Questi accurati appunti riassumono i principali momenti della storia contemporanea: dalla restaurazione del Congresso di Vienna alla crisi dell'Ancien Régime, dall'industrializzazione del XIX secolo alla nascita degli Stati nazionali, dalla nascita del movimento operaio al colonialismo, dalla seconda industrializzazione alla prima Guerra Mondiale, dalla crisi del 1929 ai fascismi alla seconda Guerra Mondiale, dalla guerra fredda, al Sessantotto, alla situazione economica e politica dei giorni nostri.
Storia del mondo contemporaneo
di Domenico Valenza
Questi accurati appunti riassumono vari saggi raccolti in 'Il mondo
contemporaneo. Storia e storiografia' a cura di Longhitano.
Vengono ripercorsi i principali momenti della storia contemporanea: dalla
restaurazione del Congresso di Vienna alla crisi dell'Ancien Régime,
dall'industrializzazione del XIX secolo alla nascita degli Stati nazionali, dalla
nascita del movimento operaio al colonialismo, dalla seconda
industrializzazione alla prima Guerra Mondiale, dalla crisi del 1929 ai fascismi
alla seconda Guerra Mondiale, dalla guerra fredda, al Sessantotto, alla
situazione economica e politica dei giorni nostri.
Università: Università degli Studi di Catania
Esame: Storia contemporanea, a. a. 2005/06
Titolo del libro: Il mondo contemporaneo. Storia e storiografia
Autore del libro: G. Longhitano
Editore: Palombo, Palermo
Anno pubblicazione: 20051. La restaurazione del Congresso di Vienna - Reinhart Koselleck
Durante il Congresso di Vienna vennero gettate le basi giuridiche e politiche per un nuovo assetto
dell’Europa. Il trattato diede principio a un’epoca in cui, in Europa, a confronto con i secoli precedenti, le
guerre diventarono più rare, le guerre civili, invece più frequenti. Solo due guerre spostarono politicamente i
confini fissati dal trattato: le guerre d’indipendenza dell’Italia e della Germania negli anni tra il 1859 e il
1871. L’altra guerra internazionale del secolo, quella di Crimea, mirava all’assetto territoriale dell’Europa
sud-orientale e dell’Impero Ottomano, rimasto escluso dal congresso di Vienna.
Il relativo successo del trattato di Vienna (e il periodo di splendore per la diplomazia europea) fu possibile
solo perché, in precedenza, con la rapida conclusione di una serie di trattati di pace, erano già stati risolti
numerosi problemi, creando in tal modo per le trattative di Vienna quelle premesse che permisero
soprattutto alle due potenze-guida dell’Europa, Inghilterra e Russia, di poter influire tanto più liberamente
sui problemi ancora insoluti. Prima di tutto, la Russia s’era procurata mano libera per mezzo dei trattati di
pace con la Svezia del 1809, con la Turchia del 1812, con la Persia del 1813. Con l’acquisto della
Bessarabia e della Finlandia si spinse ad Occidente. Alla Russia non restava che un grosso problema, quanto
cioè in una quarta spartizione della Polonia, che teneva occupata, avrebbe potuto tenere per sé. Anche
l’Inghilterra, nella pace, di Gand con gli Stati Uniti, s’era messa con le spalle al coperto. Le colonie francesi,
spagnole e olandesi di cui s’era impadronita erano ancora occupate dagli Inglesi. La Gran Bretagna poteva
ora tenersi zone strategicamente importanti e stabilire così la propria illimitata supremazia sul mare.
Non meno importante per l’andamento del congresso fu la pace rapidamente conclusa con la Francia il 30
marzo 1814 da parte delle potenze vincitrici: si respingeva la Francia ai confini del 1792, si stabiliva
l’ingrandimento di Olanda e Piemonte e si deliberava uno statuto federativo per la Germania.
A nord-est della Francia sorsero i Paesi Bassi uniti, ampliati dal Belgio un tempo asburgico. A sud est della
Francia venne restaurato un Regno di Piemonte e Sardegna, cui fu unita anche Genova. Ad entrambi fu
riconosciuto il rango di potenza media e ad entrambi venne assegnata una serie di posizioni strategicamente
importanti per formare una barriera contro la Francia.
