Questo lavoro tratta delle civiltà che si avvicendarono nell’area del Mar Egeo, ossia la Civiltà cretese e quella Micenea, prima e dopo l’arrivo degli Achei. Prosegue quindi con la Civiltà greca classica, alla quale dedica la maggior parte dello spazio, terminando con l’Impero macedone e il grande capitolo dell’ellenismo. La fine della narrazione è rappresentata dalla conquista romana.
Storia della Grecia antica
di Lorenzo Possamai
Questo lavoro tratta delle civiltà che si avvicendarono nell’area del Mar Egeo,
ossia la Civiltà cretese e quella Micenea, prima e dopo l’arrivo degli Achei.
Prosegue quindi con la Civiltà greca classica, alla quale dedica la maggior
parte dello spazio, terminando con l’Impero macedone e il grande capitolo
dell’ellenismo. La fine della narrazione è rappresentata dalla conquista romana.
Università: Università degli Studi di Padova
Facoltà: Scienze Politiche1. Le lontane origini della civiltà greca
Le origini di quella che fu certamente la prima civiltà che sorse su una terra europea, all’epoca ancora
avvolta dalla preistoria più fitta, sono tuttora molto incerte. Creta era fertile, adatta all’agricoltura, situata
proprio al centro del Mediterraneo in una posizione ottimale per sfruttare le rotte commerciali, e in più,
essendo un’isola, era anche protetta dal mare contro le invasioni delle potenze confinati e delle orde barbare.
Non stupisce perciò che la civiltà sia giunta presto in questa isola fortunata, semmai non è ancora chiaro chi
ve l’abbia portata: taluni sostengono che si trattò di genti provenienti dall’Asia Minore, altri attribuiscono il
merito agli audaci mercanti egiziani, sottolineando come questi avessero raggiunto, già agli albori del II
millennio, conoscenze marinaresche pressoché sconosciute alle civiltà territoriali della Mesopotamia.
In ogni caso quella che sorse a Creta fu una civiltà del tutto diversa rispetto ai grandi imperi del Vicino
Oriente Antico. Mentre gli imperi egiziano, babilonese e poi hittita erano tutti grandi stati territoriali, basati
sull’agricoltura e sulla forza militare, ed erano mantenuti uniti grazie ad un forte accentramento
amministrativo e politico nella figura del sovrano; quello di Creta fu un impero commerciale, basato sul
dominio dei mari, tanto che per esso fu coniato il termine di talassocrazia (dal greco thalassa ‘mare’ e kratéo
‘comando’).
Tutto ciò era possibile perché il Mar Egeo era andato divenendo durante tutto il III millennio una sorta di
grande mercato, con villaggi e città sparpagliate lungo la costa anatolica e nelle isole più prossime ad essa.
L’Egitto, che era già un area fortemente civilizzata, vendeva a questi insediamenti costieri i raffinati prodotti
del suo artigianato, comprando legname e altre materie prime delle quali era privo. Tutto questo
“commerciare” era facilitato dalla conformazione dell’Egeo, che essendo ricchissimo di isole ed isolette
forniva una grande abbondanza di punti di approdo e di riferimenti per orientare la navigazione (in un epoca
in cui essa avveniva quasi esclusivamente pilotando a vista, ossia seguendo il profilo della costa che i
marinai ricordavano a memoria). Tutto questo favorì enormemente Creta, che crebbe assieme al volume del
commercio nel Mediterraneo orientale man mano che gli imperi del Vicino Oriente si ingrandivano ed
arricchivano. Creta fu insomma, dalla sua fioritura intorno al 2300 a.C. alla sua caduta introno al 1400 a.C.,
l’agente commerciale di questi grandi imperi, accumulando ingentissime provvigioni.
Lorenzo Possamai Sezione Appunti
Storia della Grecia antica 2. La civiltà cretese o civiltà minoica
Gli studiosi hanno suddiviso il millennio di storia cretese in tre grandi fasi:
1. la prima fase (2300-1700 a.C.), detta palaziale, vede la costruzione dei primi palazzi nelle principali città
dell’isola. Dato lo scarso pronunciamento militare di questi palazzi si ritiene che i conflitti fra le città fossero
scarsi. Fu un periodo di fioritura dei commerci nel quale Creta consumò la sua ascesa a potenza
commerciale. Poi improvvisamente, intorno al 1700, nel giro di pochi anni, la civiltà crollo e i palazzi
furono abbandonati. Nessuno può dire con precisione la causa di un crollo tanto repentino; si è ipotizzato
che un gravissimo terremoto abbia investito l’isola facendo crollare i palazzi e causando la morte di gran
parte della popolazione.
2. la seconda fase (1700-1400), detta neopalaziale, inizia con la ricostruzione dei palazzi e la ripresa dei
commerci. È l’epoca in cui la civiltà cretese raggiunge uno splendore tale da abbagliare anche quello della
corte egizia e babilonese e in cui viene elaborato il sistema di scrittura noto come lineare A (sicuramente
derivato dalla scrittura geroglifica egizia).
3. la terza fase (1400-1200), vede invece la fine della civiltà cretese: una fine quasi immediata, come se i re
fossero stati sorpresi nel sonno dal crollo dei loro palazzi. L’isola venne quindi invasa dai micenei, una
popolazione stanziata nel Peloponneso. Gli storici si sono molto interrogati sulle ragioni della decadenza di
Creta; ancora una volta si è dovuto ipotizzare un maremoto per spiegare come una civiltà così evoluta possa
essere decaduta tanto velocemente.
Dopo la conquista da parte dei micenei Creta entrò a far parte regno che essi avevano allestito nel
Peloponneso e non risorse mai più ai fasti di un tempo. Per la popolazione contadina dell’isola si trattò però
di un passaggio di poco conto: la rigida struttura sociale dell’isola (con i contadini che trattenevano solo il
necessario alla loro sostentazione cedendo tutto il resto al palazzo) non mutò di una virgola. Dominatori
stranieri si sostituirono ai dominatori nazionali. Paradossalmente la caduta della potenza marinara cretese
produsse maggiori effetti fuori da Creta stessa: i fenici ne avrebbero infatti ereditato il ruolo, diventando i
padroni indiscussi delle rotte commerciali mediterranee per i secoli successivi.
