Appunti che cercano di approfondire il rapporto tra realtà e finzione, il confine tra il vero e il falso. Ciò viene fatto indagando i vari ambiti, attraverso la ricognizione di tre tipi di mondi – reale, fittizio, ludico – e attraverso tre tipi di segni – del mondo, dell'autore e del documento. Vengono quindi analizzati i modi di fingere, tenendo conto dell’era mediatica in cui viviamo. La seconda parte del libro attua un doppio percorso:
- dalla realtà alla finzione, ponendo in primo piano il ruolo dell’enunciato di finzione;
- dalla finzione alla realtà, mettendo in evidenza il racconto e i modi di raccontare attraverso il tempo, i punti di vista, la narrazione.
Rapporto tra realtà e finzione
di Nicola Giuseppe Scelsi
Appunti che cercano di approfondire il rapporto tra realtà e finzione, il confine
tra il vero e il falso. Ciò viene fatto indagando i vari ambiti, attraverso la
ricognizione di tre tipi di mondi – reale, fittizio, ludico – e attraverso tre tipi di
segni – del mondo, dell'autore e del documento. Vengono quindi analizzati i
modi di fingere, tenendo conto dell’era mediatica in cui viviamo. La seconda
parte del libro attua un doppio percorso:
- dalla realtà alla finzione, ponendo in primo piano il ruolo dell’enunciato di
finzione;
- dalla finzione alla realtà, mettendo in evidenza il racconto e i modi di
raccontare attraverso il tempo, i punti di vista, la narrazione.
Università: Università degli Studi di Bologna
Facoltà: Lettere e Filosofia
Corso: Discipline dell’Arte, della Musica e dello
Spettacolo
Docente: Francesco Pitassio
Titolo del libro: Realtà/Finzione
Autore del libro: François Jost
Editore: Il Castoro - Milano -
Anno pubblicazione: 20031. Definizione di finzione al cinema
Metz afferma che ogni film è un film di finzione, mentre Godard dice che il cinema è la verità, ventiquattro
volte al secondo, e già nel ’83 Eco osservava che lo specifico della neo-televisione era proprio l’abolizione
della frontiera tra realtà e finzione. Per vederci chiaro bisogna chiedersi da dove viene la finzione:
dall’immagine, da coloro che ne fanno uso, o dal racconto? Per ora tentiamo un’altra strada, tracciando
l’identikit di tre categorie di persone che ne fanno uso:
Il pittore, che cerca di rappresentare la realtà;
Il reporter, che riporta l’immagine di un avvenimento;
Il copista, che valorizza un’immagine qualsiasi per il tramite di una firma.
Fictio, significa inganno e, parallelamente, un fatto immaginato, opposto in quanto tale alla realtà. Platone,
secondo cui il creatore d’immagini non si intende di ciò che è ma di ciò che appare, paragona il lavoro
dell’artigiano che fabbrica un oggetto a quello dell’artista che lo rappresenta: il falegname, per costruire un
letto deve avere l’idea della Forma, della sua essenza, di cui il mobile non sarà che un caso particolare, egli
non lo inventa, ma lo riproduce; invece, il pittore che disegna questo stesso letto non si accontenta d’imitare
un oggetto non fatto da lui e che comunque non saprebbe fare con le sue mani, ma si limita a imitarlo in base
a ciò che l’angolazione e il punto di vista permettono di vedere, cioè il visibile, e non in base alla realtà
come l’artigiano, che si ispira alla forma. L’immagine è diventata pura apparenza, e non attesta più in alcun
modo la realtà dell’oggetto; l’immagine è dunque, nella tradizione platonica, ontologicamente un inganno,
perché non raggiunge mai il grado di esistenza del suo modello: essa è una finzione nel senso che non può
essere la realtà, e che la rappresentazione presuppone una relazione tra un segno e il suo oggetto.
Nicola Giuseppe Scelsi Sezione Appunti
Rapporto tra realtà e finzione 2. Il valore dell'immagine come copia
L’immagine non ha atteso l’era della riproducibilità tecnica, elettronica o digitale, per veicolare false
testimonianze; in qualche caso, l’immagine deve il suo valore più per il fatto di essere, a detta dell’artista, la
traduzione di un avvenimento di cui è stato testimone in prima persona, che alla qualità della sua esecuzione
e alla sua rappresentazione della realtà: alla base dell’immagine non c’è più l’imitazione, ma la sua
condizione di testimonianza oculare. Così come il trucco fotografico, molto diffuso nel corso del ventesimo
secolo, alcune immagini ingannano lo spettatore non per la loro capacità di sostituirsi al reale, ma perché il
loro autore ci mente sulla natura della realtà che esse testimoniano; bisogna quindi smettere di usare il
termine menzogna per qualificare l’illusione visiva platonica, riservandolo solo ai casi in cui l’immagine è
inserita in un circuito comunicativo nel quale nel quale qualcuno usa una rappresentazione visiva della realtà
per testimoniare la propria relazione oculare con un avvenimento.