Gli Asburgo dovettero invece ritirarsi del tutto dai possedimenti in Germania centrale, acquistando in
compenso Salisburgo e l’Italia settentrionale. Il nuovo impero austriaco si sviluppò verso sud-est, uscendo
dal suo antico territorio. La Prussia si volse in direzione opposta. Non ottenne né il passaggio frisone alla
costa del mare del Nord, né ottenne la restituzione dei territori polacchi che le erano stati assegnati nella
precedente spartizione della Polonia, né la Sassonia. Fu invece indennizzata in prevalenza con i territori sul
Reno e in Vestfalia. Lo spostamento della Prussia a Occidente avvenne per la pressione esercitata dalla
Russia verso il cuore dell’Europa. La Svizzera, ottenuto nel 1815 un territorio strategicamente completo, si
assicurò la sua neutralità attraverso garanzie internazionali.
La garanzia più solida dell’equilibrio europeo era senza dubbio nella presenza insulare dell’Inghilterra, che
seppe assicurarsi Helgoland, Malta e il protettorato delle Isole Ionie, da cui poteva esercitare il proprio
influsso sul continente. Il risultato finale del nuovo assetto mostra che Russia da una parte e Inghilterra
dall’altra ottennero una relativa vittoria, mentre le restanti potenze dovettero arrangiarsi a spese di quelle
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Storia del mondo contemporaneo rispettivamente più deboli. Qualsiasi trattativa era sotto l’influsso delle due potenze europee.
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Storia del mondo contemporaneo 2. L'equilibrio europeo di Metternich - Reinhart Koselleck
La vera opera di Metternich è di aver trasformato questa situazione transitoria in un sistema. Assicurare
l’equilibrio europeo voleva dire soffocare rigorosamente ogni aspirazione nazionale. La sistemazione dei
confini escludeva, appunto, che andassero in porto le rivendicazioni nazionali di una costituzione.
Ai due estremi della situazione europea erano a est l’autocrazia russa e ad ovest il parlamentarismo
aristocratico dei tories: le discussioni sui problemi costituzionali si mossero nella tensione creata da questi
due poli contrapposti. Le decisioni, secondo il formale principio del diritto delle genti, vennero rimesse ai
rispettivi sovrani, per cui al Congresso di Vienna fu deliberato solo statuto della Confederazione Germanica.
Nondimeno si deve premettere che nei diversi trattati di pace vennero preservati i diritti privati dei sudditi
come individui.
La magica parola legittimità fu introdotta nel dibattito da Talleyrand per stabilire un parallelo fra i diritti
politici di sovranità e i diritti di proprietà. In generale essa veniva equiparata con il diritto di successione
monarchico, cosa che Talleyrand modificò con il diritto internazionale di convenzione. Così si dovevano
dichiarare illegali tutti i cambiamenti di proprietà pubblica avvenuti in base al semplice diritto
d’occupazione, se non legalizzate internazionalmente. Il concetto di legittimità era sufficientemente elastico
per garantire sia cambiamenti rivoluzionari sia interessi restauratori. Proprio in questo era la sua modernità.
Quanto si è detto vale anche per la sua applicazione in politica interna. Legittima era solo una costituzione
che si mostrasse pari alle richieste dell’opinione pubblica.
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Storia del mondo contemporaneo 3. Il sistema della proprietà nei vecchi regimi europei – Guy
Palmade
La popolazione europea viveva, per la maggior parte, nelle campagne. Nel 1800 era in ogni caso l’economia
rurale a fornire sempre agli Europei i loro mezzi di sussistenza. L’Europa verde aveva ancora la meglio
sull’Europa nera.
Il sistema della proprietà e quello dello sfruttamento economico delle campagne erano assai vari. Una parte
importante vi avevano persone di condizione relativamente modesta, o piuttosto le classi medie, che
costituivano già un abbozzo della borghesia. La Francia era un buon esempio del loro successo, consolidato
dalla Rivoluzione. Appaiono d’altra parte con molto maggior nettezza fenomeni di disuguaglianza e di
subordinazione. L’insieme delle trasformazioni che avevano accompagnato, in Inghilterra, la rivoluzione
agricola, sfociarono in un vero e proprio accaparramento del suolo da parte delle grandi famiglie. Ai livelli
inferiori i fattori, spesso ricchi, e il proletariato completavano il volto classico di questa società rurale cui si
sarebbero ispirate le teorie degli economisti liberali, che avrebbero ripartito il valore in tre elementi: la terra,
il capitale d’impresa, il lavoro, chiamati a ricevere ciascuno la sua remunerazione sotto la triplice forma
della rendita fondiaria, del profitto, del salario.