Lorenzo Possamai Sezione Appunti
Storia della Grecia antica 3. Aspetti generali della civiltà cretese
Come si sarà intuito non si sa molto sulla civiltà cretese. La lineare A non è ancora stata decifrata e la lingua
parlata era completamente scomparsa già verso la metà del primo millennio. Tutto ciò che gli studiosi
conoscono deriva da fonti indirette (egizie sopratutto) e dagli splendidi affreschi che sono ancor’oggi visibili
sulle pareti dei magnifici palazzi, che, quantunque ormai ridotti a sole rovine, riescono ancora a trasmettere
una vivissima impressione di magnificenza in chi li osserva.
La vita a Creta doveva scorrere abbastanza tranquillamente: non era affatto una civiltà guerriera, come
dimostra l’assenza di strutture difensive nei palazzi. Nella fase neopalaziale scompaiono addirittura gli
elementi difensivi più elementari, come muti e fossati, indicando probabilmente che nonostante la presenza
di più palazzi (uno più bello dell’altro racconta Omero), l’isola era retta da un unico sovrano. Sempre le
rovine dei palazzi e i reperti ritrovati suggeriscono la presenza di un settore artigianale vivissimo e
raffinatissimo; l’elite dominate doveva condurre una vita molto signorile.
La struttura sociale appare del resto improntata sul modello del tempio-palazzo, tipico degli antichi popoli
mesopotamici, come i sumeri ed anche gli egizi. Il sistema del tempio-palazzo è una delle forme di
organizzazione civile più antiche dell’umanità, anche se non è caratteristica di tutte le civiltà primordiali. In
questo sistema tutto il potere politico, religioso ed economico è concentrato in un grande palazzo, dove
risiedono il re, la casta sacerdotale, i nobili, i soldati e gli artigiani; i contadini sono invece sparpagliati nella
campagna circostante ma dipendono dal palazzo per tutte le loro esigenze: innanzitutto la terra che coltivano
non è di loro proprietà ma è del palazzo e ogni famiglia trattiene solo lo stretto necessario al suo
sostentamento: tutte le eccedenze non impiegate al mantenimento degli abitanti del palazzo sono stoccate
nei magazzini reali e ridistribuite solo in caso di carestia. Secondariamente è il palazzo a dirigere i lavori nei
campi e a curare (tramite le corvè dei contadini) la manutenzione delle infrastrutture (strade e canali); gli
artigiani del palazzo forniscono gli utensili per il lavoro; il re e le sue guardie amministrano la giustizia
mentre i sacerdoti dirigono i culti e le cerimonie per la prosperità della terra. Quasi certamente, nella civiltà
cretese, era il palazzo a gestire i commerci marittimi; i profitti erano probabilmente reinvestiti
nell’ampliamento delle rotte o nell’edificazione dei palazzi, che erano troppo lussuosi per una semplice
società contadina, quale era appunto la società cretese se si esclude la sua dedizione al commercio
marittimo.
Quanto alla religione cretese, essa appare tipicamente neolitica per la presenza di divinità antropomorfe e
per i suoi tratti feticisti: cioè la tendenza a vedere il divino nei fenomeni naturali apparentemente magici
(come fulmini, pietre magnetiche) o nei luoghi più evocativi (antiche grotte abitate da uomini preistorici,
alberi maestosi..). Molte di queste figure della religiosità cretese sarebbero poi state raccolte secoli più tardi
dai greci, come il monte Ida, che i greci avrebbero poi identificato come il luogo d’infanzia di Zeus o la
figura della Dea Madre che dispensa amore e fertilità, caratteri che sarebbero riaffiorati in Afrodite.
Lorenzo Possamai Sezione Appunti
Storia della Grecia antica 4. L’influenza cretese sulla Grecia (il mito del Minotauro)
Prima civiltà sorta su territorio europeo; civiltà antica anche in senso assoluto (nacque, si sviluppò e morì
nel II millennio); civiltà originale rispetto a quelle mesopotamiche ed egizia; la civiltà cretese ha anche un
altro merito: quello di aver iniziato il processo di civilizzazione del Peloponneso (dove probabilmente i
cretesi avevano allestito scali commerciali). I micenei, un popolo del Peloponneso che avrà una parte
importante nella storia greca (come vedremo nel prossimo capitolo), dovettero ai cretesi molte conoscenze
civili, tecniche e culturali. Non è un caso che fino al 1952, quando l’archeologo inglese Michael Ventris
decifrò la Lineare B rivelando l’errore, i micenei fossero stati considerati sono come una ramificazione
secondaria della civiltà cretese.
Questo rapporto subalterno dei micenei rispetto ai cretesi (che introno al 1400 si sarebbe invertito con la
conquista micenea dell’isola), è adombrato anche dalla nota leggenda del Minotauro. Minosse, re di Cnosso,
forse la più importante città cretese (da qui deriva anche il nome minoica usato spesso per identificare la
civiltà cretese), aveva avuto diverse mogli ma tutte partorivano serpenti, scorpioni e altri animali orribili;
solo Pasife, alla fine, riuscì a dare alla luce figli normali, tra cui Fedra e Arianna. Purtroppo Minosse offese
il dio Poseidone che si vendicò facendo innamorare Pasife di un toro. Da quel connubio nacque il
Minotauro, mezzo uomo e mezzo toro, che il Re fece rinchiudere in un labirinto che fu costruito per
l’occasione da un ingegnere di nome Dedalo (che fu anch’egli imprigionato assieme a suo figlio Icaro).
Come è noto Dedalo riuscì a fuggire dal labirinto con delle ali di cera, ma suo figlio dimentico del consiglio
del padre di non avvicinarsi troppo al Sole volò sempre più in alto, finché le ali si sciolsero facendolo
precipitare in terra. Il Minotauro invece rimase imprigionato nell’intricatissimo labirinto e Minosse lo
nutriva ogni anno con sette ragazzi e sette ragazzi che si faceva consegnare dai popoli vassalli. Un anno
accadde che Teseo, il figlio del Re di Atene (anch’egli tributario di Creta), chiedesse di far parte del
drappello di giovani utilizzati come cena per il Minotauro. Il piano di Teseo era quello di entrare nel
labirinto e uccidere il Minotauro. Fortunatamente Arianna si innamorò di lui e prima che fosse condotto nel
labirinto gli consegnò un filo d’oro da srotolare per poterlo poi seguire a ritroso (altrimenti non sarebbe mai
stato possibile ritrovare l’uscita). Teseo riuscì ad uccidere il Minotauro e ad uscire dal labirinto, quindi
mantenne fede alla sua promessa: sposò Arianna e scappò con lei, ma giunto a Nasso l’abbandonò dormiente
sulla spiaggia e continuò il viaggio solo con gli amici.
