Torone
Torone
All’interno della città esiste una fazione pronta a consegnare la città a Brasida (cap.110) ⇒ per convincere la città a defezionare, Brasida ripeté un discorso simile a quello tenuto in Acanto (cap.114).
Si può facilmente notare come Brasida occupi un posto centrale nel IV Libro delle Storie: viene nominato già a partire dall’episodio di Pilo, a Megara (capp. 70-75) e, successivamente, nelle vicende in Tracia. Morirà poco dopo nella battaglia di Anfipoli.
Anche nei confronti di Brasida, Tucidide riserva parole di grande ammirazione per la sua influenza, come aveva fatto in precedenza con Pericle e Temistocle.
Inoltre, Tucidide riporta il discorso di Brasida ad Acanto (capp. 85-87), in cui si delineano i principi, che rappresentano la chiave di lettura della politica spartana di quel periodo, antiateniese e di liberazione della Grecia dal suo impero.
In seguito alle defezioni e alla sconfitta a Delio, gli Ateniesi si rivelano più propensi ad accettare un armistizio: Sparta, che intravedeva esatte le reali paure di Atene, riteneva che questa schiarita nei loro disagi e sacrifici, riteneva che questa schiarita nei loro disagi e sacrifici, con il suo gusto di pace, avrebbe ispirato ai nemici una sete più viva di pace autentica, definitiva, duratura ⇒ Sparta e Atene stipularono una tregua annuale (cap.117), che implicava il congelamento della situazione:
− gli Spartani si impegnano a non provocare nuove defezioni
− gli Ateniesi si impegnano a non intraprendere nuove operazioni militari.
Ma ormai la situazione sfugge dal controllo e Brasida continua la sua campagna, causando la defezione di altre 2 città:
− Scione, dove Brasida, esaltato a liberatore di Grecia (cap.121), ripeté un discorso simile a quello tenuto in Acanto e Torone (cap.120).
Non appena Atene venne a sapere della defezione di Scione, si mise subito all’opera per allestire una spedizione punitiva contro Scione… Atene respinse il rischio di un arbitrato… Si fremeva di collera ad Atene (cap.122). Del resto, la verità sulla rivolta di Scione convalidava, piuttosto, il vibrato reclamo ateniese: giacché era divampata due giorni posteriore al patto (cap.122) ⇒ Scione, in base all’armistizio, non poteva entrare nella Lega del Peloponneso.
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Gli Ateniesi ratificarono un decreto: atterrare Scione ed eliminarne gli abitanti (cosa che si verificherà nel Libro V, cap.32)
− Mende (cap.123), dove Brasida fu pronto a garantirne la protezione.
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In un lampo la voce corse ad Atene: lo sdegno s’inasprì, febbrile e cupo, mentre ci si preparava a muovere in armi contro le due ribelli (cap.123).
La fine di Mende viene subito descritta da Tucidide: l’armata al completo si rovesciò nella città, ritenuta conquista bellica, per metterla a sacco. Gli strateghi a fatica li frenarono: avrebbero massacrato anche la popolazione (cap.130).
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Si nota come i metodi di Atene stiano diventando sempre più duri, tanto che gli strateghi facevano fatica a trattenere le truppe dal massacrare anche le popolazioni dei ribelli. Un ultimo aspetto da notare nel IV Libro è il fatto che le nuove città entrate nella Lega del Peloponneso non vengono trattate come città autonome (a dispetto della fama di Sparta quale “liberatrice” della Grecia, secondo le false promesse di Brasida), ma vengono governate da magistrati spartani: con uno strappo alla legge, costoro condussero anche alcuni giovani da Sparta affinché Brasida li ponesse al governo delle città occupate (cap.132).
Infine, è interessante osservare come si verifichi in questo periodo un regolamento di conti tra alleati, indice di come esistano rapporti competitivi anche tra gli stessi alleati: i Tebani atterrarono la cerchia di Tespie, imputandole un sentimento di affetto per Atene (il pretesto). In realtà era questo un loro sogno, da antico tempo: e l’occasione si era offerta propizia, poiché nella battaglia contro gli Ateniesi la morte aveva falciato il fiore della gioventù di Tespie (cap.133).
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Tebe e Tespie sono città alleate, ma da lungo tempo Tebe voleva distruggerne le fortificazioni e adesso approfitta della situazione favorevole.
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