Nel resto dell’Europa occidentale, gran parte della terra rimaneva alla nobiltà fondiaria di vecchia stirpe,
mentre erano ridotte a una condizione difficile le categorie popolari. Il Mezzogiorno d’Italia conosceva
inoltre le strutture ancora più arcaiche e dure: vi dominava sempre il latifondo cerealicolo a beneficio di una
classe di borghesi proprietari in grado di imporre le proprie condizioni alla manodopera in quanto questa era
in soprannumero. Lo stesso contrasto vigeva in Spagna, in Catalogna, la massa contadina era peraltro
soggetta alle costrizioni economiche e psicologiche ereditate da un regime feudale giuridicamente abolito.
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Storia del mondo contemporaneo 4. I regimi agrari nei paesi germanici – Guy Palmade
Due regimi agrari si dividevano i paesi germanici. Nelle regioni occidentali, i proprietari terrieri si
opponevano sempre all’emancipazione dei contadini, teoricamente assicurata da riforme rivelatesi
inapplicabili; esercitando su di essi ogni forma di costrizioni. In apparenza più arcaico, il sistema di
proprietà terriera al di là dell’Elba si era forse maggiormente evoluto sotto l’effetto delle leggi di
regolarizzazione promulgate dopo il 1807. La classe degli Junker aveva ottenuto vantaggi economici certi,
attraverso l’arrotondamento e la ricomposizione delle proprie terre, senza perdere la propria posizione
sociale, amministrativa e morale dominante, ma non senza rinnovarsi in parte, ora che persone di bassa
origine potevano diventare proprietari fondiari.
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Storia del mondo contemporaneo 5. La rendita fondiaria nell'Ancien Régime – Guy Palmade
Carica di significato economico, la rendita fondiaria conferiva ai suoi beneficiari assai più che un utile
economico. Nella mentalità collettiva del tempo, essa era sempre associata alle idee di sicurezza, stabilità,
rispettabilità, attribuendo quasi una consacrazione sociale. Basta ricordare a qual punto le fossero di solito
legati i diritti politici o l’esercizio delle funzioni amministrative: il borghese arricchito vi vedeva il termine
naturale della sua ascesa.
L’immobilismo, la lenta evoluzione di un’economia rurale e di una mentalità sensibile al valore della
tradizione costituivano il sostegno di tutto un ordine stabilito che aveva anche dimensioni politiche. La
monarchia legittima era il regime che lo esprimeva meglio. Nella confusione di forme politiche ereditate da
un passato ricco di esperienze e contraddizioni, la prova rivoluzionaria aveva sarchiato con energia,
spazzando via le città libere o le repubbliche aristocratiche. Lo Stato monarchico era diventato più che mai
il diritto comune dell’Europa, sulla quale esercitò quasi un monopolio che aveva poche eccezioni.
La monarchia nei vecchi regimi
Benché la consistenza territoriale delle monarchie fosse il risultato della nuova divisione e benché numerosi
Europei non avessero più il sovrano che aveva regnato su di essi prima del 1789, la loro obbedienza di
sudditi era richiesta ovunque nel nome di un principio di legittimità di cui i dottrinari della
Controrivoluzione avevano fatto la base del loro sistema.
La monarchia legittima poteva senz’altro concedere una limitazione all’assolutismo, ovvero un equilibrio
dei poteri, di cui l’Inghilterra aveva dato l’esempio da molto tempo. In seguito all’ondata rivoluzionaria del
1830, gli sviluppi sarebbero stati nel senso di un regresso dell’assolutismo. Ma in realtà il fondamento
teorico della sovranità era mutato ben poco. Le istituzioni rappresentative, là dove esistevano, riflettevano
raramente un dialogo tra principe e nazione. Importante, in proposito, non era tanto il carattere censitario del
corpo elettorale: esso corrispondeva abbastanza bene allo stato reale della diffusione del sapere e della
coscienza politica; più rivelatore è il bicamerismo che esprimeva la preoccupazione di assegnare una
funzione speciale a una minoranza, aristocratica o oligarchica, collocata al vertice della piramide sociale la
cui struttura gerarchica era necessariamente associata alla monarchia legittima.
Legittimità monarchica e condizione privilegiata di una classe di notabili: tali erano i fondamenti su cui si
reggeva questa vecchia Europa che, sottoposta alle violente scosse del 1848, avrebbe dimostrato una
notevole solidità.
