Le "Storie” di Tucidide Libro VII : La spedizione in Sicilia e la sconfitta di Atene
Le "Storie” di Tucidide Libro VII : La spedizione in Sicilia (1-59) e la sconfitta di Atene (60-fine)
I Libri VI e VII dimostrano che Nicia aveva ragione: non solo in senso generale (si verificano gli eventi da lui previsti), ma anche le sue previsioni vengono riprese da Ermocrate, Atenagora. Viene ampiamente analizzata la posta in gioco (come nel Libro I): la Sicilia è grande e lontana e, secondo Nicia, sarà difficile, se non impossibile, vincerla o controllarla (il pericolo supremo è una sconfitta in territorio nemico: Libro VI, cap.23, “tutto ci sarà ostile, qualora venissimo sconfitti in Sicilia”). Tutto ciò viene confermato in continuazione:
− le città della Sicilia non si lasciano convincere a schierarsi con Atene; al contrario, formano un blocco anti-ateniese, come previsto non solo da Nicia, ma anche da Ermocrate e da Atenagora;
− le città della Sicilia non si lasciano controllare, prima di tutto per ragioni logistiche, come previsto da Nicia e confermato da Ermocrate e Atenagora:
Nicia
Ammettiamo pure di piegare in battaglia quelle di Sicilia: quanto ci costerebbe governare terre così lontane e popolose? (Libro VI, cap.11)
Occorrerà trasportare anche dall’Attica riserve abbondanti di viveri (Libro VI, cap.22)
Sul piano strategico vantano su di noi questa supremazia significativa: un nerbo potente di cavalli nel loro organico (Libro VI, cap.20)
Ermocrate
Nella storia greca o del mondo barbaro è rarissimo il caso di un’offensiva numerosa che, giunta a gran distanza dai propri porti, abbia felicemente coronato la missione (Libro VI, cap.33)
Il nemico, preso il largo con vettovaglie limitate, in vista di uno scontro diretto, dovrebbe trovarsi in pessime acque circondato da coste spopolate e ostili (Libro VI, cap.34)
Atenagora: Mi pare certo che gli Ateniesi non possano far passare qui al loro seguito la cavalleria, né che, una volta sbarcati, sarà loro facile procurarsene (Libro VI, cap.37)
− quanto alla Grecia, tutta l’analisi di Nicia ruota attorno all’idea di un fronte ostile: Sparta aiuterà Siracusa e Siracusa aiuterà Sparta. Per Alcibiade, invece, questo problema non sussiste, perché dalla Grecia non nasceranno intralci, se sceglierete la politica adatta (Libro VI, cap.17): ciò che rende possibile l’intervento spartano in Sicilia è la presenza di Alcibiade a Sparta perchè Atene ha avuto la follia di condannarlo. Questa è una delle spiegazioni su cui Tucidide insiste in maniera particolare: costoro trasmisero ad altri il compito di reggere lo stato: ed in breve sopravvenne la rovina (Libro VI, cap.15) ⇒ la rimozione di Alcibiade viene vista da Tucidide come una delle cause della rovina di Atene in Sicilia. Questo giudizio viene dato in un ritratto abbastanza severo nei confronti di Alcibiade, al quale, però riconosce alcuni meriti: da qui giudica una follia il fatto che gli Ateniesi abbiano voluto sbarazzarsi di lui.
I 2 suggerimenti dati agli Spartani da Alcibiade (intervenire in Sicilia e fortificare Decelea) vengono effettivamente messi in pratica da Sparta, e saranno proprio i 2 accorgimenti che più metteranno in difficoltà gli Ateniesi:
− senza l’intervento spartano, Siracusa sarebbe stata sconfitta e, anzi, lo sarebbe stata in un tempo ancora più breve se Nicia avesse adottato una serie di strategie più decise e determinate. Infatti, alla fine del Libro VI i Siracusani sono quasi pronti a negoziare, ma proprio in quel momento arrivano le navi spartane in loro aiuto, ribaltando la situazione;
− la fortificazione di Decelea è sicuramente altrettanto seria nelle conseguenze su Atene.