In conclusione la civiltà cretese rimane ancor oggi perlopiù sconosciuta. Con le rovine dei suoi palazzi ha
lasciato in eredità ai secoli la testimonianza incontrovertibile dell’elevatissimo livello che riuscì a
raggiungere, ma quanto alle cause che ne determinarono il crollo esse sono ancora un assoluto mistero. Pure
il suo ruolo nella storia della Grecia antica è per la maggior parte ancora inesplicato. Senza dubbio esso fu
grande: Creta era un faro di civiltà quando ancora il Peloponneso ed il resto della Grecia continentale erano
ancora avvolte nella preistoria e vivevano in maniera primitiva. Creta commerciava con queste popolazioni e
quasi certamente trasmesse loro molte delle sue conoscenza. Le leggende ed i miti (come quello di Minosse)
ci suggeriscono che l’influenza cretese sulla Grecia fu intensa, ma quanto precisamente è ancora terreno
esclusivo delle ipotesi.
Lorenzo Possamai Sezione Appunti
Storia della Grecia antica Per certo sappiamo solo che i cretesi non erano greci (i greci, intesi come etnia e nazione, si formarono solo
successivamente), tuttavia i cretesi ebbero una parte importantissima nella civilizzazione di quella che,
alcuni secoli dopo, sarebbe diventata la Grecia Antica. Grande è perciò il debito dei greci e più in generale
delle civiltà occidentale, verso i cretesi.
Lorenzo Possamai Sezione Appunti
Storia della Grecia antica 5. Civiltà micenea, dall’origine all’espansione
La civiltà micenea è talmente tanto figlia di quella cretese che taluni parlano addirittura di civiltà cretese-
micenea. Con questa asserzione, che permette di inquadrare fin da subito i caratteri della civiltà micenea, è
bene che cominci questo capitolo.
Essa (la civiltà micenea) si sviluppò nel Peloponneso. Probabilmente i rapporti commerciali con Creta erano
intensi e i commercianti cretesi avevano allestito nel continente scali commerciali. Fatto sta che quest’area
di continente europeo (che in realtà assomiglia più ad un isola) iniziò a subire un processo di civilizzazione
molto più intenso di quello del resto della terraferma greca, come l’Attica, la Beozia o la Tessaglia (giusto
per citare le aree più importanti). Iniziarono a formarsi delle città con attorno un contado agricolo: Micene,
Argo, Tirinto e Pilo erano le più importanti. Come per la società cretese il modello era quello del tempio-
palazzo, ma diversamente da Creta l’economia non era basata sul commercio, ma sull’agricoltura e la
pastorizia. Questa fu una differenza importante perché segnò la differente evoluzione della società micenea
da quella cretese. Nella prima iniziò a formarsi un aristocrazia agricola in un certo senso contrapposta al
palazzo (a Creta il palazzo era tutto: solo i contadini vivevano fuori dal palazzo). Nei centri Micenei invece
il palazzo era solo il centro dell’organizzazione politica e militare. Anche se effettivamente la terra era
proprietà del palazzo, la sua funzione ordinatrice della vita sociale ed economica risultava attenuata dalla
presenza stabile, nel contado, delle assemblee dei gruppi gentilizi, che detenevano il diritto di far coltivare la
terra dai loro chiavi in cambio del pagamento di un canone al palazzo.
Col tempo le differenze fra le due civiltà aumentarono. I centri micenei si dotarono di strutture difensive e si
organizzarono in piccoli stati militari autonomi fra loro. Non è chiaro se questi centri lottassero fra loro
poiché, per dirla semplicemente, la maggior parte degli aspetti della civiltà micenea sono ancora del tutto
oscuri. È sicuro invece che attorno al 1400, quando la civiltà cretese improvvisamente crollò, i micenei
organizzarono uno sbarco nell’isola, che da allora divenne un territorio effettivo del loro stato (o
confederazione che fosse). La conquista di Creta (che essi non riusciranno mai a far tornare neanche
lontanamente all’antico splendore), rappresenta per la civiltà micenea una svolta che darà inizio ad un
espansione che li porterà ad estendere la loro sfera d’influenza alle principali isole dell’Egeo (fra cui Cipro e
Rodi) e alle regioni della Grecia centrale, per concludersi in bellezza con la distruzione di Troia, la ricca
città cantata nell’Iliade.
Lorenzo Possamai Sezione Appunti
Storia della Grecia antica 6. L’etnia dei greci
A questo punto è necessario affrontare un discorso circa la “nazionalità” dei greci. Gli abitanti originali delle
isole del Mar Egeo (fra cui Creta) e della Grecia continentale, non erano i progenitori dei cittadini della
Grecia odierna, e nemmeno di quella classica, erano un’altra razza, di origine indoeuropea. Dagli affreschi
rinvenuti nei palazzi cretesi ci è stato tramandato l’aspetto di questa popolazione: erano piuttosto bassi di
statura e snelli, con una carnagione di colorito mediterraneo. I greci antichi erano evidentemente
consapevoli di questa loro diversità rispetto agli abitanti originali, e coniarono per identificare i pochi
rimasti “geneticamente integri” il termine di “pelasgi”.
Ma chi erano allora i greci?