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Storia del mondo contemporaneo 6. Gli sviluppi dell’industrializzazione - Eric Hobsbawm
Friedrich List, economista tedesco, respingeva un’economia internazionale che faceva in realtà della Gran
Bretagna l’unica o la più forte potenza industriale e invocava il protezionismo. Tutto ciò presupponeva
l’esistenza di un’economia politicamente indipendente e abbastanza forte. Dove questa economia non poteva
essere tale, non c’era possibilità di scelta. E’ il caso della colonia India, o dell’Egitto che, a causa della
convenzione Anglo-Turca che aprì a flotte le porte del paese ai commercianti stranieri, non riuscì a uscire
dal suo stato inferiorità economica.
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Storia del mondo contemporaneo 7. L’industrializzazione in Francia - Eric Hobsbawm
Diversamente che in Gran Bretagna, in tutto il continente il governo ebbe nello sviluppo industriale una
partecipazione più vasta, proprio perché vi era costretto. Tutte le nuove reti ferroviarie vennero progettate
dai governi. La prima e la meglio congegnata di tali reti fu quella belga, progettata poco dopo il 1830 allo
scopo di svincolare il nuovo Stato indipendente dal sistema di comunicazioni olandese. Difficoltà politiche e
la riluttanza della grande bourgeoisie ritardarono la costruzione della rete ferroviaria francese, la scarsità di
mezzi ritardò invece la costruzione delle ferrovie austriache, nonché i progetti prussiani.
Per analoghe ragioni l’iniziativa commerciale dipendeva assai di quella britannica da un’adeguata
modernizzazione della legislazione affaristica, commerciale e bancaria e del sistema finanziario. A questo
provvidero i codici giuridici di Napoleone. Molto favore riscossero inoltre all’estero i metodi di
finanziamento dell’industria scaturiti dai fratelli Pereire. Queste idee miravano a mobilitare, attraverso le
banche e i trust d’investimento, tutta una varietà di capitali locali che non sarebbero forse andati
spontaneamente ad alimentare lo sviluppo industriale.
Lo sviluppo economico di quel periodo presenta comunque un gigantesco paradosso: la Francia. Nessun
altro paese avrebbe avuto maggiori possibilità di progredire rapidamente. L’ingegnosità e l’inventiva dei
suoi operatori economici non aveva confronti in Europa. I finanzieri francesi erano i più abili del mondo.
Parigi era un centro della finanzia internazionale, superato di poco da Londra. Eppure, lo sviluppo
economico francese era alla base nettamente più lento di quelli di altri paesi. La potenza industriale era
indubbiamente maggiore nel 1840 di quella di tutti gli altri paesi ma aveva perduto terreno rispetto alla Gran
Bretagna ed era sul punto di perderne anche rispetto alla Germania. Solo un numero sparuto di braccianti
senza terra si trasferiva nelle città; i prodotti in serie e a buon mercato, che altrove fecero la fortuna degli
industriali progressisti, non trovavano un mercato sufficientemente vasto e in evoluzione.
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Storia del mondo contemporaneo 8. L’industrializzazione negli Stati Uniti - Eric Hobsbawm
Diametralmente opposta a quella della Francia era la situazione degli Stati Uniti d’America. Mancavano i
capitali, la manodopera, uomini tecnicamente specializzati ma potevano tutti essere importati. Gli Stati Uniti
avevano solo bisogno di coloni e mezzi di trasporto per dare inizio allo sfruttamento dei loro territori. Tutte
le istituzioni della nuova repubblica incoraggiavano l’accumulazione di capitali, l’ingegnosità e l’iniziativa
privata. Non a caso, nessuna economia si sviluppò più rapidamente di quella americana.
Solo un grande ostacolo impediva agli Stati Uniti di trasformarsi in una potenza economica mondiale: il
conflitto tra un nord industriale e agricolo e un sud semicoloniale. Mentre il nord beneficiava del capitale, il
sud era invece una tipica dipendenza economica dell’Inghilterra. Il sud era per il libero commercio che gli
permetteva di vendere i suoi prodotti all’Inghilterra. Il nord prese invece a proteggere sin dal principio e con
tutte le sue forze le industrie nazionali contro la concorrenza di qualunque straniero. Solo con la guerra
civile del 1861-65, che ebbe per effetto l’unificazione dell’America per opera e sotto il predominio del
capitalismo nordista – il futuro dell’economia americana ebbe un indirizzo definitivo.
