La regione della Macedonia
La regione della Macedonia
La Macedonia è una vasta regione da sempre appartenente alla grecità ma posta ai suoi estremi confini settentrionali, sopra la Tessaglia e la Calcidia. Nel IV secolo la lingua era pressappoco la stessa parlata nel resto della Grecia, ma gli usi e i costumi, così come l’economia e la cultura, risultavano essere decisamente più arretrati. Pur essendo terra greca la Macedonia era insomma sempre vissuta ai margini della Storia senza nessun desiderio di diventarne attrice.
Non vi era infatti mai stato alcun filosofo, poeta, scultore, musicista o legislatore di fama che fosse provenuto dalle terre macedoni; in Macedonia la vita culturale era quasi inesistente, la stessa capitale, Pella, era poco più che un villaggio; la popolazione era composta per la grande maggioranza da contadini liberi e pastori, abituati ad una vita dura e senza lussi, sempre pronti alle armi contro le fazioni rivali o le popolazioni barbare stanziate nei Balcani.
Il sistema politico era rimasto fermo al medioevo ellenico; si era conservato un severissimo regime patriarcale e le tribù vivevano sparpagliate sotto il comando di signorotti locali, che tutti assieme costituivano i “compagni del re”, il quale non era che un primus inter pares che per prendere le decisioni necessitava del favore dei signorotti, i quali non sempre glielo concedevano, di modo che la sua autorità era assai limita. Nei loro feudi, inoltre, i “compagni del re” si consideravano padroni assoluti e non accettavano interferenze di alcun tipo.
LA RIORGANIZZARNE DELLO STATO
La riorganizzazione dello stato macedone (e quindi l’inizio della sua ascesa), è solitamente fatto risalire a re Archelao, salito al trono quando in Grecia imperversavano le guerre puniche e morto nel 399 durante una battuta di caccia. Fu Archelao a chiamare a Pella poeti, letterati ed artisti greci affinché insegnassero alla corte i costumi delle polis meridionali; fu lui a ridurre progressivamente e con grande sforzo l’autonomia dei feudatari; a riorganizzare l’esercito adottando la tattica di guerra oplitica; in pratica a cominciare ad accorciare il divario con il fiore della civiltà greca.
Ma la vera svolta si ebbe con l’ascesa al trono di Filippo II. La fortuna di Filippo era l’essere stato inviato in gioventù a Tebe come ostaggio; nella città greca ebbe infatti la possibilità di essere istruito e di osservare da vicino la nuova tecnica militare della formazione obliqua di Epaminonda e più in generale l’organizzazione militare e civile della Grecia più sviluppata. Tornato in Macedonia nel 364, egli riorganizzò l’esercito e condusse una vittoriosa campagna di espansione militare, quindi, dopo una serie di omicidi e di intrighi (che costituivano il canale convenzionale di accesso al trono macedone) fu incoronato sovrano nel 359. Come re concluse quel processo di annichilimento dell’autonomia dei feudatari che aveva già iniziato come principe reggente, ammaliandoli con splendide feste a Pella e vagheggiamenti di vittorie e glorie guerriere e, se necessario, uccidendoli in torneo o fingendo incidenti di caccia. Intanto l’organizzazione militare fu ulteriormente perfezionata, schierando affianco alla falange centrale due file di spericolata cavalleria che trasformarono l’esercito macedone in un’arma micidiale di gran lunga superiore alle armate greche e composto da soldati avvezzi alle asperità e al combattimento, fedeli fino alla morte a Filippo, che con le sue vittorie militari aveva saputo conquistare un’autorità come mai prima di allora un re macedone aveva avuta sui soldati e sui feudatari. Così, proprio quando Tebe, Sparta ed Atene si sfinivano a vicenda nella fratricida battaglia di Mantinea, Filippo poteva contare su una nazione unita e forte e su un esercito avanzatissimo e votato a lui e alla conquista.
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