Un miscuglio fra pelasgi e Achei è stato ipotizzato. Si tratta di un ipotesi probabilmente corretta ma il
condizionale resta obbligatorio. I pelasgi erano gli abitanti originali, furono loro a creare la civiltà cretese e
quella micenea, poi sopraggiunsero da Nord (in varie ondate) gli Achei, la cui origine precisa è ignota ma
che conoscevano l’uso del ferro. Questo popolo straniero sottomise progressivamente i pelasgi e conquistò il
potere, ma al contempo, si fuse con loro in maniera molto stretta, fino a formare una nuova etnia, che è
appunto quella greca. Omero nell’Iliade racconta che Troia fu assediata e distrutta da una colazione di
signori Achei (Agamennone è appunto presentato come il capo degli Achei). Questo popolo in origine
straniero e invasore sarebbe insomma divenuto sinonimo stesso di grecità. Quando poi i Dori (un'altra
popolazione barbara) invasero alcuni secoli dopo la Grecia, i pelasgi-Achei li chiameranno invasori stranieri,
cosa che non avrebbe senso se, nel frattempo, pelasgi e Achei non si fossero fusi nella nuova nazionalità
greca.
Questo però pone dei problemi circa la civiltà micenea. Se gli Achei invasero la Grecia assumendo il potere
si deve concludere che Troia non fu una conquista della civiltà micenea ma di quella istaurata dagli Achei?
La risposta in verità manca: il passaggio del potere politico dai nativi agli Achei è incerto e mancante di
documentazione. Esso è talmente confuso che fino a quando l’archeologo inglese William Ridgeway non si
accorse che fra cretesi-micenei e Achei v’erano differenze fondamentali (gli uni seppellivano i morti gli altri
li cremavano, i primi non conoscevano il ferro i secondi si), si pensava che gli Achei fossero una
popolazione nativa che sostanzialmente proseguì migliorandola la civiltà micenea.
Lorenzo Possamai Sezione Appunti
Storia della Grecia antica 7. Inizio della storia greca, la guerra di Troia
Con la fusione degli Achei con i locali inizia dunque la storia greca propriamente detta. La guerra di Troia,
che essi combatterono (secondo l’opinione generalmente condivisa oggi) fu infatti considerata dai greci
antichi come l’atto attraverso cui la nazione greca assunse consapevolezza della sua unitarietà. Non è quindi
esagerato attribuire un ruolo tanto importante a quella guerra. Ma cosa si sa esattamente su Troia?
Anche in questo caso la risposta è ‘assai poco’. Fino al 1870, quando il grande archeologo tedesco Enrico
Schliemann non riportò alla luce i nove strati sovrapposti di rovine della città, tutti gli archeologi erano
concordi nell’affermare che Troia esisteva solo nella fantasia di Omero. Alcuni anni dopo inoltre, lo stesso
Schliemann riportò alla luce anche la tomba di Agamennone e le mura di Tirinto nel Peloponneso
dimostrando che la guerra cantata da Omero era davvero esistita. Da allora non ci sono più state scoperte
altrettanto rivoluzionarie sulla storia più antica della Grecia. Troia era senza dubbio una città ricca poiché
controllava l’accesso ai Dardanelli. Era forse stata fondata da genti cretesi ma non vi sono prove conclusive
a riguardo; la data convenzionale della guerra che la distrusse è il 1260 a.C. Tale data rappresenta anche
l’apice della civiltà micenea (o Achea): la guerra costò ai greci un prezzo troppo altro sia in termini di
risorse che di vite umane. Dopo la guerra si assiste infatti alla fine di ogni espansionismo greco.
Lorenzo Possamai Sezione Appunti
Storia della Grecia antica 8. La fine dei regni micenei-achei
Non molto tempo dopo la trionfale conquista di Troia, la civiltà micenea (o achea) cessò di esistere in un
tempo molto rapido. Attorno al 1200 le principali città-fortezze furono date alle fiamme e distrutte. Le
tavolette di Lineare B ritrovate a Pilo (pervenute proprio perché cotte dagli incendi) descrivono affannosi
preparativi militari di difesa: guarnigioni poste in stato d’allarme e pattuglie inviate a vigilare la costa in
vista di un pericolo imminente, sulla cui natura, però, non è dato alcun cenno. Non esiste pertanto una
spiegazione del tutto sicura sulla fine repentina della civiltà micenea, tuttavia gli storici sono abbastanza
concordi nel supporre che si sia trattato di un invasione da parte dei cosiddetti “Popoli del Mare”, una
popolazione barbara che intorno al XII secolo travolse l’intero Medio Oriente e che nelle fonti egizie è
chiamata popoli del mare (anche se in realtà provenivano da qualche luogo al confine fra Europa ed Asia
centrale e si muovevano quasi esclusivamente via terra).
Comunque queste popolazioni (delle quali si sa pochissimo) sconvolsero per più di un secolo la vita del
Vicino Oriente. Il grande Impero hittita fu del tutto travolto, mentre l’Impero egizio (il più vasto e potente
dell’epoca) riuscì a bloccare gli invasori solo al prezzo di arroccarsi per quasi due secoli entro i suoi confini
naturali, rinunciando ad ogni velleità espansiva. È perciò molto probabile che essi, prima di giungere nel
Vicino Oriente, abbiano attraversato il mondo greco, ponendo fine alla civiltà micenea. Sebbene
sommamente arretrate rispetto al mondo civilizzato, queste popolazioni avevano infatti un vantaggio
decisivo: a differenza degli achei che conoscevano il ferro ma non sapevano utilizzarlo, essi lo lavoravano
con abilità. Per quanto più evoluti gli eserciti achei e hittiti non poterono nulla contro gli invasoti: le loro
clave e le armi in bronzo semplicemente si frantumavano quando venivano colpite da un fendente in ferro.
La geopolitica di tutto il mondo antico risultò sconvolta dall’invasione dei popoli del mare. Nel Vicino
Oriente la caduta degli Hittiti e l’impossibilità degli Egiziani a continuare una politica estera imperiale,
determinò un vuoto di potere nell’area siro-palestinese (prima contesa fra egizi e hittiti). E come un
germoglio nel sottobosco che grazie alla caduta di alcuni alberi più grandi riesca a ricevere i raggi del sole,
così in Palestina gli Ebrei poterono erigere il loro primo stato indipendente e, poco più a Nord, alcune città
costiere (favorite dall’apertura del Mediterraneo orientale dovuta proprio al collasso del mondo greco)
poterono ereditare il monopolio commerciale miceneo e diventare una talassocrazia senza eguali: quella
fenicia. In Mesopotamia invece un altro germoglio si preparava a raccogliere l’eredità dei grandi imperi
abbattuti dai popoli del mare: erano gli Assiri, che di li a poco avrebbero costruito il più grande impero della
storia fino a quello persiano.
