politiche
- Esame: Teoria delle relazioni internazionali
- Docente: Marco Cesa
Indice dei contenuti:
- 1. Introduzione alle “Storie” di Tucidide
- 2. Perché sono importanti le "Storie” di Tucidide?
- 3. Come ricavare dalle "Storie” di Tucidide spiegazioni universali?
- 4. Qual è il significato di “utile”?
- 5. Cenni storici sulle origini della guerra del Peloponneso
- 6. "Storie" di Tucidide Libro I: Le origini e lo scoppio della guerra del Peloponneso
- 7. "Storie" di Tucidide Libro II : La politica di Pericle
- 8. L’impero è necessario e bello
- 9. L’assedio di Platea
- 10. "Storie" di Tucidide Libro III : La defezione di Mitilene
- 11. Quale insegnamento si può trarre dal III libro delle "Storie" di Tucidide?
- 12. Perché Sparta è disposta a negoziare la resa di Platea?
- 13. III Libro "Storie” di Tucidide: la guerra civile a Corcira
- 14. "Storie” di Tucidide Libro IV : L’episodio di Pilo; la campagna di Brasida in Tracia
- 15. Perché Atene non accetta la proposta di pace spartana?
- 16. Eventi in Sicilia e loro impatto sulla guerra tra Sparta ed Atene
- 17. Eventi in Beozia e le difficoltà ateniesi
- 18. Campagna di Brasida in Tracia
- 19. Acanto
- 20. Anfipoli
- 21. Torone
- 22. "Storie” di Tucidide Libro V : La pace di Nicia
- 23. La cosiddetta guerra archidamica (431-421 a.C.)
- 24. "Storie" di Tucidide ultima parte V Libro: dialogo tra Meli ed Ateniesi
- 25. "Storie" di Tucidide Libro VI : La spedizione in Sicilia
- 26. La prima antilogia tra Nicia ed Alcibiade
- 27. L'intervento di Ermocrate
- 28. Il dibattito di Camarina
- 29. L'intervento di Eufemo
- 30. Le "Storie” di Tucidide Libro VII : La spedizione in Sicilia e la sconfitta di Atene
- 31. Il declino della potenza ateniese
- 32. "Storie" di Tucidide Libro VIII: La campagna in Ionia e il colpo di stato ad Atene
- 33. Atene occupa Taso
- 34. L'attentato contro Frinico
- 35. Il “giusto” e l’“utile” nella concezione tucididea
- 36. Giusto e utile possono coincidere?
- 37. Nuovo Paragrafo
- 38. Cos’è l’utile?
- 39. Che cos’è la sicurezza?
- 40. Qual è il limite all’autonomia di uno Stato?
- 41. Analisi dell'imperialismo ateniese
- 42. La sicurezza dell'impero ateniese
- 43. La “legge del più forte” in Tucidide
- 44. L'ordine internazionale secondo la legge del più forte
- 45. La legge della politica in Tucidide
- 46. La legge psicologica in Tulcide
- 47. Guerra, alleanze e rapporti interstatali nelle "Storie" di Tucidide
- 48. Guerra, alleanze e rapporti interstatali, critiche di Kaplan e Aron
- 49. La teoria dell'equilibro
- 50. La teoria dei modelli
- 51. Configurazione pluripolare e configurazione bipolare
- 52. Divide et impera
- 53. Equilibrio di potenza
- 54. L'equilibrio politico nelle "Storie" di Tucidide
- 55. La varietà di alleanze nelle Storie di Tucidide
- 56. Il ruolo del regime politico nelle Storie di Tucidide
- 57. Partiti e fazioni interne nelle Storie di Tucidide
- 58. La popolarità dell’impero ateniese
- 59. Il “carattere nazionale” nelle Storie di Tucidide
- 60. Il carattere dei protagonisti delle Storie di Tucidide
- 61. La figura di Pericle
- 62. La retorica politica
- 63. Etica e morale nell'analisi politica
- 64. Come collegare Tucidide al Realismo?
- 65. Il realismo nell’età moderna
- 66. Il realismo normativo di Machiavelli
- 67. Il realismo politico di Hobbes
- 68. Il realismo politico nel '600
- 69. “Utopisti”, realisti e il primo “grande dibattito”
- 70. Gli autori del realismo “classico”
- 71. H. J. Morgenthau
- 72. Christianity and power politics di Niebuhr
- 73. The Sources of Soviet Conduct di Kennan
- 74. Il realismo di J. H. Herz
- 75. Il realismo di Wolfers
- 76. Il neorealismo politico
- 77. Concetto di struttura in politica
- 78. Anarchia e gerarchia
- 79. Anarchia e gerarchia secondo Waltz
- 80. Sistemi bipolari e multipolari
- 81. Teoria realista e politica estera degli Stati Uniti
- 82. Teoria della leadership egemonica
- 83. Realismo classico vs Neorealismo
- 84. Potere e sicurezza: realismo “offensivo” e realismo “difensivo”
- 85. Realismo difensivo
- 86. Perché il mito della sicurezza attraverso l’espansione è così diffuso?
- 87. Il realismo contigente di Glaser
- 88. Realismo offensivo di Labs
- 89. Il realismo offensivo di Mearsheimer
- 90. La cooperazione istituzionalizzata tra interesse e potere
- 91. Realismo e liberalismo istituzionale a confronto
- 92. Cooperazione ed egemonia in Keohane
- 93. Cooperazione ed egemonia in Ikenberry
- 94. Cooperazione, armonia e discordia in Keohane
- 95. Gli assunti neoliberali
- 96. Neoliberali e realisti: conclusioni a confronto
- 97. Analisi della comunicazione globale di Krasner
- 98. Il dilemma delle avversioni comuni di Arthur Stein
- 99. La dimensione cooperativa delle alleanze: la teoria realista
- 100. Gli schemi dell’equilibrio di potenza internazionale per Morgenthau
- 101. Lago della bilancia (balancer)
- 102. 3 punti deboli dell’equilibrio di potenza
- 103. Il “sistema di autodifesa” (self-help system) di Waltz
- 104. Balancing o bandwagoning: qual è la risposta più comune?
- 105. Nuovo Paragrafo
- 106. La solidarietà ideologica
- 107. Quando l’ideologia diventa un elemento chiave per la nascita di alleanze?
- 108. La dicotomia tra balancing e bandwagoning
- 109. Le 4 tipologie di Schweller
- 110. Cosa guida gli Stati? il timore o la prospettiva del guadagno?
- 111. Balancing e bandwagoning
- 112. Le difficoltà del realismo e l’interpretazione istituzionalista
- 113. L’analisi del sistema internazionale europeo di Schroeder
- 114. Le alleanze secondo Schroeder
- 115. L’analisi istituzionale di Wallander e Keohane
- 116. Qual è lo scopo dell’azione politica?
- 117. La dimensione competitiva delle alleanze
- 118. Classificazione delle alleanze
- 119. Struttura di un'alleanza
- 120. La relationship di un'alleanza
- 121. Interaction e alleanze
- 122. Arene di interazione
- 123. Unità delle alleanze
- 124. Il potere negoziale: dipendenza
- 125. Il potere negoziale: impegno
- 126. Il potere negoziale: interessi
- 127. Trattative tra alleati
- 128. Come inquadrare costi e benefici delle alleanze?
- 129. Preservare l’alleanza
- 130. Abbandono dell'alleanza
- 131. Il rischio di intrappolamento
- 132. Il dilemma della sicurezza
- 133. La politica di avvicinamento (get closer)
- 134. Il dilemma della sicurezza tra avversari
- 135. Distinzione delle alleanze
- 136. Alleanze simmetriche e asimmetriche
- 137. Alleanze omogenee ed eterogenee
- 138. Alleanza di aggregazione
- 139. Alleanza di garanzia
- 140. Alleanza di stallo/impedimento
- 141. Alleanza di egemonia
- 142. Alleanza di aggregazione
- 143. Alleanza di garanzia
- 144. I rapporti tra gli alleati e il nemico comune
- 145. Alleanza di stallo: Francia e Austria (1756-1785)
- 146. Alleanza di egemonia: Gran Bretagna e Francia (1716-1731)
- 147. Il dilemma del potere delle alleanze: conclusioni
- 148. Cosa si nasconde dietro al termine “circostanze”?
- 149. La NATO e la teoria realista
- 150. Come difendere l’Europa?
- 151. Le intenzioni degli Europei nell'adesione alla Nato
- 152. Le lotte interne alla NATO
- 153. La minaccia atomica e la NATO
- 154. Come ha fatto la NATO a sopravvivere per così tanto tempo?
- 155. Perché le alleanze finiscono?
- 156. Perché le alleanze durano?
- 157. L’11 settembre e la NATO
- 158. Come si spiega il fallimento della NATO rispetto all'11 settembre?
- 159. Come possono prepararsi gli Stati Uniti al contesto dopo-Guerra Fredda?
- 160. L'Europa rispetto alla NATO post-guerra fredda
- 161. Il realismo e il sistema internazionale contemporaneo
- 162. Democrazia e sicurezza
- 163. Come spiegare l’espansione della NATO?
- 164. Le armi nucleari e la sicurezza
- 165. Le armi nucleari aumentano o diminuiscono le probabilità di guerra?
- 166. Quali sono le difficoltà per gli Stati minori di acquisire armi nucleari?
- 167. La strategia di Bush
- 168. Bibliografia
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Teoria delle relazioni internazionali di Elisa Bertacin Appunti delle lezioni del corso di Teoria delle relazioni internazionali, tenuto dal Prof. Marco Cesa presso l'Università degli Studi di Bologna. Gli appunti sono integrati con i riassunti dei libri elencati in bibliografia. Il risultato è una guida approfondita e ragionata alle Teoria delle relazioni internazionali che parte dall'Antica Gracia e arriva alla strategia militare e politica di Bush. Università: Università degli Studi di Bologna Facoltà: Scienze Politiche Esame: Teoria delle relazioni internazionali Docente: Marco Cesa1. Introduzione alle “Storie” di Tucidide Tucidide fa subito notare, nel I Libro, di avere iniziato in tempo alla raccolta dei suoi materiali d’indagine, appena allo scoppio delle ostilità tra i blocchi ateniese e spartano, comprendendo che la guerra avrebbe offuscato, per durata e ampiezza d’azioni, ogni impresa del passato. Nel 431 a.C., allo scoppio della guerra, l’autore doveva essere almeno trentenne. E su questa ipotesi si fonda la datazione di nascita, comunemente fissata negli anni intorno al 460 (seconda metà del V sec.), ad Atene, nell’età di Pericle. Fu tra gli strateghi della flotta ateniese in Tracia durante la guerra del Peloponneso, ma non giunse in tempo per evitare la presa di Anfipoli da parte dello spartano Brasida. Per questo errore fu esiliato per circa vent’anni, durante i quali girò la Grecia, raccogliendo materiali per la stesura dell’opera. L’anno e le cause della morte erano già in epoca classica fonti di leggenda. Colpì le fantasie l’opera rimasta imperfetta con l’ultimo libro che, privo di discorsi, parve un rude abbozzo, mentre il racconto, fermo all’anno 411, tradiva la premessa tucididea di esaurire tutta la materia dei 27 anni di guerra. Fiorì subito il mito della morte violenta e si moltiplicarono le ipotesi sui diversi autori che avrebbero messo mano non solo a pubblicare, ma anche a completare la fatica tucididea. Secondo lo storico Hoffmann, le Storie di Tucidide sono da considerarsi, anche nel XXI secolo, un “sempreverde” per le relazioni internazionali. Anche altri studiosi (come Gilpin e Waltz) fanno spesso riferimento a Tucidide, anche se non in modo approfondito. Elisa Bertacin Sezione Appunti Teoria delle relazioni internazionali Il documento non può essere copiato, riprodotto, trasferito su altri siti. Per scaricare appunti in PDF gratuitamente, visita https://www.tesionline.it/appunti2. Perché sono importanti le "Storie” di Tucidide? Essenzialmente, ci sono 2 motivi che spiegano questo interesse per un’opera di 25 secoli fa: 1. le origini intellettuali della disciplina e di una delle sue scuole più importanti, il REALISMO: l’approccio realista allo studio delle relazioni internazionali può essere definito un approccio tendenzialmente conflittuale ai rapporti tra gli Stati, interazioni che si svolgono principalmente all’ombra dei rapporti di forza, nei quali, dunque, non c’è molto spazio per considerazioni legate alla morale e al diritto, e nei quali gli Stati sono mossi in primo luogo dai propri interessi. Gli oggetti più frequenti delle discussioni realiste sono: INTERESSE POTERE SICUREZZA. Tutto ruota attorno a questi 3 elementi. Lo stesso vale per l’opera di Tucidide, nella quale tutto ruota attorno a questi concetti. Probabilmente è per questo motivo che Tucidide viene da molti considerato con il padre del realismo. NB: Questa interpretazione è assolutamente legittima, ma bisogna essere consapevoli del fatto che è anche del tutto arbitraria. Le Storie sono state studiate per secoli da storici, in quanto fonte storica principale di quel periodo filosofi della politica greca filologi del classicismo in generale. Ovviamente, ciascuno di essi ha analizzato Tucidide dalla propria prospettiva particolare. Lo stesso vale per gli studiosi di relazioni internazionali occorre fare uno studio selettivo, tralasciando certi aspetti storici, filosofici, letterari e filologici. 2. i contenuti, oggetti dello studio di Tucidide, cioè la GUERRA: IDEA DI ASCESA E DECLINO della potenza, come un fenomeno irresistibile, nell’ordine delle cose, come parti dello stesso processo SITUAZIONI IDEALTIPICHE nei rapporti internazionali: o Tutta una serie di dilemmi legati alla sicurezza: scontro tra 2 grandi potenze all’apice della loro grandezza, una marittima e una continentale; scontro tra 2 sistemi di governo contrapporti, democrazia ateniese ed oligarchia spartana scontro non solo politico, ma anche ideologico; le cause della guerra: la crescita della potenza ateniese da una parte, e il timore che questa suscita in Sparta dall’altra parte; il ruolo ambiguo giocato dagli alleati: già nel I Libro si nota l’atteggiamento ambiguo degli Stati intermedi, come Corinto, alleato di Sparta, che forse odia Atene più di Sparta; Tebe, anch’essa alleata di Sparta; Corcira, isola inizialmente neutrale, poi alleata di Atene; Elisa Bertacin Sezione Appunti Teoria delle relazioni internazionali Il documento non può essere copiato, riprodotto, trasferito su altri siti. Per scaricare appunti in PDF gratuitamente, visita https://www.tesionline.it/appuntii dilemmi della neutralità: i neutrali vengono corteggiati, minacciati, convinti ad allinearsi da una parte, tenuti ai margini; i calcoli dei neutrali (schierarsi con la parte che vincerà – i rischi del rimanere neutrali – le vie intermedie possibili); i tipi di pace che possono essere stipulati di pace: pace di compromesso (che promette maggiore stabilità nel medio-lungo periodo, ma rischio che la parte che sta vincendo non voglia scendere a compromessi) o pace di imposizione (che può piantare i semi di revanscismo nei decenni successivi)? 2 modalità con cui gli Stati presentano le loro richieste (di alleanza, di neutralità, di resa, di pace): da un lato si avanza la promessa di una ricompensa, dall’altro la minaccia di una punizione; l’equilibrio di potenza: in genere, questo concetto viene associato nell’età moderna, ma nelle Storie si nota come, già nel V secolo a.C., gli Stati greci mettano in atto qualcosa di simile (Atene si trova di fronte tutti gli altri Stati, che ne vogliono bloccare l’ascesa); per contro, la grande potenza cerca di mettere in atto la cosiddetta politica del divide et impera, cerca, cioè, di dividere quanto più possibile i potenziali avversari, facendo concessioni selettive; descrizione degli aspetti legati alla strategia militare, come i problemi psicologici, quelli che per Clausewitz sono gli “attriti” in guerra (“In guerra tutto è difficile”). o Il rapporto tra ideologia e realtà = il valore strumentale di tutta una serie di principi (sia di natura etica che religiosa): ad esempio, gli Spartani all’inizio della guerra si presentano come i liberatori della Grecia, ma, alla prima occasione, sono disposti a cercare un accordo con gli Ateniesi. Gli Ateniesi, d’altro canto, continuano a giustificare il loro impero in quanto loro diritto, in base al loro ruolo centrale nel distruggere i Persiani il valore della libertà della Grecia viene strumentalizzato da una parte e dall’altra per legittimare le decisioni politiche. Valori come amicizia, lealtà, coraggio, virtù vengono tutti usati in modo del tutto strumentale. Secondo Tucidide, molte di queste situazioni sono destinate a ripetersi, come enunciato nel I Libro esistono delle leggi, che governano le relazioni internazionali. Aron, ad esempio, sostiene che le somiglianze tra presente e passato sono autentiche proprio perché le cause di fondo sono fondamentalmente le stesse, ossia l’anarchia internazionale. NB: Tucidide non formula mai leggi a valenza universale nel suo lavoro, né insegnamenti pratici. Tuttavia, la sua concezione ciclica della storia può permetterci di ricavare legittimamente delle leggi. Nella sua opera, Tucidide offre solamente spiegazioni ad eventi particolari. La storia si ripete perché la natura umana, tendenzialmente, è sempre la stessa. Elisa Bertacin Sezione Appunti Teoria delle relazioni internazionali Il documento non può essere copiato, riprodotto, trasferito su altri siti. Per scaricare appunti in PDF gratuitamente, visita https://www.tesionline.it/appunti3. Come ricavare dalle "Storie” di Tucidide spiegazioni universali? Occorre dimostrare che un particolare esito è il risultato logico di una serie di fenomeni concatenati che lo hanno preceduto la spiegazione di un particolare esito può essere interpretata come un caso particolare di una serie di casi generali, trascendendo l’immediato per giungere ad una legge universale. A prima vista, nelle Storie si nota il grande ruolo giocato da singoli individui. In realtà, ciò che i singoli capi fanno avviene in un contesto le decisioni individuali non sono mai libere, ma vengono viste come il risultato logico di una serie di sviluppi. Ogni volta che si presentano circostante analoghe, qualunque decisore si troverà sottoposto a pressioni analoghe. In base al linguaggio dei livelli, tipico delle relazioni internazionali, possiamo affermare che Tucidide offre spiegazioni per qualunque tipo di livello, a seconda della prospettiva in cui ci si pone: 1° livello: la spiegazione di un determinato evento è ricollegabile alla propria valutazione della NATURA UMANA (Tucidide ha una concezione molto pessimistica della natura umana); 2° livello: la spiegazione va ricondotta alla TIPOLOGIA DI GOVERNO che guida lo Stato (Tucidide crede che ogni Stato abbia un particolare carattere: Atene è innovativa e audace, mentre Sparta è l’esatto contrario, timorosa e conservatrice); 3° livello: la spiegazione va ricondotta al SISTEMA, il contesto più ampio. NB: spesso, 1° e 2° livello sono subordinati alle spiegazioni di 3° livello, il livello più significativo (Waltz etichetta Tucidide come un autore di 3° livello). Uno dei capisaldi del realismo è la contrapposizione tra giusto e utile: gli Stati si muovono in base al loro interesse, o utile, contrapposto al giusto. Di fronte a questo dilemma, tutti si sforzano di trovare soluzioni sia giuste che utili, ma spesso bisogna scegliere gli Stati scelgono ciò che è loro utile, tralasciando o (come spesso accade) strumentalizzando il giusto. Elisa Bertacin Sezione Appunti Teoria delle relazioni internazionali Il documento non può essere copiato, riprodotto, trasferito su altri siti. Per scaricare appunti in PDF gratuitamente, visita https://www.tesionline.it/appunti4. Qual è il significato di “utile”? “Utile” è ciò che oggi viene chiamato “interesse nazionale”, il quale è costituito da (Libro I, cap.75): per il timore per il nostro decoro (= gloria) in vista nel nostro utile (= guadagno) che possono essere considerati come i principi della teoria dell’azione. Soprattutto per timore: tutti gli eventi sono causati dal timore per qualcosa: Sparta dichiara guerra ad Atene perché la teme la bipolarizzazione del mondo greco dipende da chi si teme maggiormente anche il re di Persia, che interviene verso la fine della guerra, lo fa per paura. La causa è la legge del più forte: il tema non è tucidideo, ma ha origine dalla sofistica. Tucidide lo riprende e lo applica nei rapporti tra Stati nel mondo descritto da Tucidide, il più forte comanda. E questa è una legge naturale il più forte comanda secondo questa legge ed è quindi giustificato non ha senso esprimere giudizi di carattere etico sulle manifestazioni di questa legge. E in effetti, gli Ateniesi non dicono mai il loro impero è giusto, ma si limitano ad osservare che è quanto accade per natura. Tutti hanno paura, anche la grande potenza, fino a che esistono altri Stati che possano scalzarla dalla sua posizione egemonica. Elisa Bertacin Sezione Appunti Teoria delle relazioni internazionali Il documento non può essere copiato, riprodotto, trasferito su altri siti. Per scaricare appunti in PDF gratuitamente, visita https://www.tesionline.it/appunti5. Cenni storici sulle origini della guerra del Peloponneso Per spiegare le origini della guerra, Tucidide ripercorre la storia di tutto il V secolo a.C. (I Libro, nella parte detta archeologia) e, in particolare, fa un’analisi dettagliata dei 50 anni che precedono lo scoppio della guerra. In quel periodo, la maggiore potenza regionale era l’Impero persiano, che controlla tutta l’Asia Minore e, in particolare, la fascia costiera = città greche, fondate da greci, ma sotto il dominio persiano. Ad un certo punto, queste città greche si ribellano all’Impero. Ne segue una spedizione persiana punitiva, sia con lo scopo di ristabilire il controllo, sia per punire gli Ateniesi, che avevano sostenuto le città ioniche. Per ben 2 volte, tra il 490 e il 478 a.C., i Persiani cercano di invadere la Grecia (prima nel 490 a.C. con Dario, poi nei 481 a.C. con suo figlio Serse): la prima volta, Dario subisce una sconfitta a Maratona, mentre la seconda volta subiscono una sconfitta ancora più pesante, dovendo scontrarsi con quasi tutti gli Stati greci coalizzati contro un nemico comune, capeggiati da Sparta, e i Persiani vengono sconfitti sia sulla terra, a Platea (grazie allo sforzo spartano), sia sul mare, a Salamina (grazie alla prova ateniese). Nella circostanza, Atene viene distrutta e la popolazione si salva imbarcandosi sulle navi. Una volta conclusa la guerra, l’alleanza tra Sparta e Atene si sfaglia quasi immediatamente. Dopo la vittoriosa resistenza contro l’invasione persiana, nel 478 a.C., Atene getta le basi del suo impero marittimo. La potenza ateniese in continua espansione trova nel bacino dell’Egeo il suo naturale terreno, dal momento che le città ioniche non si fidano più tanto di Sparta, come leader della coalizione, in quanto troppo prudente creano un patto con Atene, un patto di città libere a pari condizioni, la cosiddetta Lega delio-attica (così chiamata per il fatto che il tesoro si trovava nell’isola di Delo, simbolo di coesione). Ben presto, l’Alleanza diventa sempre più un Impero, a causa sia della politica ateniese, sia della dabbenaggine degli alleati, che preferiscono contribuire all’Alleanza solo finanziariamente, non più militarmente, divenendo sempre più deboli, delegando la loro sicurezza ad Atene. Questa, a sua volta diventa sempre più ricca (per i contributi degli alleati) e sempre più potente (avendo il monopolio dell’uso della forza). Quando gli alleati si rendono contro dell’eccessiva potenza ateniese e cominciano a defezionare, Atene reagisce violentemente, reprimendo le rivolte. Appare ormai chiaro a tutti che l’Alleanza è ormai un Impero, una tirannia. Intanto, il blocco delle città peloponnesiache, stretto intorno a Sparta, attende con sospetto il momento in cui l’imperialismo ateniese vorrà volgere gli occhi anche ai territori della Lega. Nel 431 a.C. si apre la guerra del Peloponneso, conclusa nel 404 a.C. con l’occupazione di Atene da parte del Generale spartano Lisandro. Nel 446 a.C. c’è la cosiddetta Tregua dei Trent’anni, che conclude quella che viene detta la Prima Guerra del Peloponneso = Sparta e Atene riconoscono le reciproche sfere di influenza: gli Spartani riconoscono la supremazia ateniese nella Ionia e nel Mar Egeo, mentre Atene si impegna a non occuparsi del Peloponneso. Nel frattempo, però, gli Spartani assistono passivi alla continua crescita dell’Impero ateniese, sia come potenza navale, sia come potenza commerciale, sia ad est sia ad ovest, mantenendo il monopolio del Elisa Bertacin Sezione Appunti Teoria delle relazioni internazionali Il documento non può essere copiato, riprodotto, trasferito su altri siti. Per scaricare appunti in PDF gratuitamente, visita https://www.tesionline.it/appunticommercio nella regione più ricchezza (risorse finanziarie) più potere (risorse militari). In tutte le città greche, è la Pubblica Amministrazione che provvede al mantenimento dell’esercito, della burocrazia, dei sacerdoti, indipendentemente dal fatto di essere oligarchie o democrazie. Ci sono comunque delle differenze tra questi 2 tipi di governo. Il periodo tra il 460 e il 429 a.C. ad Atene c’è l’Età di Pericle, descritto da Tucidide come il primo cittadino, non per la carica, ma per l’autorità e il prestigio che ha. Le istituzioni democratiche, sorte per mano di Solone dalle lotte sociali del VI secolo a.C. e irrobustite dalla prova trionfale contro l’aggressore persiano, erano già profondamente radicate nella coscienza e nella cultura degli Ateniesi, quando Pericle, con audaci riforme costituzionali, ne esaltò il genuino valore di strumento per la partecipazione effettiva di ogni cittadino alle scelte politiche. La popolazione ateniese è divisa in 10 tribù, ognuna delle quali manda 50 rappresentanti al Consiglio (bulé) e 2 Generali. Le cariche più alte dello Stato vengono assegnate per sorteggio e pagate ogni cittadino è potenzialmente in grado di asservire allo Stato. Sotto al Consiglio c’è l’Assemblea Generale di tutti i cittadini, tenendo presente che ad Atene esiste una tripartizione sociale, molto simile a quella spartana: cittadini = padre e madre ateniese meteci = mercanti, allevatori, che non hanno entrambi i genitori ateniesi non sono cittadini pieni schiavi. Nel corso del V secolo a.C., a differenza di Sparta, ad Atene è l’Assemblea dei cittadini il principale organo decisionale, mano a mano che le istituzioni democratiche si consolidano. Questo spiega anche l’importanza ricoperta dalla retorica e dei retorici = persone in grado di esprimere le proprie idee ed opinioni e di convincere l’Assemblea. NB: Tucidide è un vecchio oligarca è abbastanza critico nei confronti della democrazia ateniese. Infatti, secondo lui, finché resiste Pericle, la situazione politica della città è buona, perché, di fatto, non è una democrazia, ma una monarchia. Ma dopo Pericle, le istituzioni non sono più in grado mantenere la propria autorità. Sparta si fonda sulla stessa Costituzione da più di 4 secoli, cosa che Tucidide elogia, sottolineandone la longevità come elemento di stabilità politica ed istituzionale. Nell’VIII secolo a.C., probabilmente nel 725 a.C., Sparta, a causa della carenza del proprio territorio, occupa la Messenia. 2 secoli dopo, però, i Messeni si ribellano. Sparta riesce in qualche modo a controllare la rivolta, diventando “uno Stato militare”, regolato da una ferrea disciplina, in cui tutto ruota attorno allo Stato: ogni bambino cittadino, a partire dai 7 anni viene prelevato dalla famiglia e inserito in scuole militari, dove viene addestrato (civicamente e psicologicamente) fino ai 20 anni, anche se deve rimanere nelle caserme fino ai 30 anni e solo allora può formare una propria famiglia. Fino ai 60 anni, questi cittadini sono soldati a disposizione dello Stato. Nella società spartana esistono 3 classi di cittadini: spartiati = l’élite guerriera, che può essere formata esclusivamente da cittadini, gli unici a godere dei pieni diritti politici e civili (all’epoca della guerra del Peloponneso erano circa 20-25.000); Elisa Bertacin Sezione Appunti Teoria delle relazioni internazionali Il documento non può essere copiato, riprodotto, trasferito su altri siti. Per scaricare appunti in PDF gratuitamente, visita https://www.tesionline.it/appunti perieci = non sono cittadini a titolo pieno, non vivono a Sparta, ma nei dintorni e sono soprattutto allevatori, mercanti, non autorizzati a possedere terreni (gli spartiati sono gli unici ad avere questo diritto); iloti (servi) = sono la stragrande maggioranza della popolazione, ma tenuti in una posizione di inferiorità. Il loro compito è quello di lavorare le terre possedute dagli spartiati. Questa classe sociale è spesso sospettata di ribellione maltrattati e uccisi molto facilmente. Proprio la preoccupazione che queste ribellioni suscitano in Sparta è il motivo principale che trattiene la città ad adottare una politica estera aggressiva. Dal punto di vista istituzionale, a Sparta ci sono 2 re, che possono controllarsi a vicenda, anche se, nel periodo considerato nelle Storie, hanno perso ormai la maggior parte dei loro poteri, conservando solamente il potere decisionale in tempo di guerra. Il potere sta nelle mani di 5 magistrati, gli efori, eletti a rotazione su base annuale. Inizialmente furono investiti di un'autorità limitata alle questioni di ordine pubblico; col tempo il loro potere crebbe e si occuparono della riscossione delle tasse, della politica estera e di questioni penali, attirando così l'ostilità dei sovrani. Questi magistrati erano affiancati da un Consiglio, la Gherusia, organo consultivo formato da 28 anziani (ghérontes), di età superiore ai 60 anni, scelti tra l’aristocrazia ed eletti per acclamazione dagli spartiati + i 2 re. Oltre a una funzione di vero e proprio sostegno all’azione dei re, il compito primario di quest’organo era di carattere giudiziario: esaminava infatti su richiesta degli efori i casi giudiziari più gravi, che potevano prevedere la pena capitale, l’esilio o la confisca dei beni. Inizialmente vitalizia, in seguito la carica dei ghérontes diventò annuale. Sotto questi 2 organi, c’è l’Assemblea degli spartiati, una struttura simile a quella ateniese, di fatto svuotata dei suoi effettivi poteri da una serie di procedure burocratiche. Ad esempio, sono gli efori che decidono quando convocarla e, in tal caso, soltanto i ghérontes possono parlare tutti questi vincoli procedurali rendono l’Assemblea un organo puramente formale. Elisa Bertacin Sezione Appunti Teoria delle relazioni internazionali Il documento non può essere copiato, riprodotto, trasferito su altri siti. Per scaricare appunti in PDF gratuitamente, visita https://www.tesionline.it/appunti6. "Storie" di Tucidide Libro I: Le origini e lo scoppio della guerra del Peloponneso Il I Libro delle Storie può essere così suddiviso: cap.1 – Introduzione Tucidide si dichiara interessato a studiare questo fatto storico perché è grande. È una grande guerra perché le 2 parti hanno raggiunto l’apice della loro potenza e perché si assiste alla polarizzazione di tutto il mondo greco (= DEFINIZIONE DI GRANDEZZA). Le epoche precedenti non erano caratterizzate da tale grandezza e la parte strutturale successiva, l’Archeologia, ha proprio lo scopo di dimostrare tale affermazione. Assistiamo ad un fatto storico che nella portata non ha precedenti. capp. 2-19 – Archeologia Solitamente, Tucidide viene considerato il “creatore della storia politica”, a differenza di Erodoto, perché mentre quest’ultimo si dilunga molto sugli usi e costumi dell’epoca di cui parla, introducendo altri attori accanto agli Stati, Tucidide, invece, si concentra esclusivamente su una storia basata sugli Stati e, ad eccezione della Pentacontetia del I Libro, Tucidide si occupa prevalentemente di storia contemporanea, oggetto della sua esperienza diretta. Nell’Archeologia, Tucidide dimostra che il passato è insignificante, perché non ha mai visto l’attività di Organizzazioni statali notevoli. Si nota come Tucidide guardi al passato con gli occhi dell’“uomo politico nuovo”, del V secolo = tutto (cultura, economia, tecnologia) si concentra sulla pura idea di potenza di uno Stato. Che cosa è necessario per creare uno Stato forte? Una certa stabilità dal punto di vista degli insediamenti umani e delle istituzioni Mezzi militari e, in particolare, una flotta Risorse finanziarie. Utilizzando questi 3 criteri, ci si accorge di come le epoche precedenti non sono state affatto grandi. Nell’età arcaica, dunque, esistevano, secondo Tucidide, molteplici problemi (cap.2): non vi era il commercio non esistevano relazioni reciproche sicure non si fortificavano con mura non possedevano la potenza A parer mio, dimostra la debolezza degli antichi stati anche la guerra di Troia (cap.3), vista fino ad allora come la più grande operazione militare che aveva coinvolto tutti i Greci. Elisa Bertacin Sezione Appunti Teoria delle relazioni internazionali Il documento non può essere copiato, riprodotto, trasferito su altri siti. Per scaricare appunti in PDF gratuitamente, visita https://www.tesionline.it/appuntiIl primo a rompere questa condizione di staticità fu Minosse (cap.4), nel XVI secolo a.C., che per primo si procurò una flotta, tale da combattere i pirati e garantire un minimo di stabilità nella zona da lui controllata e, a sua volta, da permettere di sviluppare traffici commerciali che portano ricchezza allo Stato. Anche Agamennone, nel XIII-XII secolo a.C., seguì questa linea (cap.9), anzi, secondo Tucidide, proprio perché è un sovrano così forte e ha una flotta potente, è in grado di convincere gli altri principi achei a seguirlo nella spedizione contro Troia. Agamennone riesce a costruire un grosso corpo di spedizione, grazie, secondo la tradizione, al giuramento che lega tutti gli Achei. Secondo Tucidide, invece, Agamennone riuscì a costruire una simile coalizione perché eccedeva in potenza tra i contemporanei; sono convinto che Agamennone… abbia effettuato la spedizione raccogliendone i componenti piuttosto con il severo rispetto che sapeva imporre che in virtù d’una affettuosa benevolenza suscitava timore, inducendo gli altri Stati a sottoporsi alle sue decisioni. Secondo Tucidide, questa spedizione non poteva essere grande come la guerra del Peloponneso: era causa di ciò non tanto il ristretto numero d’uomini, quanto la scarsità di denaro… per eseguità di risorse economiche, non solo risultavano irrilevanti le imprese anteriori, ma queste stesse gesta (cap.11). Si salta poi al VII secolo a.C.