Il rapporto delle opere con una copia non è sempre lo stesso: non si possono copiare in modo integrale
un’opera letteraria o una sinfonia senza rifarle; per queste arti l’idea di copia non ha dunque senso: la sola
cosa che si possa fare è ricopiare la partitura, il che non significa copiare l’opera. Tutt’altro è lo statuto
dell’opera pittorica: da un lato, la copia dell’opera è possibile e, dall’altro la sua buona o cattiva riuscita
dipende dall’abilità del pittore; ma si può copiare anche senza che preesista un originale, e in questo caso,
più che un’opera precisa si copia uno stile, una maniera. Quindi, mentre fare la copia di un’opera
preesistente non significa niente per le arti allografiche (musica, letteratura), ha un senso per le arti
autografiche (disegno, pittura); copiare la maniera, in compenso, è una pratica che riguarda allo stesso modo
la pittura e la letteratura: per entrambe, imitare per ridere un autore non è lo stesso che imitare la fattura dei
quadri di Botticelli con l’obiettivo di far credere che si è trovata una nuova opera del pittore. Mentre il
pastiche presuppone la connivenza del destinatario, il falso la sua incapacità di riconoscere l’autore vero
dell’opera. La firma gioca un ruolo fondamentale nella valutazione dell’immagine: il valore del pastiche
dipende dal fatto che io so che ci sono due autori, l’uno che copia, l’altro che è copiato; per valutare la
qualità dell’imitazione, inoltre, è necessario che il destinatario conosca lo stile di un pittore o di un
romanziere.
Nicola Giuseppe Scelsi Sezione Appunti
Rapporto tra realtà e finzione 3. I modi ingannevoli dell'immagine
L’imitatore, il mentitore, il falsario….Queste tre figure si basano in fin dei conti su tre relazioni molto
differenti tra l’immagine e il mondo:
Quindi, tre modi per l’immagine di essere ingannevole:
Nicola Giuseppe Scelsi Sezione Appunti
Rapporto tra realtà e finzione 4. I tre aspetti dell'immagine come segno
Se l’immagine è un segno, non bisogna considerarla automaticamente dal solo punto di vista della sua
relazione con il mondo; lasciando da parte il dualismo significante/significato, c’è da cercare nella
concezione peirciana del segno gli strumenti utili per pensare il vasto territorio delle immagini che hanno la
pretesa di essere realistiche, nonostante siano più o meno di competenza dell’invenzione o della finzione.
Un’immagine può essere segno, representamen, di tre tipi di oggetti; ovvero, può essere considerata sotto tre
aspetti, che sono anche tre relazioni pragmatiche tra il segno e il suo oggetto:
NOTA: Per Peirce, l’icona rimanda al suo oggetto per somiglianza, indipendentemente dal fatto che
l’oggetto esista o no; l’indice per contatto, attraverso un legame esistenziale; e il simbolo da una legge
convenzionale più o meno arbitraria
Nicola Giuseppe Scelsi Sezione Appunti
Rapporto tra realtà e finzione 5. Le caratteristiche dei segni audiovisivi
Di conseguenza, tre tipi di segni audiovisivi che hanno la pretesa di una verità certa:
Lo specifico della menzogna è il fatto di essere credibile per gli uni e non credibile per gli altri; in termini
peirciani, il loro interpretante è dunque l’asse vero-falso. Non giudichiamo allo stesso modo tutti questi
fenomeni, non soltanto perché li riteniamo più o meno legittimi, , ma anche perché li giudichiamo in
funzione dell’obiettivo che perseguono, anche se, alcune distorsioni ci divertono, mentre altre ci urtano.