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Storia della Grecia antica 9. Il medioevo ellenico (XIII - VIII secolo, l’ETÀ DEL FERRO)
Diversamente dal Vicino Oriente, nel quale il sottobosco era così evoluto che la morte di una civiltà
significava solo la nascita di un'altra, in Grecia il crollo degli staterelli micenei (o Achei se si preferisce),
segnò il passaggio ad una fese ritenuta ‘oscura’ e detta per questo Medioevo ellenico. Durante questo
periodo, che durò approssimativamente dal 1200-1100 all’800 circa, il livello di civiltà si contrasse
notevolmente. I grandi centri urbani come Micene, Tirinto, Pilo non furono più ricostruiti perché la loro
funzione politica, ora che i regni accentrati dei quali erano le capitali risultavano disgregati, non era più
necessaria. L’economia si restrinse fino a volgersi all’autoconsumo e il volume del commercio divenne
minimo. Tutto si riorganizzò a livello locale: di villaggio o di piccola città dedita al suo contado agricolo. La
scrittura, non più necessaria in un ambiente di piccoli centri agricoli, scompare completamente. Era il
Medioevo ellenico.
Durante tutto questo periodo si consumò il processo di insediamento al potere dei nuovi conquistatori: i
barbari. Ad essi la tradizione greca ha dato il nome di Dori ed è probabile che fossero effetti-vamente questi.
Essi conquistarono il potere in quasi tutta la Grecia (salvo l’Attica e altre poche zone che riuscirono ad
oppor-visi con successo); diversamente dagli Achei però, i Dori furono una minoranza conquistatrice molto
più chiusa e impiegarono un tempo di alcuni secoli prima di amalgamarsi con la popolazione locale. Fino
alla fine di questo processo continuarono ad essere perlopiù malvisti dalla popolazione greca e ciò rafforzò
quel processo di migrazione dei greci continentali verso le isole e la costa anatolica, che, iniziato già alcuni
tempi prima, si fece nel corso della conquista dorica così inteso da essere definito prima colonizzazione
greca. Il risultato di questi vasti sommovimenti di genti che interessarono tutta la durata del Medioevo
ellenico fino a circa il IX secolo (900-800 a.C.), fu la definizione nell’area greca di tre gruppi etnici
principali: Ioni, Eoli e Dori, parlanti tre dialetti diversi della stessa lingua.
Come detto il Medioevo ellenico fu un periodo di involuzione dal punto di vista della civiltà; la sola
scomparsa della scrittura sarebbe sufficiente a suffragare questa affermazione. Tuttavia il medioevo fu anche
un periodo di evoluzione, un processo che seppure cominciato imbarbarendo la Grecia, l’avrebbe portata a
sviluppare una civiltà propria, particolare e diversa rispetto a quelle che continuavano a succedersi nel
Vicino Oriente. In un certo senso questo periodo fu la fucina della civiltà occidentale, se è vero che essa
nacque con i greci. La caduta degli staterelli Achei-Micenei, avrebbe difatti condotto alla formazione di quel
particolarissimo sistema economico-sociale-politico che è stata la Polis, la quale fu la base della storia e
della filosofia greche.
I nuovi conquistatori sconvolsero infatti le strutture politiche dell’età micenea. Nel nuovo contesto ristretto
dei villaggi e delle piccole città, andò aumentando la forza dell’aristocrazia che deteneva la terra e che la
faceva lavorare da una folta classe di braccianti e schiavi; accanto ad essa c’era il Consiglio degli Anziani,
che affrontava le questioni comuni e regolava il diritto alla vendetta privata; infine, l’Assemblea di tutti i
cittadini liberi, senza potere alcuno ma in grado di esercitare una certa forza politica. Tutto ciò mentre la
monarchia centralizzata, non più sostenibile nel nuovo contesto rimpicciolito, andava velocemente
scomparendo dappertutto. La Grecia medioevale andava dunque delineandosi sempre più verso quelle forme
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Storia della Grecia antica che la avrebbero caratterizzata in Età classica. L’arrivo dei Dori segnò anche un altro importantissimo
passaggio: quello dall’età del bronzo all’età del ferro. In conclusione il Medioevo fu effettivamente un
periodo oscuro, ma fu essenziale affinché si costituissero le condizioni che avrebbero dato vita alla struttura
sociale delle polis, senza le quali la civiltà greca non sarebbe stata ciò che è stata, e così, di conseguenza,
anche la civiltà occidentale.
Il Medioevo è anche il periodo nel quale i cantori itineranti (aedi o rapsodi) misero assieme quel complesso
di racconti (riferiti all’età precedente) che sono l’Iliade e l’Odissea. Al pari della guerra di Troia al tempo
degli Achei, le opere di Omero contribuirono a formare la coscienza nazionale greca durante il periodo
medioevale. Inoltre Essi ci forniscono importanti informazioni sulla società e la cultura del periodo, come il
valore sacro dell’ospitalità, la mancanza di una casta sacerdotale (particolarità unica della Grecia rispetto al
Vicino Oriente), la presenza di un panteon molto ampio e il carattere antropomorfo delle divinità, dotate di
pregi e difetti al pari dei comuni mortali e altrettanto soggette alle passioni.
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Storia della Grecia antica 10. La nascita della polis greca
Nel capitolo precedente si è visto come l’invasione dei Dori (popoli del mare) abbia segnato la fine della
Civiltà acheo-micenea e l’inizio del Medioevo ellenico. Durante il Medioevo l’organiz-zazione civile subì
cambiamenti radicali: alle monarchie accentrate tipiche della civiltà cretese-micenea, si sostituirono forme di
governo comunitarie, più adatte a gestire una realtà socioeconomica ridimensionata alla scala del villaggio o
della piccola città costruita attorno al suo contado agricolo. Al termine del periodo medievale (VIII secolo
a.C.) questi mutamenti avevano ormai raggiunto un notevole grado di maturazione ed erano pronti ad
evolversi in una forma politica inedita alla storia mondiale sino a questo punto: la polis greca. In questo
capitolo si studieranno la nascita e le caratteristiche del modello della polis; modello che fu alla base dello
sviluppo della civiltà greca classica almeno quanto fu poi la causa della sua rovina (determinando
l’incapacità dei greci di unirsi in un forte stato accentrato).