(cap.13), quando Tucidide parla delle tirannie che vengono stabilite, periodo durante il quale sono gli Ioni a disporre di una flotta consistente. In seguito (cap.18), Tucidide fa alcuni riferimenti alla Costituzione degli Spartani, Costituzione che dura da oltre 4 secoli, garantendo stabilità politica ed istituzionale, è un ulteriore strumento che ha permesso a Sparta di influenzare l’orientamento politico degli altri Stati, in particolare, cambiando il loro regime politico. Si passa poi alle guerre persiane (Maratona, 490 a.C.), in seguito alle quali l’alleanza Sparta-Atene si frantuma, portando all’epoca contemporanea, un periodo caratterizzato da un avvicendarsi continuo di tregue e di atti di ostilità (cap.18) questa conflittualità reale e latente, propria del periodo che separa le guerre persiane dallo scoppio della guerra del Peloponneso, ha ulteriormente accresciuto la potenza delle parti e ha permesso la preparazione degli eserciti, come annunciato nel cap.1. L’idea centrale dell’Archeologia è quella della crescita dello Stato come l’accumularsi di risorse materiali, che poi sfocia necessariamente nella guerra. Tuttavia, se la guerra è l’esito logico della crescita di Atene, così l’imperialismo ateniese è stato l’esito logico dell’accumulo di risorse materiali nei decenni passati. capp. 20-22 – Metodologia Tucidide si propone di cercare la verità storica, fattuale, come metodologia contrapposta alla poetica di Omero e di Erodoto. Gli altri storici, e in particolare Erodoto, non si curano di controllare le proprie fonti, contribuendo a divulgare fatti non veritieri. Soprattutto, questa ricerca deve essere fatta, perché Tucidide vuole che la sua opera sia UTILE (cap.22), perché a lui non importano il consenso, l’approvazione o la lode di un grande pubblico, ma vuole costruire una storia che valga l’eternità. Questo è possibile perché, in base alla sua concezione negativa della natura umana (le leggi immanenti del mondo umano), questi eventi sono destinati a ripetersi ( III Libro, cap.82). Su questo si fonda la concezione realistica dell’utilità della conoscenza storica, proprio come farà Machiavelli, studiando Tito Livio (I, Proemio, Volendo pertanto trarre li uomini di questo errore, ho iudicato necessario Elisa Bertacin Sezione Appunti Teoria delle relazioni internazionali Il documento non può essere copiato, riprodotto, trasferito su altri siti. Per scaricare appunti in PDF gratuitamente, visita https://www.tesionline.it/appuntiscrivere sopra tutti quelli libri di Tito Livio che dalla malignità de’ tempi non ci sono stati intercetti quello che io, secondo la cognizione delle antique e moderne cose, iudicherò essere necessario per maggiore intelligenzia di essi, a ciò che coloro che leggeranno queste mie declamazioni, possino più facilmente trarne quella utilità per la quale si debbe cercare la cognizione delle istorie). Questa conoscenza non è necessaria solo fine a se stessa, ma lo è soprattutto per l’uomo politico, che, conoscendo la storia, può decidere in modo ragionato ed informato. Il metodo di Tucidide si avvale di discorsi (cap.22, a parer mio), attraverso i quali Tucidide esprime il suo pensiero, e di ricostruzioni di fatti. cap.23 – Punto di arrivo della narrativa, dove si esprime per la prima volta il parere sulle cause effettive della guerra Con questo capitolo si chiude il cerchio iniziato con il cap.1, perché si capisce perché questa è la guerra più grande mai vista finora. C’è poi una contrapposizione tra la motivazione più vera ed autentica e le cosiddette ragioni addotte. Nel testo originale greco, la motivazione più autentica (cap.23) viene indicata da Tucidide con il termine próphasis, tipico del linguaggio medico, contrapposta ai sintomi. Non bisogna farsi ingannare dalle dichiarazioni ufficiali sullo scoppio della guerra. La motivazione autentica è la crescita della potenza ateniese e il timore che questa suscitava in Sparta. Il senso di questa motivazione, riportata attraverso un termine tipico del linguaggio medico, implica l’oggettivizzazione del problema sulla base di questa affermazione, non si vuole scaricare la colpa dello scoppio della guerra a nessuna delle 2 parti. La guerra è inevitabile, anzi, secondo la traduzione letterale del testo originale, gli Spartani furono necessitati a fare la guerra a causa della crescita della potenza ateniese. Il cap.23 è il primo nel quale si annunciano le vere cause dello scoppio della guerra; questo stesso concetto si ritrova enunciato, più o meno con gli stessi termini, nei capp. 88 e 118. capp. 24-88 – Cause immediate, addotte Fondamentalmente esistono 2 cause addotte, 2 fonti di attrito tra le parti, usate come pretesto per dichiarare guerra: 1. la disputa su Epidamno Si verifica uno scontro tra 2 potenze medie, Corcira e Corinto per il controllo della città di Epidamno, situata all’esterno del sistema greco centrale. Corcira (al momento neutrale) chiede di entrare nell’alleanza ateniese per paura della reazione di Corinto (alleato spartano). Tucidide riporta dunque il discorso di richiesta di alleanza dei Corciresi ad Atene. È questo il primo esempio in tutto il libro di quello che si chiama dibattito oratorio, tipico della letteratura greca del V secolo a.C. (si trova anche nella tragedia, nelle opere di Erodoto), in cui l’uso della parola è particolarmente importante per persuadere l’auditorio. In una città democratica come Atene, dove l’Assemblea gioca un ruolo sempre più importante, l’arte della retorica (l’arte del parlar bene) è di fondamentale importanza per chiunque abbia Elisa Bertacin Sezione Appunti Teoria delle relazioni internazionali Il documento non può essere copiato, riprodotto, trasferito su altri siti. Per scaricare appunti in PDF gratuitamente, visita https://www.tesionline.it/appuntidelle ambizioni di tipo politico. I sofisti erano i maestri di quest’arte. La struttura classica del dibattito oratorio contiene 2 idee di base: ogni questione ha argomenti contrari, cioè può essere osservata da 2 punti di vista opposti, con una certa abilità linguistica e di ragionamento, l’argomento che sembra più debole può diventare l’argomento più forte, attraverso • la reputazione (es. “il tuo ragionamento si fonda su argomenti non veri, dunque non vale”) • la compensazione (es. “tu hai ragione qui, ma io ho ragione là e la mia ragione pesa più della tua”) • ritorcendo contro l’avversario il suo stesso argomento. Per convincere gli Ateniesi, i Corciresi mettono per prima cosa sul piatto della bilancia sia il giusto sia l’utile (cap.32, è cosa giusta… che chi ricorre al vicino con una preghiera di soccorso… cerchi in primo luogo e soprattutto di chiarire a fondo che quanto richiede è anche di vantaggio agli interlocutori), poi altre considerazioni, quali la gratitudine o il fatto di compiere un’azione che è permessa dalle leggi e dai trattati (cap.35, non infrangerete la tregua con gli Spartani) (cosa che invece verrà negata dai Corinzi, su base morale). Per prima cosa, i Corciresi giustificano la loro iniziale neutralità, avendola ritenuta cosa saggia, ma adesso si rendono conto di aver fatto la scelta sbagliata (cap.32). In seguito (cap.33), elencano i vantaggi di cui Atene godrebbe dalla loro alleanza: aiutare genti vittime di un’ingiustizia, riceveranno assoluta riconoscenza da Corcira, Corcira possiede la flotta più numerosa dopo quella ateniese. Insistono soprattutto su questo punto, sottolineando l’imminenza della guerra contro Sparta (cap.33, se qualcuno di voi è convinto che non scoppierà la guerra… commette un grossolano errore), situazione nella quale, dicono, potremmo esservi utili il maggior vantaggio dell’alleanza è quello di fare fronte comune contro gli stessi nemici (cap.35, molti lati vantaggiosi siamo in grado di mostrare… il più interessante è che ci opporremo agli stessi nemici) certo sarà per voi ben differente se la rivolgessimo (la richiesta di alleanza la flotta) ad altri: badate, infatti, se potete, a non lasciare che un’altra nazione acquisti una flotta, altrimenti cercate l’unione con quella che si dimostri più forte sui mari. Segue la risposta dei Corinzi, che rispondono punto a punto: alla giustificazione corcirese della propria neutralità, essi rispondono che, in realtà, essi non volevano entrare in nessuna alleanza perché erano in malafede, i Corciresi sono disposti ad accettare un arbitrato, ma lo fanno in un momento in cui si trovano in una posizione di forza fanno un uso puramente strumentale del diritto, che viene invocato da chi sa di poter avere una certa influenza, data la sua posizione di forza non è giusto accettare Corcira come alleato, perché Atene ha degli obblighi nei confronti di Corinto, che ha l’ha aiutata in passato nella rivolta di Samo chiedono piuttosto che Atene resti neutrale. In tutto ciò, l’unico punto realistico è la minaccia di guerra, l’unico vero argomento che può considerarsi convincente (cap.42, a prezzo d’infiniti pericoli). Elisa Bertacin Sezione Appunti Teoria delle relazioni internazionali Il documento non può essere copiato, riprodotto, trasferito su altri siti. Per scaricare appunti in PDF gratuitamente, visita https://www.tesionline.it/appuntiAtene, alla fine, accetta le richieste di Corcira, perché convinta che sia utile, data l’eventualità di una prossima guerra contro Sparta (cap.44, non erano disposti a lasciare in mani corinzie Corcira, così potentemente armata sul mare). Inoltre, cercavano di esasperare al massimo il contrasto politico tra i due stati (Corcira e Corinto): nell’eventualità che un conflitto divenisse inevitabile, avrebbero avuto di fronte un nemico comunque più debole, si trattasse dei Corinzi o di altri con a disposizione una flotta da guerra (cap.44). Infine, l’isola di Corcira era situata in una posizione utile per una futura spedizione alla conquista della Sicilia e dell’Italia (cap.44) fin dall’inizio si vede come Atene stia pensando di proiettarsi verso la Sicilia e l’Italia (trascorreranno circa 15 anni prima che questo diventi realtà). Scoppia una battaglia navale tra Corcira e Corinto, nella quale Atene impedisce la vittoria corinzia. Questa battaglia navale tra Greci risultò, per numero di navi impiegate, la più importante tra quelle combattute fino a quel tempo (cap.50). Fu questa la causa prima della guerra tra Corinto e Atene, la circostanza cioè che gli Ateniesi, pur legati ai Corinzi da un trattato, li avevano combattuti sul mare per soccorrere Corcira (cap.55). 2. la disputa su Potidea Potidea è una colonia di Corinto, alleata però della lega ateniese Atene teme che Corinto induca Potidea a ribellarsi. Dunque, per evitare complicazione di questa natura, gli Ateniesi emettono un ultimatum nei confronti della città (cap.56, ingiunsero agli abitanti di Potidea… di demolire il muro verso Pallene e consegnare ostaggi). Per contro, Sparta promette il proprio aiuto a Potidea, se decide di ribellarsi ad Atene. Ne segue la rivolta di Potidea (cap.59). Ovviamente, gli Ateniesi reagiscono in modo negativo all’insurrezione mandano una flotta e mettono la città sotto assedio, nel 465 a.C. Si verificano 2 “crisi periferiche”, che diventano comunque le cause imminenti per lo scoppio della guerra tra Sparta ed Atene: s’erano dunque creati, prima del conflitto, nei rapporti tra Atene e i popoli del Peloponneso, questi nuovi motivi di recriminazione (cap.66). Corinto decide allora di mandare i propri delegati a Sparta (cap.67) per sollecitare l’intervento di Sparta. I Corinzi sono i nemici più accaniti di Atene, soprattutto per motivi commerciali. In questo punto del testo, si trova un’analisi notevole dei fondamenti psicologici della potenza Ateniese, cui si contrappone la risposta degli stessi Ateniesi, i quali aggiungono a questa dimensione psicologia una valenza storica, con la quale giustificano il loro impero. I Corinzi essenzialmente accusano Sparta, in quanto vera responsabile dell’attuale potenza ateniese (cap.69, la responsabilità dell’attuale situazione è nettamente vostra), perché gli Spartani non hanno fatto nulla per prevenire il sorgere della potenza ateniese. Secondo i Corinzi, gli Ateniesi sono audaci ed innovatori, mentre gli Spartani sono paurosi e conservatori (cap.70). Il principale argomento che usano i Corinzi per convincere Sparta è, comunque, una minaccia di defezione Elisa Bertacin Sezione Appunti Teoria delle relazioni internazionali Il documento non può essere copiato, riprodotto, trasferito su altri siti. Per scaricare appunti in PDF gratuitamente, visita https://www.tesionline.it/appunti(cap.71, non vogliate spingere noi pure a legarci, presi dallo sconforto, a un’alleanza diversa dalla vostra) o Sparta muove guerra contro Atene, o Corinto si sentirà costretta a rivedere le proprie alleanze. Nella loro replica, gli ambasciatori ateniesi propongono quella che può essere considerata la “posizione ufficiale” di Atene. Essi sostengono che, se Atene è così potente, è solo perché se lo merita, per i servizi resi alla Grecia 50 anni prima, contro i Persiani. È a questi servizi che Atene lega il proprio diritto di dominio attuale (cap.73). Tra l’altro, nessuno potrebbe adesso contestare questa posizione, dal momento che questa egemonia le è stata conferita per consenso, non con la violenza, quando le città della Ionia si sono rivolte spontaneamente ad Atene, chiedendole di guidare la Grecia, quando, dopo la seconda invasione persiana, Sparta non era più in grado di esercitare la propria leadership (cap.75). 3 sono le motivazioni alla base dell’Impero ateniese (cap.75): 1. il timore ispirato dallo straniero 2. il nostro decoro, cioè per la gloria e l’onore 3. il nostro utile = un guadagno tangibile, frutto dell’egemonia. Una volta sottomesse queste città, per Atene diventa poco sicuro lasciarle indipendenti. Si nota qui il meccanismo causale tipico della visione storica di Tucidide: la crescita ateniese porta all’Impero una volta creato l’Impero, sarebbe poco sicuro abbandonarlo si è costretti a mantenerlo, perché l’alternativa sarebbe quella di esporsi a rischi inaccettabili. Del resto, ciascuno agisce secondo il proprio interesse, perché se gli Spartani si trovassero nella condizione di Atene, farebbero esattamente la stessa cosa (cap.76). Si ha qui la prima esplicita enunciazione della legge di natura detta la legge del più forte: è universale e perenne norma che il più debole sia suddito del più forte. Ancora una volta, poi, Atene sostiene la legittimità del proprio dominio (cap.76, noi ci stimiamo meritevoli del nostro dominio); è anche consapevole che Sparta, appellandosi al concetto di giustizia e di libertà delle città greche, in realtà non fa che rispondere al suo stesso utile, nascondendo i propri veri interessi dietro al nobile concetto di giustizia (cap.76, per calcolo d’utilità, ora sbandierate il concetto di giustizia). Infine, Atene rivendica come titolo di merito anche il fatto di non esercitare il potere come potrebbe, ma, paradossalmente, è proprio questa moderazione a suscitare il malcontento e le recriminazioni degli assoggettati (cap.77) Atene è ben consapevole dell’odio che suscita attorno a sé (probabile indice, questo, che forse il dominio ateniese non è così moderato come si vuole fare credere). Atene chiede a Sparta di ponderare la sua decisione: la guerra è sempre un fattore incerto, perché non si sa mai né quando né come finirà. Atene è dunque molto riluttante a farsi trascinare in guerra adduce tutta una serie di giustificazioni, in parte ideologiche, in parte molto realistiche, proclamando una specie di “oscura profezia” (cap.78, una guerra, quando si prolunga, degenera di solito in un puro gioco della sorte… e il suo esito è sempre ignoto). Agli Ateniesi rispondono 2 Spartani, rispettivamente uno dei 2 re, Archidamo: egli ritiene più opportuno che Sparta adotti un atteggiamento prudente nei confronti di Atene, semplicemente perché Sparta non è pronta a combattere, non ha sufficienti risorse finanziarie, Atene è lontana e nettamente superiore sul mare (cap.80) Archidamo propone di negoziare e Elisa Bertacin Sezione Appunti Teoria delle relazioni internazionali Il documento non può essere copiato, riprodotto, trasferito su altri siti. Per scaricare appunti in PDF gratuitamente, visita https://www.tesionline.it/appuntitentare di trovare un compromesso con Atene, ma, nel frattempo, Sparta deve prepararsi ad affrontare la guerra, qualora l’esito di questi negoziati fosse negativo: se presteranno orecchio alle nostre missioni diplomatiche, tanto di guadagnato: in caso contrario, nel giro di due o tre anni, se saremo ancora dell’avviso, li attaccheremo forti di un allestimento militare più efficiente (cap.82). uno degli efori, Stenelada: egli rappresenta il partito a favore della guerra preventiva, riportando il classico argomento per cui il nemico va colpito subito, prima che diventi più forte. Essi espongono dunque i 2 classici argomenti, uno pro e uno contro, la guerra preventiva. Segue la votazione spartana (cap.88): Sparta dichiara rotti i patti e la guerra contro Atene, ma non perché siano stati gli alleati, e in particolare Corinto, a convincerla, ma perché Sparta ha paura di Atene e della sua continua crescita dopo il cap.23, per la seconda volta, Tucidide riprende la motivazione autentica, la próphasis, dello scoppio della guerra. capp. 89-118 – Pentacontetia = i 50 anni prima dello scoppio della guerra Oggetto di questi capitoli è lo sviluppo della potenza ateniese, la motivazione autentica, la próphasis, che porta allo scoppio della guerra. NB: Da notare come Tucidide tratti prima delle cause immediate (Epidamno e Potidea), poi di quella autentica. Subito dopo le guerre persiane, Atene è completamente distrutta gli Ateniesi devono in primo luogo ricostruire le mura di fortificazione. Queste mura, però, combinate con la potenza navale degli Ateniesi e lo slancio guerresco dimostrato contro i Persiani (cap.90), suscitano forti preoccupazioni negli altri Greci, inclusi gli Spartani temendo questa combinazione di potere difensivo ed offensivo, Sparta tenta, invano, in tutti i modi di convincere Atene a non costruire le mura. In seguito, Tucidide descrive come Sparta gradualmente perda la leadership dell’alleanza antipersiana, affidando parte della responsabilità a Pausania, un Generale spartano, la cui condotta non era molto gradita ai Greci (cap.95) i Greci, e soprattutto le città della Ionia, nel 478 a.C. presero ad insistere con gli Ateniesi, affinché assumessero loro il comando (cap.95) nasce così la cosiddetta Lega delio-attica, l’alleanza ateniese contro i Persiani. In base a questa nuova alleanza, ciascun membro doveva impegnarsi ad offrire un tributo ad Atene, o monetario o militare. Tuttavia, una volta concluse le guerre persiane, la maggior parte degli alleati preferisce offrire ad Atene contributi esclusivamente finanziari, rifiutandosi di prestare servizio militare secondo Tucidide, è colpa degli alleati se Atene ha potuto, poco alla volta, acquisire il monopolio della forza, diventando così ricca e potente, soggiogando sempre più gli alleati (cap.96). Più o meno contemporaneamente (a partire dal 470 a.C), cominciano a verificarsi le prime defezioni (cap.99), ma gli alleati sono sempre meno preparati dal punto di vista militare, dunque più facili da soggiogare. Una degli episodi di ribellione più importante è quello di Samo (cap.115), verificatosi nel 440 a.C. Nel frattempo, scoppia quella che viene chiamata la Prima guerra del Peloponneso, tra Atene e Sparta (460- 445 a.C.), che si risolve fondamentalmente con la Tregua dei trent’anni (cap.115), il reciproco Elisa Bertacin Sezione Appunti Teoria delle relazioni internazionali Il documento non può essere copiato, riprodotto, trasferito su altri siti. Per scaricare appunti in PDF gratuitamente, visita https://www.tesionline.it/appuntiriconoscimento delle sfere di influenza. Gli Ateniesi si lanciano anche in una spedizione in Egitto per combattere i Persiani, episodio che però si risolve in maniera disastrosa (cap.110). Tutti questi episodi, contribuirono comunque alla crescita della potenza (commerciale e militare, Ateniese, tanto che si ribadisce ancora una volta la próphasis, il fatto che Sparta deve porre fine alla potenza ateniese: la potenza d’Atene s’era imposta, rigogliosa e superba, all’attenzione del mondo: perfino la sfera d’influenza e d’alleanza tradizionalmente legata a Sparta non era immune dai suoi attacchi… si doveva sferrare, loro per primi, un’offensiva, gettarvi ogni energia e demolire, se fosse possibile, quella molesta e invadente potenza (cap.118). capp. 118-146 – Ultimo congresso dell’Alleanza spartana; Ultimatum; Rifiuto di Atene Nell’ultimo congresso dell’alleanza spartana, i Corinzi tengono un altro discorso, nel quale espongono una visione molto ottimista degli eventi, perché principalmente dominiamo il nemico per numero di combattenti ed esperienza bellica; poi, la nostra azione offensiva è un disciplinato e concorde impeto, appena si riceve il comando. Quanto alla marina, considerata il loro punto di forza, si provvederà (cap.121). In seguito, i Corinzi suggeriscono le 2 strategie migliori per vincere la guerra (cap.122), che, in effetti, verranno in seguito attuate: provocare defezioni, privando così Atene dei tributi degli alleati piazzare fortilizi nell’Attica: in effetti, dopo la spedizione in Sicilia, gli Spartani, in vista dell’invasione dell’Attica, costruiscono delle fortificazioni, secondo quanto qui suggerito dai Corinzi. In seguito, i Corinzi si appellano all’unione delle forze, chiaro riferimento a quello che, in epoca moderna, sarà il principio dell’equilibrio di potenza (cap.122, se non li affronteremo in un saldo blocco… forti di un deciso e unico volere, faranno leva sulla nostra divisione e ci soggiogheranno, uno per uno, senza sforzo) (= in presenza di uno Stato troppo forte, gli avversari devono coalizzarsi contro di lui; l’alternativa è quella di essere sottomessi, uno dopo l’altro), toccando tra l’altro anche l’aspetto legale dell’eventuale dichiarazione di guerra (cap.123, non sarete voi a violare i patti per primi). Tutta la Grecia si prepara allo sforzo comune: alcuni paesi per timore, altri sperando un guadagno (cap.123) non è più possibile temporeggiare: alcuni di noi già soffrono il giogo, altri non aspetteranno a lungo una sorte altrettanto indecorosa (cap.124). Il discorso si conclude con la descrizione di Atene come città tiranna (cap.124, la città che ha imposto la sua tirannide in Grecia, minaccia egualmente l’indipendenza di tutti. Su alcuni già domina, altri progetta d’asservire), immagine riconosciuta in seguito anche dagli ateniesi Pericle e Cleone. La maggioranza decise la guerra (cap.125). Sparta manda un ultimatum ad Atene, nel quale erano contenute richieste quasi impossibili da essere accettate. Richieste che, tra l’altro, rappresentano dei puri pretesti, per rendere legale la dichiarazione di guerra. Si richiede, infatti, di espellere gli esecutori del sacrilegio contro la Dea (cap.126: il sacrilegio Elisa Bertacin Sezione Appunti Teoria delle relazioni internazionali Il documento non può essere copiato, riprodotto, trasferito su altri siti. Per scaricare appunti in PDF gratuitamente, visita https://www.tesionline.it/appunticonsisteva nel fatto che gli Ateniesi avevano ucciso dei supplici vicino agli altari, cosa proibita, per il rispetto del luogo sacro), facendo un chiaro uso strumentale della religione. Viene avanzata questa richiesta, perché in realtà sapevano che Pericle vi era implicato per parte di madre, e prevedevano che da un eventuale bando di quell’uomo la loro politica verso Atene avrebbe avuto il corso immensamente più agevole e libero, dal momento che la vita politica di Atene aveva in quel tempo in Pericle il suo uomo di punta, il prestigioso e geniale ispiratore d’una linea d’assoluta avversione e intransigenza nei confronti di Sparta (cap.127). Analogamente, nella loro risposta, anche gli Ateniesi chiedono l’espiazione di un sacrilegio analogo (cap.128: supplici uccisi nei pressi di un tempio). A questo punto, Tucidide riporta, in modo alquanto complesso (e vicino più allo stile aneddotico di Erodoto che al suo), gli episodi di Pausania e Temistocle, un vero e proprio enigma per gli interpreti dell’opera, alcuni dei quali hanno anche avanzato l’ipotesi della loro completa inutilità nell’insieme delle Storie. Comunque, entrambi questi episodi possono essere visti alla luce del profondo interesse che Tucidide nutre per la leadership, dato che ci troviamo di fronte al ritratto di 2 grandi leader, in particolare Temistocle, capo del Partito democratico, particolarmente attivo alla fine delle guerre persiane (è colui che ha proposto le fortificazioni ateniesi, e colui che ha contribuito ai primi passi dell’Impero), del quale Tucidide riporta un giudizio molto lusinghiero (cap.138, era meritevole infatti Temistocle della più ammirata meraviglia…; quest’uomo dal genio possente… fu ineguagliato). È un vero leader, perché è in grado di rispondere immediatamente ad ogni sfida. In tutte le Storie, solo Pericle riceverà da Tucidide un giudizio di ugual portata e, non a caso, è proprio Pericle a parlare subito dopo il giudizio su Temistocle. L’ultima richiesta spartana tralascia i pretesti e arriva direttamente al punto, cioè che la pace è possibile solo se Atene lascia vivere in pace le altre città greche (cap.139, non si soffermarono sui temi consueti ma espressero solo queste parole: “Gli Spartani hanno volontà di pace; la pace può affermarsi a condizione che voi lasciate ai Greci l’indipendenza) o Atene rinuncia all’Impero, o Sparta le dichiarerà guerra. Segue, come già anticipato, il primo dei 3 discorsi di Pericle, presentato come il primo ateniese di quel tempo (cap.139). In risposta all’ultimatum di Sparta, egli propone il classico argomento che, se Atene accetta ora le richieste di Sparta, questa chiederà sempre di più, perché accettare degli ordini significa debolezza (cap.140, cedete, anche di poco, a Sparta: si abbatterà su di voi, senza dubbio, un’imposizione più gravosa, perché si convinceranno quaggiù che siete scesi a trattare piegati dalla paura) la guerra è necessaria e si può notare anche una valutazione alquanto ottimistica sulle possibilità di vittoria che ha Atene, convinzione che si basa proprio sui componenti della grandezza degli Stati (risorse finanziarie e risorse militari): Sparta non ha risorse finanziarie: i Peloponnesi fanno i campagnoli: non possono contare su risorse finanziarie private o pubbliche (cap.141) sarà per lo più la scarsità di capitali a bloccarli (cap.142) anche se Sparta invaderà l’Attica (cosa che in effetti si verificherà praticamente ogni anno) Atene ha un incalcolabile vantaggio sul mare (la talassocrazia = il dominio sul mare) (cap.143, la strategia asimmetrica: se invadono l’Attica con le forze di terra, salperemo contro il loro paese… il nostro dominio è sconfinato: si estende sulle isole e sul continente: l’egemonia sul mare è vantaggio incalcolabile). Elisa Bertacin Sezione Appunti Teoria delle relazioni internazionali Il documento non può essere copiato, riprodotto, trasferito su altri siti. Per scaricare appunti in PDF gratuitamente, visita https://www.tesionline.it/appuntiPericle è in grado di sostenere la speranza della futura vittoria con molti altri argomenti; a patto che siate disposti a non ampliare il vostro dominio, mentre siete in lotta, e a non affrontare rischi superflui (cap.144) queste parole suonano profetiche in vista della spedizione in Sicilia, 15 anni più tardi. Sulla strategia difensiva di Pericle, molto prudente, si è molto discusso, perché non si concilia con tutta una serie di operazioni navali lanciate dagli Ateniesi attorno al Peloponneso, fin nei primi anni di guerra. Infine, Pericle ricorda ancora una volta l’inevitabilità della guerra: bisogna rendersi conto che la lotta è inevitabile (cap.144). Elisa Bertacin Sezione Appunti Teoria delle relazioni internazionali Il documento non può essere copiato, riprodotto, trasferito su altri siti. Per scaricare appunti in PDF gratuitamente, visita https://www.tesionline.it/appunti7. "Storie" di Tucidide Libro II : La politica di Pericle Il II Libro delle Storie può essere suddiviso nelle seguenti parti: capp. 1-17 – Lo scoppio della guerra Scoppia di fatto la guerra. Secondo Tucidide, durante tutta la durate della guerra non ci furono mai periodi di tregua (cap.1, nessuna tregua, da quando si impose e si dichiarò lo stato di guerra) neanche la successiva Pace di Nicia è, secondo Tucidide, un periodo di pace, perché permane comunque lo stato di guerra. La guerra scoppia di fatto in seguito all’episodio di Platea: una notte, di nascosto, alcuni soldati tebani penetrano nella città con l’obiettivo di porla sotto assedio. I Plateesi, impauriti dall’apparente alto numero di soldati nemici, sono in un primo momento disposti ad arrendersi. In seguito, però, quando si rendono conto di essere superiori in numero al nemico reagiscono, facendo strage dei soldati tebani. Di fronte a tutto questo, Atene cerca di avvertire i Plateesi di non rompere i patti, dato lo stato di guerra, dimostrando estrema riluttanza ad entrare nel vivo del conflitto (cap.6, ordine di non attuare provvedimenti punitivi contro i cittadini tebani che avevano in possesso. Attendessero le decisioni da Atene). Tuttavia, Atene viene in seguito a sapere della strage dei soldati tebani compiuta dai Plateesi. È la violazione ufficiale dei patti (cap.7). Quando in Grecia si sparge la notizia della guerra tra Sparta ed Atene, ci si accorge ancora di più di quanto Atene fosse odiata, poiché la maggior parte degli Stati si schiera con Sparta, soprattutto in quanto proclamava che avrebbe reso l’indipendenza alla Grecia (cap.8). In particolare, si distinguono 2 gruppi di Stati: quelli che volevano sciogliersi dal dominio di Atene, e quelli che temevano di essere in futuro dominati da Atene (cap.8). capp. 18-33 – Il primo anno di guerra (431 a.C.) Al cap.18 si assiste alla prima invasione dell’Attica, tecnica messa in atto dagli Spartani quasi ogni anno, durante i primi anni della guerra. Quando gli Spartani entrano in Attica, Pericle ha delle proprietà nelle campagne e teme che vengano risparmiate dagli Spartani, dato che era legato da vincoli di ospitalità al re spartano Archidamo Pericle teme che una simile eventualità venga sfruttata dai suoi nemici politici ad Atene, per metterlo in cattiva luce per evitare questo, regala i suoi possedimenti allo Stato (cap.13). In più, Pericle dà dei suggerimenti pratici su come bisognerebbe affrontare le invasioni dell’Attica (cap.13): prepararsi alla lotta trasportare tutto dalle campagne dentro le mura non battersi in campo aperto (l’esercito peloponnesiaco è più numeroso ed è guidato dagli Spartani, che sono dei maestri nella guerra terrestre, così come gli Ateniesi lo sono nella guerra navale) fortificarsi in città stare vigili alla difesa allestire ed incrementare la flotta disciplinare con ferma mano le forze alleate Pericle propone un atteggiamento difensivo. Elisa Bertacin Sezione Appunti Teoria delle relazioni internazionali Il documento non può essere copiato, riprodotto, trasferito su altri siti. Per scaricare appunti in PDF gratuitamente, visita https://www.tesionline.it/appuntiArchidamo, dal canto suo, dall’invasione dell’Attica spera di provocare gli Ateniesi, in particolare sull’impulsività dei giovani, i quali, secondo i suoi calcoli, non accetteranno di veder distruggere il loro territorio senza reagire Archidamo prevede uno scontro campale, nel quale gli Spartani hanno maggiori probabilità di vincere (cap.20). In effetti, gli Ateniesi si agitano animatamente di fronte ad una simile provocazione (cap.21). Pericle comprendeva il loro stato di esasperazione (cap.22), ma si preoccupa di mantenere calma la popolazione, cercando di convincerla a non cedere di fronte alla provocazione di Archidamo perfezionava i provvedimenti difensivi sulla città, procurando intanto di mantenerla il più possibile quieta (cap.22). capp. 34-46 – L’orazione funebre di Pericle Ad Atene era pratica diffusa avere funerali pubblici per i morti in guerra da questo punto di vista, questa orazione funebre non sembra avere nulla di straordinario. Tuttavia, in questo discorso, Pericle non si limita alla commemorazione dei caduti, ma fa una vera e propria glorificazione di Atene e dei suoi successi. Atene ha creato un modo di vivere ed un’organizzazione dello Stato tali che i diritti individuali e i bisogni della collettività sono in perfetta armonia tra loro. Quello ateniese è un modo di vita unico, nella quale la potenza è la prova evidente dei suoi meriti, il prolungamento di una superiorità spirituale rispetto a tutto il resto della Grecia. Il discorso ha evidentemente la funzione di promuovere tra gli Ateniesi un senso di “pieno apprezzamento” di cosa significa essere ateniesi unire la cittadinanza in un vincolo di lealtà nei confronti dello Stato. Il primo e il terzo dei discorsi di Pericle riportati da Tucidide nelle Storie sono discorsi molto realisti e pragmatici, mentre il secondo (cioè in questa orazione) è maestoso, e in esso Pericle arriva a tracciare le caratteristiche di una società ideale, con lo scopo di glorificare appunto Atene in tutti i suoi successi. Fa inoltre una sorta di “dichiarazione di principi”, che stanno alla base della “cultura occidentali”: è tutta una serie di caratteristiche e meriti, sia sociali sia politici, considerati alla base della civiltà occidentale (basti pensare che nel preambolo della Costituzione dell’Unione Europea compaiono proprio frasi tratte da questo discorso) (cap.37, in cui Pericle descrive l’ordine politico ateniese). Generalmente, questo passaggio viene visto come un’esaltazione della democrazia, governo nel pugno non di pochi, ma della cerchia più ampia di cittadini. In realtà, questo è un passaggio molto più ambiguo di quanto non sembri a prima vista. Prosegue infatti dicendo che vige anzi per tutti l’assoluta equità di diritti. La parola “democrazia” ha in realtà un’accezione negativa. Infatti, etimologicamente deriva dall’unione di démos = popolo kratós = potere. Tuttavia, anche arké = potere. Perché si parla di monarchia, oligarchia e si passa invece a democrazia? La parola kratós contiene una dimensione legata alla violenza sono i nemici della democrazia che chiamano così il governo popolare, visto come la degenerazione della politéia, la vera forma di governo popolare, in quanto tirannia di una parte, per quanto maggioritaria (il démos, il popolo), sulle altre parti. Non a caso Pericle dice: è chiamata democrazia. Ciononostante, vige per tutti l’assoluta uguaglianza di diritti e la libertà Elisa Bertacin Sezione Appunti Teoria delle relazioni internazionali Il documento non può essere copiato, riprodotto, trasferito su altri siti. Per scaricare appunti in PDF gratuitamente, visita https://www.tesionline.it/appunti(si spiega così la frase vige anzi per tutti l’assoluta equità di diritti). Inoltre, seguiamo le autorità di volta in volta al governo, ma principalmente le leggi e più tra esse quante tutelano le vittime dell’ingiustizia (cap.37); Atene si differenzia dagli altri popoli nei metodi di preparazione alla guerra e nel campo educativo (cap.39). La potenza di Atene è il prolungamento di una superiorità non solo materiale, ma anche e soprattutto spirituale (audacia, senso dell’onore), sviluppate all’interno di un sistema politico unico nel suo genere e che fa da esempio per tutta la Grecia. Infine, secondo Pericle, il sentimento di libertà ateniese si coniuga perfettamente con l’imperialismo della città, non esiste alcuna contraddizione, perché il dominio di Atene è percepito come forma perfetta della libertà ateniese = è grazie all’impero che si può essere