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Se è stata una brutta idea da parte di Alcibiade insistere così tanto sulla spedizione, l’idea che hanno avuto gli Ateniesi di condannare Alcibiade è ancora più grave, perché era probabilmente l’unico che, in quella brutta situazione, avrebbe potuto ottenere un successo. Tutto questo può essere messo in relazione con il giudizio, fatto da Tucidide nel Libro II, cap.65, sulla politica di Pericle: in Atene, la resa si delineò inevitabile solo quando, nel cuore della città, gli scontri tra le individuali smanie di potere ebbero consumata e arsa ogni energia ⇒ il problema principale per Atene deriva proprio dalla sua instabilità interna, dagli scontri tra fazioni, che la porteranno, nel Libro VIII, al colpo di stato: i responsabili sono, principalmente, i politici, che non riescono a mettersi d’accordo per l’interesse della città.
Il Libro VII esordisce più o meno notando come Siracusa fosse ad un passo dal collasso (cap.2, tanto rischio finiva per minacciare Siracusa) (in netto contrasto con la schiacciante vittoria finale che i Siracusani conseguiranno). Tutta la narrativa del VII Libro è fondamentalmente dedicata alle vicende belliche, sulle quali aleggia il carattere aleatorio del tutto, l’imprevedibilità della guerra, sia dal punto di vista materiale, sia da un punto di vista psicologico: Tucidide infatti fa una completa analisi non solo delle vicende belliche in sé, ma anche delle ripercussioni psicologiche che questi eventi hanno sulle parti in causa (come ripreso da Clausewitz, in guerra tutto è possibile).
Al cap.6 troviamo il primo serio insuccesso ateniese su terra: durante l’assedio di Siracusa, attraverso la costruzione di fortificazioni, gli Ateniesi decidono di costruire un muro per circondare la città, ma i Siracusani accelerarono i lavori al contrafforte e finirono col superare trasversalmente l’estremità del baluardo nemico. Sicché gli Ateniesi non avrebbero più avuto facoltà d’interromperli e si vedevano definitivamente sottratta, anche nel caso di un trionfo campale, l’occasione di cingere completamente in avvenire la città nemica.
Siracusa chiede nuovi aiuti a Sparta ⇒ Gilippo si mise in viaggio diretto ai vari centri della Sicilia per radunare forze terrestri e navali; nuove ambascerie siracusane e corinzie partirono per Sparta e Corinto, per ottenere il passaggio di truppe fresche (cap.7).
Lo stesso fa Nicia, che spedì anche lui una missiva ad Atene (cap.8), attraverso una lettera, nella quale chiede, tra le altre cose, di essere rimosso dal comando, dopo essere rimasto solo e malato. Nicia chiede rinforzi, dopo aver delineato il quadro (tragico) delle operazioni in Sicilia: gli equipaggi son decimati… gli uomini escono a far legna, a rapinare e a cercar acqua lontano, e cadono sotto i colpi della cavalleria nemica. Mentre gli schiavi, dopo che tra noi e le forze avversarie s’è imposto l’equilibrio, disertano (cap.13). La situazione è dunque seria, data l’impossibilità d’arginare questo fenomeno, oltre all’ostacolo di non poter reperire gente da nessuna parte per colmare i vuoti nelle ciurme (cap.14).
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Sicché: o li dovete richiamare o li soccorrete con l’invio di un contingente non inferiore, di fondi cospicui e di un sostituto per me (cap.15).
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(cap.16)
Gli Ateniesi non esentarono Nicia da comando
e
Decretarono la spedizione di un nuovo contingente. Nel sommo comando furono eletti Demostene ed Eurimedonte.
NB: Demostene è lo stesso stratega ateniese che era stato l’ideatore dell’operazione a Pilo ⇒ è particolarmente inviso e odiato dagli Spartani.
Contemporaneamente, seguendo i suggerimenti di Alcibiade, gli Spartani con gli alleati irruppero nell’Attica; poi si diedero a fortificare Decelea… La piazzaforte, cui giungeva vista fino da Atene, sorgeva con l’intento strategico di danneggiare la pianura e trafiggere i nodi vitali del paese (cap.19) ⇒ la fortificazione di Decelea ha, al solito, una duplice conseguenza: serie conseguenze dal punto di vista materiale (danneggia la pianura e il commercio), ma anche una ripercussione psicologica (gli Ateniesi potevano osservare questa piazzaforte spartana sul loro territorio).
Seguono altri successi sul campo dei Siracusani, che arrivano ad occupare il Plemmirio, causando danni sia materiali sia psicologici:
Il danno più grave, che colpiva in punti vitali il contingente di spedizione ateniese risultò la perdita del Plemmirio. Ora neppure i punti di sbarco per l’afflusso dei viveri erano più garantiti ⇒ l’infortunio sorprese e fiaccò l’armata (cap.24).