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Storia della Grecia antica 11. Da semplice villaggio a polis
Come si è visto, l’arretrata economia medievale era basata sulla pastorizia, mentre l’agricoltura era perlopiù
appannaggio del ceto aristocratico, che possedeva la maggior parte delle terre. Il commercio era limitato,
così come le strutture burocratiche e religiose (si è visto che non esisteva una casta sacerdotale, e la scrittura
era addirittura scomparsa). Le antiche città palazziali di età micenea erano cadute in rovina, e la popolazione
aveva fondato nuovi e più piccoli insediamenti urbani sulla sommità dei colli, dove la difesa militare era più
agevole. I contadini scendevano a valle la mattina, per dedicarsi ai campi, e ritornavano al loro villaggio la
sera.
Questa situazione cominciò a cambiare solo attorno alla metà del VIII secolo (750 a.c. circa), quando il
mondo ellenico, cominciò ad essere interessato da un aumento della capacità di produzione agricola. Non si
sa esattamente a cosa ciò sia dovuto, però è certo che la popolazione dovette aumentare notevolmente,
determinando problemi sociali nuovi. Infatti, come sempre accade nelle economia preindustriali,
all’aumento della produzione seguì un aumento delle nascite che rese la produzione di nuovo inadeguata. La
terra divenne insufficiente e l’impoverimento che ne conseguì costrinse molte famiglie contadine schiacciate
dai debiti a vendere il proprio podere all’aristo-crazia, diventando braccianti di questa, ma vivendo di fatto
in una condizione semiservile.
Questa situazione estremamente pericolosa fu in parte risolta spingendo la popolazione in eccesso ad
emigrare, fondando nuove città, le colonie, in altri luoghi, spesso assai distanti dalle città natie (come fra
poso si vedrà).
Nonostante la valvola di sfogo dell’emigrazione, il passaggio dall’economia prevalentemente pastorale del
Medioevo alla nuova economia agricola, determinò una serie di cambiamenti che avrebbero di lì a poco
concretizzato in maniera definitiva la nuova forma politica della polis. Ma prima di esporli dettagliatamente
è meglio esaurire due questioni importanti: perché le polis greche non si unirono mai in uno stato unitario, e
cosa significava per un greco la sua polis.
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Storia della Grecia antica 12. L'antica Grecia: una nazione di città-stato indipendenti
Molte volte gli storici si sono domandati perché i greci non si siano mai uniti in uno stato unitario ma siano
sempre rimasti prigionieri dello schema delle città-stato, nonostante fossero consapevoli di appartenere tutti
ad un unico grande popolo. Anche durante i pericoli più gravi, come l’aggressione dei persiani, il meglio che
essi riuscirono fare fu il riunirsi in leghe difensive, mentre in pace erano i giochi di Olimpia la massima
occasione di unità del popolo greco.
Certamente fu decisivo il fatto che nel VIII secolo, quando le polis si costituirono, non vi fossero nemici a
minacciare l’Egeo e la Grecia. Gi Hittiti erano stati spazzati via dalla storia ancora nel 1200; l’Impero
persiano sarebbe sorto solo intorno al 500 a.C.; gli Assiri, dominatori del Vicino Oriente in quel momento,
non erano buoni navigatori; gli egizi, oltre ad essere impegnati contro gli assiri, concentravano tutti i loro
sforzi nell’area siro-palestinese; i fenici erano una talassocrazia e il dominio militare della Grecia non era
certo un loro obiettivo: essi al massimo fondavano scali commerciali. La stessa Cartagine era ancora
solamente un piccolo porto africano; l’Italia e l’Occi-dente erano avvolti nella preistoria; l’area balcanica
doveva ancora riprendersi dalle devastazioni provocate dal passaggio dei Dori alcuni secoli prima. Si
trattava di un contesto internazionale estremamente favorevole, che non imponeva l’accentramento poiché
non c’erano minacce.
Ma ciò non basta tuttavia a spiegare per cui i greci rimasero solo un nazione di città-stato fieramente
indipendenti le une dalle altre. Esse sono infatti la geografia greca, che rendeva difficili i collegamenti via
terra ed isolava le poche piane esistenti a ridosso del mare, e la lunga esperienza del Medioevo ellenico, che
con i suoi sei secoli circa di durata, caratterizzati da un economia volta all’autoconsumo e dall’assenza di
strutture politiche o religiose unificanti, contribuirono a fossilizzare le molte realtà locali, isolandole le une
dalle altre e chiudendole in sé stesse. La loro fu dunque una civiltà di città-stato. Ecco perché, a questo
punto, è opportuno dedicare la massima attenzione a spiegare cosa fosse la polis per l’uomo greco. Si trattò
infatti di un’esperienza del tutto sconosciuta all’uomo attuale, che vive semmai la situazione opposta.
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Storia della Grecia antica 13. La polis, cosa significava per l’uomo greco
La polis greca è una città stato. La parte alta della città, l’antico villaggio in cima al colle, è diventato
l’acropoli, ossia la cittadella fortificata, dove sorge il tempio della divinità protettrice e dove è possibile
rifugiarsi in caso di assedio. Al di sotto si estende l’area urbana, anch’essa protetta da mura, dove vivono gli
aristocratici, i filosofici, le guardie, ma anche la maggior parte del popolo: mercanti, artigiani, contadini,
pescatori.. I limiti esterni del contado agricolo definiscono i confini dello stato. La maggior parte delle polis
è di dimensioni ridotte: Atene e Siracusa, che superavano i 200’000 abitanti, rappresentarono delle
eccezioni. Corinto e Tebe, che oscillavano fra i 50 e i 100’000 abitanti, potevano considerasi grandi polis;
Sparta, che pure era importante, aveva una popolazione ancora minore. Ciò da un idea delle dimensioni della
maggior parte delle polis.
