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Teoria della leadership egemonica

I realisti sostengono che la cooperazione fra gli Stati è difficile da conseguire a causa del timore di essere ingannati, della dipendenza e dei guadagni relativi. TUTTAVIA alcuni di essi affermano anche che la cooperazione può essere raggiunta e cercano di specificare le condizioni necessarie perché ciò avvenga: 
− TEORIA DELLA LEADERSHIP EGEMONICA: prendendo spunto dalla teoria dei beni collettivi, Robert Gilpin e Stephen Krasner sostengono che una condizione necessaria per la formazione e il mantenimento di un’economia internazionale liberale (= basata sul principio di mercato) è che sia disponibile un unico Stato al tempo stesso in grado di e disposto a investire quelle risorse e sopportare quegli oneri necessari al funzionamento di siffatto ordine economico. 
Robert Keohane suggerisce però che quella che egli chiama la “tesi della stabilità egemonica”, sebbene utile per spiegare i cambiamenti nel regime petrolifero internazionale del secondo dopoguerra, non lo è altrettanto se riferita a tematiche monetarie e, soprattutto, commerciali. 

Molti studiosi hanno trovato la teoria realista utile nelle loro ricerche sulle relazioni internazionali. Altri, invece, sostengono che essa è seriamente viziata e che la sua capacità di gettar luce sugli affari internazionali è fortemente circoscritta. 

CRITICA 
Il mutamento internazionale 
Uno dei principali filoni critici rimprovera alla teoria realista di non saper prendere in considerazione, e di non poter spiegare, il mutamento internazionale, compresa la fine della Guerra Fredda. 
Ovviamente, questa critica a proposito dei grandiosi eventi del 1988-91 non è diretta esclusivamente alla teoria realista: John Lewis Gaddis sostiene che praticamente tutti i principali approcci analitici, comportamentali e strutturali, alle relazioni internazionali sono fatalmente viziati, poiché nessuno è riuscito a prevedere la fine della Guerra Fredda. 

RISPOSTA DEI REALISTI 
Il mutamento internazionale 
Una risposta realista a questa prima critica generale potrebbe essere mettere in discussione le sue premesse, ovvero che la cosa più importante da spiegare sia il mutamento internazionale. Insomma, i realisti potrebbero in primo luogo rispondere all’accusa che essi non prestano abbastanza attenzione al cambiamento ribattendo che questa negligenza relativa è giustificata nella misura in cui essa consente loro di concentrare l’attenzione su quelli che sono giudicati gli aspetti più importanti degli affari internazionali, ovvero, le continuità nelle preferenze degli Stati al cospetto di una permanente mancanza di un’autorità internazionale centralizzata e le conseguenti regolarità nel comportamento degli Stati e negli esiti internazionali. 
Ma i realisti possono anche ricorrere ad un secondo argomento, ovvero che sebbene riscontrino continuità di rilievo in alcune caratteristiche basilari della politica internazionale, essi tuttavia osservano e possono spiegare alcuni mutamenti di grande importanza nelle politiche nazionali e negli esiti internazionali. 

CRITICA
Le variabili a livello dell’unità 
La seconda critica consueta che viene formulata nei confronti del realismo è che esso non prende in considerazione l’impatto dei fattori interni (i processi politici, economici e sociali) sul comportamento degli Stati nel contesto internazionale. 
RISPOSTA DEI REALISTI 
Le variabili a livello dell’unità 
I realisti potrebbero affermare, in primo luogo, che non è vero che essi non prestano abbastanza attenzione alle forze interne nelle relazioni internazionali. 
Per esempio, Waltz ha modificato il suo ragionamento strutturale per suggerire che gli armamenti nucleari, insieme al bipolarismo, hanno moderato – ma non impedito – la competizione fra gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica durante la Guerra Fredda. 
Ma i realisti potrebbero persino andare oltre e affermare che oltre alla – o forse al posto della – influenza che queste strutture hanno sugli esiti sistemici, è il sistema che condiziona le strutture interne ⇒ è molto probabile che importanti caratteristiche delle istituzioni interne degli Stati, il modo in cui queste funzionano e le modalità storiche della loro nascita e del loro sviluppo possano essere il risultato di forze e dinamiche competitive fra Stati.

Il realismo ha risposto con notevole successo alle critiche generali che sono state discusse fin qui. Vi sono, però, almeno altri 2 problemi che potrebbero indurre i realisti ad essere meno ottimisti. 
1. La teoria realista dubita fortemente che le istituzioni internazionali siano importanti oggetti della politica statuale o attori autonomi nella politica internazionale. La proposizione principale del realismo circa le istituzioni internazionali è che gli Stati, per effetto del contesto internazionale anarchico irto di pericoli, sono estremamente riottosi ad attribuire importanza alle istituzioni internazionali o a consentire a queste di limitare la loro libertà di azione. 
TUTTAVIA sembra che gli Stati (specialmente nel periodo successivo alla Seconda Guerra Mondiale) abbiano la persistente abitudine di investire tempo e risorse nella costruzione di istituzioni. Un chiaro esempio di ciò è la recente rinascita della Comunità Europea, ribattezzata Unione Europea. 
La migliore risposta realista attualmente disponibile alla sfida dell’UE è, secondo Grieco, che i suoi Stati membri stanno aumentando la cooperazione tra loro per poter controbilanciare il Giappone. 
Una linea di analisi possibile in proposito potrebbe suggerire che gli Stati relativamente più deboli scelgono di cooperare attraverso le istituzioni tanto per controbilanciare uno sfidante esterno quanto per moderare la preponderanza del partner più forte all’interno della coalizione volta a raggiungere l’equilibrio, facendo in modo che le istituzioni siano fatte di regole e prassi che permettano ai partner più deboli effettive opportunità di far sentire la propria voce. Tale tesi potrebbe consentire al realismo di mantenere i suoi presupposti centrali relativi alla razionalità e all’anarchia, così come il suo argomento fondamentale che gli Stati temono di essere dominati da altri. Inoltre, getterebbe nuova luce sulla tendenza degli Stati a strutturare le loro relazioni cooperative attraverso istituzioni formali. 

2. Il secondo problema teorico del realismo può essere formulato nel seguente modo: l’anarchia spinge gli Stati “normali” a massimizzare la sicurezza o il potere? e vi è qualche differenza osservabile fra questi 2 obiettivi? 

Questa domanda è rilevante per il realismo per almeno 2 ragioni: 
− se il realismo ritiene che gli Stati valutino il potere persino di più della sicurezza, allora dovrebbe aspettarsi che gli Stati saltino sul carro del più forte piuttosto che controbilanciarlo, ogni qualvolta che la prima strategia permette di ottenere più potere della seconda; 
− assumere che gli Stati attribuiscano al potere più valore che a qualunque altra cosa richiederebbe che i realisti dovrebbero sostenere che gli Stati non cercano tanto di evitare che le differenze tra i guadagni favoriscano i loro partner, quanto di massimizzare tali differenze a loro favore ⇒ ciò implicherebbe una definizione molto più aggressiva degli interessi degli Stati ogni volta in cui essi prendono in considerazione la cooperazione. 
In virtù della loro esistenza in un ambiente anarchico in cui l’auto-difesa è il principio su cui si basa l’azione, gli Stati cercheranno di raggiungere il livello di capacità e di conservare il margine di autonomia necessari a mantenere la loro posizione relativa di potere. 
Esiste però un punto di vista alternativo. 

Tratto da TEORIA DELLE RELAZIONI INTERNAZIONALI di Elisa Bertacin
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