La finzione al cinema come specchio del Mondo
La finzione e la realtà sono ben lungi dall’essere continenti separati da oceani insormontabili: l’universo inventato dalla finzione filmata fa seriamente riferimento, in certi casi, al nostro mondo, operazione questa che non gli impedisce essere parte, complessivamente, dell’invenzione. Il documento è legato al mondo al quale fa riferimento, ma ciò non impedisce al regista d’impiegare sistematicamente delle ocularizzazioni interne primarie.
Questo legame consustanziale al nostro mondo non impedisce inoltre a questo o a quel commentatore di dire cosa passa per la testa a quella o a questa persona reale vista sullo schermo, come se potesse saperlo. Questi procedimenti di finzionalizzazione non invalidano pertanto il carattere globalmente autentificante di questi documenti; queste incursioni del fattuale nella finzione o dei procedimenti finzionalizzanti nei documenti che si danno come autentificanti sono di solito identificabili, sia perché fanno riferimento ad entità del mondo che conosciamo, sia perché interpretabili come indizi semiotici. Secondo Schaeffer, la finzione deriva da un contratto di finta condivisa: perché un finzione sia interpretata come tale, bisogna che lo scrittore, l’editore la presenti come tale.
Se è vero che la ricezione di un testo di finzione come tale non dipende dalle caratteristiche ontologiche del testo, e che necessita di criteri pragmatici, bisogna allora andare fino in fondo a questa logica e considerare, da un lato, che nell’universo mediatico i testi non si presentano necessariamente per quello che sono o per quello che gli autori pensano che siano e, dall’altro, che l’interpretazione non coincide necessariamente con le consegne del paratesto. Secondo Eco, il testo fissa all’interpretazione dei limiti, al di là dei quali non c’è posto che per l’utilizzazione.
Che ci piaccia o no, siamo nell’era della comunicazione mediatica; oggi
ogni film o documento televisivo è accompagnato da una moltitudine di
interviste agli attori, comunicati stampa, ecc.; in modo che tutti
questi peritesti, paratesti, epitesti siano una altrettante promesse del
beneficio del piacere simbolico che lo spettatore ne ricaverà
vedendolo: l’ipotesi del contratto di finzione da per scontato che ogni
lettore o spettatore sappia ciò che voglia dire finzione. Ma, ciò che è
vero nella letteratura lo è ancor di più nella televisione dove il film
più insignificante o la serie più modesta raggiungono in un sol colpo
milioni di telespettatori: non solo non tutti hanno un’idea corretta
della natura della finzione o della diretta, ma molti oggetti culturali
hanno uno statuto ambiguo, che impedisce di classificarli subito in
categorie; per di più, conoscere il significato di termini quale
finzione e diretta non mette al riparo ne da errori di interpretazione
ne da possibili fraintendimenti nei confronti delle consegne del
mittente. Se alcuni testi o programmi sono immediatamente
identificabili, numerosi oggetti mediatici contemporanei giocano
sull’ambiguità(film, reality show, real tv,…); quest’azione di
attribuire un nome ad una cosa è veicolato da una promessa, pragmatica,
che si basa su una serie di impegni:
relativi all’interesse e alle emozioni procurati dalla trasmissione annunciata;
relativi alla garanzia di ritrovare nel programma delle qualità
esemplificate da quei campioni che sono i trailer, gli spot
autopromozionali o la comunicazione nei media.
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Dettagli appunto:
-
Autore:
Nicola Giuseppe Scelsi
[Visita la sua tesi: "A - Menic / Cinema. Da Dada al Progetto Cronenberg"]
- Università: Università degli Studi di Bologna
- Facoltà: Lettere e Filosofia
- Corso: Discipline dell’Arte, della Musica e dello Spettacolo
- Docente: Francesco Pitassio
- Titolo del libro: Realtà/Finzione
- Autore del libro: François Jost
- Editore: Il Castoro - Milano -
- Anno pubblicazione: 2003
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