Nicola Giuseppe Scelsi Sezione Appunti
Rapporto tra realtà e finzione 6. Metz : l'irrealtà del racconto
Metz intende dimostrare che, anche quando presenti analogie col mondo reale, il racconto ne differisce
radicalmente, perché è una sequenza temporale limitata nel tempo, strutturata in funzione di un inizio e di
una fine, ma soprattutto perché è raccontata da qualcuno, proferita da un narratore. Che il racconto sia dotato
dello statuto di discorso, ha come conseguenza immediata quella di irrealizzare la cosa narrata: certamente
esistono numerosi tipi di storie vere (il racconto quotidiano che il marito fa alla moglie della propria
giornata; la Storia con la “s” maiuscola, che descrive gli avvenimenti che hanno sconvolto un secolo; la
storia con la “s” minuscola, vista dal lucernario del telegiornale), ma sono affette da irrealtà perché tengono
il mondo a distanza; se si considera che il mondo si caratterizza dalla sua presenza qui e ora(hic et nunc), il
racconto si distingue da esso perché è sempre nel segno del dopo e dell’altrove. I mezzi di comunicazione
del ventesimo secolo oppongono tuttavia un’obiezione corposa a questa assimilazione del racconto al
passato: la diretta, radiofonica o televisiva; ma Metz risponde che ogni servizio giornalistico in narrazione
simultanea introduce uno scarto spaziale ponendo l’avvenimento come proveniente da un altrove, e anche il
manifestante che ascolta alla radio le notizie dell’azione alla quale partecipa distingue dal racconto come
discorso, che ascolta, e la realtà, che vive.
Che il racconto non sia il mondo, che verta su delle scelte e che sia filtrato dal giudizio di coloro che lo
fanno non impedisce che, quando non si cerchi di ingannarci sul modo di enunciazione, recepiamo alcuni
racconti come di finzione e altri, se non come veri almeno come fattuali, cioè rinvianti a fati realmente
accaduti.: se la distanza temporale fosse una sorta di strumento di misura della finzione, bisognerebbe
ammettere allo stesso modo che le testimonianze diffuse dal telegiornale sono meno fittizie di quelle
proposte trenta anni dopo l’avvenimento. Il criterio della distanza temporale o spaziale non è quindi
adeguato a cogliere la natura della finzione; infatti, il distanziamento temporale non prova che il racconto sia
meno fedele che nella diretta, dato ci sono delle persone che deformano sempre ciò che vedono, mentre altri
conservano un ricordo esatto di quello che hanno vissuto e lo riferiscono più fedelmente. La deformazione
della realtà è molto difficile da misurare: allo stesso modo in cui una statua è diversa a seconda
dell’angolazione dalla quale la si guarda, la realtà non può ridursi ad un punto di vista unico, con il quale
confrontare tutti gli altri; la deformazione che il discorso verbale o visivo inevitabilmente introduce non
deve essere confusa con l’invenzione, pratica questa che appartiene alla finzione. Coloro che affermano che
ogni racconto è fittizio condividono con coloro per i quali l’immagine è finzione un uguale concezione
platonica della rappresentazione, per la quale la realtà è un modello, le cui imitazioni(mimesis), verbali o
visive che siano, non sono altro che degradazioni; l’obbiettivo di queste due posizioni teoriche è trattare
realtà e finzione come due blocchi eterogenei costituiti da oggetti del tutto distinti.
Nicola Giuseppe Scelsi Sezione Appunti
Rapporto tra realtà e finzione 7. Le caratteristiche del romanzo "fittizio"
È arrivato il momento di sostituire alla contrapposizione radicale realtà/finzione una terminologia più
flessibile che ci aiuti ad adattare il nostro discorso alla descrizione dei racconti mediatici che conosciamo.
Non tutto è fittizio nel romanzo: ogni finzione comprende degli enunciati seri, cioè degli enunciati che
hanno un vero carattere referenziale, invece che sospendere le regole dell’asserzione. Per tracciare un
confine, all’interno del racconto di finzione, tra ciò che dipende dall’invenzione e ciò che si riferisce a
luoghi e fatti reali, si seguirà Genette nell’opporre il fattuale al fittizio: al contrario della fantascienza, che
moltiplica le entità puramente fittizie per stupirci, farci sognare o divertirci, l’opera realistica è quella che
trabocca di entità che appartengono al nostro mondo e di annotazioni fattuali; tuttavia, così come il
riferimento alla realtà non può mai essere costante in una finzione, la finzione più inventiva non può in
nessun caso creare un mondo che non debba niente al nostro. È un po’ come le chimere di Cartesio che, in
un primo momento, non rimandano a nulla di identificabile e che, ad un esame più attento, si lasciano
scomporre in figure e in forme semplici. Lo specifico della finzione è di metterci sempre di fronte a due
mondi: l’uno inventato, l’altro, il nostro, che serve ad esso da base ontologica poiché fornisce allo spettatore
le entità in rapporto alle quali egli può giudicare l’invenzione; così ogni finzione si fonda sul principio di
scostamento minimo.
Nicola Giuseppe Scelsi Sezione Appunti
Rapporto tra realtà e finzione