La disfatta siciliana (413)
La pace di Nicia fu in realtà una tregua armata di soli 6 anni, ma è degli ateniesi la colpa se essa durò così poco e in particolare di Alcibiade, un giovane geniale uomo politico affetto però da una smisurata ambizione, che alla fine si rivelò esiziale per Atene.
Sparta del resto, appena conclusa la pace con Atene, dovette occuparsi della scadenza del trattato di pace con Argo, la seconda città più potente del Peloponneso, l’unica che non avesse mai veramente accettato l’egemonia spartana. Nicia voleva la pace e si orientò per il rispetto dei trattati sottoscritti con Sparta, tuttavia Alcibiade riuscì a farsi eleggere arconte e a far approvare l’invio di una piccola flotta a sostegno di Argo (cui si erano alleate anche Mantinea e la piccola Elea). Fu una netta sconfitta ma non compromise la pace (418). Ben più grave fu l’eccidio che gli ateniesi perpetuarono a Melo, una colonia spartana che durante la guerra archidamica era rimasta neutrale. Nel 415 gli ateniesi ordinarono ai melii di cambiare fronte ed entrare nella Lega di Delo, ma quando questi si rifiutarono essi attaccarono massacrando tutti i maschi adulti e deportando come schiavi donne ed bambini. Fu un episodio brutale che suscitò sdegno in tutta la Grecia e dimostrò che le antiche regole avevano ormai ceduto il passo alla forza bruta, secondo quanto predicevano (e predicavano) i sofisti.
Neanche allora tuttavia Sparta reagì alla provocazione di Atene, che trascinata da Alcibiade diresse allora la sua bellicosità in direzione della Sicilia. Accadeva infatti che Segesta, una polis siciliana alleata di Atene, ne avesse invocato l’aiuto contro la potente Siracusa, alleata a Sparta. Malgrado l’opposizione di Nicia e dei moderati l’assemblea si lasciarono sedurre dalla possibilità di conquistare Siracusa (forse la polis più ricca del mondo greco), racimolando in questo modo le risorse per sconfiggere Sparta una volta per tutte. Così nel 415 una poderosa flotta di 130 navi e 7'000 soldati salpò da Atene al comando di Alcibiade e Nicia (che suo malgrado era stato incaricato).
In Sicilia le operazioni militari si rivelarono assai più difficili del previsto. Siracusa era una città potente e ben difesa, determinata a resistere ad ogni costo; inoltre Alcibiade, la cui astuzia e spregiudicatezza avrebbero potuto fare la differenza sul campo di battaglia, fu rimosso all’ultimo momento dall’incarico. Ciò era dovuto ad uno scandalo scoppiato proprio il giorno della partenza dell’armata dal Pireo: la sera prima tutte le statue del dio Ermes erano state decapitate da una mano ignota e ad Atene si temeva che la spedizione partisse con il cattivo auspicio degli déi. Nell’esa-gitato clima politico del momento si temette dapprincipio che si trattasse di un complotto aristocratico per rovesciare la democrazia, poi in Assemblea qualcuno accusò Alcibiade di ateismo, ma questi negò fermamente. Alcibiade fu lasciato partire ma i suoi nemici politici continuarono a montare l’accusa nei suoi confronti, tanto che alla fine fu inviata una nave in Sicilia con il compito di scortarlo in patria per il processo. Alcibiade dovette presagire il pericolo, infatti non appena la nave arrivò si dileguò, rifugiandosi nel Peloponneso, dove iniziò a collaborare con gli spartani per vendicarsi del torto subito ad Atene. Riguardo a questo strano episodio, noto come il giallo delle erme, nessuno seppe mai indicare la verità. Non si sa né chi davvero decapitò le erme né chi ebbe l’idea di accusare Alcibiade, né se questi fosse veramente colpevole; resta il fatto che il tradimento di Alcibiade che ne conseguì fu pagato a caro prezzo da Atene, come si vedrà fra poco.
Frattanto l’assedio di Siracusa procedeva con lentezza sotto la guida cauta di Nicia; nel 414 tuttavia gli ateniesi riuscirono a bloccare la città siciliana sia per terra che per mare. Sembrò che la sorte di Siracusa fosse segnata ed erano anzi in corso le trattative per la resa, quando un contingente spartano riuscì a penetrare in città e a rianimarne la resistenza. Una spedizione ateniese inviata in soccorso non riuscì a risolvere la situazione, e anzi i siracusano passarono al contrattacco imbottigliando la flotta ateniese in un luogo dal quale era impossibile prendere il largo. A questo punto gli ateniesi ormai esausti e a corto di viveri, tentarono di ritirarsi nella notte per via di terra, abbandonando l’accampamento e i feriti. La ritirata fu disastrosa: a pochi chilometri da Siracusa furono raggiunti e circondati dai nemici (413). Nicia fu subito ucciso mentre i suoi uomini furono ridotti in schiavitù e costretti a lavorare nelle cave di pietra della città. “La disfatta degli ateniesi -scriveva Tucidide- fu completa e le sofferenze grandissime: tutto era stato annientato, sia l’esercito che la flotta; di molti che erano solo pochi poterono ritornare in patria.”
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