liberi ad Atene. Tutti i cittadini sono uguali di fronte alla legge e tutti sono chiamati a svolgere ciascuno il proprio ruolo pubblico, perché nella Repubblica ateniese si ragiona, si dibatte pubblicamente (cap.40) e sono i cittadini che decidono, all’interno dell’Assemblea. Inoltre, nella prima parte del cap.40, troviamo l’ideale di equilibrio classico secondo Pericle ogni cosa viene fatta dagli Ateniesi senza eccessi possono vantarsi di possedere questo equilibrio ideale, possibile, però, solo all’interno di un sistema politico come quello ateniese descritto da Pericle (sono questi quelli che possono essere considerati come i passi più significativi dell’esaltazione di Atene) Atene è, nel suo complesso, una viva scuola per la Grecia (cap.41). Segue un altro passo ambiguo, enigmatico, interpretato in vari modi dagli studiosi (cap.41): Abbiamo piegato ogni mare, ogni terra a schiudere i suoi sentieri ai nostri passi impavidi, abbiamo elevato in ogni contrada i monumenti magnifici, perenni, delle nostre disfatte e dei nostri trionfi. Nel testo greco originale si trovano queste 3 parole: mneméia = i monumenti kakón = cose cattive te kagathón = cose buone Come è stato interpretato il verso? Dal ‘700 circa, si è molto discusso su questo passo, nel quale, a quanto pare, Pericle sta esaltando “monumenti di cose cattive” ? Qualcuno ha sostenuto che, in seguito alle innumerevoli copiature nel corso dei secoli, la parola kakón sia in realtà un errore di copiatura e che la parola corretta fosse kalón (= cose belle). Ipotesi, tuttavia, non provata, e quindi, poco accettata. Dato che molto probabilmente, Pericle ha davvero parlato di “cose cattive”, gli studiosi si sono domandati quale sia il significato del suo discorso. Una delle interpretazioni (scelta anche da Ezio Savino) è che Atene è grande persino nelle sue disfatte, la sua grandezza si osserva anche nelle sconfitte le disfatte sono grandi come le vittorie. Oggi, la maggior parte degli studiosi, tra cui Nietzsche, sono più propensi ad un’altra interpretazione, in Elisa Bertacin Sezione Appunti Teoria delle relazioni internazionali Il documento non può essere copiato, riprodotto, trasferito su altri siti. Per scaricare appunti in PDF gratuitamente, visita https://www.tesionline.it/appuntibase alla quale Pericle non parla delle sconfitte di Atene, ma delle sconfitte inferte ai nemici, dei momenti di sofferenza inflitti ai nemici (cose cattive), e degli aiuti offerti agli amici (cose buone). Se è così, a prima vista questa affermazione stride con tutto il resto del discorso Perché Pericle glorifica persino le azioni più sanguinose commesse dagli Ateniesi? Pericle è consapevole che l’Impero ateniese è basato sulla forza esaltando i danni e le sofferenze inflitti ai nemici, è in linea con questa consapevolezza generale. Pur esaltando la superiorità spirituale della città, Pericle è consapevole del male e della violenza, che sono parti integranti dell’Impero. capp. 47-55 – La peste ad Atene Durante il secondo anno di guerra, scoppia un’epidemia ad Atene. Perché Tucidide si dilunga sulla pestilenza? Date certe condizioni, persino le regole più basilari di coesione vengono meno. L’episodio della peste viene spesso affiancato ad un episodio successivo delle Storie (III Libro), cioè la guerra civile. Questi 2 episodi infatti, rappresentano l’abbandono delle regole in condizioni eccezionali, nelle quali esce la vera essenza della natura umana, in tutti i livelli, da quello individuale a quello sociale. Nel caso della peste, si osserva come Tucidide riporti un’analisi politica della situazione, affiancata dalla dettagliata descrizione della malattia. Il nesso che li collega consiste nella similitudine tra il metodo di indagine della medicina e delle Storie. Questo, tra l’altro, rivela l’origine ippocratica del pensiero di Tucidide, il quale trasferisce i segni e i sintomi patologici, prettamente legati alla malattia, ad un ambito più largamente umano: la natura umana è luogo di pressioni fisiche da una parte e psicologiche dall’altra, come in effetti si osserva nelle Storie: gli effetti della peste non sono solo fisici (la morte), ma anche psicologici. Il campo di applicazione dei sintomi è il passato, ma soprattutto il presente e il futuro, perché di fronte a certi sintomi, il medico sappia subito riconoscere la malattia, può farne un’ipotesi del decorso, aiutandosi soprattutto con la descrizione dei sintomi passati, traendone insegnamento (Ippocrate). Tucidide racconta la peste, perché sia utile per riconoscerne i sintomi in futuro. Per alcuni studiosi, la conoscenza di una malattia del passato è molto rilevante, per altri no, perché il Caso, la Fortuna, gioca sempre un ruolo rilevante e, in secondo luogo, l’uomo è sempre schiavo delle proprie passioni una conoscenza razionale è utile solo fino ad un certo punto. In realtà, se si pensa alle parole che Tucidide riserva a Temistocle (I Libro) e a Pericle (II Libro), si nota come egli ritenga che con grandi leader l’uomo è in grado di reagire in modo assennato a queste circostanze eccezionali l’uomo ha una componente non solo irrazionale e passionale, ma anche una razionale, in grado di prevedere gli eventi e di prendere le misure adeguate per affrontarli. NB: questo non è garanzia di successo, perché spesso succede che i calcoli siano sbagliati. Inoltre, sono pochi gli individui così eccezionali (per Tucidide sono solo Temistocle e Pericle, gli altri hanno tutti una serie di difetti). A partire dal cap.49, Tucidide fa una dettagliata descrizione dei sintomi e dei segni fisici della malattia, per concluderli nel cap.50, dove egli esprime un commento personale sul carattere della malattia. Elisa Bertacin Sezione Appunti Teoria delle relazioni internazionali Il documento non può essere copiato, riprodotto, trasferito su altri siti. Per scaricare appunti in PDF gratuitamente, visita https://www.tesionline.it/appuntiSegue la descrizione dell’impatto, prima psicologico e poi sociale, che la peste ha sugli Ateniesi: impatto psicologico: Tucidide distingue le reazioni in 3 categorie: coloro che si ammalano si disperano, perché sanno che, molto probabilmente, moriranno (cap.51, la disperazione prostrava rapida lo spirito) gli amici e i parenti degli ammalati si disperano a loro volta e alcuni si prendono cura degli ammalati, ammalandosi a loro volta, altri, per paura del contagio, si allontanano (cap.51) coloro che hanno già avuto la malattia e sono guariti si credono immortali (cap.51, si abbandonavano alla speranza, illusoria e incerta, che anche in futuro nessuna malattia si sarebbe impossessata di loro, strappandoli a questo mondo). impatto sociale: le condizioni estreme comportano il collasso di ogni tipo di ordine e convenzione, religiosa, sociale e normativa si diffonde il caos non solo da un punto di vista medico-sanitario, ma anche dal punto di vista sociale, perché non si ha più paura di trasgredire, dato il collasso delle convenzioni (cap.53, l’epidemia travolse in più punti gli argini della legalità; nessun freno di pietà divina o di umana regola; nessuno concepiva il serio timore di arrivar vivo a rendere conto alla giustizia dei propri crimini) si nota come il rispetto delle leggi sia solo frutto di un timore e, quando questo timore viene meno, crolla ogni forma di ordine sociale. capp. 55-65 – La politica di Pericle e il suo ultimo discorso Tra le vittime della peste ci fu anche Pericle, che muore nel 429 a.C. Tuttavia, prima di morire, Pericle fa un terzo discorso nelle Storie, perché gli Ateniesi, di fronte alla seconda invasione dell’Attica e alle sofferenze della peste, si lamentano, (tanto che si propendeva ormai a intavolare trattative di pace con i Peloponnesi, cap.59) e cominciano a criticare Pericle, che ha spinto la città a rifiutare l’ultimatum spartano, provocando lo scoppio della guerra (cap.59, si riteneva Pericle… responsabile di tanti sacrifici, di tanto dolore), tanto che decisero di mandare degli ambasciatori a trattare con Sparta una tregua. Non si sa molto di queste trattative, si sa per certo che fallirono (cap.59, inviarono anche alcuni ambasciatori, ma non si venne a capo di nulla). cap.59, si sentirono allora intrappolati in una situazione priva di sbocchi e incominciarono ad attaccare Pericle. Nel suo terzo ed ultimo discorso, Pericle risponde al malcontento dei suoi concittadini ricordando loro che la guerra era stata inevitabile e necessaria. L’alternativa è la schiavitù (cap.61). Prosegue poi ricordando loro, per la terza volta, la superiorità navale ateniese, che, con buone probabilità, permetterà loro di vincere i loro nemici. Infine, Pericle, da sempre molto incline alla glorificazione dell’Impero, usa qui toni molto duri su come Atene mantiene l’Impero e sui veri motivi per cui Atene si ritrova in guerra (cap.63): Vi stia lontano il pensiero di scendere in lotta per un’unica posta: schiavitù o indipendenza. Si tratta in realtà di perdita dell’Impero e di esporvi all’immenso odio che avete sollevato dominando: ancora una volta, Pericle dichiara la sua consapevolezza dell’odio che Atene ha suscitato negli altri Stati greci. Non potete abdicare oggi dal vostro potere, anche se in questa ora critica qualche galantuomo, (ovviamente, Elisa Bertacin Sezione Appunti Teoria delle relazioni internazionali Il documento non può essere copiato, riprodotto, trasferito su altri siti. Per scaricare appunti in PDF gratuitamente, visita https://www.tesionline.it/appuntiin senso ironico) che desidera la vita quieta, va suggerendo una tanto nobile azione. Il vostro impero, di fatto, è una tirannide: certo illegale a conquistarsi, ma rischiosissimo a deporsi: Pericle è consapevole che Atene è circondata di “cose brutte”, perché, di fatto, è una tirannide, ma è impossibile farne a meno: l’Impero è necessario, ed è completamente errato che, distruggendolo, la situazione migliorerà, perché, così facendo, Atene si sottoporrebbe all’immediata rappresaglia di tutti quelli che adesso la odiano. Potenza di cui sfolgorerà perenne la memoria nei secoli futuri, anche se in questo conflitto dovessimo cederne qualche parte (cap.64): la memoria e la gloria di Atene sono un ulteriore motivo per incitare gli Ateniesi a sostenere la necessità della guerra. Elisa Bertacin Sezione Appunti Teoria delle relazioni internazionali Il documento non può essere copiato, riprodotto, trasferito su altri siti. Per scaricare appunti in PDF gratuitamente, visita https://www.tesionline.it/appunti8. L’impero è necessario e bello L’impero è necessario e bello L’Impero è ingiusto, ma mantenerlo è utile, perché abbandonarlo sarebbe rischiosissimo. Il desiderio di gloria ed onore è sì importante (cap.64), ma viene prima l’utile, cioè il mantenimento dell’Impero e la sicurezza della città. Nel capitolo successivo, Tucidide esprime il suo famoso giudizio su Pericle. Sebbene Tucidide sia un oligarchico, egli ha comunque grande considerazione di Pericle, che, con la sua politica, fu in grado di consolidare la potenza ateniese in tempo di pace (cap.65, il periodo contrassegnato dalla sua attività di governo in tempo di pace, ne mise in luce l’equilibrio politico e la fermezza con cui seppe tutelare gli interessi dello stato, che nelle sue mani crebbe in potenza). Secondo Tucidide, Pericle era un grande uomo politico, perché era molto autorevole per la considerazione che lo circondava e per l’acume politico e per la condotta limpidamente pura dal minimo dubbio di corrutela venale, dirigeva il popolo nel rispetto della sua libera volontà. Dominava senza lasciarsi dominare (cap.65) (i suoi successori, Cleone in particolare, il quale incarna la figura del demagogo, ma anche Alcibiade, pur avendo le caratteristiche di grandi leader, non furono in grado di dominare senza lasciarsi dominare, cavalcando invece le passioni popolari) cap.65, nominalmente, vigeva la democrazia: ma nella realtà della pratica politica, il governo era saldo nel pugno del primo cittadino. Cap.65, dopo la sua scomparsa si comprese di che acuta sagacia egli fosse munito nei riguardi della guerra. Aveva predetti i principi che avrebbero assicurato il successo finale ad Atene: - non lasciarsi trascinare dall’orgasmo - dedicare ogni cura alla flotta - non tentare di ampliare i confini nel periodo di guerra. Tucidide fa capire che, se Pericle non fosse morto o se gli Ateniesi avessero messo in atto i suoi suggerimenti, molto probabilmente Atene avrebbe vinto la guerra. Invece, gli Ateniesi stabilirono una condotta del tutto opposta, tanto che la resa si delineò inevitabile solo quando, nel cuore della città, gli scontri tra le individuali smanie di potere ebbero consumata e arsa ogni energia venuto meno Pericle, viene meno, secondo Tucidide, anche la coesione interna della città. Questo, ancora una volta, sottolinea l’importanza che il leader non sia solo grande e capace, ma soprattutto che sia un primo cittadino. capp. 66-70 – La caduta di Potidea In questi capitoli si conclude l’episodio cominciato nei capp.56 e successivi del I Libro. A questo punto, si rivelò impossibile per quelli di Potidea, accerchiati dall’assedio, insistere nella resistenza (cap.70). Gli Ateniesi prendono la città senza eccessive punizioni, stipulando un accordo, in base al quale gli abitanti sarebbero usciti da Potidea per recarsi nella Calcidica (cap.70). In seguito, gli Ateniesi sottoposero gli strateghi a uno stato d’accusa, in quanto credevano che fosse Elisa Bertacin Sezione Appunti Teoria delle relazioni internazionali Il documento non può essere copiato, riprodotto, trasferito su altri siti. Per scaricare appunti in PDF gratuitamente, visita https://www.tesionline.it/appuntipossibile imporre a Potidea una resa senza condizioni (cap.70). Questo passo è significativo, perché dà prova di quanto già affermato dai Corinzi, e cioè che gli Ateniesi non si accontentano mai, vogliono sempre di più. Anche in questo caso, infatti, di fronte al successo della presa di Potidea, avrebbero voluto ottenere un successo ancora più grande (una resa incondizionata) criticano gli strateghi e i generali, perché hanno negoziato una resa in base a certe condizioni. Elisa Bertacin Sezione Appunti Teoria delle relazioni internazionali Il documento non può essere copiato, riprodotto, trasferito su altri siti. 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Platea ha paura di Atene, tanto che minaccia di opporsi con la forza a Sparta: questo perché, nell’episodio iniziale di Platea, Atene teneva ancora in ostaggio le donne, i piccoli e gli uomini invalidi (cap.6) i messaggeri di Platea… tornarono a rispondere che era loro impossibile dar corso alla sua richiesta senza il consenso di Atene (dove si trovavano in quel momento le loro donne con i figli), mostrandosi in ansia per l’esistenza futura della città (cap.72) i Plateesi sono di fronte al doppio rischio di mettere in pericolo la vita degli ostaggi e, dall’altra parte, è in gioco l’esistenza stessa della città. capp. 79-94 – Le vittorie navali di Formione capp. 95-103 – Operazioni militari in Tracia e in Macedonia Al cap.65 viene descritta una strategia che pare essere esclusivamente difensiva, come proposto da Pericle. Invece, in questi capitoli conclusivi, si nota che gli Ateniesi non si limitano alla difesa dell’Attica, ma si dedicano anche ad altre operazioni: saccheggio durante le campagne navali spostamento di popolazioni creazione di nuove colonie occupazione di alcuni territori, tutte operazioni che non sembrano concordare con la strategia proposta da Pericle anzi, nel cap.31, è lo stesso Pericle a guidare una serie di operazioni simili (invasione della Megaride, missione navale nelle acque del Peloponneso), tanto che si concentrò allora il più imponente schieramento di truppe mai posto in campo da Atene (cap.31), un atteggiamento decisamente non difensivo. Concetto ribadito dallo stesso Pericle nel discorso funebre, quando afferma che nessun nemico si è mai trovato di fronte le nostre forze armate complete (cap.39). Dallo stesso punto di vista va analizzato il comportamento ateniese in Tracia, dove gli Ateniesi dovevano contribuire allo sforzo contro i Calcidesi con una squadra navale e un esercito il più possibile agguerrito (cap.95). Come conciliare questi comportamenti opposti? Secondo alcuni studiosi, quando Pericle parla di “strategia difensiva” si riferisce sostanzialmente all’atteggiamento da tenere attorno ad Atene evitare di uscire dalle mura della città, lasciandosi coinvolgere in una battaglia a campo aperto. Questo discorso, però, non ha valenza generale per il comportamento da tenere in tutta l’Attica e oltre non impedisce allo stesso Pericle di guidare campagne aggressive esterne e gli Elisa Bertacin Sezione Appunti Teoria delle relazioni internazionali Il documento non può essere copiato, riprodotto, trasferito su altri siti. Per scaricare appunti in PDF gratuitamente, visita https://www.tesionline.it/appuntiAteniesi in Tracia. L’obiettivo finale della strategia difensiva era il mantenimento dell’impero, attraverso una negoziazione, che di certo si sarebbe risolta a favore di Atene. Questo perché, dato che Sparta si era presentata come il liberatore della Grecia, l’unico risultato possibile è la conquista, dunque la distruzione di Atene una pace negoziata significherebbe per Sparta perdere tutta la fiducia e il sostegno che la circondano. Ma, se Atene segue i consigli di Pericle, adottando la strategia migliore, Sparta non sarà in grado di vincerla militarmente sarebbe costretta a scendere a patti con Atene, rovinando così la propria reputazione. Elisa Bertacin Sezione Appunti Teoria delle relazioni internazionali Il documento non può essere copiato, riprodotto, trasferito su altri siti. Per scaricare appunti in PDF gratuitamente, visita https://www.tesionline.it/appunti10. "Storie" di Tucidide Libro III : La defezione di Mitilene Si può facilmente notare come l’argomento principale del III Libro delle Storie e, più in generale, il tema generale che lega insieme i primi 3 libri dell’opera è l’imperialismo ateniese: come si è sviluppato, le sue implicazioni (la dominazione ateniese è lo strumento di cui si serve la città per vincere la guerra, come ribadito dai discorsi di Pericle; è la causa delle recriminazioni da parte delle altre città; è la posta in gioco, tanto per Atene stessa quanto per gli alleati e i loro nemici dichiarati, per i quali la guerra è una lotta di liberazione, come ribadito da Archidamo nel cap.72, II Libro). Nel III Libro, l’imperialismo ateniese domina in 2 avvenimenti principali: 1. defezione di Mitilene Chiaramente, questo episodio solleva la questione delle defezioni e quindi della repressione da parte di Atene. Questo problema è affrontato, nel testo, in 2 punti: il discorso di Mitilene a Sparta, nel quale i Mitilenesi sostengono che l’imperialismo ateniese è la causa ( è la spiegazione, ma anche la giustificazione) della loro defezione. Ancora una volta, l’imperialismo di Atene viene descritto in tutte le sue fasi: nascita – sviluppo (Atene sottomette prima i più deboli e poi via a via quelli più forti) – la necessaria distruzione ad opera di Sparta. I mezzi suggeriti dai Mitilenesi agli Spartani si trovano nella defezione stessa della città: la flotta e la distruzione delle risorse finanziarie che, dalle guerre persiane, giungono regolarmente nelle casse ateniesi, temi, tra l’altro, sui quali si erano già in precedenza soffermati Pericle e Archidamo. i discorsi di Cleone e Diodoto ad Atene: nel dibattito su cosa fare a Mitilene (classico problema di natura imperialistica), si scontrano queste 2 figure contrapposte: secondo Cleone, il principale problema consiste nell’evitare ulteriori defezioni Mitilene deve subire una punizione esemplare. Secondo Diodoto, invece, il problema consiste nell’evitare che tali defezioni siano irrevocabili adottando una linea radicale come quella proposta da Cleone significa che chi defeziona sarà disposto a combattere fino alla morte, piuttosto che tornare sui suoi passi, complicando la vita dell’impero ateniese. In realtà, anche prima di questa guerra gli isolani avevano concepito il piano di ribellarsi, ma Sparta non aveva accolto la loro richiesta di protezione; tuttavia, anche in quest’epoca, si videro costretti a sollevare la rivolta prima di quanto prevedeva il progetto (cap.2) la logica della necessità, che spesso accompagna le vicende narrate da Tucidide ( la crescita dell’impero, la guerra), si ritrova anche in episodi su scala più ridotta, di questo tipo: coloro tra gli alleati di Atene che possono permetterselo, in quanto sufficientemente forti, sono costretti a ribellarsi. Atene reagisce alla ribellione mandando 40 navi (cap.3) con l’ordine di reprimere la rivolta. Si instaura comunque una tregua, durante la quale i Mitilenesi mandano ambasciatori sia ad Atene, per un tentativo di persuasione ad ordinare il rientro della navi, sia a Sparta, essendo pessimisti circa l’esito della missione ad Atene (cap.4). A questo punto, Tucidide riporta il già citato discorso che i Mitilenesi rivolgono ad Olimpia agli Spartani. In Elisa Bertacin Sezione Appunti Teoria delle relazioni internazionali Il documento non può essere copiato, riprodotto, trasferito su altri siti. Per scaricare appunti in PDF gratuitamente, visita https://www.tesionline.it/appuntiquesto discorso, i Mitilenesi ricordano sin dal principio quali sono le basi di un’alleanza, spiegando poi perché Mitilene ha deciso di abbandonare l’alleanza con Atene, dato che in ogni caso, un alleato che defeziona è considerato infimo per definizione (cap.9, giudica l’accolto un traditore degli antichi amici e lo disprezza) e, senza una buona spiegazione, molto probabilmente, i nuovi alleati non si fideranno di lui: a patto che i dissidenti e coloro da cui si staccano si ispirino a concezioni di vita equivalenti, siano legati da reciproco, pari affetto, i rapporti tra loro d’armamenti poggino su basi di equilibrio e non sussista onorevole motivo di rivolta: se si verificano queste condizioni, allora è difficile giustificare una defezione. Sappiamo che non regge ferma la familiarità… qualora la relazioni non rispecchino una mutua fiducia d’integrità, fondandosi in generale su una spirituale concordia d’intenti (cap.10). L’alleanza con Atene rimonta all’epoca in cui, mentre voi (Spartani) rinunciavate a preseguire la lotta con i Persiani, gli Ateniesi insistettero, fino in fondo, in quello sforzo (cap.10) Finché adattarono la loro egemonia a un concetto di parità con le altre genti, operammo in accordo con loro l’uguaglianza sembra essere strettamente legata al concetto di amicizia. Ma crebbe in noi il sospetto quando ci avvedemmo che… diveniva invece più intensa la smania di piegare ogni alleato al loro servizio. Tuttavia, continuano i Mitilenesi, l’equilibrio del terrore è l’unico cardine su cui un’alleanza può gravitare sicura (cap.11). Questa frase può sembrare in contraddizione con quella precedente: prima si diceva che un’alleanza si deve basare su “nobili sentimenti”, ora, invece, che si basa sull’equilibrio del terrore tra gli alleati, in cui nessuno defeziona per paura della reazione dell’altro l’uguaglianza è legata, da una parte, all’amicizia e, dall’altra, al reciproco timore. Nel caso in questione, però, i Mitilenesi non fanno che confermare la cruda realtà dei fatti, che cioè negli altri la corrispondenza d’affetti fortifica la lealtà, mentre tra noi la rinsaldava il reciproco timore. La nostra alleanza poggiava più sul dominio della paura che della schietta intimità (cap.12) si è creata una situazione tale per cui chi prima può, rompe i patti. Da questo punto di vista, Mitilene compie un’azione preventiva: Sta a loro aggredirci in qualsiasi istante? Ci sia dunque concesso predisporre una difesa (cap.12); dall’alleanza con Atene, per ostacolarne la distruttiva politica di asservimento nei nostri riguardi, anzi per attaccarli noi senza indugi (cap.13) la defezione di Mitilene viene presentata come un gesto di autodifesa, nonché lo spunto di un attacco preventivo, dato che è solo questione di tempo prima che gli Ateniesi attacchino la città. Per Atene è difficile accettare Mitilene come alleato alla pari e la città è consapevole di essere diventata un alleato ingombrante (cap.11, era umano che li pungesse sempre più sul vivo questo stato di cose) da un lato esiste la necessità di reprimere ogni motto indipendentista, dall’altro sorge la necessità di difendersi. I Mitilenesi passano poi ad elencare a Sparta e ai suoi alleati i motivi per cui dovrebbero essere accettati nella Lega del Peloponneso: innanzitutto, Atene è in una situazione di esaurimento, per via della peste, delle invasioni dell’Attica (cap.13); Mitilene può mettere a disposizione di Sparta la sua potente flotta (cap.13); infine, si creerà un precedente favorevole perché gli altri alleati di Atene siano in futuro indotti a defezionare, sicuri di incontrare la protezione spartana. Tuttavia, la flotta peloponnesiaca non arriva in tempo per aiutare Mitilene (cap.27), la quale si arrende agli Elisa Bertacin Sezione Appunti Teoria delle relazioni internazionali Il documento non può essere copiato, riprodotto, trasferito su altri siti. Per scaricare appunti in PDF gratuitamente, visita https://www.tesionline.it/appuntiAteniesi per fame (cap.27, la scarsità di cibo diveniva drammatica). A questo punto, vengono stipulati i termini della resa (cap.28): agli Ateniesi spettava, in assoluta libertà, di decidere la sorte di Mitilene la città avrebbe aperto le porte all’esercito i Mitilenesi avrebbero messo in viaggio per Atene una loro ambasceria. Nel frattempo ad Atene, gli Ateniesi, sotto l’impulso della collera, decretarono non solo la morte di tutti i prigionieri che tenevano già in pugno ma l’eliminazione totale di tutti gli abitanti di Mitilene in età adulta e la schiavitù per i piccoli e le donne (cap.36). La collera degli Ateniesi è, dal punto di vista imperiale, comprensibile: la forza di Atene dipende da risorse finanziarie, superiorità navale, fortificazioni e, nei primi anni di guerra, tutti questi elementi sono stati in qualche modo scossi: il denaro si sta esaurendo la superiorità navale è messa in discussione dalla numerosa flotta che Sparta è riuscita a costruire le fortificazioni sono servite contro le invasioni dell’Attica, ma nulla hanno potuto contro la peste. La rabbia nei confronti di Mitilene scaturisce dal fatto che (cap.36): Mitilene godeva dello status di alleato autonomo = il governo e gli affari interni della città sono lasciati in mano alla città; Mitilene è fortemente armata, a differenza degli altri alleati ateniesi; la presenza inquietante della flotta peloponnesiaca nella Ionia, elemento di disturbo per definizione; è stata una rivolta premeditata da parte di chi non aveva nessun diritto di ribellarsi, dato il trattamento speciale riservato alla città. NB: La decisione presa dagli Ateniesi è del tutto inusuale, non è mai stato riservato un trattamento così duro nei confronti di una città vinta. “Inusuale” non dal punto di vista umano, quanto piuttosto in base a considerazioni di tipo economico: bisogna infatti ricordare che l’economia di quell’epoca si basa sulla schiavitù eliminare una popolazione maschile in età adulta = rinunciare ad un congruo numero di schiavi, subendo dunque un pesante danno economico. Tuttavia, già il giorno seguente i propositi erano mutati (cap.36) si decide di deliberare nuovamente. A questo punto avviene lo scontro verbale tra Cleone e Diodoto che rappresentano 2 contrapposte visioni della politica imperiale. Nessuno dei 2 vuole che si rinunci all’impero, ma discutono su quale sia il comportamento più appropriato che Atene deve tenere in queste determinate circostanze. Si assiste al contrasto tra la politica moderata “alla Pericle” di Diodoto e la politica più aggressiva e violenta di Cleone, frutto per lo più della frustrazione nei confronti della linea politica prudente di Pericle, i cui risultati non si sono ancora fatti vedere, anzi, malgrado la moderazione, si assiste alla rivolta dell’alleato più Elisa Bertacin Sezione Appunti Teoria delle relazioni internazionali Il documento non può essere copiato, riprodotto, trasferito su altri siti. Per scaricare appunti in PDF gratuitamente, visita https://www.tesionline.it/appuntiimportante dal punto di vista militare. Non a caso, nel suo discorso, Cleone attacca proprio i principi esaltati da Pericle nell’orazione funebre (II Libro), proponendo una politica alternativa. Diodoto, in una simile situazione, non può fare appello ai buoni sentimenti e parla solo di ciò che è utile alla città, rivelando un obiettivo non umanitario, ma politico (tanto che, in base alla decisione finale, vengono comunque giustiziate 1000 persone) (cap.50). Cleone è il primo a parlare. Egli viene presentato da Tucidide come il più violento tra i concittadini e quello che godeva presso il popolo il credito più assoluto (cap.36) era un demagogo, colui che spesso, per fini personali, cavalca e stimola le passioni dell’Assemblea popolare. Il discorso può essere strutturato come segue: capp.37-38: introduzione, nella quale Cleone critica l’idea stessa di votare ancora. Il discorso di Cleone si apre in modo molto convenzionale (cap.37, di frequente, in tempi passati, ho avuto occasione di convincermi, per esperienza diretta), con fondamentalmente 2 funzioni: o indicare che l’oratore è una persona saggia e navigata; o le parole che seguiranno sono basate sull’osservazione diretta come tale, deve essere presa in seria considerazione. Democrazia ed impero sono incompatibili (cap.37), chiara contrapposizione alle idee di Pericle, per il quale democrazia ed impero ateniesi sono 2 facce della stessa medaglia. In realtà, secondo Cleone le democrazie hanno difficoltà a reggere un impero, perché all’interno di una democrazia i rapporti tra cittadini sono tali per cui, stupidamente, si crede che anche tra alleati ci possano essere simili rapporti di fiducia (cap.37). In realtà, la vostra signoria è una tirannide (cap.37), giudizio cruciale in piena sintonia, nonostante tutto, con il giudizio di Pericle (Libro II, cap.63), basato sulla forza e sulla repressione sistematica degli alleati. Pericle aveva anche affermato che Atene rispetta comunque le leggi, che l’amore per la filosofia non indebolisce, non impedisce di prendere decisioni energiche, quando necessario, che la città può essere illuminata dal dibattito tra idee diverse nei luoghi pubblici: sono queste le virtù della democrazia, le quali vengono ad una ad una criticate e rovesciate da Cleone. Egli, infatti, accusa i suoi concittadini di preferire le parole ai fatti, un incerto futuro al presente, novità del tutto vaghe ed insidiose rispetto a cose già sperimentate (cap.38). capp.39-40: il consiglio che Cleone dà alla città, che consiste anche in una violenta accusa nei confronti di Mitilene e dei torti commessi nei confronti di Atene. Mitilene vi ha inflitto l’ingiuria più rovente… che nome si conviene al loro atto, se non sordo intrigo, rivolta più che defezione… preferendo l’uso della forza a quello del diritto… ci aggredirono senza l’impulso di un torto subito (cap.39) Il prestigio di cui, da gran tempo, favorimmo i Mitilenesi era eccessivo, insensato (cap.39) secondo Cleone, Atene ha sbagliato a concedere tanta libertà ed autonomia a Mitilene. Cleone prosegue con il classico argomento di chi chiede una punizione esemplare: se Atene non sarà in grado di applicare una punizione esemplare a Mitilene e di distruggere quegli alleati che in futuro lasceranno l’alleanza per affiancarsi a Sparta, allora non sarà più in grado di mantenere l’impero. Infatti, continua Cleone, chi mantiene un impero non deve subire il funesto influsso dei tre affetti più perniciosi per l’esercizio di una signoria (cap.40): Elisa Bertacin Sezione Appunti Teoria delle relazioni internazionali Il documento non può essere copiato, riprodotto, trasferito su altri siti. Per scaricare appunti in PDF gratuitamente, visita https://www.tesionline.it/appunti la compassione la lusinga della parola la clemenza. Un alleato, in quanto suddito, non potrà mai ricambiare Atene con uguale trasporto la pietà, la compassione, sono sentimenti del tutto fuori luogo. Riassumo il mio intervento… se fu legittimo il loro moto, è dunque iniquo il vostro dominio (cap.40) se Atene accetta l’idea che Mitilene si è ribellata in modo legittimo, allora l’impero è ingiusto Cleone sembra mettere la questione sul piano del giusto-ingiusto. In realtà, subito dopo si contraddice, affermando che Se, pur contro il diritto, vi proponete egualmente di farlo valere (il vostro dominio), non sfuma per ciò il dovere di correggerli duramente, in contrasto con la giustizia, ma in accordo con il vostro profitto (cap.40) è nell’interesse, nell’utile dell’impero punire severamente Mitilene. L’alternativa è quella di rinunciare all’impero e fare la parte dei galantuomini. NB: nel II Libro, cap.63, Pericle aveva similmente affermato Non potete abdicare oggi dal vostro potere, anche se in questa ora critica qualche galantuomo, che desidera la vita quieta, va suggerendo una tanto nobile azione. Per Cleone la punizione è utile e giusta, perché Mitilene non aveva alcun diritto a ribellarsi. Segue la replica di Diodoto. Egli ribadisce innanzitutto le virtù della discussione e del dibattito pubblico, denigrate da Cleone nel suo intervento e, anzi, lo denuncia per la sua ricerca ad un interesse personale (cap.42). Inoltre, prosegue Diodoto con un discorso molto realistico, l’Assemblea è un Parlamento, non un tribunale: bisogna prendere una decisione basata sull’interesse della città e non sancire se Mitilene aveva oppure no il diritto a ribellarsi (cap.44). Diodoto adotta poi il classico argomento contro la pena di morte, che non ha alcun fondamento umanitario, ma solo politico: quando Cleone chiede una punizione esemplare che sia d’esempio a tutti gli altri alleati, perde di vista il principale motore dietro l’azione umana, cioè la natura umana, spesso caratterizzata da passioni così forti che non vengono trattenute neppure dalle minacce più terribili, inclusa la pena di morte (cap.45, eppure anch’essa risulta un argine insufficiente). Infatti, la natura umana è caratterizzata dal dominio della speranza e del desiderio (cap.45). È semplicemente impossibile, anzi assai ingenuo, ritenere che la legge, o qualunque altra tremenda costrizione possa ergersi, invalicabile baluardo, a infrangere il potente impeto della natura umana, quando arde nel volo d’una conquista (cap.45). In questa descrizione della natura umana, Tucidide non è affatto originale, ma riprende formule e schemi tipici della letteratura e della filosofia del tempo. Dal punto di vista utilitario, la punizione proposta da Cleone non sarebbe capace di trattenere gli altri alleati che stanno meditando, o potrebbero meditare, di defezionare, i quali, anzi, cercheranno di resistere fino all’ultimo respiro la punizione non sarebbe affatto esemplare, dato che se applicate quella disposizione, Elisa Bertacin Sezione Appunti Teoria delle relazioni internazionali Il documento non può essere copiato, riprodotto, trasferito su altri siti. Per scaricare appunti in PDF gratuitamente, visita https://www.tesionline.it/appuntiquale città non intensificherà gli sforzi per prepararsi in modo più completo, quale non trascinerà l’assedio fino all’estremo respiro, se una resa sollecita o protratta conseguiranno lo stesso fatale risultato? (cap.46) per Atene tutto questo è costoso, viene meno una fonte di reddito, non è garantito il risultato finale desiderato, sicché il nostro compito non è qui d’interpretare, a nostro danno, la figura di giudici inflessibili sulla pelle dei colpevoli (cap.46), ma occorre vigilare, prima che si giunga a quello stato, e con una illuminata politica preventiva deviare il pensiero dei sudditi da un simile sogno (cap.46) alla repressione di Cleone, Diodoto contrappone un’attenta politica di prevenzione, per cercare di evitare che gli alleati siano tentati a seguire l’esempio di Mitilene. Infine, Diodoto ribadisce che attualmente il popolo, in ogni città, guarda a voi con favore, non concede il suo appoggio quando il partito aristocratico organizza una sedizione (cap.47): i partiti popolari (o democratici) nelle varie città soggette al dominio ateniese, guardano con simpatia ad Atene. Si pone qua la domanda, a lungo dibattuta dagli storici, sulla popolarità o meno dell’impero ateniese, almeno presso certe classi (il popolo, secondo Diodoto) applicando la punizione proposta da Cleone, Atene perderà il loro favore. Sembra quindi che gli Ateniesi siano abbastanza popolari nelle città sottomesse. Eppure, verrebbe naturale obiettare, in questo modo Diodoto riconosce che per Mitilene era naturale ribellarsi, in quanto suddito, contraddicendosi in modo clamoroso, probabilmente con il solo obiettivo di convincere l’Assemblea. Diodoto suggerisce di punire soltanto i colpevoli, senza scendere a patti con la pietà e la clemenza, suggestioni cui anche al mio cuore vieto l’accesso (cap.48). Dunque, nel dibattito tra Cleone e Diodoto si assiste al contrasto tra una politica radicale e una politica moderata. Tuttavia, neanche quest’ultima ha avuto grandi risultati: infatti, finora Atene ha messo in pratica un atteggiamento moderato nei confronti degli alleati e il risultato è stata la defezione di Mitilene. Elisa Bertacin Sezione Appunti Teoria delle relazioni internazionali Il documento non può essere copiato, riprodotto, trasferito su altri siti. Per scaricare appunti in PDF gratuitamente, visita https://www.tesionline.it/appunti11. Quale insegnamento si può trarre dal III libro delle "Storie" di Tucidide? Ricordando il passo del Principe di Machiavelli, per cui si ha a notare che li uomini si debbono o vezzeggiare o spegnere; perché si vendicano delle leggieri offese, delle gravi non possono; sì che l’offesa che si fa all’uomo debbe essere in modo che la non tema la vendetta (Principe, III) = o si hanno i mezzi per distruggerli completamente, scongiurando l’eventuale vendetta o, se non si hanno mezzi per distruggerli, bisogna vezzeggiarli, lusingarli, perché se si danneggiano in modo non grave, avranno sempre un mezzo per vendicarsi tutto ciò che costituisce una via intermedia deve essere evitato. I discorsi di Cleone e Diodoto rappresentano proprio queste 2 alternative. Tuttavia, non è possibile trarne alcun insegnamento pratico, perché ogni decisione comporta una serie di controindicazioni: la linea di Cleone non garantisce nulla nei confronti di ulteriori defezioni, mentre quella di Diodoto, adottata sino ad ora, ha avuto come esito la defezione di Mitilene, dunque un lampante fallimento. A differenza di Machiavelli, Tucidide non vuole dare suggerimenti, vuole solo scoprire la verità, anche se ciò, in alcuni casi, non aiuta a capire come bisogna comportarsi dal punto di vista pratico in determinate situazioni. 