All’interno della polis non tutti godevano dei diritti politici. Essi infatti erano riservati ai soli maschi
maggiorenni, liberi e figli di cittadini della polis. Dei 250’000 abitanti di Atene nel 430 a.C., ad esempio,
appena 30’000 erano cittadini, i restanti erano donne, schiavi o stranieri.Non tutte le polis erano rette da un
sistema politico democratico, molte erano governate da un tiranno (o re) oppure da una oligarchia (o
aristocrazia). In verità difficilmente uno di questi sistemi si presentava in maniera pura. Ogni città aveva le
sue leggi e le sue tradizioni. Ciò che veramente contraddistingue la forma di stato della polis non era infatti
tanto la struttura politica, le leggi e le magistrature, quanto il fatto che esse erano condivise dai suoi abitanti.
Socrate bevve la cicuta nonostante si ritenesse innocente in ossequio alle leggi della sua città. Il sentimento
di appartenenza alla propria polis era qualcosa di estremamente forte nel mondo greco, dove per i cittadini il
mondo corrispondeva grossomodo alla cinta muraria della propria città. Se i greci non si unirono mai in una
nazione è proprio a causa di questo forte senso di appartenenza alla propria polis. Un attaccamento che non
si potrebbe spiegare senza l’esperienza del Medioevo.
Se l’uomo è un animale sociale, la vita dell’uomo greco si svolgeva nella polis. Nella polis nasceva, veniva
educato, diventava uomo, si sposava e moriva. Le dimensioni ridotte del territorio e della popolazione,
permettevano a tutti di conoscere tutti. Nell’agorà si teneva il mercato, l’assemblea cittadina, i processi;
nell’agorà si discuteva di filosofia, si conversava con gli amici, si scambiavano i pettegolezzi. Ogni polis
greca era insomma una comunità chiusa, un microcosmo unico e irripetibile. Ecco perché era tanto difficile
la formazione di un entità che travalicasse il ristretto ambito della polis.
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Storia della Grecia antica 14. La seconda colonizzazione dell'antica Grecia
Come si accennava, una delle conseguenze più immediate della rivoluzione agricola fu la
sovrappopolazione, ossia l’insufficienza di terra di fronte all’aumento della popolazione. Questo problema
fu risolto dai greci fondando nuove città in altre regioni d’Europa dove fu sfogato il surplus di popolazione
della madrepatria.
Si trattò di un processo gigantesco, un’epopea durata due secoli, dal VIII al VI a.C., che portò i greci a
fondare molte decine di polis in tutto il Mediterraneo. Esso prende il nome di seconda colonizzazione, per
distinguerlo dalla prima colonizzazione, avvenuta al tempo dell’invasione dorica, quando i greci del
continente, per sfuggire alle devastazioni dei barbari, scapparono nelle isole dell’Egeo e nella costa
dell’Anatolia.
La seconda colonizzazione coinvolse aree al di fuori dell’Egeo (dove le terre e le baie migliori erano già
state occupate durante la prima colonizzazione), portando i greci lungo le coste del Mar Nero, quelle
dell’Africa, dell’Italia e, addirittura della Francia e della Spagna. L’Italia meridionale fu comunque l’area
dove sorsero il maggior numero e le più importanti colonie greche, tanto che ad essa fu affibbiato il nome di
Magna Grecia.
Quello che è stato definito il Far West dei greci, non fu però un processo disordinato ed individuale, di
famiglie di pionieri che partivano per allestire fattorie in terre selvagge; si trattava di grandi e costose
spedizioni, organizzate fin nei dettagli dal governo della città madre, che provvedeva a fornire i coloni di
provviste, armi ed utensili. Ad esse partecipavano le categorie più disparate: dai membri di un partito
politico sconfitto, a nobili in cerca di facili guadagni, ad avventurieri veri e propri; ma la maggior parte
erano comunque masse di diseredati che speravano in una vita migliore.
Una speranza che il più delle volte si concretizzava. I coloni navigavano per mesi alla ricerca di un buon
approdo, circondato da terre fertili e facilmente difendibile; e quando lo trovavano iniziavano a costruire la
nuova città, dividendosi la terra e assegnandosi i reciproci compiti. Era una gioia per un contadino ricevere
un buon podere da coltivare, quando nella madrepatria era costretto a fare il bracciante nel latifondo di un
aristocratico. Il difficile era edificare tutto da zero e difendersi dagli attacchi delle popolazioni locali. Ma
l’Occidente era ancora avvolto nella preistoria e ai greci, dotati di modernissime armi in ferro, non fu
difficile istaurare buoni rapporti con le popolazioni autoctone, o al più, costringerle a rifugiarsi nelle zone
impervie dell’entroterra (come ad esempio successe in Sicilia). Sono noti casi in cui le richieste per partire
con una spedizione erano così numerose che le autorità cittadine furono costrette a procedere per sorteggio.
Del resto, chi partiva, seppure pativa la sofferenza del distacco dalla propria terra e da parte delle sue
conoscenze, non era comunque solo: i suoi compagni erano anch’essi abitanti della sua polis ed egli già li
conosceva; la nuova città che avrebbero edificato sarebbe stata, da un punto di vista culturale, la copia
identica della madrepatria, solo che in essa le possibilità di una vita confortevole erano molto maggiori. Non
è un caso che i greci chiamassero “trasferimento di casa” questa forma di emigrazione: ciò che emigrava non
erano gli uomini, ma l’intero modello socio-politico della polis greca, che tramite la fondazione di nuove
colonie si espandeva al di fuori dell’Egeo, facendo letteralmente sbarcare la civiltà lungo le coste di un
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Storia della Grecia antica Mediterraneo ancora perlopiù selvaggio.
Le nuove colonie seguivano il modello tipico della polis greca, ossia indipendenza assoluta. Verso la città
madre esse mantenevano un particolare rapporto affettivo: era prevista la possibilità di doppia cittadinanza;
in certe occasioni si accendeva il fuoco della patria con sterpi provenienti dalla madrepatria; si interrogava la
città madre affinché nominasse un capo spedizione per una nuova colonia da fondare.. Ma tutto finiva qui:
non vi era la minima sudditanza politica, né economica; sono addirittura note guerre scoppiate fra una polis
e la sua colonia, anche se normalmente i rapporti erano pacifici (anche perché una guerra fra una città in
Grecia ed una in Francia non avrebbe avuto molto senso).
