La finzione come rappresentazione della realtà
La finzione come rappresentazione della realtà
Se può succedere che i giornalisti mentono, gli spettatori da parte loro possono commettere errori d’interpretazione: il sospetto che grava su di essi non solo non è nuovo, ma è inscritto addirittura ne La Sortie des usines Lumière; malgrado le sofisticate riflessioni che si sono potute fare su questo film, rimane un fatto incontestabile: ogni giorno, i lavoratori dovevano uscire dalla fabbrica in modo pressappoco simile. Il fatto che questa pellicola di 50” cominci con l’apertura delle porte e finisca con la loro chiusura non implica che il profilmico sia puramente inventato o falso; al massimo, l’operatore avrà fato passare una scena provata e organizzata per una scena presa dal vivo. Nel caso di Nanuk, l’eschimese, la trasformazione del reale messa in atto dal regista consiste nel far passare una disposizione più o meno intenzionale della realtà, cioè del profilmico, per un modo di essere del mondo; nella misura in cui si tratta in fin dei conti di fare come se la realtà venisse ad impressionarsi direttamente sulla pellicola, di fingere la registrazione di una realtà tale e quale, sarebbe giusto parlare di finta profilmica.
La finta differisce dalla finzione per il suo scopo: l’obiettivo della finzione non è di dare l’illusione della realtà, ma di rappresentarla, presentando un mondo possibile, parassita del nostro, un mondo come il nostro; la finta, al contrario, si spaccia per la realtà ed è dell’ordine del come se: malgrado la singolarità inerente a ogni immagine fotochimica, essa riproduce un fenomeno che è nell’ordine del probabile. Quella che si è definita finta iterativa si fonda sulla riduzione dell’avvenimento a una struttura nella quale la costanza della relazione tra soggetto e predicato, attore e azione, è considerata più vera delle sue variabili empiriche. Una seconda fase della finta consiste nel far passare per reale ciò che è nell’ordine della finzione; il divertentissimo film di C. Hepworth del 1900, How It Feels to Be Run Over, oscilla tra il come se e il come: da un lato, la posizione della m.d.p. cerca di farci provare una sensazione reale(mettendo l’apparecchio per la ripresa sulla strada e facendovi correre sopra l’automobile, come se venissimo investiti), dall’altro costruisce un embrione di storia(la morte di un bambino).
Continua a leggere:
- Successivo: La finzione dell'immagine digitale
- Precedente: Definizione del concetto di menzogna
Dettagli appunto:
-
Autore:
Nicola Giuseppe Scelsi
[Visita la sua tesi: "A - Menic / Cinema. Da Dada al Progetto Cronenberg"]
- Università: Università degli Studi di Bologna
- Facoltà: Lettere e Filosofia
- Corso: Discipline dell’Arte, della Musica e dello Spettacolo
- Docente: Francesco Pitassio
- Titolo del libro: Realtà/Finzione
- Autore del libro: François Jost
- Editore: Il Castoro - Milano -
- Anno pubblicazione: 2003
Altri appunti correlati:
- Linguistica Generale
- Le prove nel processo penale
- Semiotica e Comunicazione
- Diritto processuale penale
Per approfondire questo argomento, consulta le Tesi:
- Forme dello sguardo e processi di visualizzazione nel cinema digitale
- Tatuaggio e Shoah: Un'identità segnata
- Aspetti psichiatrico-forensi della testimonianza: il Misinformation Effect
- Forme e figure dell’autofiction nella drammaturgia di Sergio Blanco: Tebas Land in scena
- La dottrina del miracolo in David Hume
Puoi scaricare gratuitamente questo appunto in versione integrale.