2. vicende di Platea A prima vista, sembrerebbe che il ruolo degli Ateniesi in questa vicenda sia molto limitato. In realtà, anche in questo episodio compaiono i temi dell’imperialismo. Infatti, nel dibattito di fronte ai giudici spartani tra i Plateesi e i Tebani, questi ultimi denunciano per l’ennesima volta Atene e il suo imperialismo e i suoi metodi essendo rimasta fedele ad Atene, secondo i Tebani, Platea ha tradito tutta la Grecia come Atene deve essere piegata e distrutta, così Platea deve subire lo stesso destino. Questo episodio si lega al II Libro, nel quale Platea, alleato di Atene che si rifiuta di defezionare, viene assediata dai soldati tebani e spartani. Ora si giunge alla resa (cap.52, la debolezza, lo sfinimento indussero gli assediati a consegnare la città), con l’intesa che toccava agli Spartani decidere del futuro della città. Elisa Bertacin Sezione Appunti Teoria delle relazioni internazionali Il documento non può essere copiato, riprodotto, trasferito su altri siti. Per scaricare appunti in PDF gratuitamente, visita https://www.tesionline.it/appunti12. Perché Sparta è disposta a negoziare la resa di Platea? Sparta accetta di negoziare la resa di Platea per un puro calcolo utilitaristico: in caso di un accordo con Atene, non verrebbe contemplata la restituzione di città che si sono arrese spontaneamente, diversamente dall’obbligo di restituzione che vigeva per le città prese con la forza se si fossero varate trattative di pace con Atene era probabile che l’eventuale accordo contemplasse la restituzione reciproca delle piazzeforti occupate durante il conflitto: ebbene, la cessione di Platea non sarebbe stata compresa, se si poteva produrre la circostanza che la consegna della città era stata completamente spontanea (cap.52). Si assiste dunque allo scontro verbale tra i Plateesi, che si difendono nei confronti delle accuse mosse contro di loro, e i Tebani che propongono un trattamento molto duro nei loro confronti. Nella sua difesa, Platea ribadisce il fatto che la sua alleanza con Atene è semplicemente frutto del rifiuto di Sparta, circa un secolo prima (519 a.C.), ad accettare Platea nella sua alleanza (cap.55). E adesso ha subito l’aggressione di Tebe Platea si è semplicemente difesa dalla loro aggressione. Infine, nei capp. 58-59, Platea ammonisce Sparta di guardarsi dalla vergogna, dal disonore, dall’infamia, dalla mancanza di gloria che conseguirà dall’eventuale dura decisione nei confronti di Platea. I Plateesi parlano di onore, di giustizia, della gratitudine, della vergogna, dell’onestà, dell’infamia, tutti gli argomenti del debole, gli argomenti tipici di chi non ha nulla da offrire (argomenti che tra l’altro saranno sviluppati in seguito nel dibattito tra i Meli e gli Ateniesi nel V Libro): qui non ci sono interessi comuni in gioco, né l’eventuale possibilità di una futura collaborazione politica. Nella loro risposta, i Tebani ribattono fondamentalmente colpo su colpo. Infatti, sostengono, non è affatto vero che è colpa di Sparta se Platea ha scelto l’alleanza con Atene; piuttosto, è perché Platea è malvagia, ha commesso dei crimini è giusto condannarli, schiacciare i furfanti sotto una pena del doppio più grave poiché tradiscono peccando il loro dovere (cap.67). È evidente come questi 2 discorsi si basino su elementi molto vaghi ed intangibili, tanto che gli Spartani decidono di appoggiare le richieste dei Tebani, non perché convinti dal loro discorso, quanto piuttosto dal desiderio… di rendersi amici i Tebani ritenendo che, nel conflitto appena esploso, il loro contributo sarebbe stato molto opportuno (cap.68) ad ogni Plateese venne chiesto se aveva offerto qualche aiuto a Sparta e ai suoi alleati e, se la risposta era negativa, veniva giustiziato. Le vittime furono non meno di 200 (cap.68). Gli episodi di Mitilene e Platea mostrano una serie di temi comuni: Elisa Bertacin Sezione Appunti Teoria delle relazioni internazionali Il documento non può essere copiato, riprodotto, trasferito su altri siti. Per scaricare appunti in PDF gratuitamente, visita https://www.tesionline.it/appunti l’importanza dei rapporti di forza: i 2 episodi sono entrambi strutturati sul confronto tra un debole e un forte, ed è il debole ad avere la sorte peggiore; la ricerca del proprio interesse, del proprio utile, nella quale sentimenti come la pietà o l’onore vengono esclusi da ogni considerazione; la richiesta dello sterminio di un’intera comunità, richiesta che viene presentata come atto di giustizia (da Cleone e dai Tebani). L’unica differenza, forse paradossale, sta nel fatto che è Atene, la città tiranna, a comportarsi in un modo relativamente migliore, rispetto a Sparta che, tra l’altro, si presenta come la liberatrice della Grecia. Elisa Bertacin Sezione Appunti Teoria delle relazioni internazionali Il documento non può essere copiato, riprodotto, trasferito su altri siti. Per scaricare appunti in PDF gratuitamente, visita https://www.tesionline.it/appunti13. III Libro "Storie” di Tucidide: la guerra civile a Corcira L’altro episodio importante trattato nel III Libro è la guerra civile a Corcira, che si estende poi ad altre città della Grecia. I capitoli legati alla guerra civile di Corcira, come già accennato, vengono spesso letti in parallelo con i capitoli legati alla peste ad Atene nel II Libro, perché in entrambi i casi ci si trova di fronte a situazioni nelle quali le convenzioni sociali e religiose, in condizioni estreme, cessano di funzionare, con conseguenze a livello psicologico individuale e a livello sociale di masse. Entrambi gli episodi cominciano con una descrizione fattuale di ciò che è successo: II Libro, cap.49 III Libro, capp. 70-80. In entrambi i casi, Tucidide arriva ad una serie di generalizzazioni che sembrano la chiusura degli episodi e, invece, in seguito vengono raccontati orrori ancora più grandi. Inoltre, entrambi gli episodi sono serviti per fare una serie di riflessioni e di osservazioni di carattere psicologico e sociale sull’accaduto; in particolare, l’estrema audacia nell’azione: II Libro, cap.53: l’epidemia travolse in più punti gli argini della legalità fino allora vigente nella vita cittadina. III Libro, cap.82 (il “capitolo terribile”): le interne scosse segnarono a fondo le città con le infinite tracce del tormento e del sangue, che sono state e saranno sempre la dolente e cupa eredità di quei moti. Ogni azione viene reputata legittima, le convenzioni cessano di funzionare (padri che uccidono i figli, luoghi sacri che non sono più rispettati) e ogni argine viene meno. La guerra civile, proprio come la peste, è destinata a ripetersi, perché entrambe riflettono i tratti immutabili della natura umana: II Libro, cap.48: nel caso che il flagello infierisca in futuro; è questo il generale e complessivo quadro della malattia, sebbene sia stato costretto a tralasciare molti fenomeni e caratteri peculiari per cui ogni caso, anche se di poco, tendeva sempre a distinguersi dall’altro (cap.51) III Libro, cap.82: le interne scosse segnarono a fondo le città con le infinite tracce del tormento e del sangue, che sono state e saranno sempre la dolente e cupa eredità di quei moti (finché non si converta la natura umana), più o meno temperata o convulsa, svariante da caso a caso, in armonia con il fluire ininterrotto e cangiante delle occasioni particolari è chiaro che le singole forme assunte dagli scontri di questo tipo sono, di volta in volta, “cangianti”, cioè mutevoli, variabili. Tuttavia, i meccanismi e le cause sono gli stessi, perché basati sulla natura umana, in cui è vivo sempre e rigoglioso l’impulso a calpestare le leggi… godette a dimostrare come nessun freno valesse a spezzarne la esuberante insolenza, il furore gioioso di sopraffare ogni giusto precetto ( nemica della giustizia), ombroso di ogni autorità che tentasse di affermare il proprio potere ( è egoista) (cap.84). Nelle situazioni estreme si assiste alla più tipica manifestazione di questi aspetti della natura umana. Elisa Bertacin Sezione Appunti Teoria delle relazioni internazionali Il documento non può essere copiato, riprodotto, trasferito su altri siti. Per scaricare appunti in PDF gratuitamente, visita https://www.tesionline.it/appuntiVolendo paragonare i 3 principali episodi del III Libro (Mitilene, Platea, guerra civile), si possono osservare temi comuni, al di là del già evidenziato imperialismo ateniese: il carattere estremo che assumono sia l’azione sia le emozioni degli uomini (la dimensione emotiva e particolarmente accentuata); il tema della vendetta; la distorsione e l’abuso delle parole e del linguaggio (il tradimento viene chiamato coraggio), ulteriore dimostrazione della disgregazione del tessuto sociale in queste circostanze estreme; la subordinazione della giustizia all’interesse; in particolare, ci sono alcuni aspetti della guerra civile di Corcira che possono essere generalizzati ed individuati in altre guerre civili: (con)fusione tra gli interessi personali e gli interessi di partito: le vendette a cui si assiste durante la guerra civile sono spesso di carattere personale, ma hanno anche una dimensione legata all’appartenenza ad un partito o ad una fazione; la sistematica distruzione di ogni posizione moderata: la guerra civile è l’esaltazione delle posizioni estreme e tutti coloro che hanno politiche ed opinioni moderate vengono distrutti nella radicalizzazione e nella totalizzazione dello scontro; la guerra è una maestra brutale (cap.82): in tempo di pace, le dissidenze tra partiti politici possono in qualche modo essere composte. Il collasso delle convenzioni, religiose e civili, deriva per certi aspetti dallo stato di guerra in cui si trovano le città da qualche anno; l’appello alle forze esterne, attorno alle quali è sprigionato il conflitto, perché intervengano a favore di una o dell’altra parte: dovunque si ergevano armati, l’uno contro l’altro, i condottieri dei partiti popolari e di quelli oligarchici che mettevano capo rispettivamente all’appoggio di Atene e di Sparta (cap.82). Seguono infine 2 brevi accenni a ulteriori episodi, molto importanti, legati sempre all’imperialismo ateniese Melo (cap.91) = episodio di sottomissione di uno Stato debole e neutrale (V Libro) Sicilia (cap.86 e successivi) = spedizione di conquista (VI-VII Libro): Nello scenario siculo è in corso una guerra tra Siracusa e Leontini. A prima vista, è una guerra condotta lungo linee etniche, perché Siracusa è una città dorica, mentre Leontini è ionica. In linea di massima, tutte le città doriche sono alleate contro le città ioniche. Fa eccezione Camarina, città dorica alleata però con Leontini. I Sicilioti, in particolare Leontini e le città ioniche, si rivolgono ad Atene, città ionica per eccellenza, per avere appoggio Atene dispose la spedizione con il pretesto dei legami di sangue: in realtà aveva intenzione di interrompere il trasporto del grano da quei paesi al Peloponneso e gettare in quel modo le premesse per un’eventuale, futura ingerenza, più allargata e solida, nello stato politico di quelle città (cap.86) Atene già dal I Libro mostra interesse per la Sicilia (I Libro, cap.36, Corcira è situata proprio sulla rotta per l’Italia e la Sicilia), coltivando ulteriori piani per la sua potenza imperiale. Elisa Bertacin Sezione Appunti Teoria delle relazioni internazionali Il documento non può essere copiato, riprodotto, trasferito su altri siti. Per scaricare appunti in PDF gratuitamente, visita https://www.tesionline.it/appunti14. "Storie” di Tucidide Libro IV : L’episodio di Pilo; la campagna di Brasida in Tracia Nel IV Libro delle Storie, si possono identificare 4 episodi principali, e più precisamente: 1. Episodio di Pilo A prima vista, questo episodio appare come esclusivamente militare, ma, per come nasce, per come si sviluppa e per come si conclude, questo episodio rappresenta un successo inatteso, insperato, quasi casuale che, come tale, dovrebbe suggerire moderazione e prudenza da parte degli Ateniesi, e invece, per la loro indole (o carattere nazionale) non sono affatto contenti di quanto ottengono. In questo episodio, Tucidide riporta solo un discorso, quello degli ambasciatori spartani ad Atene, nel quale chiedono fondamentalmente la pace, suggerendo anche agli Ateniesi di non farsi sviare da quell’improvviso colpo di fortuna. Atene dovrebbe essere più moderata nelle sue richieste (elemento evidenziato dallo stesso Tucidide), cioè di avere salvo l’onore e di tornare ad una situazione di status quo ante, attraverso il reciproco riconoscimento delle sfere di influenza si chiede fondamentalmente ad Atene di contenere il proprio imperialismo. Tutto l’episodio di Pilo è, dall’inizio alla fine, paradossale, perché nasce in maniera del tutto casuale. Demostene è diretto con parte della flotta ateniese a Corcira. NB: a Demostene fu rilasciato su sua espressa richiesta il permesso di impiegare, a proprio criterio, queste forze navali (cap.2) la flotta ateniese parte senza neanche avere una precisa missione. Demostene vorrebbe comunque fermarsi a Pilo e fortificare la zona, ma gli altri strateghi non sono d’accordo, ma sono costretti a fermarsi, quando il caso scelse di scatenare una tempesta che trascinò la flotta a Pilo (cap.3). Poiché il maltempo continua e i soldati cominciano ad annoiarsi, si decide di fortificare la zona, giusto per passare il tempo (cap.4) e in sei giorni gli Ateniesi armarono l’ala della piazzaforte rivolta all’interno della regione (cap.5). Gli Spartani inizialmente decidono di ignorare la cosa, perché impegnati nella campagna in Attica, in seguito diedero con urgenza l’ordine di intervenire, rendendosi conto della gravità della situazione = Atene stava fortificando un territorio spartano (cap.6). La situazione diventa paradossale, dal momento che gli Ateniesi si trovano a combattere sulla terraferma, mentre gli Spartani sul mare: così la fortuna invertì il consueto corso. Gli Ateniesi si stavano difendendo da una posizione terrestre… dagli assalti nemici, inferti dal mare; mentre gli Spartani tentavano con la marina lo sbarco sulla propria terra che l’occupazione di un contingente ateniese rendeva a loro stessi ostile (cap.12). Questa “inversione dei ruoli” viene ripresa anche nel cap.14. Durante la battaglia intorno a Pilo, un contingente spartano viene intrappolato sull’isola di Sfacteria. Sebbene si tratti di pochi spartiati, l’episodio rappresenta comunque un colpo per Sparta, fino a spingerla a trattare con Atene si giunge ad una tregua, che prevede, tra le altre cose, la consegna della flotta spartana, mentre gli Ateniesi, a loro volta, si impegnavano a restituirle, una volta conclusa la tregua (cap.16). Ambasciatori spartani vengono mandati ad Atene per trattare addirittura la pace. Nel loro discorso, gli ambasciatori spartani si appellano a ciò che è utile per Atene: con la missione di Elisa Bertacin Sezione Appunti Teoria delle relazioni internazionali Il documento non può essere copiato, riprodotto, trasferito su altri siti. Per scaricare appunti in PDF gratuitamente, visita https://www.tesionline.it/appuntiindurvi a un accordo che non solo riesca di vantaggio a voi, ma che anche, rispetto al disastro che ci ha colti e nei limiti delle circostanze attuali, rispetti al più alto grado la nostra dignità (cap.17). Secondo gli Spartani, gli interessi per Atene consistono nel cogliere l’attimo propizio, senza tirare troppo la corda, perché quanto successo a Pilo non è frutto dell’inferiorità e dell’impreparazione militare spartana, ma esclusivamente del Caso: la sventura ci ha toccati non in un momento di flessione della nostra potenza bellica… disponevamo di risorse inalterate quando siamo incappati in un errore di valutazione: difetto in cui è naturale cadere, per tutti gli uomini indistintamente se gli Ateniesi sono saggi, non devono basare la loro politica sull’episodio fortunato di Pilo: la prosperità attuale del vostro paese, resa anche più florida dai recenti possessi, non vi seduca né v’illuda che la brezza della fortuna indulgente gonfierà sempre le vostre vele (cap.18). Nel cap.19, nell’offerta di pace spartana, si può ben vedere la classica dicotomia tra una pace di imposizione: quando un avversario, prevalendo per il maggior corso della guerra, acceso da un sentimento di rivalsa, tronca il conflitto opprimendo il nemico; una pace di compromesso: quando, pur serrando nel pugno la forza di imporre quei vincoli, si limita a un trattato onorevole. Gli Spartani sottolineano le virtù di una pace di compromesso e i difetti di una qualsiasi pace di imposizione: la pace di compromesso è più stabile, perché non lascia alcun desiderio di rivalsa in nessuna delle due parti coinvolte se il vincitore si dimostra magnanimo, il vinto sarà battuto una seconda volta, perché, dato questo atteggiamento generoso da parte del vincitore, sarà portato a rispettare la pace e le condizioni impostegli: se l’avversario non concepisce in sé, umiliato e dolente, il dovere di tramare la rappresaglia, ma di ripagare un beneficio, sarà più pronto, per un sentimento d’onore, a rispettare i patti sottoscritti… poiché vige nell’umanità l’istinto di arrendersi serenamente di fronte a chi, a propria volta, mostra la volontà di cedere e di cimentarsi invece, con forsennato slancio, contro la dirupata protervia degli orgogliosi se gli Ateniesi continueranno a mantenere una politica oltranzista, rifiutando ogni forma di compromesso, allora saranno orgogliosi e, come tali, verranno combattuti fino in fondo dagli Spartani. Ma gli Ateniesi, che potevano disporre della vita o della morte di quegli uomini sull’isola, ritennero di poter ormai considerare sicura la facoltà di costringere Sparta, in qualsiasi momento, ad un accordo: quindi manovravano per aumentare le loro richieste (cap.21). Inevitabilmente, le ulteriori richieste degli Ateniesi, capeggiati da Cleone, non vengono accolte dagli ambasciatori spartani. Cleone, infatti, chiedeva la restituzione dello status quo ante = i territori che erano stati ceduti da Atene durante la Tregua dei Trent’anni i colloqui falliscono. Gli Spartani tornano a Pilo e pretesero la restituzione delle navi, come prevedeva la convenzione, ma gli Ateniesi… si rifiutarono in definitiva di ridare la squadra (cap.23), con un pretesto. Così le ostilità avvamparono con inaudita violenza intorno a Pilo (cap.23). Elisa Bertacin Sezione Appunti Teoria delle relazioni internazionali Il documento non può essere copiato, riprodotto, trasferito su altri siti. Per scaricare appunti in PDF gratuitamente, visita https://www.tesionline.it/appunti15. Perché Atene non accetta la proposta di pace spartana? Oltre al carattere nazionale degli Ateniesi, gente che, in base alle parole dei Corinzi, non si accontenta mai, è possibile fornire una spiegazione più razionale: dal punto di vista Ateniese, questa pace di compromesso lascerebbe intatte le forze militari spartane. Da questo accordo, infatti, Sparta non ne uscirebbe per niente indebolita la pace si fonderebbe solamente sulle buone intenzioni spartane e basta. D’altra parte, invece, se Atene continua la guerra e vince, metterebbe Sparta in una posizione talmente inferiore che le sue intenzioni non sarebbero più così importanti la contrapposizione davanti ad Atene è tra intenzioni e mezzi. La proposta spartana è un obiettivo minimo, a cui gli Ateniesi possono sempre ricorrere finché gli spartiati sono prigionieri sull’isola. Tuttavia, gli Ateniesi che assediano l’isola incontrano difficoltà logistiche, che mettono il difficoltà tali operazioni (cap.26, non solo per la scarsità di vettovaglie, ma principalmente d’acqua), tanto che alla fine ad Atene i resoconti sullo stato di sofferenza delle truppe e la notizia che ogni genere di conforto era introdotto per via mare nell’isola, diffondevano imbarazzo e timore (cap.27) Atene si pentiva di non aver stipulato l’accordo (cap.27) il popolo ateniese se la prende con Cleone, colui che aveva suggerito un comportamento così intransigente, il quale, a sua volta, se la prende con gli strateghi, in particolare con Nicia. Questi, allora, gli risponde, cedendogli il comando della spedizione Cleone si accorge di essere stato messo in trappola, ma non può tirarsi indietro fa buon viso a cattivo gioco e si impegnò… nel termine di venti giorni, a trascinare vivi gli Spartani davanti a loro o ad annientarli sul posto (cap.28). Tucidide considera queste parole sventate e presuntuose promesse (cap.28). Anche questa situazione si risolve in modo paradossale: Cleone, pur non essendo di certo un capo, e tanto meno uno stratega, promette di risolvere in fretta quella situazione, nella quale i generali avevano fallito prima di lui. Eppure, paradossalmente, la promessa di Cleone, per quanto avventata, era adempiuta: nel giro di venti giorni, come aveva assicurato, per opera sua i prigionieri si trovavano in Atene (cap.39). Gli Spartani si sono arresi agli Ateniesi e tutta la Grecia stenta a crederlo (cap.40, dai Greci questo fu considerato l’episodio più stupefacente di tutta la guerra). Oltre alle ripercussioni in tutta la Grecia, l’episodio ha ovvie ripercussioni psicologiche sugli stessi Spartani, prima ancora delle serie conseguenza militari dell’accaduto, ora che anche gli Iloti disertavano Sparta viveva ore drammatiche (cap.41) si risolsero… ad inviare ambasciatori ad Atene tentando di riavere Pilo e i propri uomini, ma ancora una volta Atene ambisce a qualcosa di più, le aspirazioni ateniesi si slanciavano più alte dopo frequenti contatti gli ambasciatori furono liquidati con un infruttuoso congedo (cap.41). Certamente, l’episodio di Pilo costringe gli Spartani ad un mutamento di atteggiamento, perché: gli spartiati che erano sull’isola, ora sono prigionieri ad Atene, con la promessa ateniese che verranno giustiziati se Sparta invaderà ancora una volta l’Attica (cap.41) ora, le operazioni terrestri diventano molto più difficili per gli Spartani; le operazioni navali sono di fatto azzerate, dato che la flotta peloponnesiaca è nelle mani di Atene, che non ha più voluto riconsegnarla. Elisa Bertacin Sezione Appunti Teoria delle relazioni internazionali Il documento non può essere copiato, riprodotto, trasferito su altri siti. Per scaricare appunti in PDF gratuitamente, visita https://www.tesionline.it/appunti In un colpo solo, l’episodio di Pilo priva Sparta sia dell’arma delle operazioni terrestri, sia della flotta. Dopo questi eventi, nonostante la gloriosa campagna, più diplomatica che militare, di Brasida in Tracia, gli Spartani adottano un atteggiamento molto prudente, evitando di sfruttare fino in fondo le occasioni che si presentano loro, anzi, sfrutteranno gli eventi in Tracia non tanto per vincere la guerra, quanto piuttosto per giungere alla pace. Il disastroso episodio di Pilo avviene durante il settimo anno di guerra. Molti critici hanno ritenuto che la principale strategia spartana per vincere la guerra facesse leva soprattutto sulle invasioni dell’Attica. Tuttavia, leggendo attentamente i resoconti militari fatti da Tucidide, ci si rende conto della maggiore complessità della strategia spartana: in questi primi 7 anni di guerra, infatti, Sparta invade l’Attica 5 volte, delle quali solo quella del 427 a.C. mirava a distruggere Atene sul posto; le altre, invece, vengono sempre condotte come operazioni di coordinamento con la flotta (era proprio la presenza della flotta peloponnesiaca nell’Egeo a disturbare gli Ateniesi). Un grande fallimento della strategia spartana è di certo il non aver sfruttato a pieno l’arma-defezione di Mitilene: se la flotta spartana fosse arrivata in tempo a Mitilene per impedire l’assedio ateniese della città, probabilmente il corso della guerra sarebbe cambiato. Seguono ulteriori successi ateniesi: spedizione contro il territorio di Corinto (capp. 42-45); a Corcira si assiste alla conclusione della guerra civile, terminata con la distruzione definitiva del partito oligarchico (cap.48): così dal partito popolare furono annientati i Corciresi dei monti (= gli oligarchici esiliati) e tale fu l’esito, almeno per quanto riguarda il periodo di questa guerra, di quell’immenso e sanguinoso tumulto civile la posizione di Atene si rafforza, dato che Corcira è saldamente sotto il controllo ateniese; gli ateniesi intercettano un ambasciatore persiano e scoprono che Sparta è in trattative con la Persia, la quale, però, non sembra capire a pieno le intenzioni spartane (cap.50, i loro propositi non gli riuscivano affatto chiari. Si erano susseguite varie missioni diplomatiche, ma nessuna che concordasse con le altre sui punti da trattare). Chiedendo aiuto ai Persiani, inevitabilmente gli Spartani si troveranno nella condizione di dover dar loro qualcosa in cambio è in gioco il destino delle città greche della Ionia, premio che però Sparta non può promettere, dal momento che si presenta come il liberatore della Grecia; Chio è costretta a demolire le proprie fortificazioni (cap.51). Insieme a Lesbo, Chio era l’altra isola rimasta autonoma ad Atene, e possedeva anch’essa una flotta considerevole Atene disarma l’ultimo alleato autonomo; Atene occupa l’isola di Citera (424 a.C.), con il piano di sfruttarla per future incursioni in territorio spartano la strategia ateniese prevedeva di circondare il Peloponneso (Pilo prima, ora Citera). Inoltre, la posizione di Citera era strategicamente utile, in quanto si trovava sulla rotta verso l’Occidente (soprattutto verso la Sicilia). Elisa Bertacin Sezione Appunti Teoria delle relazioni internazionali Il documento non può essere copiato, riprodotto, trasferito su altri siti. Per scaricare appunti in PDF gratuitamente, visita https://www.tesionline.it/appuntiL’occupazione di Citera è un ulteriore duro colpo per gli Spartani: vigeva in tutto il paese lo stato di all’erta. Li angustiava il sospetto di un criminoso tentativo di sovversione contro l’ordine politico costituito, dopo il serio e folgorante colpo di Sfacteria, mentre il nemico era padrone di Pilo e di Citeria le loro mosse tattiche raddoppiarono in prudenza (cap.55). In questo momento, Atene gode di vantaggi un po’ ovunque: non esiste più la flotta peloponnesiaca in grado di insidiare la supremazia ateniese sui mari; la minaccia di un’invasione terrestre è molto ridotta, data la detenzione degli ostaggi spartiati; a Corcira, la vicenda si è risolta definitivamente con la vittoria del partito democratico tutte le operazioni navali condotte dagli Spartani sul “fronte occidentale” non riescono ad avere la meglio su Atene; non esiste un’immediata minaccia di intervento persiano, dato che il re non capisce le vere intenzioni degli Spartani. A questo punto, il corso della guerra dipende dagli obiettivi strategici che Atene vuole darsi, arrivando così a profilare 2 opzioni: una pace negoziata oppure la guerra fino ad una resa incondizionata. Secondo quanto detto dagli Spartani, Atene dovrebbe agire con moderazione, non continuare a fare affidamento sulla fortuna. Tuttavia, dal punto di vista razionale, una pace di compromesso, dall’ottica ateniese, avrebbe la pesante controindicazione di dipendere dalle promesse della controparte una pace di compromesso avrebbe luogo lasciando intatte le forze militari l’altra parte è ancora in grado, dal punto di vista militare, di causare gravi danni in futuro. Elisa Bertacin Sezione Appunti Teoria delle relazioni internazionali Il documento non può essere copiato, riprodotto, trasferito su altri siti. Per scaricare appunti in PDF gratuitamente, visita https://www.tesionline.it/appunti16. Eventi in Sicilia e loro impatto sulla guerra tra Sparta ed Atene Atene viene descritta ancora una volta come uno Stato che vuole sempre di più, che non è mai soddisfatta di ciò che ha. In questi capitoli, dove Tucidide parla del Summit di Gela, l’imperialismo ateniese viene denunciato da Ermocrate, capo del partito democratico di Siracusa; egli afferma che l’imperialismo ateniese è una minaccia per tutta la Sicilia, non solo per Siracusa e i suoi alleati, tanto che questo discorso può essere considerato la formulazione ante litteram di quella che diventerà la teoria dell’equilibrio, dato che Ermocrate suggerisce che tutte le città della Sicilia dovrebbero unirsi contro la minaccia ateniese. Ermocrate espone la linea politica che mi pare più densa di promesse per l’avvenire dell’intera Sicilia come avevano fatto gli ambasciatori spartani ad Atene, anche Ermocrate comincia il suo discorso esponendo l’utile, il guadagno delle sue proposte. La guerra è un male (cap.59), ma essa viene intrapresa fondamentalmente per 2 motivi: la possibilità di ottenere un vantaggio: quando balena nei suoi progetti la speranza di un acquisto il bisogno di difendere la propria sicurezza: sull’altro fronte, che si difende è più disposto ad imboccare il sentiero di un conflitto, irto di pericoli, che a curvare il capo a un’offesa immediata. Dopodichè, Ermocrate denuncia, come già anticipato, l’imperialismo ateniese: attenti alle proprie opportunità manovrano con quel loro scaltro stile politico, protetti dallo schermo legittimo di un’alleanza (cap.60) l’alleanza è solo il pretesto per l’intervento ateniese, ciò che lo rende legittimo, come ribadito in seguito, nel cap.61: a nessuno sorga il pensiero che la guerra contro Atene coinvolge solo quelli che appartengono al ceppo dorico… l’artiglio di Atene… minaccia in blocco gli averi della Sicilia, le nostre comuni fortune. Se ci assumiamo noi stessi il compito di sollevare una guerra spingendoli a intervenire… se non solo ci distruggiamo a spese nostre, ma tracciamo loro, piana e dritta, la via del dominio, aspetteranno con ansia di vederci all’ultimo stadio dello sfinimento… e compariranno allora con una flotta più potente, bramosi di soggiogare tutta la nostra Sicilia (cap.60) se i Sicelioti continueranno a farsi la guerra tra loro, distruggendosi a vicenda, gli Ateniesi potranno conquistarli uno per uno, molto facilmente. Ermocrate mette dunque in guardia gli Stati minori di fronte alle mire espansionistiche delle Grandi Potenze, le quali molto spesso adotteranno la politica del divide et impera = dividere gli Stati minori e sottometterli uno alla volta. Tuttavia, la spinta espansionistica di Atene è, per Ermocrate, perfettamente comprensibile (cap.61, capisco benissimo e giustifico questi ardori ateniesi) si arrabbia non tanto con gli Ateniesi che vogliono conquistare la Sicilia, ma con le città siciliane stesse, che si fanno imporre l’impero (cap.61, non mi scaglio contro chi aspira all’impero, ma contro chi è troppo supino a lasciarselo imporre). Poiché è universale e perenne impulso nell’uomo dominare chi si piega (cap.61): è la legge del più forte Ermocrate non fa alcuna condanna morale contro gli Ateniesi, perché il loro comportamento è perfettamente comprensibile e in linea con le leggi naturali; ciò che non è naturale è non difendersi, perché è in colpa chi tra noi, conscio di tali principi, non provvede in tempo a misure adeguate di protezione. In seguito, Ermocrate dice che la pace è la Elisa Bertacin Sezione Appunti Teoria delle relazioni internazionali Il documento non può essere copiato, riprodotto, trasferito su altri siti. Per scaricare appunti in PDF gratuitamente, visita https://www.tesionline.it/appuntifortuna più preziosa (cap.62): per “pace” intende la temporanea sospensione delle ostilità tra le città greche della Sicilia, per far fronte al nemico comune combatteremo, io credo, e ricorreremo alla pace quando sarà opportuno (cap.64) la pace invocata da Ermocrate non è un assetto definitivo e completo delle ostilità tra i Sicelioti, ma una soluzione imposta dalle contingenze della minaccia nei confronti di tutte le città. Il discorso di Ermocrate raccoglie molti consensi, e convinse i Sicelioti a stilare una convenzione (cap.65) = fondamentalmente, una pace, della quale viene informata anche Atene, la quale non poteva contestare nulla, dato che era stato invocato il suo aiuto per una guerra, ora sospesa all’arrivo degli strateghi gli Ateniesi rimasti in città ne condannarono due all’esilio… il terzo… a una multa (cap.65). Questo perché secondo loro sarebbe stato possibile sottomettere i centri della Sicilia, se gli strateghi non si fossero lasciati sedurre dall’oro (cap.65) gli strateghi vengono accusati di essersi lasciati corrompere. In realtà, secondo Tucidide, la fortuna che, almeno in quei momenti, gonfiava le vele di Atene, appannava le loro menti:… ogni operazione doveva essere diretta a buon termine (cap.65) Atene sta entrando nello stato d’animo per cui tutto è possibile: ne erano responsabili i clamorosi trionfi che, sorprendendoli, avevano dato ali alle loro speranze (cap.65) i successi del tutto fortuiti ed inaspettati in guerra hanno l’effetto per cui Atene sta perdendo sempre più ogni contatto con la realtà. Le conseguenze si hanno: sul piano psicologico, a livello collettivo sui calcoli strategici, prima accennati, se accettare una pace di compromesso oppure combattere fino alla resa condizionata del nemico. Di certo, anche in questo caso, esiste quella componente del carattere e della tradizione ateniese (non accontentarsi mai); tuttavia, è anche qui possibile affiancare una spiegazione razionale al comportamento degli Ateniesi: la letteratura americana spesso interpreta questo discorso di Ermocrate come una sorta di “dottrina Monroe della Sicilia” (= la Sicilia ai Sicelioti). Questa dottrina non è neutrale, ma, anche indirettamente, favorisce qualcuno rispetto ad altri, in questo caso Siracusa, la città più potente con questa dottrina non ci saranno altre potenze che interferiranno con le vicende interne della Sicilia. Ovviamente, Atene non può essere tranquilla di fronte a questo, perché, da un lato, aveva mire espansionistiche sulla Sicilia, dall’altro, la Sicilia sarebbe diventata impermeabile all’influenza ateniese, con Siracusa che, in quanto città dorica, avrebbe potuto anche schierarsi dalla parte di Sparta. In seguito, Atene dichiara guerra a Megara (capp.66 e seguenti). Il controllo della Megaride, e di Megara in particolare, situata nella zona d’ingresso in Attica, sfruttata dalle truppe peloponnesiache, porrebbe definitivamente fine alle minacce di invasione da sud. Megara è una città democratica, e, come tale, vista con sospetto dagli alleati del Peloponneso. La città è regolarmente invasa dagli ateniesi Megara deve decidere se restare dalla parte di Sparta, richiamando in patria i membri del partito oligarchico, mandati in esilio. Al tempo stesso, i membri del partito democratico sanno che il ritorno degli oligarchi metterebbe a repentaglio la loro stessa sopravvivenza si rivolgono agli ateniesi: intendevano consegnare la città (cap.66) = defezionare dalla Lega del Peloponneso. Le cose, però, non vanno secondo i piani: arriva Brasida (cap.70) e tutta l’operazione fallisce. Elisa Bertacin Sezione Appunti Teoria delle relazioni internazionali Il documento non può essere copiato, riprodotto, trasferito su altri siti. Per scaricare appunti in PDF gratuitamente, visita https://www.tesionline.it/appunti17. Eventi in Beozia e le difficoltà ateniesi Nonostante il colpo di fortuna, Atene comincia già ad essere in difficoltà, in particolare in Beozia. Un gruppo di complici era destinato a consegnare Sife… un secondo avrebbe pensato a consegnare Coronea… Inoltre, gli Ateniesi si sarebbero dovuti occupare di Delio (cap.76). Il successo dipende da una pianificazione perfetta e dalla simultaneità delle operazioni. Tuttavia, le cose non vanno secondo i piani: Sife e Coronea furono occupate in tempo utile dagli Spartani prima dell’arrivo degli Ateniesi (cap.89) Atene riuscì solamente a fortificare Delio (cap.90), causando la reazione di Tebe. Tucidide riporta un breve discorso di Pagonda, famoso generale tebano, rivolto non ai cittadini, ma ai soldati (cap.92). Ciononostante, questo discorso è molto simile a quello di Ermocrate gli Ateniesi si accingono a devastarla, questa terra; è necessario contrastare il passo a ogni armata straniera e nemica, con inalterato vigore; gli dei saranno propizi, perché gli Ateniesi sono dei sacrileghi: il dio stenderà il suo braccio a proteggerci, il dio di cui il nemico ha empiamente preso e trasformato in forte il sacro tempio. La controffensiva si risolve nella battaglia di Delio, la più grande battaglia terrestre della guerra archidamica (= i primi 10 anni della guerra del Peloponneso). È una battaglia famosa, per molti motivi: vi partecipano Socrate, Alcibiade; per le innovazioni tattiche messe in atto da Pagonda; gli Ateniesi subiscono una sconfitta decisiva. Tuttavia, questa battaglia è importante non tanto per l’esito, quanto per le ripercussioni psicologiche che questa sconfitta ha sugli ateniesi: è questa, infatti, la prima seria battuta d’arresto per gli Ateniesi nel corso della guerra. Tuttavia, si ha un importante risvolto psicologico anche per l’altra parte: è una vittoria che ha luogo proprio nel momento in cui tutto sembra perduto. Oltre all’accusa di invasione della Beozia, gli Ateniesi devono rispondere dell’accusa di sacrilegio (cap.97, gli Ateniesi avevano fortificato Delio e… compivano in quel santo luogo le azioni che di norma sono ristrette al suolo profano). Allora gli Ateniesi risposero che era umano sperare, anche dal dio, una certa indulgenza per tutti quei gesti che gli uomini compiono sotto l’incubo della guerra, in ginocchio per le privazioni (cap.98) evidente uso strumentale della religione. Elisa Bertacin Sezione Appunti Teoria delle relazioni internazionali Il documento non può essere copiato, riprodotto, trasferito su altri siti. Per scaricare appunti in PDF gratuitamente, visita https://www.tesionline.it/appunti18. Campagna di Brasida in Tracia È una campagna militare di grande successo, il cui scopo principale è quello di provocare una serie di defezioni da parte delle città alleate ad Atene. Brasida si presenta come un liberatore = la posizione ufficiale di Sparta lancia una politica sistematica di liberazione, cercando defezioni all’interno dell’impero ateniese. Gli Spartani decidono di cambiare strategia e decidono di puntare sull’arma delle defezioni: speravano che l’arma più efficace per costringerli a lasciare la presa fosse la rappresaglia contro i loro alleati… inoltre Sparta desiderava utilizzare questo pretesto per liberarsi di una parte degli Iloti… risoluta a troncare sul nascere ogni chimera rivoluzionaria (cap.80). Dopo i fatti di Pilo, con gli Ateniesi stabilmente sul territorio spartano, gli Iloti si trovano davanti a circostanze favorevoli per un’eventuale ribellione. Un modo per ridurre questo pericolo è quello di mandarli in spedizione, al comando di Brasida, verso la Tracia. Nel cap.81, Tucidide traccia un profilo del Generale Brasida: uomo di polso, e tale lo si rispettava a Sparta, pronto e fermo: nulla lasciava imperfetto… rivelò subito nel suo comando un equilibrio e un’unità singolari, che gli consentirono di staccare da Atene molte tra quelle genti la figura di Brasida è molto importante in questo momento, perché riesce ad alleggerire parte della pressione su Sparta. Si verifica una serie di defezioni da Atene. Elisa Bertacin Sezione Appunti Teoria delle relazioni internazionali Il documento non può essere copiato, riprodotto, trasferito su altri siti. Per scaricare appunti in PDF gratuitamente, visita https://www.tesionline.it/appunti19. Acanto Brasida tiene un discorso ad Acanto, nel quale delinea molto chiaramente quale sarà la sua strategia nella sua campagna in Tracia. Per convincere Acanto a defezionare, Brasida si presenta, innanzitutto come un liberatore: la mia venuta significa libertà per la Grecia… non siamo qui per imporvi la nostra lega, con la violenza o l’inganno: piuttosto ad unire le nostre con le vostre armi contro la schiavitù ateniese (cap.86). Né tanto meno gli Spartani sono ad Acanto per interferire nelle sue vicende interne: non sono qui venuto a sostenere torbidi faziosi (cap.86) Sparta non ha alcuna intenzione di sostenere né il partito oligarchico né quello democratico; vuole solamente distruggere la tirannia di Atene si aspetta di trovare i migliori alleati proprio tra le città soggette ad Atene, i quali dovrebbero semplicemente approfittare dell’occasione che Sparta sta loro offrendo. A chi si ribella spetteranno onore e gloria, perché saranno i primi ad abbracciare la strada della libertà (discorso volto a rassicurare e lusingare Acanto); ma, in caso contrario, con il fuoco e il ferro sul vostro paese tenterò di flettervi a viva forza (cap.87). In una simile eventualità, Brasida si sentirebbe giustificato in un duplice senso: La prima concerne il lato spartano: che con tutte le vostre professioni di benevolenza, se rifiuterete di aderire all’intesa, non s’infligga un guasto a Sparta, in forza del tributo che andate versando nelle casse di Atene Brasida sarebbe costretto a punirli per impedire ad Acanto di continuare a finanziare Atene, danneggiando Sparta. La seconda riguarda il mondo greco: che la vostra ostinazione non faccia intoppo al processo di libertà in atto per tutte le genti. Gli stessi temi verranno ripresi nel caso della defezione di Anfipoli (capp. 102-108), Torone (capp. 110-117) e saranno proprio queste le ragioni a spingere Atene all’armistizio (cap.117) e a provocare le defezioni di Scione (cap.120) e Mende (cap.123). Acanto, vinta dalla parola affascinata di Brasida e preoccupata per il raccolto, decretò la rivolta contro Atene (cap.88). Elisa Bertacin Sezione Appunti Teoria delle relazioni internazionali Il documento non può essere copiato, riprodotto, trasferito su altri siti. Per scaricare appunti in PDF gratuitamente, visita https://www.tesionline.it/appunti20. Anfipoli Ad Anfipoli si studia un complotto per consegnare la città agli Spartani. Tuttavia, la maggior parte della popolazione non è convinta di voler fare tale passo ostacola la defezione interviene Tucidide in persona (cap.104). Quando Brasida si accorge dell’arrivo degli Ateniesi, propose alla città un disegno d’accordo molto moderato, in base al quale tra gli Anfipolitani e gli Ateniesi attualmente in città, a chi lo desiderava, era concesso rimanervi… con assoluta, inalterata equità di diritti. A chi non era disposto, si assegnava la facoltà di sgomberare (cap.105). Questo proclama, diffuso, mutò per lo più lo stato d’animo della popolazione, che si contentava di godere inalterato il possesso della propria città (cap.106). Anfipoli defeziona. Gli Ateniesi cominciano a preoccuparsi per tutte queste defezioni: la conquista di Anfipoli allarmò profondamente Atene, perché si teme che questo sia l’inizio di una lunga serie di defezioni si temeva, di ora in ora, le voci di città alleate in rivolta. Brasida per giunta, in ogni suo atto, manteneva un contegno mite e nei suoi discorsi, dovunque li pronunciasse, insisteva a ricordare che la sua missione significava la libertà della Grecia (cap.108). Segue anche il giudizio, piuttosto acuto, di Tucidide su tutte queste defezioni: la politica spartana ha successo e molte città decidono di defezionare da Atene, ritenendolo il momento più propizio, ma sottovalutando la potenza ateniese: una gara insomma per essere i primi a staccarsi. Neppure si profilava, a loro avviso, lo spettro di un castigo: traviati da una stima di tanto errata della potenza ateniese, di quanto, più tardi, essa spiegò la sua concreta ampiezza (cap.108). Questo errore di valutazione sarà gravissimo, dal momento che Atene scatenerà una pesante rappresaglia contro alcune di esse: è il tratto caratteristico della mente umana: abbandonarsi in ciò che si sogna, a fantasie avventurose e accantonare con analisi sbrigativa, senza appello, ciò che ci disgusta. Sicché le città fremevano d’entusiasmo, colme di fede in un’impunità assoluta. La situazione si è capovolta ed è ora particolarmente favorevole per Sparta. MA anche in questo caso si rivela il carattere passivo ed eccessivamente prudente degli Spartani che non sfruttano a pieno (come dovrebbero) questo momento favorevole. Infatti, alla richiesta di Brasida di inviare un altro contingente a rinforzo, Sparta non soddisfece le richieste di Brasida: ormai la sua figura ispirava un geloso rancore alle personalità più influenti, inoltre si preferiva operare per il recupero degli uomini di Sfacteria e per la fine delle ostilità (cap.108) da una parte si è gelosi, invidiosi, o forse timorosi, della popolarità che Brasida sta acquisendo, dall’altra, c’è il desiderio di pace separata, per liberare così gli spartiati ancora prigionieri ad Atene. Dunque, Tucidide in qualche modo dimostra come anche quel sistema politico che nel Libro I aveva elogiato per la sua stabilità (Libro I, cap.18), in realtà non è perfetta, perché lascia spazio alle gelosie tra i capi, il che può portare a non prendere la decisione giusta. Elisa Bertacin Sezione Appunti Teoria delle relazioni internazionali Il documento non può essere copiato, riprodotto, trasferito su altri siti. Per scaricare appunti in PDF gratuitamente, visita https://www.tesionline.it/appunti21. Torone All’interno della città esiste una fazione pronta a consegnare la città a Brasida (cap.110) per convincere la città a defezionare, Brasida ripeté un discorso simile a quello tenuto in Acanto (cap.114). Si può facilmente notare come Brasida occupi un posto centrale nel IV Libro delle Storie: viene nominato già a partire dall’episodio di Pilo, a Megara (capp. 70-75) e, successivamente, nelle vicende in Tracia. Morirà poco dopo nella battaglia di Anfipoli. Anche nei confronti di Brasida, Tucidide riserva parole di grande ammirazione per la sua influenza, come aveva fatto in precedenza con Pericle e Temistocle. Inoltre, Tucidide riporta il discorso di Brasida ad Acanto (capp. 85-87), in cui si delineano i principi, che rappresentano la chiave di lettura della politica spartana di quel periodo, antiateniese e di liberazione della Grecia dal suo impero. In seguito alle defezioni e alla sconfitta a Delio, gli Ateniesi si rivelano più propensi ad accettare un armistizio: Sparta, che intravedeva esatte le reali paure di Atene, riteneva che questa schiarita nei loro disagi e sacrifici, riteneva che questa schiarita nei loro disagi e sacrifici, con il suo gusto di pace, avrebbe ispirato ai nemici una sete più viva di pace autentica, definitiva, duratura Sparta e Atene stipularono una tregua annuale (cap.117), che implicava il congelamento della situazione: gli Spartani si impegnano a non provocare nuove defezioni gli Ateniesi si impegnano a non intraprendere nuove operazioni militari. Ma ormai la situazione sfugge dal controllo e Brasida continua la sua campagna, causando la defezione di altre 2 città: Scione, dove Brasida, esaltato a liberatore di Grecia (cap.121), ripeté un discorso simile a quello tenuto in Acanto e Torone (cap.120). Non appena Atene venne a sapere della defezione di Scione, si mise subito all’opera per allestire una spedizione punitiva contro Scione… Atene respinse il rischio di un arbitrato… Si fremeva di collera ad Atene (cap.122). Del resto, la verità sulla rivolta di Scione convalidava, piuttosto, il vibrato reclamo ateniese: giacché era divampata due giorni posteriore al patto (cap.122) Scione, in base all’armistizio, non poteva entrare nella Lega del Peloponneso. Gli Ateniesi ratificarono un decreto: atterrare Scione ed eliminarne gli abitanti (cosa che si verificherà nel Libro V, cap.32) Mende (cap.123), dove Brasida fu pronto a garantirne la protezione. In un lampo la voce corse ad Atene: lo sdegno s’inasprì, febbrile e cupo, mentre ci si preparava a muovere in armi contro le due ribelli (cap.123). La fine di Mende viene subito descritta da Tucidide: l’armata al completo si rovesciò nella città, ritenuta conquista bellica, per metterla a sacco. Gli strateghi a fatica li frenarono: avrebbero massacrato anche la Elisa Bertacin Sezione Appunti Teoria delle relazioni internazionali Il documento non può essere copiato, riprodotto, trasferito su altri siti. Per scaricare appunti in PDF gratuitamente, visita https://www.tesionline.it/appuntipopolazione (cap.130). Si nota come i metodi di Atene stiano diventando sempre più duri, tanto che gli strateghi facevano fatica a trattenere le truppe dal massacrare anche le popolazioni dei ribelli. Un ultimo aspetto da notare nel IV Libro è il fatto che le nuove città entrate nella Lega del Peloponneso non vengono trattate come città autonome (a dispetto della fama di Sparta quale “liberatrice” della Grecia, secondo le false promesse di Brasida), ma vengono governate da magistrati spartani: con uno strappo alla legge, costoro condussero anche alcuni giovani da Sparta affinché Brasida li ponesse al governo delle città occupate (cap.132). Infine, è interessante osservare come si verifichi in questo periodo un regolamento di conti tra alleati, indice di come esistano rapporti competitivi anche tra gli stessi alleati: i Tebani atterrarono la cerchia di Tespie, imputandole un sentimento di affetto per Atene (il pretesto). In realtà era questo un loro sogno, da antico tempo: e l’occasione si era offerta propizia, poiché nella battaglia contro gli Ateniesi la morte aveva falciato il fiore della gioventù di Tespie (cap.133). Tebe e Tespie sono città alleate, ma da lungo tempo Tebe voleva distruggerne le fortificazioni e adesso approfitta della situazione favorevole. Elisa Bertacin Sezione Appunti Teoria delle relazioni internazionali Il documento non può essere copiato, riprodotto, trasferito su altri siti. Per scaricare appunti in PDF gratuitamente, visita https://www.tesionline.it/appunti22. "Storie” di Tucidide Libro V : La pace di Nicia Il libro si apre con la scadenza della tregua di 1 anno, che era stata negoziata dopo la campagna di Tracia. Gli Ateniesi si lanciano in un’operazione in Tracia, per riprendersi Torone, cui riservano un duro trattamento: le donne e i fanciulli di Torone furono venduti schiavi, gli uomini della città, i Peloponnesi… subirono la deportazione ad Atene (cap.3). Inoltre in quel tempo i Beoti conquistarono col tradimento Panatto, una piazzaforte ateniese di frontiera (cap.3). Nel corso della campagna in Tracia si giunge alla battaglia di Anfipoli, nella quale gli Ateniesi sono comandati da Cleone, il quale dimostra come gli eventi di Pilo fossero frutto solo del Caso, perché la sua condotta ad Anfipoli è decisamente scadente: impiegò la tattica che gli aveva garantito un successo felice a Pilo, infondendogli fiducia nei suoi lumi di stratega (cap.7), ma Cleone non è per niente uno stratega. La battaglia di Anfipoli si risolve con la morte sia di Cleone sia di Brasida (cap.10). Dopo questo episodio cruento, Sparta e Atene decidono di cominciare i negoziati per la pace, che sfoceranno nella cosiddetta pace di Nicia, del 421 a.C. Quali sono i motivi che spingono le 2 potenze alla pace? Le motivazioni generali delle 2 città nel loro complesso sono chiaramente espresse nel cap.14: Atene temeva fondamentalmente ulteriori defezioni, la piaga principale per l’impero (si approfondiva ad Atene l’inquietudine che il vento della rivolta spirasse più diffuso e vivo dai paesi della lega); inoltre, da un punto di vista più psicologico, gli Ateniesi hanno meno fiducia nella proprie forze (percepivano incrinature sinistre in quella coscienza della propria forza); Sparta era preoccupata sia per la prossima scadenza del trattato di pace trentennale con Argo, accordo che Argo non voleva rinnovare (serio pensiero era l’accordo trentennale di pace con gli Argivi, che stava per scadere: una tregua che Argo non intendeva rinnovare), sia per una probabile rivolta degli Iloti (gli Iloti disertavano), sia per le defezioni a favore di Argo (li mordeva il sospetto, rivelatovi poi giustificato, che alcuni centri del Peloponneso meditassero di passare ad Argo). Infine, era ancora fresco il ricordo della disfatta di Sfacteria (inginocchiati alla sferza di una sciagura, quella di Sfacteria). Tucidide fa poi un’analisi delle motivazioni dal punto di vista dei singoli capi, in luce del cambio ai vertici della direzione politica: da entrambe le parti sono morti i 2 capi che spingevano per la guerra (cap.16, Cleone e Brasida… erano le voci più fiere contro la pace), i quali vengono sostituiti da capi che, per motivi diversi, sono favorevoli alla pace: Nicia voleva chiudere la propria carriera politica “senza macchia”: aspirava a serbarsi integro il frutto dei suoi successi prosperi, mentre la sconfitta non lo aveva ancora toccato le generazioni venture riceverebbero in riverente eredità il suo nome: una vita profusa al servizio dello Stato, tersa di errori (cap.16); Plistoanatte: egli, nel 446 a.C. , aveva comandato un’invasione dell’Attica, poi fallita fu mandato in esilio, ma in seguito fu richiamato a Sparta. Ovviamente, però, questa sua restaurazione era motivo di critica da Elisa Bertacin Sezione Appunti Teoria delle relazioni internazionali Il documento non può essere copiato, riprodotto, trasferito su altri siti. Per scaricare appunti in PDF gratuitamente, visita https://www.tesionline.it/appuntiparte dei suoi nemici riteneva di essere vulnerabile a questo tipo di critiche al suo passato non del tutto limpido in tempo di guerra, mentre in tempo di pace gli attacchi personali contro di lui sarebbero forse venuti meno: se perdura la guerra le personalità più influenti sarebbero sempre state bersaglio degli strali acri dei propri rivali in ogni avversità (cap.17). Gli Spartani convocarono i propri alleati e dopo il voto concordemente favorevole di tutti, esclusi i Beoti, i Corinzi, gli Elei, i Megaresi (contrari a questa linea politica), stipularono un’intesa di pace (cap.17) si può notare come ci siano almeno 4 gruppi che sono contro la pace, perché i Megaresi perché il loro porto è ancora nelle mani degli Ateniesi non sono disposti a trattare la pace in queste condizioni di inferiorità; gli Elei hanno una serie di problemi territoriali con Sparta temono che in condizioni di pace Sparta faccia valere la sua maggiore forza; i Corinzi perché Corcira e Potidea sono ancora controllate da Atene e, in generale, negli ultimi anni Corinto ha perso gran parte del suo potere nel nordovest della Grecia; i Beoti (e fondamentalmente Tebe) temono di diventare vulnerabili alla pressione ateniese se Sparta si ritira e concentra la propria attenzione soltanto nel Peloponneso. Il trattato di pace comporta, tra le altre cose (cap.18): capo V) Gli Spartani e gli alleati restituiranno Anfipoli agli Ateniesi. Nelle città rese dagli Spartani agli Ateniesi, agli abitanti sarà concesso recarsi dove sceglieranno, con la propria roba. Le città stesse, se corrisponderanno il tributo stabilito da Aristide, saranno autonome. capo VII) Gli Spartani e i loro alleati rendano agli Ateniesi Panatto. capo VIII) In quanto a Scione, Torone, Sermiglio, gli Ateniesi decreteranno a loro talento sul destino di queste città e delle altre città. capo X) (È il punto che più scontenta gli alleati) Se saranno intervenute, da una parte o dall’altra, omissioni su uno qualsiasi di questi punti, nel rispetto dei giuramenti, avvalendosi di metodi ragionevoli e ispirati a giustizia, sarà lecito introdurre quelle modifiche che con il consenso di entrambi, Ateniesi e Spartani si riterranno opportune Atene e Sparta possono modificare il trattato a loro piacimento, senza consultare i propri alleati. Da queste clausole si evince come le 2 potenze, in fondo, non si comportino in modo tanto diverso: sono loro che decidono, condizionando le scelte degli alleati il trattato può essere facilmente rivisto su base bilaterale. Inoltre, Sparta si era presentata come il liberatore della Grecia, mentre ora restituisce ad Atene le città che avevano defezionato, lasciando ad Atene anche la libertà di decidere del loro destino ancora una volta, si nota la vera motivazione che guida la politica Spartana, che non è quella ideologica di liberare la Grecia, quanto piuttosto di salvaguardare i propri interessi, anche a costo di grandi concessioni ad Atene. Elisa Bertacin Sezione Appunti Teoria delle relazioni internazionali Il documento non può essere copiato, riprodotto, trasferito su altri siti. Per scaricare appunti in PDF gratuitamente, visita https://www.tesionline.it/appuntiInoltre, di fronte a quell’ostinazione (delle 4 città sopra citate) gli Spartani congedarono gli alleati e strinsero con Atene un’alleanza, stimando questa la tattica più sicura a sedare gli Argivi inquieti (cap.22) oltre al trattato di pace, Sparta e Atene stipulano anche un’alleanza difensiva, in particolare perché Sparta vuole prepararsi all’eventualità di uno scontro con Argo, oltre a quella di una rivolta degli Iloti: se un nemico irrompe nel territorio di Sparta o lo danneggia, gli Ateniesi sosterranno gli Spartani, e viceversa; se la classe servile si rivolta, gli Ateniesi uniranno i propri sforzi agli Spartani con l’impegno più vivo (cap.23). Elisa Bertacin Sezione Appunti Teoria delle relazioni internazionali Il documento non può essere copiato, riprodotto, trasferito su altri siti. Per scaricare appunti in PDF gratuitamente, visita https://www.tesionline.it/appunti23. La cosiddetta guerra archidamica (431-421 a.C.) Segue un commento molto esplicito, da parte di Tucidide, sulla vera natura della pace (cap.25): si astennero da operazioni militari dirette a colpire il suolo dei loro due stati, per sei anni e dieci mesi per quasi 7 anni, Ateniesi e Spartani non si combattono più direttamente, né invadono i reciproci territori; ma all’estero, durante questo periodo di tregua non solida, si infersero a vicenda ferite gravissime. Infine, costrette a sciogliere il patto concluso dopo dieci anni di lotta, riaccesero per la seconda volta lo stato di guerra aperta la guerra è una, perché la pace di Nicia non è in realtà una vera pace, ma soltanto una temporanea sospensione delle ostilità, dal momento che formalmente viene stipulata una tregua, ma non risolve il problema centrale di tutta la guerra, cioè l’imperialismo ateniese e la conseguente paura che suscitava a Sparta. Ma questo problema può essere risolto soltanto nel momento in cui una delle 2 parti viene sconfitta. La tregua durò finché gli Spartani con gli alleati a fianco umiliarono la potenza ateniese e invasero le Lunghe Mura con il Pireo. Ventisette anni di guerra erano corsi fino alla data di questo evento (cap.26). Il cap.26 del Libro V è spesso ricordato come una seconda introduzione (Anche la narrazione di questi avvenimenti è stata composta dallo stesso Tucidide), e vuole proprio essere un elemento di continuità tra la fase della guerra archidamica e gli eventi successivi al 421 a.C. : poiché stilerà un giudizio erroneo, chi non convenga sul definire guerra l’intervallo d’anni in cui prevalse la tregua. Scruti alla luce dei fatti positivi gli elementi che distinsero questo periodo dal precedente o da quello che lo seguì: e potrà riscontrare quanto sia fuor di luogo attribuire gli autentici caratteri della pace a quest’epoca di passaggio: durante la quale né si riconsegnò, né si ottenne ciò che il negoziato aveva prescritto. Tucidide poi riporta alcune notizie sulla propria vita e sul proprio esilio, anni durante i quali ha avuto la possibilità di raccogliere numerose informazioni sugli eventi, soprattutto nel Peloponneso. In questi anni così travagliati si assiste ad una serie di riallineamenti, alcuni solo tentati, altri andati a buon fine. Sicuramente, uno degli attori più attivi è Corinto, che cerca di sabotare la pace, in quanto, essendo i più grandi rivali commerciali di Atene, vogliono arrivare alla sua sconfitta definitiva si rivolge ad Argo, l’altra potenza insoddisfatta della pace (cap.28). Corinto cerca di mettere in guardia Argo sull’alleanza tra Sparta e Atene intavolarono negoziati con alcune autorità argive, risoluti a imporre il concetto che, poiché Sparta aveva ormai stretto obblighi di distensione e di alleanza con Atene, cioè col nemico in passato più fiero, certo in vista dell’asservimento, non della prosperità del Peloponneso, urgeva un intervento sollecito e diretto di Argo (cap.27) Agli Argivi il proposito espresso dai Corinzi parve tanto più accettabile, in quanto si percepiva ormai come Sparta affilasse le armi contro di loro (la guerra con Sparta è ormai prossima un’alleanza con Corinto garantirebbe una elemento immediato di sicurezza, un utile appoggio), ma soprattutto poiché si concretava la speranza di un impero argivo esteso a tutto il Peloponneso (cap.28). Queste righe hanno dato vita ad un lungo dibattito contemporaneo nella teoria delle relazioni internazionali, specie tra i realisti, su quelli che vengono visti Elisa Bertacin Sezione Appunti Teoria delle relazioni internazionali Il documento non può essere copiato, riprodotto, trasferito su altri siti. Per scaricare appunti in PDF gratuitamente, visita https://www.tesionline.it/appunticome i 2 fini idealtipici dell’azione degli Stati: in un mondo anarchico, il fine idealtipico per eccellenza è la sicurezza – posizione sostenuta in particolare da Waltz; soprattutto secondo i cosiddetti realisti offensivi – ed in particolare Mearsheimer – il fine idealtipico è la massimizzazione della potenza. Prendendo il caso emblematico di Argo, vediamo come questa potenza accetti l’alleanza proposta da Corinto per entrambi i motivi è davvero problematico distinguere, sia sul piano concettuale, sia su quello storico, potenza dalla sicurezza: difendendosi, Argo si mette anche in una posizione di potere relativo migliore. Argo si propone dunque (o almeno aspira ad esserlo) come un terzo polo, e prende qui delle misure non solo difensive, ma anche per costruire un impero nel Peloponneso, sostituendosi a Sparta. Mantinea e altre città si dichiarano disposte ad aderire all’alleanza con Argo e Corinto: anche tra gli altri sparsi nel Peloponneso circolavano voci dirette a illustrare per tutti l’urgenza di quel passo: si sussurrava tra i denti che quelli di Mantinea avevano agito in questo modo perché la sapevano più lunga degli altri, e si fremeva di collera contro Sparta, tra l’altro, al ricordo di quell’articolo inserito nel piano di pace… Soprattutto questa clausola rendeva inquieto il Peloponneso, e gli incuteva il sospetto che Sparta trafficasse con Atene, spinta da ambizioni dispotiche sull’intero paese la maggioranza per questa apprensione si affrettava, città per città, a negoziare con Argo i preliminari di un’intesa (cap.29). Anche gli Elei si uniscono all’alleanza con Argo; si iscrissero alla lega… anche i Corinzi e i Calcidesi della Tracia. Per contro i Beoti e i Megaresi, pur attratti da quella causa, preferirono non compromettersi (cap.31). Tuttavia, questo piano così grandioso va in fumo, forse perché Corinto non è del tutto seria nelle proposte avanzate ad Argo. All’inizio della guerra, Corinto aveva minacciato Sparta di defezione, una minaccia fine a se stessa, dato che senza Sparta Corinto non può muovere guerra contro Atene anche l’alleanza con Argo risulta essere ambivalente: se davvero si riesce a costruire un’alleanza forte tanto quanto la Lega peloponnesiaca bene, altrimenti è meglio restare ad osservare che piega prendono gli eventi. Anche Tegea si oppone all’alleanza con Argo e Corinto. Tegea è una solida oligarchia nel cuore del Peloponneso e la sua defezione sarebbe stata importantissima perché avrebbe trascinato con sé anche altre città vicine a Sparta. Ma di fronte alla volontà precisa di Tegea di astenersi da qualunque danno offensivo ai danni di Sparta, i Corinzi, prodigatisi fino ad allora, spensero i propri sediziosi bollori e presero a considerare seriamente il rischio che nessun’altra città si accostasse più a loro (cap.32). Comincia la ritirata dei Corinzi e di altre città, di fronte alla mancanza di un alleato così importante come Tegea. Corinto cerca di convincere i Beoti, ma anche essi rifiutano l’invito (cap.32), perché si sentono intrappolati da una simile proposta: se la Beozia si alleasse con Corinto diventerebbe troppo vulnerabile, legandosi ad Elisa Bertacin Sezione Appunti Teoria delle relazioni internazionali Il documento non può essere copiato, riprodotto, trasferito su altri siti. Per scaricare appunti in PDF gratuitamente, visita https://www.tesionline.it/appuntiAtene, oltre al fatto che si legherebbero con gli Argivi, senza che questo rientri negli interessi della Beozia. Nel frattempo, a Sparta, 2 efori complottano contro il trattato di pace con Atene (cap.36): è questo un chiaro esempio di quella che può essere definita “diplomazia personale” = i piani vengono proposti da 2 personalità molto importanti, che, però, non rispecchiano necessariamente