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Storia del mondo contemporaneo 9. L’industrializzazione in Russia- Eric Hobsbawm
L’altro futuro gigante dell’economia mondiale, la Russia, era ancora economicamente trascurabile. Le
miniere e le fabbriche create dagli zar erano in lento declino. Più progredita era la Polonia russa anche se
l’era delle grandi trasformazioni economiche non era ancora giunta. Né lo era per la Spagna e per l’Italia
meridionale. Inoltre, lo sviluppo dell’attività manifatturiera era ostacolato in tutta l’Europa dalla grande
scarsezza del carbone, vera e unica fonte importante di potenza industriale. Una parte del mondo marciava
dunque verso la supremazia industriale, un’altra parte restava indietro. E ristagno economico, indolenza e
addirittura regresso erano conseguenze del progresso industriale.
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Storia del mondo contemporaneo 10. La borghesia nel XVIII secolo – David Thomson
Le vie principali per cui l’industrialismo influì sul governo e sulla politica furono l’aver esso conferito
nuova ricchezza e potere alla crescente borghesia dei commercianti. I capitani d’industria erano nel 1815
ancora una piccola minoranza. Ma erano gli uomini nuovi, la prima generazione di una classe che si sarebbe
opposta inevitabilmente all’antica ignavia degli aristocratici. L’Europa occidentale divenne rapidamente una
società basata sull’industria, sul commercio e sulla finanza. La nuova ricchezza esigeva una rappresentanza
più numerosa e un maggiore politico: ne scaturì un’ondata liberale ostile all’ordine stabilito.
L’industrialismo aveva anche creato nuove classi di salariati. Date le dure condizioni imposte loro dagli
industriali, queste classi dovettero presto rivolgersi allo Stato perché proteggesse i loro interessi. E quando
capirono che i governi avrebbero favorito la classe operaia solo se costretti a farlo da una pressione politica,
incominciarono anch’essi a chiedere il voto e la libertà d’associazione.
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Storia del mondo contemporaneo 11. La nascita dei movimenti nazionalisti nel XVIII secolo – David
Thomson
Insomma, all’ondata liberale se ne aggiunse un’altra democratica e, in seguito, socialista. Conseguenza di
tutto ciò fu che ogni governo dovette agire ai più profondi livelli della vita sociale ed economica. L’Europa
moderna andava inconsciamente cercando un tipo di Stato completamente nuovo, uno Stato che mantenesse
stretti e dialettici rapporti con la comunità. Questo idee dello Stato come emanazione della comunità da esso
governato e della comunità che esige dallo Stato determinati servizi, le più rivoluzionarie della storia, erano
profondamente incompatibili con il vecchio ordine e con la netta distinzione dinastica fra sovrano e sudditi.
Si può definire la nazione come una comunità di gente, i cui legami derivano dalla convinzione di avere una
patria comune. In questo ampio significato, si può parlare di nazioni anche secoli prima del 1815. Ma il
nazionalismo europeo, inteso nell’accezione moderna, cioè come desiderio di ogni comunità nazionale di
affermare la propria unità e la propria indipendenza di fronte alle altre comunità, è soprattutto un prodotto
dell’Ottocento. Furono la Rivoluzione francese e l’Impero napoleonico a dargli la prima spinta.
La tesi giacobina della “sovranità del popolo” aveva un doppio significato. Da un lato, infatti, affermava le
esigenze della nazione nel suo complesso contro il monarca e il diritto di ogni paese a scegliersi il governo
che preferisce e a controllarne il comportamento. Ma, mentre gli eccessi dei giacobini durante il Terrore
(1793-94) avevano screditato le idee democratiche della Rivoluzione, le conquiste napoleoniche in Europa
finirono col rafforzare le idee e i sentimenti del nazionalismo, che era perciò nel 1815 una forza ben più
vitale della democrazia.
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Storia del mondo contemporaneo 12. Il movimento nazionalista nel XVIII secolo in Germania e Italia
– David Thomson
I paesi dove il movimento nazionalista aveva maggior vitalità erano la Germania e l’Italia, dove si diede
nuova importanza alle istituzioni locali, alle usanze tradizionali…
La Prussia, dopo il 1815, emerse come il centro focale delle speranze nazionalistiche tedesche, in contrasto
con l’Austria che usava della sua nuova influenza sulla nuova Confederazione per perpetuare la disunione
della Germania. La riorganizzazione dello Stato prussiano fu in gran parte imitazione delle riforme
rivoluzionarie francesi. I riformatori prussiani si misero all’opera per creare un forte potere centrale, un
esercito veramente nazionale e un sistema di educazione destinato a infondere uno spirito comune a tutto il
popolo. Inconsapevolmente, Napoleone aveva dato un notevole contributo all’unificazione della Germania,
distruggendo nel 1806 il Sacro Romano Impero.