A questo punto, Atene comincia a sentire il peso della guerra su 2 fronti, difficoltà prevista anche questa da Nicia: il fardello più pesante era il simultaneo impegno in 2 conflitti distinti ⇒ per queste circostanze, ed ora per le perdite inflitte da Decelea occupata, rese più gravi dalle nuove spese che grandinavano sulle finanze stremate, l’economia statale corse a una totale disfatta… Le spese non erano più quelle di qualche tempo prima, essendo giunte a livelli molto superiori in rapporto alla energica ripresa delle attività belliche, mentre le rendite continuavano a scemare (cap.28) ⇒ la situazione si fa complicata anche dal punto di vista finanziario. Considerando che la grandezza di una città imperiale si vede dalla flotta e dalle finanze, è particolarmente significativa questa crisi finanziaria che sta mettendo in ginocchio Atene.
Ormai, si può dire che l’intera Sicilia, tranne Agrigento (che era neutrale) schierava compatta le sue genti, anche chi prima se ne stava in cauta attesa, a fianco dei Siracusani contro Atene (cap.33) ⇒ si stanno verificando tutte le condizioni previste da Nicia prima della spedizione.
Segue la prima vittoria siracusana sul mare (cap.41, nello scontro navale i Siracusani riuscirono vincitori), vittoria che Tucidide commenta nel seguente modo: elevarono, in memoria del doppio confronto con gli Ateniesi, i due trofei, e come nutrivano ormai incontrollabile la cosciente speranza d’uscir sempre dominatori in avvenire da ogni combattimenti marino, così s’affermava in loro la presunzione di poter presto avere in pugno anche le sorti del conflitto terrestre ⇒ il successo per mare dei siracusani, del tutto inatteso, dato che Atene è la maggiore potenza navale del tempo, conferisce loro ulteriori speranze di vittoria.
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Gli Ateniesi, dopo l’arrivo di un nuovo contingente, guidato da Demostene, si interrogano sul da farsi. Demostene, uomo pratico e determinato, vuole sfruttare il terrore dei siracusani per l’arrivo della nuova armata, per giungere ad uno scontro decisivo, in base al quale decidere se proseguire la campagna o se ritirarsi, in condizioni tali da essere comunque in grado di reagire sul fronte in Attica. Nicia è colpevole, da un punto di vista strategico, di non aver investito Siracusa al suo arrivo, facendo sì che gli avversari lo disprezzassero: Demostene valutò lo stato delle operazioni, e si rese conto come fosse impossibile attardarsi senza ripiombare nelle difficoltà che avevano travagliato il comando di Nicia (costui, infatti, appena dopo la sbarco incuteva sgomento: ma poi non s’era mostrato pronto ad aggredire Siracusa, e passato a Catania vi aveva trascorso l’inverno: intanto nel nemico cresceva il disprezzo) (cap.42).
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Demostene, sapendo che l’effetto paralizzante del terrore si poteva estinguere nello spazio di quel primo giorno d’arrivo, volle con risolutezza far leva sullo smarrimento che la comparsa delle sue milizie seminava tra i reparti nemici (cap.42). L’obiettivo è la distruzione delle fortificazioni siracusane sulle Epipole: nel caso l’operazione avesse successo, sarebbe un “trampolino” per attaccare in modo decisivo la città (l’azione gli fruttava la presa di Siracusa), oppure una buona occasione per rimpatriare l’esercito, troncando il logorio delle forze impiegate nella campagna e il dissanguamento generale delle risorse statali.
Segue la descrizione della famosa battaglia delle Epipole, il punto di svolta della guerra in Sicilia, l’atto decisivo della sconfitta ateniese. In questa battaglia si concentrano tutti quegli elementi che rendono la guerra un evento incerto ed imprevedibile: gli Ateniesi sono ad un passo dalla vittoria, ma, per una serie di “casi”, di circostanze del tutto fortuite, subiscono una disfatta disastrosa.
In base alla descrizione di Tucidide, ormai la pressione ateniese si sfogava in un’avanzata sconvolta dal disordine, nell’eccitazione di una supposta vittoria. Fu così che gli Ateniesi si videro faccia a faccia coi Beoti, che per primi sbarrarono loro il passo e appoggiando colpi su colpi anzitutto li piegarono, poi li volsero in rotta (cap.43).
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