la linea del governo. Secondo il piano, Corinto e Tebe dovevano allearsi con Argo (o almeno di fare finta di allearsi), per poi spingere Argo dalla parte di Sparta, giacché nei programmi di Sparta, prima di aprire le ostilità con Atene e dichiarare scaduta la convenzione, un punto fermo restava l’acquisto della solidarietà, politica e militare, di Argo. In cambio, gli Spartani chiedevano la restituzione di Panatto, da scambiare in seguito con Atene per riavere Pilo. Tuttavia, si verifica un problema di comunicazione, perché vengono informati di questo piano i comandanti, ma non i Consigli federali della Beozia, che detengono il potere decisionale in materia una volta investiti dall’idea di doversi alleare con Argo non sono però a conoscenza dei piani impliciti e temono che si tratti di una vera alleanza i membri dei Consigli beoti bocciarono il progetto, temendo di compromettere le relazioni con Sparta… i Beotarchi, per parte loro, si erano astenuti dal riferire i mandati ricevuti da Sparta (cap.38). Anche l’idea di mandare ad Argo l’ambasceria promessa si arenò: e un generale disinteresse prevalse, nell’attesa torpida di tempi migliori (cap.38). Sparta riesce comunque a giungere ad un’alleanza con i Beoti (cap.39), pur consapevoli dell’offesa inflitta ad Atene, poiché l’accordo prescriveva che solo per decisione unanime si potevano intrattenere rapporti di pace o di guerra (cap.39) e, soprattutto, in seguito alla quale la fortezza di Panatto viene consegnata agli Spartani, cosa che Atene voleva evitare in tutti i modi. In tutta questa situazione confusa, Argo comincia a cambiare atteggiamento, per timore di rimanere isolata gli Argivi stettero sul chi vive… si profilava la minaccia dell’isolamento internazionale Argo ripiega su un patto con Sparta: sotto l’incubo di dover affrontare una coalizione di Sparta, Tegea, della Beozia e di Atene… si era imposta l’opinione che allo stato attuale delle rispettive forze il riparo più utile fosse la firma di un trattato con Sparta, senza discuterne troppo i particolari: e frenarne certi entusiasmi (cap.40) sebbene ambisse alla potenza, ora che questo sogno è sfuocato, l’obiettivo minimo diventa la sicurezza. Nel frattempo, ad Atene, gli animi sono particolarmente accesi, perché vennero a sapere che Panatto era rasa al suolo si fiammeggiò di collera… Sparta aveva l’obbligo di restituire un forte in perfetta efficienza, non dei ruderi: l’offesa era sanguinosa; si veniva inoltre a sapere che Sparta… aveva stretto un’alleanza separata con i Beoti (cap.42). Ben presto, la pace di Nicia si rivela essere una cornice vuota, all’interno della quale le 2 potenze continuano a danneggiarsi a vicenda. L’inasprimento improvviso dei rapporti spartano-ateniesi offrì alle correnti che caldeggiavano in Atene la denuncia del trattato (il “partito della guerra”) l’occasione per riprendere e moltiplicare gli sforzi. Primeggiava tra gli altri Alcibiade, immaturo d’anni a quell’epoca, per qualunque altra città, ma ormai in alto ad Atene (si sottolinea la diversità di Atene dalle altre città), sulle ali del prestigio trasmessogli dagli avi. Costui era certo che il colloquio con Argo avrebbe prodotto miglior frutto: d’altra parte, non era estranea a questo suo rigore contro la pace spartana la trafittura inferta all’ambizione di cui andava superbo, quando gli Spartani negoziarono la tregua valendosi degli uffici di Nicia e di Lachete e scartando, per l’età Elisa Bertacin Sezione Appunti Teoria delle relazioni internazionali Il documento non può essere copiato, riprodotto, trasferito su altri siti. Per scaricare appunti in PDF gratuitamente, visita https://www.tesionline.it/appuntitroppo acerba, il suo nome (cap.43). iniziano i negoziati tra Atene ed Argo per giungere ad un’alleanza. Nicia, a capo del “partito della pace”, cerca di bloccare le trattative, ma Alcibiade gioca un tiro mancino agli ambasciatori spartani, di fronte all’Assemblea ateniese, provocando le ire del popolo (cap.45) Nicia fu costretto a mandare degli ambasciatori a Sparta, chiedendo la restituzione di Panatto e l’annullamento dell’alleanza con i Beoti (cap.46). Di fronte alla risposta negativa di Sparta, Alcibiade ha la strada spianata per giungere all’alleanza con Argo, nella quale si prevedeva un patto di non aggressione (capo II: sarà vietato per legge di brandire le armi per un’aggressione ad Atene e agli alleati, e viceversa) e un’alleanza difensiva (capo IV: si prescrive anche ad Atene di soccorrere Argo, Mantinea ed Elea se un’armata ostile invade i loro territori, e viceversa). Alleanza tra Atene, Argo, Mantinea ed Elea; Corinto è rimasta fuori da ogni intesa, e pensa, anzi, di rientrare nell’orbita spartana (cap.48). Malgrado tutto, non ne nacque tra Spartani ed Ateniesi l’annullamento della loro tregua (cap.48). Segue la campagna militare nel Peloponneso, che culmina nella battaglia di Mantinea, combattuta principalmente da Argo e Sparta, battaglia descritta da Tucidide come il fatto d’armi di maggior peso tra genti greche (cap.74). Questa battaglia è importante soprattutto perché Sparta non perde: se avesse perso, a questo punto tutta la sua alleanza si sarebbe probabilmente sgretolata. Invece, il fatto di essere riuscita in qualche modo a prevalere non ha risvolti importanti solo dal punto di vista militare, ma anche e soprattutto psicologico e politico: si dissolse, alla risolutezza mostrata in quest’ultimo scontro, il nome imposto agli Spartani di viltà, con risonanza via via più larga in quel tempo nel mondo greco, a causa della disfatta sull’isola (= l’episodio di Pilo), e le altre accuse di volontà inerte e goffa (cap.75) con la vittoria a Mantinea Sparta riacquista la sua immagine potente: fu quello il momento per gli Spartani di mostrare, con il più chiaro risalto, che superati da ogni lato per destrezza ed esperienza tattica, si imponevano su tutti per coraggio indomito (cap.72). Ad Argo viene imposta una pace e, inoltre, gli Spartani rovesciarono il governo democratico in Argo, fondandovi una costituzione oligarchica di stampo spartano (cap.81), anche se la democrazia verrà restaurata subito dopo (cap.82). Comunque Sparta riesce a mettere fuori combattimento la minaccia argiva e i suoi progetti di diventare il terzo polo. Elisa Bertacin Sezione Appunti Teoria delle relazioni internazionali Il documento non può essere copiato, riprodotto, trasferito su altri siti. Per scaricare appunti in PDF gratuitamente, visita https://www.tesionline.it/appunti24. "Storie" di Tucidide ultima parte V Libro: dialogo tra Meli ed Ateniesi Melo è una colonia degli Spartani, per nulla disposta ad inchinarsi, imitando gli altri isolani, alla grandezza di Atene. Nelle fasi iniziali del conflitto i Meli si mantenevano in sapiente equilibrio tra gli Stati in lotta: ma in seguito, sforzati dagli Ateniesi che ne devastavano il territorio, ruppero la propria neutralità e fu guerra aperta (cap.84). Non bisogna tuttavia lasciarsi ingannare da questa frase: Melo, infatti, è già parte dell’impero ateniese, ma è uno degli ultimi alleati autonomi, ai quali viene proposto di diventare un alleato tributario. È un dialogo di filosofia politica ha un significato molto più generale dei fatti storici a cui si riferisce, fatti storici del tutto marginali nella cornice della guerra del Peloponneso: il fatto che Atene, nel 416 a.C. assoggetti l’isola di Melo non modifica per niente gli equilibri di potere in gioco. Tuttavia, Tucidide costruisce attorno a questo episodio un vero e proprio trattato filosofico, in cui si toccano altri temi, oltre a quello generale che percorre tutta l’opera, ossia l’imperialismo ateniese: il ruolo dei neutrali; il ruolo della speranza; il ruolo dell’intervento divino nelle vicende umane; principi di base dell’azione umana, tanto che secondo alcuni studiosi, questo dialogo rappresenta un vero e proprio trattato metafisico, in cui il caso di Melo viene visto come l’insieme di problemi e principi eterni. L’episodio di Melo è una situazione idealtipica, perché rappresenta il caso di una grande potenza che esercita la sua piena forza nei confronti di un piccolo stato neutrale, nella sostanziale indifferenza dell’altra grande potenza. Tucidide vuole spiegare le leggi che regolano l’imperialismo ateniese, ponendosi dal punto di vista di Atene; nel caso specifico, l’imperialismo viene osservato in rapporto con la giustizia, con i sudditi, con gli dei, con i rivali è una visione a tutto tondo dei temi trattati in tutte le Storie. È anche uno dei pochi casi in cui gli oratori ateniesi sono anonimi, ma è la città intera che parla, riportando la posizione ufficiale di Atene e, come tale, non riducibile ad un partito, ad un capo o ad una singola fazione. Così quella dei Meli di fronte ad Atene diventa una situazione stereotipa, della quale si possono anche riconoscere dei precedenti. In particolare, sono gli argomenti che vengono sviluppati in un passo della Bibbia, nel Secondo libro dei Re, in cui si descrive il dialogo tra i legati di Sennacherib, re di Assiria, ed i legati di Ezechia, sovrano di Gerusalemme, nel racconto antico-testamentario dell’assedio assiro di Gerusalemme nel 701 a.C.: Il re d’Assiria mandò il tartan, il capo delle guardie e il gran coppiere da Lachis a Gerusalemme, al re Ezechia, con un grande esercito. Costoro salirono e giunsero a Gerusalemme; si fermarono al canale della piscina superiore, sulla strada del campo del lavandaio. Elisa Bertacin Sezione Appunti Teoria delle relazioni internazionali Il documento non può essere copiato, riprodotto, trasferito su altri siti. Per scaricare appunti in PDF gratuitamente, visita https://www.tesionline.it/appuntiEssi chiesero del re e incontro a loro vennero Eliakìm, figlio di Chelkia, il maggiordomo, Sebna lo scriba e Ioach figlio di Asaf, l’archivista. Il gran coppiere disse loro: “Riferite a Ezechia: Dice il gran re, il re d’Assiria: Che fiducia è quella su cui ti appoggi? Pensi forse che la semplice parola possa sostituire il consiglio e la forza nella guerra? Ora, in chi confidi ribellandoti a me? Ecco, tu confidi su questo sostegno di canna spezzata, che è l’Egitto, che penetra nella mano, forandola, a chi vi si appoggia; tale è il faraone re d’Egitto per chiunque confida in lui. Se mi dite: Noi confidiamo nel Signore nostro Dio, non è forse quello stesso del quale Ezechia distrusse le alture e gli altari, ordinando alla gente di Giuda e di Gerusalemme: Vi prostrerete soltanto davanti a questo altare in Gerusalemme? Ora vieni al mio signore, re d’Assiria; io ti darò duemila cavalli, se potrai procurarti cavalieri per essi. Come potresti fare retrocedere uno solo dei più piccoli servi del mio signore? Eppure tu confidi nell’Egitto per i carri e i cavalieri. Ora, non è forse secondo il volere del Signore che io sono venuto contro questo paese per distruggerlo? Il Signore mi ha detto: Va’ contro questo paese e distruggilo”. I temi avanzati dagli assiri sono gli stessi presenti nel dialogo dei Meli e degli Ateniesi: il ruolo della speranza la svalutazione della superiorità militare altrui l’illusione di poter contare sull’aiuto della grande potenza rivale l’estrema risorsa di confidare nella divinità. È difficile sostenere che Tucidide fosse a conoscenza di questo antecedente storico, anche se, forse, non lo si può neanche escludere. Di certo, però, Tucidide conosce un altro precedente molto più vicino e oltremodo pertinente: quello dell’assedio posto da Temistocle all’isola di Andro, episodio narrato con una certa ampiezza da Erodoto, nel Libro VIII delle sue Storie, dove riassume: Temistocle si era presentato loro (i Comitati di Andro) col seguente discorso: diceva che gli Ateniesi erano giunti recando con sé due divinità, Persuasione e Costrizione, e che perciò essi erano assolutamente tenuti a versare il denaro Temistocle offriva un’alternativa agli Andri: o lasciarsi convincer o subire, o la sottomissione pacifica o la sottomissione con la forza. Che è appunto la stessa alternativa dinanzi alla quale vengono ora posti i Meli. Il dialogo è strutturato in 3 parti: 1. parte preliminare (capp. 85-91), nella quale vengono esposte alcune tesi fondamentali sul diritto e la forza; 2. parte centrale (capp. 92-99), in cui gli Ateniesi presentano le loro richieste, affermando che è nell’interesse di entrambi che Melo ceda senza combattere il tema centrale è che Atene ha bisogno di Melo, deve conquistarla; è questa la parte più interessante, dato che può trovare applicazione pressoché generale, non solo specifica all’episodio di Melo; 3. parte finale (capp. 100 e successivi), in cui gli Ateniesi argomentano che Melo non ha alcuna possibilità di successo la tesi centrale è che Atene può conquistare Melo. Atene ha bisogno di conquistare Melo, apparentemente insignificante nella lotta contro Sparta; l’idea di fondo è che Atene teme l’ostilità dei suoi soggetti e, per tenerli sotto controllo, deve dare una dimostrazione di forza (cap.95) non può permettere a nessuno, soprattutto se isole (cap.99), di sottrarsi alla sua autorità. Elisa Bertacin Sezione Appunti Teoria delle relazioni internazionali Il documento non può essere copiato, riprodotto, trasferito su altri siti. Per scaricare appunti in PDF gratuitamente, visita https://www.tesionline.it/appunti La conquista diventa una misura di sicurezza (= motivazioni di un impero in espansione). La neutralità di Melo non è possibile, dato che i soggetti restano sotto Atene solo per la paura che essa suscita loro Atene è costretta a usare la forza. Si crea una sorta di circolo vizioso, in cui chi conquista è costretto a continuare a conquistare, malgrado questo lo ponga in una situazione sempre più pericolosa; e gli Ateniesi ne sono ben consapevoli. L’argomento della sicurezza dell’impero non è nuovo. Era già stato enunciato da Pericle (la guerra deve essere fatta per la sicurezza dell’impero; abbandonare l’impero è pericoloso), da Cleone (la sua ossessione per le defezioni e la necessità di punirle severamente), sarà enunciato da Alcibiade nel VI Libro (vuole prevenire ogni possibile minaccia la spedizione in Sicilia viene giustificata in questi termini). Attraverso questi 3 personaggi, Tucidide traccia anche una ricostruzione storica dell’impero e delle sue necessità. Nel dialogo dei Meli, però, questa necessità è del tutto astratta, perché la politica adottata è frutto puramente di una necessità (non di una deliberazione da parte degli uomini), fine a se stessa, che si impone nel ragionamento degli Ateniesi. Gli Ateniesi seguono una logica che può anche non essere approvata, infatti Tucidide non dà segni di approvazione, ma è comunque una logica molto coerente con se stessa: se si vuole la sopravvivenza dell’impero, bisogna evitare lo scandalo della neutralità di un’isola e, più in generale, di un soggetto politico in un’area sotto stretto controllo ateniese. Questo permetterà di mandare un messaggio agli altri alleati, perché soltanto quando si è temuti si può essere rispettati. I Meli hanno un sentimento molto vivo per la loro indipendenza, agiscono secondo giustizia, sono coraggiosi, ma da un punto di vista politico e razionale, essi sbagliano in pieno, perché si affidano fondamentalmente alla speranza, già duramente condannata nelle pagine precedenti in varie occasioni: Pericle condanna la speranza nel Libro II, cap.62: e non urge vivo il bisogno di affidarsi alla speranza, il cui potere s’impone quando gli eventi sono ambigui, problematici: si sfrutta il calcolo razionale dei fattori in campo per poter contare su un più certo presagio; Diodoto nella sua replica a Cleone nel Libro III, cap.45: su tutto il dominio della speranza e del desiderio: questo di guida, quella di scorta; l’uno fantastica e stilla i particolari del colpo, l’altra riscalda con la suggestione di una lieta fortuna: onde perdite incalcolabili; Ermocrate nel Libro IV, cap.62: la potenza non assicura il trionfo, anche se l’accompagna la speranza; Tucidide nei suoi commenti all’atteggiamento ateniese, a quello degli alleati, nel Libro IV, cap.65: la fortuna… appannava le loro menti… ne erano responsabili i clamorosi trionfi che sorprendendoli avevano dato ali alle loro speranze; e nel Libro IV, cap.108: è il tratto caratteristico della mentalità umana: abbandonarsi, in ciò che si sogna, a fantasie avventurose e accantonare con analisi sbrigativa, senza appello, ciò che ci disgusta. Lo stesso vale per gli dei: essi non aiuteranno Melo è vano contare su di loro; l’idea di una ricompensa divina a chi agisce in modo pio è del tutto estranea allo spirito razionalista del tempo. Il Fato, il Destino è cieco nessuno pensa che ci sia un qualche intervento divino per premiare chi lo merita. Elisa Bertacin Sezione Appunti Teoria delle relazioni internazionali Il documento non può essere copiato, riprodotto, trasferito su altri siti. Per scaricare appunti in PDF gratuitamente, visita https://www.tesionline.it/appuntiInfine, i Meli contano sull’aiuto di Sparta, potenza terrestre, lenta ad agire, pronta ad agire solo in base ai propri interessi le attese dei Meli sono vane. Anche se Atene può conquistare Melo, sa comunque di correre un rischio, evocato ben 3 volte nel corso del dialogo: cap.90: i Meli prospettano l’ipotesi di una disfatta ateniese: nell’eventualità di una disfatta vi scolpireste esempio eterno nella memoria dei popoli; cap.98: i Meli mettono in guardia Atene dall’atteggiamento di coloro che potrebbero trovarsi nella stessa situazione di Melo: tutti gli stati che attualmente non sono iscritti a nessuna lega, credete voi che non prepareranno ostili le armi, quando riflettendo sul nostro destino temeranno di ora in ora che vibriate loro il primo assalto?; cap.110: i Meli ipotizzano l’intervento di un nuovo Brasida, che possa provocare defezioni all’interno dell’impero ateniese: potrebbero offendere il vostro paese e il resto della vostra lega: quegli alleati cui la spada di Brasida non giunse. Ogni volta gli Ateniesi ammettono l’esistenza di tali rischi, ma una volta discutono quanto serio sia tale rischio; la seconda volta specificano quali popoli debbano essere maggiormente temuti (gli isolani); la terza volta rispondono con una minaccia. Queste 3 risposte possono essere identificare alla fine di ciascuna delle 3 parti in cui è stato diviso il dialogo e, mentre nel primo e nel terzo intervento la sconfitta ateniese viene vista come una semplice possibilità, nel secondo la sconfitta ateniese è posta in rapporto con l’imperialismo: gli isolani, piuttosto ci fanno tremare, quelli sì! … Poiché costoro, in uno scatto folle e senza speranza, potrebbero coinvolgerci in una caduta verso ben prevedibili abissi (cap.99). Da qui la necessità di conquistare, per conservare l’impero. Il dialogo, capitolo per capitolo cap.85: discussione procedurale: la discussione viene impostata con un dialogo per semplificare le cose. cap.86: i Meli si lamentano per la pressione militare sotto la quale i negoziati vengono condotti e sono anche consapevoli del fatto che anche se avessero ragione, questo non li salverà: se trionferanno le nostre ragioni di giustizia, ispirandoci fermezza, ci toccherà la guerra. Cedendo, la schiavitù. cap.87: il dibattito verte sulla salvezza di Melo: se la salvezza della vostra gente vi sta a cuore, apriamo pure il dibattito. cap.88: brusco cambiamento di tono da parte dei Meli che hanno esordito lamentandosi della loro condizione e adesso accettano di discutere, senza ulteriori lamentele. cap.89: gli Ateniesi rinunciano (e chiedono ai Meli di fare altrettanto) di fare ricorso ai soliti argomenti, anche se quelli ufficiali (il ruolo benemerito di Atene nelle guerre contro i Persiani; il fatto che Atene viene danneggiata dalla politica di Melo) e pretendono che i Meli non tentino di giustificare la loro condotta con vincoli etici o per il fatto di essere colonia di Sparta. Considerazioni di giustizia sono del tutto fuori luogo, perché siete consapevoli quanto noi che i concetti della giustizia affiorano e assumono corpo nel linguaggio degli uomini quando la bilancia della necessità sta sospesa in equilibrio tra due forze pari. Se no, a seconda: i più potenti agiscono, i deboli si flettono. Elisa Bertacin Sezione Appunti Teoria delle relazioni internazionali Il documento non può essere copiato, riprodotto, trasferito su altri siti. Per scaricare appunti in PDF gratuitamente, visita https://www.tesionline.it/appunti cap.90: anche solo ragionando in termini di interesse, non di giustizia, ad Atene non conviene distruggere ogni senso di giustizia, perché un domani potrebbe trovarsi nella condizioni in cui adesso si trova Melo. cap.91: Atene non teme Sparta in questo momento. Alcuni studiosi commentano questo punto dicendo che “un tiranno non teme un altro tiranno”. Il principale pericolo per Atene adesso sono i suoi soggetti. Gli Ateniesi ribadiscono di essere lì per garantire la sicurezza dell’impero e la soluzione che propongono è vantaggiosa per entrambi. cap.93: la repressione violenta dei Meli sarebbe un danno per l’impero, perché si priverebbe di un alleato che potrebbe versare utili tributi nel corso degli anni per Atene, sottomettere Melo senza distruggerla sarebbe più vantaggioso; viceversa, per i Meli sarebbe più vantaggioso aver salva la vita, piuttosto che essere uccisi. cap.95: l’odio è il collante dell’impero se Atene accettasse la neutralità di Melo, gli agli soggetti non la temerebbero più e, senza avere più timore, non vorrebbero più restare sotto l’impero. cap.97: gli alleati che non vengono aggrediti sono quelli di cui Atene ha paura in questo caso, il reciproco rispetto è basato sul reciproco timore. Nel caso di Melo, però, questo timore non esiste, in quanto forza isolana non certo tra le più potenti. Inoltre, la conquista di Melo metterebbe fine alla sfida lanciata dalla neutralità dell’isola nei confronti della supremazia ateniese: gli isolani devono per forza essere sottomessi. cap.99: Atene è consapevole dell’odio che suscita, soprattutto negli isolani che, esacerbati, già mordono il freno del nostro impero. cap.100: i Meli evocano il tema dell’onore: sarebbe disonorevole, vergognoso, prova di spirito vile, cedere di fronte a questa richiesta. cap.101: secondo gli Ateniesi, ha senso parlare di onore solo quando lo scontro è alla pari. Ma poiché tra Atene e Melo il rapporto non è alla pari, non c’è spazio neanche per considerazioni legate all’onore. cap.102: svalutazione della forza militare: è il “mito di Maratona” = il fatto che in certe circostanze un rapporto di forza non favorevole non preclude il successo. NB: è un mito, che in certe occasioni può verificarsi, ma di norma no e il più forte prevale vana speranza su cui i Meli indugiano. cap.103: la speranza conduce al baratro e induce all’irrazionale, a vedere cose che non esistono rientra tra quelle passioni umane da evitare se si vuole evitare un esito disastroso. cap.104: Melo confida nell’aiuto divino, perché giusta ed innocente, e in Sparta, per i legami etnici e per il senso dell’onore che Sparta dovrebbe avere. cap.105: Atene risponde che anche tra gli dei si applica le legge del più forte. È una legge universale, che riguarda anche il mondo divino e che sarà sempre valida Melo non ha validi motivi per sperare nelle divinità. Quanto a Sparta, essa applica l’onore solo in casa sua, ma non certo nei rapporti con gli altri Stati. Quanto all’interesse, nei loro ideali onesto equivale a gradito e giusto a utile. cap.107: in politica, l’utile va d’accordo con la sicurezza dello Stato Melo non può certo sperare nell’aiuto Spartano solo per elementi di affinità etnica. cap.108: i Meli insistono su 3 elementi, che spingeranno Sparta a correre in loro aiuto: siamo prossimi, come teatro d’operazioni, al Peloponneso e, per concezioni politiche, la comunanza di stirpe ci rende più degni di fiducia degli estranei. Elisa Bertacin Sezione Appunti Teoria delle relazioni internazionali Il documento non può essere copiato, riprodotto, trasferito su altri siti. Per scaricare appunti in PDF gratuitamente, visita https://www.tesionline.it/appunti cap.109: gli Ateniesi rispondono che gli allineamenti e le alleanze prescindono da legami, affinità o contrasti di tipo ideologico non ci si può illudere che la sicurezza assuma il volto dell’affinità politica quando è in gioco la sicurezza, gli allineamenti vengono dettati dalla disponibilità dei mezzi militari. cap.110: i Meli avanzano delle ipotesi “fantapolitiche” su quanto potrebbe accadere a danno degli Ateniesi. cap.111: gli Ateniesi cominciano a perdere la pazienza e rispondono in modo secco: non avete voluto pronunziare una parola sola cui ci si possa umanamente affidare. Il vero disonore consiste nel provocare la rovina dello Stato, non certo cedere ad una potenza ben più forte, diventando un alleato con l’obbligo di versare il tributo. L’attacco all’onore è un topos della filosofia sofistica: chi insiste, nonostante l’enorme squilibrio di forze, a basarsi sull’onore è un folle, perché non ha alcuna speranza di successo provoca la sua rovina con le sue stesse mani. cap.112: i Meli replicano in modo alquanto deludente, e propongono ancora una volta la neutralità, che gli Ateniesi non possono accettare. Gli Ateniesi passarono per le armi tutti i Meli adulti che caddero in loro potere, e misero in vendita come schiavi i piccoli e le donne (cap.116). Elisa Bertacin Sezione Appunti Teoria delle relazioni internazionali Il documento non può essere copiato, riprodotto, trasferito su altri siti. Per scaricare appunti in PDF gratuitamente, visita https://www.tesionline.it/appunti25. "Storie" di Tucidide Libro VI : La spedizione in Sicilia La spedizione in Sicilia rappresenta l’azione imperialistica ateniese per eccellenza, una vicenda a cui Tucidide dedica ampio spazio (2 libri): un’introduzione ad hoc + 192 capitoli + importanti analisi politiche, presenti in 7 grandi discorsi (3 antilogie sul tema dell’imperialismo e della sua crisi + 1 discorso): 1. il punto di vista di Atene: dibattito tra Nicia e Alcibiade In questo dibattito, la discussione si articola attorno a 2 rischi: andare o non andare. Nicia, ancora una volta, sostiene il partito della prudenza, per salvaguardare l’impero. Per contro, Alcibiade difende il principio di conquista = il principio che ha permesso di costruire l’impero, oltre ad essere una necessità. L’accento non è posto tanto sulla spedizione in sé, ma sul meccanismo stesso dell’imperialismo. 2. il punto di vista degli avversari di Atene (in particolare Siracusa): dibattito tra Ermocrate e Atenagora Questo dibattito si incentra sulla discussione su 2 ulteriori rischi: non reagire o reagire troppo. Ermocrate riprende il suo discorso del IV Libro a Gela, auspicando l’unione di tutti i Sicelioti contro Atene, denunciando le sue mire di conquista su tutta la Sicilia. Atenagora, invece, è molto scettico e non crede che gli Ateniesi siano così pazzi da intraprendere una simile impresa. 3. questi 2 punti di vista si confrontano nel dibattito a Camarina: dibattito tra Ermocrate ed Eufemo In questo dibattito, Ermocrate fa un vero e proprio processo all’imperialismo ateniese. Eufemo inizia il suo discorso, giustificando l’impero, riprendendo i classici temi già nominati nella storie: le guerre persiane, la rivalità con Sparta, l’odio dei soggetti… 4. il discorso di Alcibiade a Sparta Dopo esserci rifugiato a Sparta, Alcibiade getta luce sulla politica ateniese e, allo stesso tempo, indica i mezzi più efficaci per contrastare tale politica la spedizione in Sicilia viene a perdersi in un disegno imperiale di grande portata (piano di dominio su tutto il mondo greco). I consigli di Alcibiade spianeranno la strada al disastro che si abbatterà sugli Ateniesi, come narrato nel VII Libro le conquiste pianificate da Atene hanno come risultato il rischio di mettere in pericolo le conquiste già consolidate, mettendo in luce le opportunità, ma anche i pericoli e gli svantaggi di una politica imperialista. Il cap.1 è una sorta di premessa in puro stile tucidideo, proponendo un giudizio molto secco su cosa fanno e su cosa in realtà hanno in mente di fare gli Ateniesi: puntare sulla Sicilia e conquistarla, se possibile. Secondo Tucidide, questa è un’operazione avventata, perché era mistero la grandezza di quest’isola e il numero preciso delle sue genti. S’ignorava d’addossarsi uno sforzo bellico non troppo più lieve di quello spiegato contro il Peloponneso. I capp. 2-5 sono un breve excursus storico sulle vicende siciliane. Al cap.6 Tucidide si riallaccia a quanto introdotto nel cap.1: lo scopo più autentico era la conquista totale: segreto però, sotto il bel velo di un impeto virtuoso ad assistere le genti di ceppo affine e gli alleati di più Elisa Bertacin Sezione Appunti Teoria delle relazioni internazionali Il documento non può essere copiato, riprodotto, trasferito su altri siti. Per scaricare appunti in PDF gratuitamente, visita https://www.tesionline.it/appuntirecente acquisto con il pretesto di assistere gli alleati, Atene si accinge a conquistare tutta l’isola. Il meccanismo di intervento viene innescato ancora una volta dalla richiesta d’aiuto da parte di uno Stato minore, come era già accaduto allo scoppio della guerra, con la richiesta di Corcira (I Libro): qui Segesta chiede l’aiuto di Atene contro Selinunte (cap.6, i Segestani avevano ritenuto di appellarsi ad Atene per un appoggio, sotto forma di una spedizione navale). Per convincere gli Ateniesi, Segesta avanza 2 argomenti di fondo (cap.6): osservazioni di tipo strategico-militare: se i Siracusani spopolavano Leontini e godevano l’impunità, non si sarebbero più contenuti, con il rischio che i Siracusani si decidessero a fornire al Peloponneso il rinforzo di una macchina bellica poderosa una politica accorta suggeriva di contrastare il passo a Siracusa a fianco degli alleati ancora saldi. promessa di finanziamenti: Segesta avrebbe finanziato in misura adeguata l’eventuale sforzo militare ateniese Atene manda degli ambasciatori per accertarsi dell’effettiva disponibilità di risorse finanziare, come affermato dai Segestani. In seguito, Atene decide di intervenire, nominando 3 strateghi: Nicia, Alcibiade e Lamaco, i quali hanno 3 obiettivi (cap.8): sostenere la guerra di Segesta contro Selinunte; favorire il rientro dei Leontinesi nelle loro sedi; operare in Sicilia, riguardo ai vari problemi che sarebbero nati, quelle scelte politiche che, a loro giudizio, promettevano per Atene il frutto più ricco i 3 strateghi hanno essenzialmente carta bianca per avanzare gli interessi ateniesi in Sicilia. Elisa Bertacin Sezione Appunti Teoria delle relazioni internazionali Il documento non può essere copiato, riprodotto, trasferito su altri siti. Per scaricare appunti in PDF gratuitamente, visita https://www.tesionline.it/appunti26. La prima antilogia tra Nicia ed Alcibiade Viene convocata un’assemblea, per chiarire i dettagli della spedizione, nella quale avviene la prima antilogia, tra Nicia ed Alcibiade. I 2 discorsi sono strutturati in modo simile: Discorso di Nicia - Introduzione Nicia giustifica il suo intervento e tutto il suo passato politico (cap.9, sono salito a gradi d’eccellenza nella società; eppure mai in passato ho scelto di pronunciarmi contro coscienza) e ricorda che Atene sta per mettere in pericolo ciò che ha per qualche dubbia speranza di conquista futura: è tempo di mostrarvi quanto sia fuor di proposito la vostra furia, e quanto aspra la conquista che sveglia in voi così calda fiamma (cap.9). Discorso di Alcibiade - Introduzione Giustifica sia il suo intervento sia il suo stile di vita. Egli ricorda che coloro che cercano di distinguersi sono di solito mal visti, proprio come lui (cap.16, io so che questi uomini eletti… riescono in vita anzitutto molesti ai propri contemporanei), ma che essi operano comunque per la gloria della loro città (cap.16, la terra che ha dato loro i natali ne trae gloria, fiera e commessa nel ricordarli come suoi propri figli, artefici di nobili gesta) Discorso di Nicia - Argomento principale Nicia è contrario alla spedizione, perché preferisce una linea politica moderata = consolidare l’attuale impero, prima di avventurarsi in nuove imprese. Al contrario i rischi sarebbero molteplici: doversi confrontare in uno scontro del tipo “tutti contro Atene” alla prima difficoltà: vi lasciate alle spalle in Grecia numerosi nemici e, per l’impazienza di attirarvene qui di nuovi, avete deciso lo sbarco in Sicilia; si può temere che queste potenze, se sorprendono smembrate le nostre forze (e noi proprio in questo senso ci stiamo adoperando) sarebbero liete di aggregarsi alle genti di Sicilia per sferrare contro Atene un attacco generale (cap.10); è meglio consolidare ciò che si ha piuttosto di lanciarsi in nuove avventure: è un’assurda pretesa aspirare a una area di dominio più ampia, finché non conferiamo a quella già a noi soggetta un volto politico pacifico e solido (cap.10); anche se l’operazione in Sicilia avesse successo, questo non significherebbe riuscire poi a mantenerla sotto controllo: è una incoerenza politica, badate, aggredire paesi su cui, pur dopo una vittoria militare non si potrebbe imporre la propria sovranità (cap.11); la Sicilia non è affatto una minaccia per Atene: se i Siciliani stanno, come ora, al proprio posto, non costituiscono affatto un pensiero (cap.11); anzi, ci terrebbero meno in allarme se Siracusa li unificasse sotto il proprio potere, perché toccherebbe poi alla potenza siracusana d’essere annientata dall’ostilità del Peloponneso, il quale, secondo la concatenazione degli eventi, temerà la crescita di questa nuova potenza. Molti critici hanno fatto con queste avvertenze di Nicia un parallelismo a dir poco sconcertante con quanto accaduto e ancora sta accadendo agli Usa in Iraq: anche gli americani hanno cominciato la guerra in un paese di cui non si sapeva molto; inoltre, dopo una rapida vittoria militare, gli americani hanno dimostrato la Elisa Bertacin Sezione Appunti Teoria delle relazioni internazionali Il documento non può essere copiato, riprodotto, trasferito su altri siti. Per scaricare appunti in PDF gratuitamente, visita https://www.tesionline.it/appuntiloro incapacità a gestire il territorio conquistato (proprio come aveva premonito Nicia agli Ateniesi). Discorso di Alcibiade - Argomento principale Alcibiade, favorevole alla spedizione, mostra le possibilità di successo: la Sicilia è un bersaglio facile: in quelle città s’affollano genti miste di razza… per questo continuo mutarsi, il sentimento