È notevole il fatto che i primi filosofi dei quali ci è giunta memoria (Eraclito, Talete, Pitagora, Empedocle,
Parmenide, Senofane), vissuti fra VII e VI secolo, non abbiano operato nelle polis in Grecia, ma in quelle
dell’Asia minore e della Sicilia. Questo strano fatto è stato spiegato con la possibilità che nelle colonie la
libertà fosse maggiore. In madrepatria esistevano rapporti di potere, privilegi e pregiudizi che si protraevano
dal Medioevo, e che era pericoloso andare ad intaccare, aggredendo il mitos o anche solo proponendo nuovi
modi di ragionare. Nelle colonie la terra veniva invece distribuita in parti uguali al momento dello sbarco e
le occasioni per emergere socialmente e politicamente erano più numerose; ciò ha fatto ritenere che la
società fosse più egualitaria e anche più aperta alle nuove idee. E ciò avrebbe permesso alla filosofia di
svilupparsi prima nelle colonia che non in Grecia.
La seconda colonizzazione si svolse lungo un arco di due secoli, dal VIII al VI. Si trattò di una coincidenza
fortunata per i greci, che poterono occupare mezzo Mediterraneo senza la minaccia di vicini forti e bellicosi.
Gli Egiziani non erano mai stati bravi navigatori, e meno che meno lo erano gli assiri, popolo egemone in
Medio Oriente. In Italia, l’unica civiltà degna di nota era quella etrusca, ma la prima battaglia fra greci ed
etruschi si ebbe solo nel 540, ossia quando il processo di colonizzazione volgeva già al termine. L’unico
vero problema furono quindi i fenici, che nel VIII secolo avevano già stabilito roccaforti in tutto il
Mediterraneo e specialmente in Sicilia (Palermo e Trapani). Ma le colonie fenice erano più scali
commerciali che città, e la competizione con questo popolo fu più sul mare (con reciproche azioni di
pirateria) che non sulla terra con assedi alle roccaforti, e non fu quindi un serio ostacolo all’espansionismo
greco.
Molto più duro fu il confronto con Cartagine, che da piccolo porto tunisino che era all’inizio del VIII secolo,
era in poco tempo diventata centro di un impero di città-stato in piena espansione. La Sicilia fu il terreno di
scontro terrestre: i fenici controllavano la parte occidentale dell’isola, i greci quella orientale. In Sicilia
tuttavia i Greci erano forti: Siracusa fondata nel 733 da coloni di Corinto arrivò ad una popolazione di più di
200'000 abitanti e sfruttando la fertile pianura dell’Etna divenne celebre per la sua copiosa produzione;
mentre Agrigento, fu per qualche periodo considerata la città greca in assoluto più ricca.
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Storia della Grecia antica 15. L’evoluzione politica delle polis greche: dall’aristocrazia alla
democrazia
Come anticipato, il miglioramento delle tecniche agricole e il conseguente aumento della popolazione,
avevano profondamente trasformato il sistema economico uscito dal Medioevo. A questa situazione di forte
crescita demografica si aggiunse l’impulso al commercio che l’espansione coloniale continuava ad
alimentare, sia fra città madre e colonia, che fra tutte le polis tra loro. La proprietà fondiaria, appannaggio
dell’aristocrazia, cominciò ad essere superata come fonte di ricchezza dal commercio marittimo. Il sistema
economico stava trasformandosi: commercio ed artigianato diventavano i settori chiave. Verso la fine del
VII secolo, questo processo raggiunse il traguardo importantissimo dell’introduzione della moneta. Ogni
polis batteva la sua moneta, recante da un lato l’effige della dea protettrice e dall’altro il simbolo della città.
Nacquero presto delle vere e proprie banche, che prestavano denaro ad interesse e che garantivano ai propri
clienti la possibilità di prelevare e depositare i propri guadagni, presso una filiale in un'altra città. Ciò è
sufficiente a dare l’idea dei progressi che l’economia delle polis greche compì nel breve spazio di meno di
due secoli. Ma quale fu l’impatto sulla società e sugli equilibri politici di simili mutamenti?
Furono enormi; ma per comprenderli è necessario tornare agli arbori del VIII secolo, quando iniziò il
miglioramento della produzione agricola, e di conseguenza, il colonialismo e il passaggio ad un’economia
basata sul commercio.
A quel tempo le polis erano solo piccoli centri urbani sulla sommità dei colli. La maggior parte della terra
era posseduta dall’aristocrazia, il cui unico compito era di assicurare la difesa militare. Essendo l’economia
ancora perlopiù basata sulla pastorizia, la guerra avveniva per bande e a combattere era un numero limitato
di persone, i nobili appunto, che in cambio detenevano tutto il potere politico. Ma quando la rivoluzione
agricola rese la terra insufficiente ed innescò il problema della sovrappopolazione, la difesa della terra dai
nemici divenne una questione di vitale importanza per tutta la comunità. È infatti in questo periodo che
nasce la famosa fanteria oplitica; l’oplite è appunto il fante-contadino, provvisto di scudo rotondo, elmo e
lancia. Si tratta di un evento importante, perché per la prima volta anche il demos diventa parte attiva nella
difesa della comunità.
Frattanto comunque, nonostante la valvola di sfogo dell’emigrazione, l’economia stava cambiando, si faceva
più complessa, e con essa stavano cambiando gli equilibri sociali, nascevano nuove stratificazioni. Nel
Medioevo la società si divideva fra aristocratici e demos (contadini, pastori, artigiani), ora invece alcuni figli
del demos stavano diventando ricchissimi. Si trattava dei mercanti, che presto divennero più ricchi di molti
nobili. In una documento Teognide, un nobile vissuto in tarda epoca arcaica, parla con rancore dei “nuovi
ricchi”: “Una volta portava uno stracci, anelli di legno agli orecchi e una pelliccetta logora di bue attorno ai
fianchi, e se la faceva con fornaie e depravati, e si guadagnava la vita con l’imbroglio: molte volte fu
frustato e gli rasarono i capelli e la barba. Ora va in carrozza e porta collane d’oro e un ombrellino
d’avorio.” “Molta gente si è arricchita e i nobili sono in miseria, ma io non farei il cambio con loro, virtù
contro ricchezza: perché quella è salda per sempre, mentre le ricchezze ora uno ora un altro le possiede.”
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