di patria s’estingue… né lo stato, nel suo complesso, dispone di ordinate installazioni difensive; non possiedono tanti opliti; potremo contare su una folla di barbari, che spinti dall’odio contro Siracusa combatterà sotto i nostri vessilli (cap.17); non c’è nulla da temere dalla Grecia: dalla Grecia non nasceranno intralci, se sceglierete la politica adatta = seguire l’esempio degli antenati durante le guerre persiane: come alla fine delle guerre persiane, Atene ha costruito il suo impero, così ora può espanderlo, basandosi sulla sua potenza navale: la loro flotta non ci infliggerebbe perdite comunque; poiché a coprire Atene lasceremmo una parte della nostra marina, di forza pari a quella di cui essi dispongono (cap.17); la politica imperialistica è necessaria per la sopravvivenza dell’impero; al contrario, la tranquillità è pericolosa disturbare in Sicilia i nemici è necessario perché non disturbino Atene in Grecia (cap.18, disturbare laggiù i nostri nemici e legar loro le mani perché non ci assalgano in patria). Discorso di Nicia - Considerazioni generali sul comportamento imperialistico Nicia collega questo atteggiamento così ambizioso ateniese all’euforia che segue un successo inatteso (Pilo): gli infortuni del nemico non devono stimolarvi all’orgoglio: coltivate piuttosto la coscienza della vostra superiorità quando avrete ridotto ai giusti limiti i suoi disegni ambiziosi (cap.11). Discorso di Alcibiade - Considerazioni generali sul comportamento imperialistico Alcibiade ribadisce la necessità della conquista: non è possibile stabilire in anticipo la grandezza dell’impero (cap.18, non ci è concesso di misurare un anticipato bilancio dei confini entro cui intendiamo stringere il nostro dominio). Atene deve necessariamente tramare minacce contro quello stato, non alleviare la pressione su quest’altro… poiché è sempre vivo il pericolo di cader noi sotto il potere di altri, se non li precorriamo piegandoli le alternative esposte da Alcibiade sono facilmente riassumibili nella classica dicotomia: dominare o essere dominati. Similmente non v’è permesso concepire… una politica di non-ingerenza, altrimenti dovrete anche orientare i vostri principi d’azione in modo che s’inquadrino nella loro mentalità ordinaria: con queste parole, Alcibiade ricorda le posizioni già espresse in precedenza da Pericle e Cleone = se non si è disposti a correre certi rischi, allora tanto vale rinunciare all’impero. L’espansionismo è quasi una condizione vitale, secondo Alcibiade: se la città si ripiega su se stessa, consuma al suo interno… la propria energia… Attraverso la lotta, invece, affinerebbe con più perfezionati progressi le proprie tecniche (cap.18). Elisa Bertacin Sezione Appunti Teoria delle relazioni internazionali Il documento non può essere copiato, riprodotto, trasferito su altri siti. Per scaricare appunti in PDF gratuitamente, visita https://www.tesionline.it/appuntiazione = progresso guerra = sicurezza pace = declino Discorso di Nicia - Attacco reciproco alla controparte Nicia attacca Alcibiade e il suo modo di vivere: v’è uno che, purtroppo acerbo per tanto ufficio, esulta per la sua nomina a comandante e pungola voi ad imbarcarvi, teso con tutta l’anima sul proprio esclusivo egoismo… per puntellare con le rendite del comando le voragini aperte dal lusso nel suo patrimonio (cap.12). Nicia se la prende in generale con i giovani (cap.13, vedo, raccolta davanti a me, questa gioventù spavalda e l’eccitazione che brilla su quei volti, accesa da quello stesso uomo: e ne tremo), invitando gli anziani a farsi valere per la loro esperienza (cap.13, anziani, opponetevi con il vostro voto, per la salvezza della patria). Discorso di Alcibiade - Attacco reciproco alla controparte Alcibiade attacca Nicia, invocando la collaborazione tra generazioni: vige tra noi una tradizione d’armonia tra le classi: modellandoci sui padri, quando una decisione era unanime coro di voci anziane e più giovani e la città guadagnava in benessere, fino ai traguardi di oggi, studiatevi anche in quest’occasione di migliorare con identico metodo le risorse dello stato (cap.18). Al cap.15, Tucidide fa un ritratto della figura di Alcibiade: dal punto di vista della leadership, Alcibiade ha sicuramente la stoffa del grande capo (nella sfera pubblica aveva fornito le indicazioni più efficaci per regolare il corso della guerra), ma al tempo stesso non lo è (a differenza di Pericle), perché vulnerabile dal punto di vista personale, tanto che un vasto strato d’Atene gli giurava aperto odio, nel sospetto che ambisse a farsi tiranno. Questo priverà la città di un personaggio che, in circostanze difficili come quelle in cui si troverà Atene, sarebbe stato probabilmente l’unico in grado di salvare la città dalla rovina (costoro trasmisero ad altri il compito di reggere lo stato: ed in breve sopravvenne la rovina). Dopo Alcibiade, Nicia decide di intervenire nuovamente, per cercare di mettere in luce tutte le difficoltà pratiche che gli Ateniesi sono destinati a incontrare nella spedizione (capp. 21-22): occorre imbarcare un’armata ingente una cavalleria agguerrita è indispensabile che già alla partenza gli effettivi siano completi e in ordine ci servono arcieri in gran folla e frombolieri sul mare ci occorre subito una superiorità indiscussa tutti i preparativi dovranno riuscire il più possibile perfetti, per garantirci una totale autonomia. Nicia avanza tutta una serie di richieste, volte a scoraggiare il più possibile gli Ateniesi. MA, al contrario, gli Ateniesi più sentono dire quanto sia difficile l’operazione, più ambiscono ad intraprenderla: l’impegno Elisa Bertacin Sezione Appunti Teoria delle relazioni internazionali Il documento non può essere copiato, riprodotto, trasferito su altri siti. Per scaricare appunti in PDF gratuitamente, visita https://www.tesionline.it/appuntifaticoso dell’armamento suscitò ben altro in Atene che la rinuncia a quella campagna desiderata: anzi era tutto un accendersi d’entusiasmi, di ora in ora. Sicché Nicia ottenne un effetto opposto: si commentava che i suoi erano consigli d’oro, e da quel momento non c’era proprio nulla da star preoccupati l’eccessivo rapimento della folla dissuase chiunque, anche se in taluni la volontà di dissentire non mancava, dall’opporsi, nel dubbio timoroso che un voto contrario lo potesse mettere nella luce sinistra di perfido cittadino (cap.24). Nessuno è più in grado di fermare la spedizione. È in questo contesto che si verifica l’episodio delle Erme sfigurate, il quale indica come, da un lato, la religione sia presa molto seriamente, ma, dall’altro lato, proprio per questo è strumentalizzata. Le accuse non risparmiavano Alcibiade: e furono lesti a raccoglierle quelli cui la personalità di Alcibiade incuteva più geloso fastidio… Ne adducevano a prova il suo modo personalissimo di vita che calpestava la tradizione: un autentico schiaffo alla democrazia (cap.28). Intanto, la spedizione ateniese parte comunque per la Sicilia, una spedizione che non ha eguali nella storia greca, poiché fu questo il primo armamento varato con le proprie forze da un’unica città con equipaggi interamente greci, il più largo di mezzi e il più magnifico tra quanti, fino a quei tempi, s’erano mai allestiti (cap.31). Inoltre, questa spedizione rimase celebre non meno per lo spettacoloso ardimento…, che per la supremazia strategica sul nemico che si andava ad attaccare; perché inoltre, era l’offensiva transmarina inferta agli obiettivi più remoti che mai in passato dalle proprie basi, e l’impresa scortata dalle speranze più liete per l’avvenire, nate ammirando le disponibilità presenti (cap.31). Frattanto continuavano ad affluire a Siracusa dispacci sull’attacco ateniese (cap.32) si discute su cosa fare. Elisa Bertacin Sezione Appunti Teoria delle relazioni internazionali Il documento non può essere copiato, riprodotto, trasferito su altri siti. Per scaricare appunti in PDF gratuitamente, visita https://www.tesionline.it/appunti27. L'intervento di Ermocrate Il primo ad intervenire è Ermocrate, il cui discorso è così strutturato: ulteriore denuncia dei veri motivi dell’arrivo ateniese: un’armata immensa, di navi e fanterie: formalmente per onorare l’alleanza con Segesta e restituire a quelli di Leontini la loro sede, ma il movente originale è la passione per la Sicilia, in particolare la nostra città, poiché s’aspettano, se la riducono sotto di sé, d’aver via libera per nuove conquiste (cap.33); Ermocrate espone il suo timore per l’arrivo degli Ateniesi, perché questo spingerà le altre città della Sicilia a unirsi a loro: nella storia greca o del mondo barbaro è rarissimo il caso di un’offensiva numerosa che, giunta a gran distanza dai propri porti, abbia felicemente coronato la missione. Poiché gli aggressori non possono soverchiare in numero le genti del luogo e i loro confinanti (cap.33) Ermocrate cerca di delineare l’aspetto positivo dell’arrivo degli Ateniesi, perché questo conferirà a Siracusa uno status di leader ancora più solido dato che, storicamente, le missioni così distanti dalla patria si sono sempre rivelate disastrose per chi le ha intraprese; del resto, la storia di Atene può essere imitata da Siracusa: proprio come la grandezza di Atene è iniziata con il fallimento delle invasioni persiane, così la grandezza di Siracusa potrà iniziare con il fallimento dell’invasione ateniese: il cui nome (degli Ateniesi) echeggiò celebre nel mondo, quando l’offensiva dei Persiani, che aveva scelto a bersaglio, pareva, precisamente Atene, crollò sotto quell’insperata catena di disfatte. Chi ci proibisce di sperare in un successo altrettanto lieto? (cap.33). Spediamo ambascerie in tutti gli altri centri della Sicilia, ammonendo che si corre tutti l’identico rischio, e verso l’Italia, con l’intento di farcela amica, o almeno ostile ad Atene (cap.34) il risvolto pratico immediato proposto da Ermocrate consiste nel cercare più alleati possibili. elenca tutti gli svantaggi strategici cui gli Ateniesi dovranno far fronte; “inganno” psicologico, legato alla dinamica tra chi aggredisce e chi viene aggredito, ulteriore motivo per cui Siracusa e tutte le altre città devono reagire in modo determinato e deciso: è un formidabile vantaggio assumere con piglio risoluto l’iniziativa o, in caso di aggressione, lasciar intender chiaro che si è pronti a respingere chiunque; il loro assalto si fonda su una presunzione, che noi non prenderemo le nostre misure se osservano in noi questo temperamento insospettabile, più della nostra reale potenza d’urto li sconcerterebbe la reazione imprevista (cap.34). Ermocrate è molto ottimista sulle possibilità che ha Siracusa di respingere l’assalto e, anzi, di farsi addirittura carico di una futura leadership sull’intera Sicilia e, magari, sul mondo greco. Gli risponde Atenagora, il quale ritiene che sia poco probabile che Atene sia disposta ad aprire un secondo fronte di guerra (cap.36, è inconcepibile che lasciandosi alle spalle i nemici del Peloponneso e quel teatro di operazioni, con un conflitto non ancora giunto a una svolta risolutiva, costoro si dispongano spontaneamente ad aprire un secondo fronte non meno ampio e infuocato) e giustifica l’insistenza di Ermocrate su una Elisa Bertacin Sezione Appunti Teoria delle relazioni internazionali Il documento non può essere copiato, riprodotto, trasferito su altri siti. Per scaricare appunti in PDF gratuitamente, visita https://www.tesionline.it/appuntipossibile invasione ateniese come copertura di un complotto politico da parte degli oligarchi, gente che sul proprio conto ha la coscienza poco limpida e preferisce seminare in città lo sgomento per occultare meglio il proprio all’ombra del pubblico spavento (cap.36). Anche Atenagora è comunque abbastanza ottimista sulle possibilità che ha Siracusa di vincere: e se proprio venissero, e le novità fossero vere, ritengo che la Sicilia sia, più del Peloponneso, adatta a sgominarli del tutto (cap.37). Intanto, gli Ateniesi iniziavano la traversata alla Sicilia (cap.43). Ma iniziano quasi subito i problemi, perché Atene si accorge che le promesse fatte da Segesta di finanziare l’operazione non sono realmente fondate, dato che Segesta non ha a disposizione tante risorse: in fatto di tesori le promesse risultavano totalmente infondate: di solido restavano sì e no trenta talenti. Quel colpo avvilì subito gli strateghi: l’impresa s’era avviata appena, ed ecco il primo intralcio (cap.46). I 3 strateghi cominciano a discutere sul da farsi: Nicia propone una politica di basso profilo, basata sul minimo indispensabile (= l’appoggio a Segesta): sarebbero sfilati in parata negli specchi di mare prospicienti le altre città: a far sfoggio della potenza ateniese, a testimoniare la sua sollecitudine nel rispondere all’appello di amici e di alleati. Poi via, sulla rotta di ritorno (cap.47). Alcibiade negò il consenso: era impensabile una umiliante ritirata a mani vuote; perché escludere i Siculi da questi tentativi diplomatici? (cap.48) propone di cercare nuovi alleati e con questi portare a compimento l’operazione. Lamaco sostiene che era necessario puntare subito a Siracusa (cap.49); tuttavia, in fatto di decisioni concrete, aderiva anch’egli all’idea di Alcibiade (cap.50). Si cercano nuovi alleati, ma il risultato è assai modesto: Messina nega l’appoggio Nasso si offre di aiutare l’esercito ateniese Catania rifiutò di accogliere gli Ateniesi; tuttavia le sparute forze del partito filo-siracusano di Catania, notato il movimento di truppe dentro la città, caddero preda del panico e sparirono: gli altri cittadini si decisero a un’alleanza con Atene (cap.51). In questo frangente, Alcibiade viene richiamato in patria per chiarire la sua posizione nei reati che la città gli contestava (= la vicenda delle Erme sfigurate) (cap.53). A questo proposito, Tucidide riporta la storia di Aristogitone e Armodio della fine del VI secolo a.C. Che senso ha questa digressione all’interno delle vicende siciliane? Questi 2 personaggi, 2 amanti, abbatterono la tirannia ateniese. Tucidide vuole smascherare questa vicenda, proprio nel mezzo della narrazione dei complotti contro Alcibiade. Tucidide riporta come i 2 amanti uccisero Ipparco, il fratello del tiranno Ippia, contrariamente da quanto sostenuto dalla tradizione, che voleva Ipparco a capo della tirannide i 2 amanti uccisero Ipparco non per motivi politici, ma per motivi del Elisa Bertacin Sezione Appunti Teoria delle relazioni internazionali Il documento non può essere copiato, riprodotto, trasferito su altri siti. Per scaricare appunti in PDF gratuitamente, visita https://www.tesionline.it/appuntitutto personali (Ipparco infastidiva Armodio). L’importanza di questo episodio sta nel fatto di essere narrato in un momento in cui i meccanismi democratici di Atene sono messi fortemente in discussione Tucidide vuole in qualche modo denunciare i difetti della democrazia, la quale si poggia puramente sul mito dei 2 “martiri per la libertà” la riflessione su questi eventi del passato, il ricordo che la tradizione popolare ne conservava vivo, alimentavano tra le forze democratiche in Atene l’insofferenza e il sospetto contro gli incriminati di sacrilegio per lo scandalo dei misteri. Ogni particolare sembrava un tassello nel quadro di un’organizzazione sovversiva manovrata da ambienti oligarchici e votati a un rilancio della tirannide (cap.60). Tra l’altro, Tucidide, riportando tutta la montatura di eventi che viene organizzata per incastrare Alcibiade, condanna anche il sistema giudiziario ateniese, dove esistevano già allora i pentiti, cui si prestava fede, i quali confessavano – anche il falso – perché era più sicuro confessare e ottenere l’impunità che negare e affrontare un incerto processo (cap.60). In seguito al richiamo, Alcibiade e i suoi colleghi preferiscono fuggire: l’idea di un processo, sostenuto da un’accusa sleale li atterriva Alcibiade ufficialmente era bandito, lasciò correre qualche giorno, poi passò da Turi nel Peloponneso a bordo di un battello mercantile. Agli Ateniesi non restò che condannare a morte in contumacia lui e i suoi seguaci (cap.61). La spedizione subisce un ulteriore colpo: dopo le difficoltà finanziare, le difficoltà a trovare nuovi alleati, ora perde quello che tra i 3 era sicuramente il miglior stratega. Dopo la cacciata di Alcibiade, da un punto di vista strettamente militare gli eventi sono abbastanza favorevoli agli Ateniesi: essi vincono il primo scontro con i Siracusani, ma non riescono a sfruttare a pieno il loro successo, perché mancano della cavalleria gli Ateniesi non insistettero nella caccia ai fuggiaschi (gli squadroni di cavalieri siracusani, potenti e invitti, facevano barriera e rovesciandosi sugli opliti nemici, quando avvistavano un tentativo d’inseguimento, li costringevano ad indietreggiare) (cap.70). I Siracusani non si fecero abbattere da questa sconfitta, dato che il loro ardimento era uscito indomito dalla prova: piuttosto la carenza di disciplina li aveva perduti. Inoltre, un elemento di grave intralcio s’era mostrato il numero eccessivo di strateghi disponendo di pochi strateghi, ma valenti, Ermocrate fidava per Siracusa in una pronta riscossa sul nemico (cap.72). Elisa Bertacin Sezione Appunti Teoria delle relazioni internazionali Il documento non può essere copiato, riprodotto, trasferito su altri siti. Per scaricare appunti in PDF gratuitamente, visita https://www.tesionline.it/appunti28. Il dibattito di Camarina Il dibattito di Camarina rappresenta il tentativo di mettere in relazione le ragioni di Atene con quelle dei suoi nemici. Camarina era una città neutrale che fa gola ad entrambi gli schieramenti, i quali avanzano argomenti per convincere un neutrale a schierarsi da una parte o dall’altra. La voce di Siracusa è, ancora una volta, Ermocrate, il quale riprende sostanzialmente i suoi soliti discorsi: mette sotto processo l’imperialismo ateniese: dicono per affinità di ceppo, in realtà è la solita smania di conquista: assicuratisi i possessi greci, ora ritentano il colpo in Sicilia (cap.76) Bisogna cambiare atteggiamento, per evitare che Atene li assoggetti, uno ad uno: qui sono uomini liberi, Dori venuti dal libero Peloponneso a colonizzare la Sicilia. Intendiamo tardare, e cadere, città dopo città, nella rete ateniese? (cap.77). non ha senso per i Siciliani rallegrarsi per un’eventuale sconfitta di Siracusa, per invidia o per timore: non creda che gli Ateniesi agiscano unicamente per castigare Siracusa della sua ostilità: badi ch’io le giovo egregiamente da pretesto… e se smuoviamo in qualcuno la gelosia, o forse anche la soggezione… , e in conseguenza auspica che Siracusa patisca una percossa rude…, costui sappia che il desiderio che nutre valica il confine del potere umano (cap.78): a questo punto, Ermocrate smaschera le intenzioni di Camarina, che vorrebbe che Atene e Siracusa si indebolissero a vicenda, ma che Siracusa, rimanga come potenziale aiuto nel caso in cui gli Ateniesi volessero sottomettere Camarina. Tuttavia, questo è un desiderio che valica il confine del potere umano = alla fine, un egemone ci sarà comunque e Camarina sarà comunque soggetta a qualcuno, o agli Ateniesi o ai Siracusani, perché i rapporti di forza restano comunque troppo sbilanciati. la neutralità non sarebbe corretta e comunque in ogni caso Siracusa si vendicherebbe contro Camarina, sia in caso di sconfitta, sia in caso di vittoria: nessuno concepisca il pensiero che sia equa nei nostri confronti… quell’accortezza politica di non prestar aiuto né all’uno, né all’altro; sul piano legale può parer giusto, non si discute: ma nella realtà è tutt’altro discorso. Giacché poniamo che voi vi ostiniate nel non intervento: l’uno cederà e sarà disfatto, l’avversario lo soverchierà trionfante (cap.80). Machiavelli si è espresso con toni del tutto simili: la neutralità di fatto è pericolosa (Principe, XXI, È ancora stimato uno principe, quando elli è vero amico e vero inimico, cioè quando sanza alcuno rispetto si scopre in favore di alcuno contro ad un altro. Il quale partito fia sempre più utile che stare neutrale: perché, se dua potenti tua vicini vengono alle mani, o sono di qualità che, vincendo uno di quelli, tu abbia a temere del vincitore, o no. In qualunque di questi dua casi, ti sarà sempre più utile lo scoprirti e fare buona guerra; perché nel primo caso, se non ti scopri, sarai sempre preda di chi vince, con piacere e satisfazione di colui che è stato vinto, e non hai ragione né cosa alcuna che ti difenda né che ti riceva. Perché chi vince, non vuole amici sospetti e che non lo aiutino nelle avversità; chi perde, non ti riceve, per non avere tu voluto con le arme in mano correre la fortuna sua) scegliete o una schiavitù pacifica o, superando al nostro fianco il nemico, la facoltà di scuotervi da costoro, dall’infamia di questa soggezione, e di sottrarvi, in rapporto a noi, a un’ostilità che non si estinguerebbe davvero in breve arco di tempo (cap.80). Elisa Bertacin Sezione Appunti Teoria delle relazioni internazionali Il documento non può essere copiato, riprodotto, trasferito su altri siti. Per scaricare appunti in PDF gratuitamente, visita https://www.tesionline.it/appunti Non avrete dato una mano agli uni per salvarsi ( sarebbero oggetto di una eventuale vendetta), e non avrete distolto gli altri da una politica di sopraffazione (cap.80). Elisa Bertacin Sezione Appunti Teoria delle relazioni internazionali Il documento non può essere copiato, riprodotto, trasferito su altri siti. Per scaricare appunti in PDF gratuitamente, visita https://www.tesionline.it/appunti29. L'intervento di Eufemo La voce ateniese è Eufemo. L’esordio del suo discorso è legato all’impero ateniese nel suo complesso: riteniamo indispensabile partire da qualche riflessione sul nostro dominio: in particolare, sui diritti che ce ne garantiscono la legittimità (cap.82). Ancora una volta, Atene cerca di giustificare il proprio impero, con i classici argomenti: il duello con la Persia, fornimmo ai Greci il nerbo più agguerrito di forze marittime Si può criticare qualcuno se s’ingegna per apprestare all’incolumità propria un fidato riparo? Anche ora, preoccupandoci della nostra sicurezza, ci presentiamo in questo paese e ci rendiamo conto che i nostri interessi collimano con i vostri (cap.83) tutto l’impero viene presentato come immediato riflesso della necessità di sicurezza, come ribadito alla fine del cap.83: abbiamo asserito che la nostra egemonia in Grecia è una misura preventiva. Per l’identico fine ci rechiamo qui… nessun intento di far schiava la Sicilia: di preservar noi, piuttosto, con la forza, da un così triste destino. Le città della Sicilia non hanno nessun motivo di temere Atene, dato che per chiunque esercita un potere egemonico – persona o Stato (Atene sembra riconoscere che il suo impero è una tirannide) – non deve esistere logica diversa da quella dell’utile… L’ostilità e l’amicizia obbediscono alla politica: ed i rapporti esterni si colorano dell’una o dell’altra a seconda dell’occorrenza non è vero che Atene deve sottomettere chiunque, indistintamente, ma valuta ciascuna situazione, di volta in volta. La politica ateniese nei confronti degli alleati è dunque differenziata risulta quindi normale che noi qui intendiamo regolare le condizioni di ognuno secondo il nostro vantaggio, badando, lo ripetiamo, a tener d’occhio soprattutto Siracusa. Poiché essa brama di dominarvi e vuol stringervi in una lega, sollevando sospetti nei nostri confronti (cap.85) il vero pericolo per Camarina e per le altre città neutrali è Siracusa (a costoro piuttosto s’indirizzi la vostra sfiducia), perché più vicina, i Siracusani che si trovano appena al di là delle vostre frontiere, non con un campo militare, ma da una base che è addirittura una città più poderosa dell’armata che abbiamo recato con noi approdando, non solo vi tendono agguati di ora in ora, ma quando intravedono, nella compagine di uno Stato, il varco favorevole non allentano più la loro pressione (cap.86). Per questo Camarina dovrebbe unirsi ad Atene, proprio per la comunanza d’interessi, in particolare, la minaccia alla propria sicurezza. Di fronte alle richieste delle 2 parti, Camarina si ritrova a riflettere sui dilemmi della neutralità: qualunque sia la scelta, è una scelta comunque impegnativa, perché la scelta di un campo implica la probabile rappresaglia da parte dell’altro campo. Al tempo stesso, le pressioni sono molto forti da parte di entrambi gli schieramenti, i quali sostengono che comunque la neutralità non sia accettabile. cap.88 Gli Ateniesi riscuotevano le loro simpatie, con la riserva che si sospettava in loro il progetto di assoggettare la Sicilia. gli Ateniesi sono più vicini alla posizione di Camarina, ma sono al tempo stesso più temibili, perché vengono sospettati di voler appoggiare la Sicilia. Elisa Bertacin Sezione Appunti Teoria delle relazioni internazionali Il documento non può essere copiato, riprodotto, trasferito su altri siti. Per scaricare appunti in PDF gratuitamente, visita https://www.tesionline.it/appuntiGli urti con Siracusa, come paese di confine, erano affare quotidiano. il pericolo più vicino è Siracusa. Ma, allarmati non meno dalla possibilità che i Siracusani, stabiliti così vicini, potessero uscire dall’avventura anche privi del loro sostegno, avevano prima contribuito allo sforzo siracusano con l’invio di quello scarso contingente di cavalleria; ma per il futuro si decise, da una parte, di appoggiare (non vistosamente) piuttosto Siracusa, ma con risorse militari ridotte all’essenziale, dall’altra, come misura immediata per non urtare la suscettibilità degli Ateniesi… parve opportuno rispondere, formalmente, in termini identici ai due belligeranti. formalmente Camarina rimane neutrale, ma, in realtà, dà un appoggio modesto a Siracusa, quel tanto che basta per non suscitare una violenta ostilità di Siracusa in caso di vittoria. Camarina sceglie dunque una posizione piuttosto ambivalente, diretto riflesso della sua debolezza. Ancora una volta, gli Spartani non sanno come agire, e in fatto di iniziative pratiche di soccorso erano restii (cap.88). È a questo punto che Tucidide riporta il discorso che Alcibiade tiene a Sparta, una volta giunto nella città, dopo essere fuggito dagli Ateniesi che lo volevano processare, e spronò gli Spartani incitandoli a scuotersi. Anche questo discorso, ancora una volta, ha come tema centrale l’imperialismo ateniese e la sua smania di espansione. Secondo Alcibiade, i fini dell’imperialismo ateniese erano alquanto ambiziosi: passammo in Sicilia anzitutto per soggiogare, se possibile, i Sicelioti, e per estendere poi il dominio all’Italia e mettere più tardi alla prova la resistenza dei possessi cartaginesi e di Cartagine stessa. Se il programma era coronato, in tutto o parzialmente, da lieto successo, si premeditava già da allora un’invasione del Peloponneso… per imporre al mondo greco, in tutta la sua estensione, la nostra egemonia (cap.90). Di fronte a questi piani, Alcibiade suggerisce le migliori strategie di risposta (cap.91): Sparta dovrebbe intervenire direttamente in Sicilia: inviare in Sicilia, imbarcato sulla flotta, un esercito tale che gli uomini dopo aver servito da rematori, cingano appena approdatile armature pesanti fortificare Decelea: attrezzare Decelea a base fortificata: è un incubo costante degli Ateniesi, lieti, per adesso, che tra i vari sacrifici imposti dalla guerra, almeno questa esperienza dolorosa non li abbia ancora toccati. Secondo Alcibiade, chi controlla Decelea controlla sostanzialmente tutta l’Attica, dal momento che Atene sarà subito spogliata delle entrate derivanti dalle miniere argentifere del Laurio…, e soprattutto il taglio sarà netto nei contributi versati dalla lega, i cui soci, riscontrando in voi un impegno più pronto alla guerra si riterranno autorizzati a compiere con molto più comodo il proprio dovere (cap.91). L’occupazione di una località può comportare una serie di effetti a cascata, effetti di tipo politico, diplomatico, psicologico sugli alleati, indebolendo in qualche modo la posizione di Atene. Entrambe le misure proposte da Alcibiade vengono adottate dagli Spartani, che riacquistarono fiducia e confidenza, certi di aver trovato la persona più indicata per questo tipo di informazioni stesero subito il piano per organizzare la testa di ponte a Decelea e la spedizione di primi contingenti, anche limitati, a soccorso della Sicilia (cap.93). Ciononostante, gli eventi sembrano evolversi a favore di Atene, tanto che l’avvenire s’apriva lieto alle speranze. Poiché Siracusa non poteva intravedere la salvezza in una ripresa del conflitto: dal Peloponneso Elisa Bertacin Sezione Appunti Teoria delle relazioni internazionali Il documento non può essere copiato, riprodotto, trasferito su altri siti. Per scaricare appunti in PDF gratuitamente, visita https://www.tesionline.it/appuntinon c’era indizio di una riscossa, di una spedizione di soccorso. Sicché si infittivano, in seno alla stessa cittadinanza, ma anche con Nicia che, deceduto Lamaco, deteneva il sommo comando, i colloqui tendenti ad un accordo (cap.103). Sul campo è rimasto solo Nicia, dalla personalità moderata, prudente, ma neanche lui, secondo i canoni di Tucidide, è un capo, perché esita in momenti determinati e nelle difficoltà. Difficoltà che si delineano già a partire dal cap.104, quando Gilippo, comandante spartano, decise di affrettare la corsa e gli aiuti in Sicilia. Elisa Bertacin Sezione Appunti Teoria delle relazioni internazionali Il documento non può essere copiato, riprodotto, trasferito su altri siti. Per scaricare appunti in PDF gratuitamente, visita https://www.tesionline.it/appunti30. Le "Storie” di Tucidide Libro VII : La spedizione in Sicilia e la sconfitta di Atene Le "Storie” di Tucidide Libro VII : La spedizione in Sicilia (1-59) e la sconfitta di Atene (60-fine) I Libri VI e VII dimostrano che Nicia aveva ragione: non solo in senso generale (si verificano gli eventi da lui previsti), ma anche le sue previsioni vengono riprese da Ermocrate, Atenagora. Viene ampiamente analizzata la posta in gioco (come nel Libro I): la Sicilia è grande e lontana e, secondo Nicia, sarà difficile, se non impossibile, vincerla o controllarla (il pericolo supremo è una sconfitta in territorio nemico: Libro VI, cap.23, “tutto ci sarà ostile, qualora venissimo sconfitti in Sicilia”). Tutto ciò viene confermato in continuazione: le città della Sicilia non si lasciano convincere a schierarsi con Atene; al contrario, formano un blocco anti- ateniese, come previsto non solo da Nicia, ma anche da Ermocrate e da Atenagora; le città della Sicilia non si lasciano controllare, prima di tutto per ragioni logistiche, come previsto da Nicia e confermato da Ermocrate e Atenagora: Nicia Ammettiamo pure di piegare in battaglia quelle di Sicilia: quanto ci costerebbe governare terre così lontane e popolose? (Libro VI, cap.11) Occorrerà trasportare anche dall’Attica riserve abbondanti di viveri (Libro VI, cap.22) Sul piano strategico vantano su di noi questa supremazia significativa: un nerbo potente di cavalli nel loro organico (Libro VI, cap.20) Ermocrate Nella storia greca o del mondo barbaro è rarissimo il caso di un’offensiva numerosa che, giunta a gran distanza dai propri porti, abbia felicemente coronato la missione (Libro VI, cap.33) Il nemico, preso il largo con vettovaglie limitate, in vista di uno scontro diretto, dovrebbe trovarsi in pessime acque circondato da coste spopolate e ostili (Libro VI, cap.34) Atenagora: Mi pare certo che gli Ateniesi non possano far passare qui al loro seguito la cavalleria, né che, una volta sbarcati, sarà loro facile procurarsene (Libro VI, cap.37) quanto alla Grecia, tutta l’analisi di Nicia ruota attorno all’idea di un fronte ostile: Sparta aiuterà Siracusa e Siracusa aiuterà Sparta. Per Alcibiade, invece, questo problema non sussiste, perché dalla Grecia non nasceranno intralci, se sceglierete la politica adatta (Libro VI, cap.17): ciò che rende possibile l’intervento spartano in Sicilia è la presenza di Alcibiade a Sparta perchè Atene ha avuto la follia di condannarlo. Questa è una delle spiegazioni su cui Tucidide insiste in maniera particolare: costoro trasmisero ad altri il compito di reggere lo stato: ed in breve sopravvenne la rovina (Libro VI, cap.15) la rimozione di Alcibiade viene vista da Tucidide come una delle cause della rovina di Atene in Sicilia. Questo giudizio viene dato in un ritratto abbastanza severo nei confronti di Alcibiade, al quale, però riconosce alcuni meriti: da qui giudica una follia il fatto che gli Ateniesi abbiano voluto sbarazzarsi di lui. Elisa Bertacin Sezione Appunti Teoria delle relazioni internazionali Il documento non può essere copiato, riprodotto, trasferito su altri siti. Per scaricare appunti in PDF gratuitamente, visita https://www.tesionline.it/appuntiI 2 suggerimenti dati agli Spartani da Alcibiade (intervenire in Sicilia e fortificare Decelea) vengono effettivamente messi in pratica da Sparta, e saranno proprio i 2 accorgimenti che più metteranno in difficoltà gli Ateniesi: senza l’intervento spartano, Siracusa sarebbe stata sconfitta e, anzi, lo sarebbe stata in un tempo ancora più breve se Nicia avesse adottato una serie di strategie più decise e determinate. Infatti, alla fine del Libro VI i Siracusani sono quasi pronti a negoziare, ma proprio in quel momento arrivano le navi spartane in loro aiuto, ribaltando la situazione; la fortificazione di Decelea è sicuramente altrettanto seria nelle conseguenze su Atene. Se è stata una brutta idea da parte di Alcibiade insistere così tanto sulla spedizione, l’idea che hanno avuto gli Ateniesi di condannare Alcibiade è ancora più grave, perché era probabilmente l’unico che, in quella brutta situazione, avrebbe potuto ottenere un successo. Tutto questo può essere messo in relazione con il giudizio, fatto da Tucidide nel Libro II, cap.65, sulla politica di Pericle: in Atene, la resa si delineò inevitabile solo quando, nel cuore della città, gli scontri tra le individuali smanie di potere ebbero consumata e arsa ogni energia il problema principale per Atene deriva proprio dalla sua instabilità interna, dagli scontri tra fazioni, che la porteranno, nel Libro VIII, al colpo di stato: i responsabili sono, principalmente, i politici, che non riescono a mettersi d’accordo per l’interesse della città. Il Libro VII esordisce più o meno notando come Siracusa fosse ad un passo dal collasso (cap.2, tanto rischio finiva per minacciare Siracusa) (in netto contrasto con la schiacciante vittoria finale che i Siracusani conseguiranno). Tutta la narrativa del VII Libro è fondamentalmente dedicata alle vicende belliche, sulle quali aleggia il carattere aleatorio del tutto, l’imprevedibilità della guerra, sia dal punto di vista materiale, sia da un punto di vista psicologico: Tucidide infatti fa una completa analisi non solo delle vicende belliche in sé, ma anche delle ripercussioni psicologiche che questi eventi hanno sulle parti in causa (come ripreso da Clausewitz, in guerra tutto è possibile). Al cap.6 troviamo il primo serio insuccesso ateniese su terra: durante l’assedio di Siracusa, attraverso la costruzione di fortificazioni, gli Ateniesi decidono di costruire un muro per circondare la città, ma i Siracusani accelerarono i lavori al contrafforte e finirono col superare trasversalmente l’estremità del baluardo nemico. Sicché gli Ateniesi non avrebbero più avuto facoltà d’interromperli e si vedevano definitivamente sottratta, anche nel caso di un trionfo campale, l’occasione di cingere completamente in avvenire la città nemica. Siracusa chiede nuovi aiuti a Sparta Gilippo si mise in viaggio diretto ai vari centri della Sicilia per radunare forze terrestri e navali; nuove ambascerie siracusane e corinzie partirono per Sparta e Corinto, per ottenere il passaggio di truppe fresche (cap.7). Lo stesso fa Nicia, che spedì anche lui una missiva ad Atene (cap.8), attraverso una lettera, nella quale chiede, tra le altre cose, di essere rimosso dal comando, dopo essere rimasto solo e malato. Nicia chiede rinforzi, dopo aver delineato il quadro (tragico) delle operazioni in Sicilia: gli equipaggi son decimati… gli uomini escono a far legna, a rapinare e a cercar acqua lontano, e cadono sotto i colpi della cavalleria nemica. Mentre gli schiavi, dopo che tra noi e le forze avversarie s’è imposto l’equilibrio, disertano (cap.13). La Elisa Bertacin Sezione Appunti Teoria delle relazioni internazionali Il documento non può essere copiato, riprodotto, trasferito su altri siti. Per scaricare appunti in PDF gratuitamente, visita https://www.tesionline.it/appuntisituazione è dunque seria, data l’impossibilità d’arginare questo fenomeno, oltre all’ostacolo di non poter reperire gente da nessuna parte per colmare i vuoti nelle ciurme (cap.14). Sicché: o li dovete richiamare o li soccorrete con l’invio di un contingente non inferiore, di fondi cospicui e di un sostituto per me (cap.15). (cap.16) Gli Ateniesi non esentarono Nicia da comando e Decretarono la spedizione di un nuovo contingente. Nel sommo comando furono eletti Demostene ed Eurimedonte. NB: Demostene è lo stesso stratega ateniese che era stato l’ideatore dell’operazione a Pilo è particolarmente inviso e odiato dagli Spartani. Contemporaneamente, seguendo i suggerimenti di Alcibiade, gli Spartani con gli alleati irruppero nell’Attica; poi si diedero a fortificare Decelea… La piazzaforte, cui giungeva vista fino da Atene, sorgeva con l’intento strategico di danneggiare la pianura e trafiggere i nodi vitali del paese (cap.19) la fortificazione di Decelea ha, al solito, una duplice conseguenza: serie conseguenze dal punto di vista materiale (danneggia la pianura e il commercio), ma anche una ripercussione psicologica (gli Ateniesi potevano osservare questa piazzaforte spartana sul loro territorio). Seguono altri successi sul campo dei Siracusani, che arrivano ad occupare il Plemmirio, causando danni sia materiali sia psicologici: Il danno più grave, che colpiva in punti vitali il contingente di spedizione ateniese risultò la perdita del Plemmirio. Ora neppure i punti di sbarco per l’afflusso dei viveri erano più garantiti l’infortunio sorprese e fiaccò l’armata (cap.24). A questo punto, Atene comincia a sentire il peso della guerra su 2 fronti, difficoltà prevista anche questa da Nicia: il fardello più pesante era il simultaneo impegno in 2 conflitti distinti per queste circostanze, ed ora per le perdite inflitte da Decelea occupata, rese più gravi dalle nuove spese che grandinavano sulle finanze stremate, l’economia statale corse a una totale disfatta… Le spese non erano più quelle di qualche tempo prima, essendo giunte a livelli molto superiori in rapporto alla energica ripresa delle attività belliche, mentre le rendite continuavano a scemare (cap.28) la situazione si fa complicata anche dal punto di vista finanziario. Considerando che la grandezza di una città imperiale si vede dalla flotta e dalle finanze, è particolarmente significativa questa crisi finanziaria che sta mettendo in ginocchio Atene. Ormai, si può dire che l’intera Sicilia, tranne Agrigento (che era neutrale) schierava compatta le sue genti, anche chi prima se ne stava in cauta attesa, a fianco dei Siracusani contro Atene (cap.33) si stanno verificando tutte le condizioni previste da Nicia prima della spedizione. Segue la prima vittoria siracusana sul mare (cap.41, nello scontro navale i Siracusani riuscirono vincitori), vittoria che Tucidide commenta nel seguente modo: elevarono, in memoria del doppio confronto con gli Elisa Bertacin Sezione Appunti Teoria delle relazioni internazionali Il documento non può essere copiato, riprodotto, trasferito su altri siti. Per scaricare appunti in PDF gratuitamente, visita https://www.tesionline.it/appuntiAteniesi, i due trofei, e come nutrivano ormai incontrollabile la cosciente speranza d’uscir sempre dominatori in avvenire da ogni combattimenti marino, così s’affermava in loro la presunzione di poter presto avere in pugno anche le sorti del conflitto terrestre il successo per mare dei siracusani, del tutto inatteso, dato che Atene è la maggiore potenza navale del tempo, conferisce loro ulteriori speranze di vittoria. Gli Ateniesi, dopo l’arrivo di un nuovo contingente, guidato da Demostene, si interrogano sul da farsi. Demostene, uomo pratico e determinato, vuole sfruttare il terrore dei siracusani per l’arrivo della nuova armata, per giungere ad uno scontro decisivo, in base al quale decidere se proseguire la campagna o se ritirarsi, in condizioni tali da essere comunque in grado di reagire sul fronte in Attica. Nicia è colpevole, da un punto di vista strategico, di non aver investito Siracusa al suo arrivo, facendo sì che gli avversari lo disprezzassero: Demostene valutò lo stato delle operazioni, e si rese conto come fosse impossibile attardarsi senza ripiombare nelle difficoltà che avevano travagliato il comando di Nicia (costui, infatti, appena dopo la sbarco incuteva sgomento: ma poi non s’era mostrato pronto ad aggredire Siracusa, e passato a Catania vi aveva trascorso l’inverno: intanto nel nemico cresceva il disprezzo) (cap.42). Demostene, sapendo che l’effetto paralizzante del terrore si poteva estinguere nello spazio di quel primo giorno d’arrivo, volle con risolutezza far leva sullo smarrimento che la comparsa delle sue milizie seminava tra i reparti nemici (cap.42). L’obiettivo è la distruzione delle fortificazioni siracusane sulle Epipole: nel caso l’operazione avesse successo, sarebbe un “trampolino” per attaccare in modo decisivo la città (l’azione gli fruttava la presa di Siracusa), oppure una buona occasione per rimpatriare l’esercito, troncando il logorio delle forze impiegate nella campagna e il dissanguamento generale delle risorse statali. Segue la descrizione della famosa battaglia delle Epipole, il punto di svolta della guerra in Sicilia, l’atto decisivo della sconfitta ateniese. In questa battaglia si concentrano tutti quegli elementi che rendono la guerra un evento incerto ed imprevedibile: gli Ateniesi sono ad un passo dalla vittoria, ma, per una serie di “casi”, di circostanze del tutto fortuite, subiscono una disfatta disastrosa. In base alla descrizione di Tucidide, ormai la pressione ateniese si sfogava in un’avanzata sconvolta dal disordine, nell’eccitazione di una supposta vittoria. Fu così che gli Ateniesi si videro faccia a faccia coi Beoti, che per primi sbarrarono loro il passo e appoggiando colpi su colpi anzitutto li piegarono, poi li volsero in rotta (cap.43). Elisa Bertacin Sezione Appunti Teoria delle relazioni internazionali Il documento non può essere copiato, riprodotto, trasferito su altri siti. Per scaricare appunti in PDF gratuitamente, visita https://www.tesionline.it/appunti31. Il declino della potenza ateniese Causa principale di disfatta, in buona parte, fu il canto del peana (= canto di guerra dei greci): suonando quasi identico da un lato e dall’altro seminava il dubbio la sconfitta è causata da un canto di guerra che, essendo molto simile per entrambi gli schieramenti, ha creato caos e confusione, determinando di fatto la sconfitta ateniese con i nemici alle costole, molti si precipitavano per le scarpate, sfracellandosi… e all’alba alla cavalleria siracusana bastò un carosello e una carica per distruggerli. Coerentemente con quanto pianificato in precedenza, Demostene vorrebbe ritirarsi, data l’urgenza di sgomberare da quei luoghi (cap.47). Anche Nicia comprendeva che lo stato degli Ateniesi in Sicilia era più che critico, ed è dunque favorevole alla ritirata, ma non se la sentiva di rivelare apertamente la fragilità delle loro posizioni, perché questo avrebbe potuto scatenare un potente attacco da parte dei Siracusani e dei loro alleati. Inoltre, dichiara di essere in possesso di informazioni, in base alle quali in seno a Siracusa operava un certo partito impaziente di aprir le braccia agli Ateniesi e di consegnar loro a città (cap.48). È naturale chiedersi quanto queste informazioni siano vere ed accurate o se, come qualcuno ha sostenuto, siano state date ad arte dalla parte nemica per indurre gli Ateniesi a rimanere, ed essere completamente distrutti. Ma c’è anche un altro motivo, che frena Nicia dal ritirare immediatamente le truppe: Nicia è ben consapevole di come gli Ateniesi interpreterebbero un ritiro “a mani vuote”. NB: nel Libro IV, cap.65, gli Ateniesi condannarono quegli strateghi che erano tornati a mani vuote dalla Sicilia, con l’accusa di essere stati corrotti. cap.48 Quei tanti che ora strepitavano d’essere cinti dovunque da minacce, appena in patria avrebbero levato ben diversi strepiti: strateghi venduti, vi siete ben lasciati convincere dai denari a disertare! Conoscendo personalmente il carattere ateniese, Nicia decise, anziché farsi uccidere da una sentenza vergognosa e iniqua del tribunale ateniese, di affrontare contro il nemico, se necessario, tra i pericoli della lotta il medesimo destino di morte. cap.49 Nicia opponeva il veto: e di qui insorsero ripensamenti e lentezze… in questo stato d’animo gli Ateniesi differirono ogni mossa e si tennero in quella contrada. Quando finalmente Nicia e gli altri strateghi decidono di partire, ebbe luogo un’eclisse di luna (cap.50): la truppa ateniese… pretese che gli strateghi differissero che fosse attuato il rito di attenuazione di quell’evento, considerato un presagio nefasto. E Nicia (proclive non poco, forse troppo, alle divinazioni…) rifiutò che si discutesse oltre sui dettagli della partenza, in attesa che spirassero tre volte nove giorni, come prescritto dagli indovini, comportamento che decisamente non ci si aspetta da un capo. Rinviata ancora una volta la partenza, gli Ateniesi si scontrano nuovamente con i Siracusani e fu netta e fulgida, in quest’ultimo scontro, la vittoria navale siracusana (cap.55). Elisa Bertacin Sezione Appunti Teoria delle relazioni internazionali Il documento non può essere copiato, riprodotto, trasferito su altri siti. Per scaricare appunti in PDF gratuitamente, visita https://www.tesionline.it/appuntiCome sempre, questo evento ebbe immediate ripercussioni a livello psicologico, oltre che strategico- militare. Infatti, nella parte ateniese, al disappunto fierissimo s’aggiungeva, anche più vivo, il rimorso d’essersi arrischiati in una simile impresa (cap.55). Per contro, i Siracusani… meditavano di bloccarne l’accesso (al porto), affinché gli Ateniesi, anche volendo, non fossero più in grado di uscirne senza suscitare l’allarme ormai non badavano più a procurarsi soltanto la propria salvezza: si cercava in tutti i modi di precludere al nemico ogni scampo (cap.56) Siracusa, dopo essere stata aggredita, pensa in primo luogo alla propria salvezza e, una volta che questo obiettivo è assicurato, passa a negare la stessa salvezza al nemico non si accontentano più di difendersi, ma vogliono distruggere gli Ateniesi, il che sarebbe stato per Siracusa motivo di prestigio e di vanto senza precedenti (cap.56, per i Siracusani, se arrivavano a trionfare con la marina e l’armata terrestre sugli Ateniesi e i loro alleati, sarebbe riuscito splendido l’esito del duello agli occhi degli altri Greci). E del resto, è quanto aveva immaginato Ermocrate: come gli Ateniesi erano diventati potenti perché avevano sconfitto in modo del tutto sorprendente i Persiani, lo stesso sarebbe potuto succedere per Siracusa (Libro VI, cap.33) una volta garantita la propria sicurezza, si può pensare alla gloria: il merito sarebbe toccato a Siracusa, con la corona di un’ammirazione perenne, una gloria non fine a se stessa, ma che si basa su rapporti di forza alla pari con i Corinzi e gli Spartani: l’idea di riuscire a distruggere gli Ateniesi implica che Siracusa si mette a pari livello con le 2 più grandi potenze dopo Atene (cap.56, non isolati, ma alla testa della propria lega, reggendo con Corinzi e Spartani le redini della guerra, schierando la propria città ai primi posti di combattimento e imprimendo al progresso della propria marina una spinta poderosa). Segue il disperato tentativo ateniese di forzare il blocco navale (capp. 60 e seguenti) e, nel discorso di Nicia per risollevare il morale delle truppe, vengono toccati temi familiari: Nicia infatti ricorda che nella guerra agisce l’imponderabile (cap.61): prima di lui, già i Meli avevano utilizzato questo argomento come motivo di perseveranza dell’azione (Libro V, cap.102, talvolta le sorti della guerra si orientano verso equilibri che le rispettive potenze in campo non lascerebbero mai supporre), argomenti esposti da chi si trova in una posizione nettamente inferiore, senza via d’uscita, tanto che si è arrivati a definirli gli “argomenti del debole”, che non ha altre risorse a cui attingere. E proprio come i Meli, anche Nicia si appellerà in seguito alle divinità. Gilippo e gli strateghi a lui affiancati avanza argomenti molti più concreti di quelli dei Siracusani, che puntano alla gloria della loro città: Atene va distrutta per evitare che dia ancora fastidio è più che doveroso, più che legittimo, contro forze nemiche, l’atto di chi s’arroga a suo diritto di spegnere nel sangue dell’invasore l’intima febbre di vendetta… che siano i nostri nemici più fieri, a voi tutti è noto. Son piombati sulla nostra terra per soggiogarci bisogna infliggere una punizione memorabile agli aggressori (cap.68). Nicia, invece, seguitava con gli argomenti cui ogni uomo, davanti a simili strettezze, usa ricorrere senza preoccuparsi di figurare come quello che fa continuamente l’eco a motivi già consunti dalla tradizione; e vi aggiungeva i triti avvisi che in circostanze di questo genere tornano, ritornello antico, sulle famiglie, sui figli, sugli dei patrii: sorgono spontanei alle labbra, e si ritengono utili nei momenti di sconforto (cap.69). È da sottolineare a riguardo l’atteggiamento di Tucidide, che descrive Nicia con parole di distacco, parole che Tucidide riserva a chi ormai non risponde più ai principi di razionalità. Segue la sconfitta finale di Atene sul mare, con i conseguenti rilievi psicologici, tanto che il terrore dilagante Elisa Bertacin Sezione Appunti Teoria delle relazioni internazionali Il documento non può essere copiato, riprodotto, trasferito su altri siti. Per scaricare appunti in PDF gratuitamente, visita https://www.tesionline.it/appuntiin quegli attimi non ebbe paragone in nessun altro fatto di guerra. La sventura degli Ateniesi poteva trovare un raffronto in quella che essi stessi avevano inflitto in Pilo agli Spartani (cap.71) gli Ateniesi decidono di ritirarsi via terra, divisi in 2 gruppi, guidati rispettivamente da Nicia e Demostene, dato che i marinai si rifiutarono di prender posto (cap.72) ancora una volta Nicia non guida, ma si fa guidare, non è un capo, perché nei momenti decisivi non riesce ad infondere all’azione quella determinazione che sarebbe necessaria. L’irrazionalità della massa è presente anche nelle schiere siracusane, dove l’allegria irrefrenabile della vittoria aveva suggerito ai più, cogliendo anche l’occasione di quella giornata solenne, di bere in abbondanza (cap.73) per evitare di farsi sfuggire la vittoria ormai certa, Ermocrate ideò il seguente artificio. Quando calarono le prime ombre della sera, Ermocrate mandò al campo ateniese alcuni dei suoi uomini fidati con una scorta di cavalieri. Costoro, spingendosi a distanza utile per farsi udire, chiamarono a colloquio alcuni del campo, spacciandosi per partigiani degli Ateniesi. Poi li invitarono a scongiurare Nicia di non rimuovere l’armata quella notte, poiché i Siracusani presidiavano le vie d’uscita (cap.73) gli strateghi (ateniesi) decisero di soprassedere per quella notte, non sospettando il tranello (cap.74). Tucidide descrive in modo alquanto realistico le sofferenze dell’esercito ateniese in ritirata, una situazione estrema, paragonabile per certi aspetti alla peste di Atene e alla guerra civile a Corcira: lo spettacolo si offriva tristissimo ai partenti: e dagli occhi la pena calava a ghiacciare il cuore. I cadaveri s’ammontavano scoperti. E, ancora una volta, alle difficoltà fisiche si affiancavano le difficoltà psicologiche, tanto che un sentimento acuto di vergogna e di disgusto cocente per se stessi li umiliava; il più bruciante era il ricordo trionfale della partenza, dell’orgogliosa fiducia che l’aveva cinta e la misera di questo declino, così vile, così abietto. Mai altro esercito greco conobbe un simile mutamento di sorti (cap.75). Segue l’ultimo appello di Nicia alle truppe nel quale, come già anticipato, riprende gli “argomenti del debole”, come avevano fatto i Meli di fronte ad Atene: (cap.77) egli spera in un ribaltamento della sorte (prima o poi, il negativo corso della sorte dovrà pure placarsi. La fortuna ha già troppo sorriso rivolta al nemico) e nell’aiuto degli dei (se la nostra spedizione ha sollevato l’invidia di un dio, abbiamo ormai scontato a sufficienza questa colpa… quindi anche noi possiamo fin d’ora sperare dalla divinità un trattamento più mite). Ma come questi 2 elementi non hanno aiutato in precedenza i Meli, così anche qui non giocano a favore degli Ateniesi. Infatti, negli ultimi capitoli del Libro VII, Atene si arrende (cap.85, Nicia si arrese a Gilippo). Nicia e Demostene, contro il parere di Gilippo, furono suppliziati (cap.86). In queste ultime pagine si nota come l’alleato minore, Siracusa, in una questione del tutto secondaria (il trattamento da riservare agli strateghi nemici) riesce a sopraffare l’alleato maggiore, Sparta: Gilippo voleva portarli entrambi vivi a Sparta, mentre i Siracusani e altri alleati vogliono ucciderli, soprattutto Nicia, in particolare (cap.86): i Corinzi, nella paura che, ricco com’era, corrompesse con l’oro qualche autorità; un gruppo di Siracusani, preoccupati per essersi compromessi in intese segrete con lui, temevano che sottoposto alla tortura parlasse rovinando loro, con la sua denuncia. Elisa Bertacin Sezione Appunti Teoria delle relazioni internazionali Il documento non può essere copiato, riprodotto, trasferito su altri siti. Per scaricare appunti in PDF gratuitamente, visita https://www.tesionline.it/appunti Ancora una volta, Sparta agisce in modo da compiacere i suoi alleati, così come aveva fatto con i Tebani nell’episodio di Platea. Tucidide riporta l’ultimo giudizio su Nicia: il più incolpevole tra tutti i Greci, almeno tra quelli del mio tempo, e il meno degno di una così cupa fine, per l’impegno inflessibile riposto nella pratica della virtù, nell’esemplare rispetto della legge (cap.86). Infine, Tucidide esprime un giudizio finale sulla spedizione in Sicilia: questo riuscì l’evento bellico più denso di conseguenze per i Greci, in tutto l’arco della guerra e, almeno secondo il mio giudizio, il più grandioso in assoluto tra i fatti della storia greca registrati dalla tradizione: (perché fu) quello che garantì il maggior trionfo alla potenza vincitrice e inflisse agli sconfitti la ferita più mortale. Disastrose disfatte, su tutti i fronti; tormenti di ogni sorte, acuiti allo spasimo. Fu insomma una distruzione radicale: è proprio questa la parola; e vi scomparve l’esercito (si calcola che Atene abbia perso nella spedizione in Sicilia circa 50.000 uomini), si dissolse la marina, e nulla si riuscì a salvare (cap.87). Elisa Bertacin Sezione Appunti Teoria delle relazioni internazionali Il documento non può essere copiato, riprodotto, trasferito su altri siti. Per scaricare appunti in PDF gratuitamente, visita https://www.tesionline.it/appunti32. "Storie" di Tucidide Libro VIII: La campagna in Ionia e il colpo di stato ad Atene Il Libro VIII è un libro rimasto incompiuto, come evidenziato da una serie di particolari che lo rendono diverso dagli altri 7: non ci sono discorsi, non c’è un evento particolare che catalizza l’attenzione, ma, di fatto, è un libro di sola narrativa. Il Libro VIII può essere distinto in 2 parti: capp. 1-44: la guerra nella Ionia e le defezioni Le defezioni riempiono i primi capitoli del Libro: gli Ateniesi si aspettano questo problema, rendendosi conto che certo le genti ostili di Grecia raddoppiavano gli sforzi di guerra, allestendo con le truppe di terra e di mare un’offensiva senza tregua, mentre al loro fianco si schieravano gli alleati d’Atene, svelti al tradimento (cap.1) tutti si consegnano con entusiasmo agli Spartani (Eubea, Lesbo, Chio, Eritre), trascinando con sé tutti gli altri. Nulla, neppure un cambiamento di regime, li può trattenere. Ovviamente, le defezioni si ricollegano al tema centrale dell’imperialismo ateniese: le misure adottate per far loro fronte (in particolare nella Ionia) acquistano il carattere di una lotta per la sopravvivenza, per entrambe le parti, nella quale non c’è spazio né per ulteriori idee di conquista da parte di Atene, né per idee di liberazione da parte di Sparta (e in questo senso, l’alleanza con la Persia è molto significativa). La sopravvivenza è messa in discussione non solo da un nemico esterno ad Atene, ma anche da una cronica crisi interna, tipica di ogniqualvolta una guerra dura così tanto e tipica anche di quei regimi che non possono più contare sulla leadership: come già notato, infatti, dalla morte di Pericle una costante crisi di leadership caratterizza la vita politica ateniese, fino al colpo di Stato e la mancanza di coesione interna che porterà la città alla rovina (Libro II, cap.65). Il libro si apre con le reazioni ad Atene alla notizia della disfatta in Sicilia (cap.1): incredulità rabbia dolore paura, che segnano l’inizio della crisi della democrazia, perché si delinea un ristretto corpo di magistrati che cerca di manovrare l’Assemblea. La disfatta ateniese in Sicilia comporta, ovviamente, reazioni anche nelle altre città (cap.2): i neutrali si convincevano che anche senza attendere un appello diretto non era più tempo di conservarsi neutrali; gli alleati spartani raddoppiavano i loro sforzi, convinti che il personale intervento avrebbe fruttato la gloria; Elisa Bertacin Sezione Appunti Teoria delle relazioni internazionali Il documento non può essere copiato, riprodotto, trasferito su altri siti. Per scaricare appunti in PDF gratuitamente, visita https://www.tesionline.it/appunti gli alleati ateniesi erano risoluti a staccarsi, senza badare se all’atto fossero sufficienti le proprie forze; Sparta meditava di riaprire le ostilità senza mezze misure, stimando che una lieta conclusione della guerra l’avrebbe sollevata da incubi così sinistri, quale la minacciosa rete che gli Ateniesi le avrebbero tramato attorno, se fosse loro riuscita la conquista delle risorse siciliane (cap.2) Sparta rivela la falsità della sua pretesa di liberare la Grecia, dato che atterrando la potenza nemica, si riprometteva d’instaurare senza rischi la propria egemonia sul mondo greco. Agide, il re spartano, non attese neppure che spirasse quell’inverno per staccarsi dalla fortezza di Decelea con un contingente di truppe e raccogliere, visitando in giro i centri alleati, i contributi in denaro per il potenziamento della marina (cap.3). Nel frattempo, già a partire dal cap.5, iniziano a susseguirsi le defezioni in Eubea (dove ci si organizzava sulla propria rivolta contro Atene), i Lesbi (risoluti anch’essi alla defezione), Chio e Eritre (bramosi essi pure di scuotere il giogo ateniese). Qua entra in gioco anche la Persia, impersonata da 2 satrapi (= governatori del re), in particolare Tissaferne, colui che a nome del re Dario… esercitava il potere sui distretti persiani della costa (cap.5). Ovviamente, Tissaferne è contro gli Ateniesi per motivi storici, ma, in particolare, Tormentando Atene, sperava di percepire i propri tributi con maggior comodo e regolarità. In aggiunta, avrebbe procurato al suo sovrano l’alleanza di Sparta oltre a potergli assicurare, in obbedienza a un comando personalmente impartito dal re, Amorge figlio illegittimo di Pissutne, che in Caria fomentava la rivolta: vivo o morto. In seguito, Sparta iscrisse subito nella sua lega i Chii e i cittadini di Eritre (cap.6). NB: Chio è una grande potenza navale è proprio quello che gli Spartani stanno cercando. Segue, al cap.8, la delineazione del piano di guerra, in base al quale obiettivo primario restava Chio, dove raccogliere la flotta; di là puntare su Lesbo; più tardi, a conclusione della campagna, passare nell’Ellesponto, a nord, il canale da cui arrivano gli approvvigionamenti di grano ad Atene tagliando tale collegamento si conta di infliggere un duro colpo alla città nemica. Tuttavia, la flotta peloponnesiaca viene intercettata da quella ateniese l’entusiasmo per l’impresa cadde subito, poiché proprio all’apertura delle operazioni belliche in Ionia s’era subito un disastro cos’ avvilente (cap.11). A rincuorare gli Spartani ci pensa Alcibiade, che s’impegnò una seconda volta per convincere Endio e gli altri efori a non perder tempo con la spedizione (cap.12). Nel frattempo, continuano i complotti delle varie città, finché Chio, seguita da Eritre, si ribellò agli Ateniesi (cap.14); in seguito, fecero ribellare Mileto (cap.17). Intanto, si stipulò la prima alleanza tra il re e Sparta, con Tissaferne e Calcideo intermediari (cap.17), primo dei 3 patti di alleanza stipulati, ed ulteriore prova dell’incompiutezza del Libro VIII, perché è irrealistico pensare che i pochi mesi si susseguano ben 3 trattati. Probabilmente, secondo alcuni storici, questi sono Elisa Bertacin Sezione Appunti Teoria delle relazioni internazionali Il documento non può essere copiato, riprodotto, trasferito su altri siti. Per scaricare appunti in PDF gratuitamente, visita https://www.tesionline.it/appuntimateriali che Tucidide aveva raccolto per una stesura definitiva, e in seguito assimilati al testo. Si pensa che il trattato definitivo sia l’ultimo, le cui clausole vengono riportate al cap.58. Alla defezione di Chio, gli Ateniesi reagirono immediatamente, dato che intensificavano ai danni di Chio l’attività bellica navale (cap.24). Tucidide fa anche un giudizio (cap.24, uno dei pochi giudizi del Libro VIII) sulla saggezza della decisione di questi alleati, dato che si accinsero a ribellarsi solo quando poterono contare, per condividere il pericolo, su molte e valorose schiere di alleati, e solo dopo aver appreso come gli Ateniesi stessi ormai non smentissero che il disastro patito in Sicilia aveva coinvolto in una rovina irrimediabile le basi della propria potenza secondo Tucidide, è il momento buono per defezionare, perché ci sono tanti alleati disponibili per fare fronte comune, e Atene è in uno stato di debolezza, riconosciuto persino dalla città stessa. Rimasero invischiati, certo, essi pure nell’imponderabile che aleggia sulla vita umana: ma spartirono con molti, anch’essi persuasi dell’identica realtà illusoria, il diffuso errore che prevedeva per Atene un rapido e profondo declino anche dopo la disastrosa sconfitta in Sicilia, Atene ha ancora molte carte da giocare (e infatti, la sconfitta in Sicilia non è annoverata tra le cause della sconfitta finale di Atene), ha ancora mezzi per reagire e continuare la guerra per altri anni. Chio e gli altri hanno calcolato bene la loro mossa, ma sono rimasti invischiati nell’imponderabile che aleggia sulla vita umana: si dice che il pensiero di Tucidide è un pensiero razionalista e, in effetti, tutte le spiegazioni che offre sulla vicenda sono tutte fortemente razionali, spesso basate su un calcolo di risorse materiali (decisioni sagge + mezzi a disposizione). Eppure questo non basta a garantire il successo, perché per quanto possa essere pensata bene, ogni decisione umana deve fare i conti con l’imponderabile, l’imprevisto che può mandare in fumo anche un piano perfetto (un po’ quello che succede al Valentino di Machiavelli – nel più alto corso delle azioni sua, è stato dalla fortuna reprobato, Principe, XXVI – per il quale l’autore ha parole di elogio, ma che fallisce a causa della morte improvvisa del padre). Questo, ovviamente, non giustifica l’inazione, ma bisogna prendere tutte le misure possibili (sia Tucidide sia Machiavelli sono uomini d’azione, che vogliono agire attivamente sulle decisioni della propria città) si tratta di riconoscere che, nelle vicende umane, i migliori piani possono fallire per questi aspetti imprevedibili. Seguono le vicende legate alla guerra in Ionia: Tucidide delinea un quadro di continui ribaltamenti di fronte e di riallineamenti a livello locale (sorgono fazioni all’interno delle città filo-ateniesi o filo-spartane). Samo è l’isola in cui è situato il quartier generale ateniese, mentre Mileto è quello della lega del Peloponneso. capp. 45-109: i problemi interni di Atene (colpo di Stato, contro-colpo di Stato) Alcibiade decide di fuggire anche da Sparta, perché aveva svegliato nei Peloponnesi la diffidenza si trasferì subito presso Tissaferne (cap.45), al quale dà 2 consigli, decisamente molto astuti e validi: 1. gli ispirò di tagliare il soldo all’armata dei Peloponnesi (cap.45) 2. gli suggerì una politica di divide et impera = è interesse per i Persiani che le 2 parti in guerra si indeboliscano il più possibile a vicenda: rinnovava a Tissaferne il consiglio di non mostrare eccessiva Elisa Bertacin Sezione Appunti Teoria delle relazioni internazionali Il documento non può essere copiato, riprodotto, trasferito su altri siti. Per scaricare appunti in PDF gratuitamente, visita https://www.tesionline.it/appuntipremura per uno scioglimento affrettato della guerra; che non gli venisse il desiderio, …, di concedere a un’unica potenza la supremazia terrestre e marittima. Per necessità politica i due Stati dovevano esercitare ciascuno il suo potere: al Re sarebbe toccato, quando voleva, d’istigare gli uni contro gli altri, se questi procuravano fastidi al suo trono risultava assai più economica questa politica: … lasciare che i Greci si sbranassero tra loro per soverchiarsi (cap.46). Se proprio i Persiani volevano schierarsi da una parte, Alcibiade illustrava per lui la convenienza di spartire il dominio piuttosto con gli Ateniesi: le loro ambizioni sui possessi continentali erano meno forti e opportunissime per la sua politica la loro ideologia strategica e la conduzione pratica delle imprese militari. Da un lato, perché erano suggerimenti che egli considerava ottimi; dall’altro, perché preparava il terreno per il suo rientro in patria. In particolare, il suo piano per tornare in patria consisteva nel fatto che poiché costui presentava come sicura l’amicizia, prima di Tissaferne, poi dello stesso re, a patto che rinunciassero al regime democratico (per rassicurare meglio il re), gli elementi più facoltosi, sulle cui spalle grava di solito il carico più pesante, concepivano belle speranze di volgere a proprio profitto la direzione politica e di sbarazzarsi degli avversari (cap.48) Alcibiade garantisce ad Atene l’amicizia dei Persiani ( un alleato in meno per Sparta, un alleato in più per Atene, e che alleato) a patto di cambiare regime politico, perché i Persiani saranno decisamente più disposti a trattare con un’oligarchia piuttosto che con una democrazia. L’obiettivo di Alcibiade era di gettare semi di discordia tra gli Ateniesi, minare le basi della democrazia, instaurare un regime oligarchico che, grazie a lui, avrebbe avuto il sostegno dei Persiani. Alcuni Ateniesi sono in effetti disposti ad accogliere e ad attuare il piano di Alcibiade, ma ci sono anche voci contrarie. In particolare, Frinico: egli è un oligarca, ma non si fa illusioni sul richiamo di Alcibiade (divenendone così il nemico n°1), avanzando i seguenti dubbi: i dirigenti ateniesi dovevano anzitutto preoccuparsi di prevenire gli urti interni tra le classi; non risultava poi così conveniente al re… crearsi noie legandosi a filo doppio con gli Ateniesi; e venendo alle città alleate… si sarebbe loro promesso una costituzione oligarchica, senza dubbio… Ma egli sosteneva di presagire con chiarezza che questo non era un motivo sufficiente per far tornare docili le città in rivolta… non avrebbero scelto di sicuro la schiavitù ai piedi di un governo oligarchico o democratico – non faceva differenza – in cambio di una libera vita (cap.48) con molta chiarezza, Frinico dice alle città alleate non importa il regime di Atene, ma importa soprattutto essere libere (la questione del tipo di regime è del tutto secondaria). Ad ogni modo, prepararono un’ambasceria da mandare ad Atene… per discutere il rimpatrio di Alcibiade (cap.49). La delegazione ateniese guidata da Pisandro… giunse ad Atene e si presentò all’assemblea per riferire (cap.53). Il popolo, a quel primo ventilare d’un progetto di costituzione oligarchica, tese le orecchie e s’inalberò: ma quando Pisandro confermò con chiari argomenti che non esisteva prospettiva diversa, …, s’addolcì Elisa Bertacin Sezione Appunti Teoria delle relazioni internazionali Il documento non può essere copiato, riprodotto, trasferito su altri siti. Per scaricare appunti in PDF gratuitamente, visita https://www.tesionline.it/appunti
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