Lo spirito nazionalista suscitato da Napoleone in Italia fu per molti aspetti diverso da quello tedesco. Qui
infatti il suo regime, durato dal 1796 al 1814, era stato più lungo e continuo. E anche più accettabile: i
sentimenti antifrancesi degli italiani erano assai meno violenti di quelli dei tedeschi e degli spagnoli. La
borghesia della città aveva accolto con piacere la maggiore efficienza amministrativa e la minore influenza
clericale. In Germania e in Italia, più nella prima, il dominio francese fu all’origine di nuovo e diffuso
sentimento di orgoglio e speranza nelle sorti della patria.
La Polonia era invece al centro del nazionalismo offeso dall’Europa orientale. Fra il 1772 e il 1795 questa
nazione era stata cancellata dalla carta geografica. Per questo, quando nel 1807 istituì il granducato di
Varsavia, concedendogli una nuova costituzione, Napoleone venne applaudito dai polacchi. Ma nel 1814 la
vittoria degli Imperi orientali cancellò nuovamente quest’atto dalla carta geografica. Ancora più diffusa e
più profonda fu l’influenza esercitata da Napoleone sul sentimento nazionale russo.
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Storia del mondo contemporaneo 13. Il liberalismo nel XVIII – David Thomson
Il liberalismo, più chiaramente nell’accezione attribuitagli dall’Europa continentale, assomigliava al
nazionalismo, nel senso che si fondava sulla convinzione che dovessero instaurarsi fra comunità e governo,
società e Stato, rapporti più organici e completi di quelli Settecenteschi. In quanto dottrina, il liberalismo si
distingueva dalla democrazia liberale in quanto propugnava più la sovranità delle assemblee parlamentari
che quella del popolo; chiedeva poi l’estensione del diritto di voto a tutti i proprietari. Dava più importanza
alla libertà che all’uguaglianza. I regimi ideali erano la monarchia costituzionale o una repubblica
parlamentare, poggiata sul suffragio di una minoranza ma atta a proteggere l’uguaglianza di tutti davanti alla
legge.
La democrazia radicale aveva in comune col liberalismo la derivazione dal razionalismo settecentesco e
l’opposizione alle disuguaglianze del vecchio ordine. Se ne distingueva, sostenendo che la sovranità si fonda
sulla volontà generale di tutto il popolo. Proponeva il suffragio universale per tutti i maschi e strumenti di
democrazia diretta come plebisciti e referendum. Era insomma devota agli ideali di uguaglianza nei diritti
civili e politici. Nelle forme più estreme, chiedeva la stessa uguaglianza in ambito sociale ed economico.
Fin dopo il 1850, socialismo e comunismo trovarono la loro sede naturale non in Europa, ma in America,
dove l’abbondanza di terre e la libera immigrazione offrivano nuova possibilità di vita a tutti quelli che
volevano sfuggire alle restaurate monarchie europee. Anche le idee socialiste derivavano dalle teorie di
Rousseau e della Rivoluzione Francese.
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Storia del mondo contemporaneo 14. L’Impero di Napoleone III – Robert Palmer e Joel Colton
Luigi Napoleone Bonaparte si fece imperatore dei francesi col nome di Napoleone III. Egli diventò dittatore
sull’onda del favore popolare. Il nuovo Napoleone non somigliava affatto al suo grande zio. Non era un
soldato, non era un amministratore, ma un politico. Non si va lontano dal vero dicendo che il primo
Napoleone non fece mai un discorso in pubblico. Luigi Napoleone ne faceva di continuo, il podio politico
era il suo ambiente naturale. Luigi Napoleone vide l’opinione pubblica come un’opportunità, non come un
fastidio. Capiva perfettamente che un capo singolo esercita più magnetismo di un’assemblea elettiva.
Esaltava il progresso moderno e si presentava come il leader di un mondo nuovo. Proclamava di incarnare la
sovranità popolare. In tutti gli altri grandi Stati, il suffragio universale era ritenuto incompatibile con un
governo intelligente e con la prosperità economica. Egli si vantò di aver realizzato questa combinazione.
Affermava, inoltre, di essere al di sopra delle classi e di voler governare equamente nell’interesse di tutte.
Le istituzioni politiche del Secondo Impero furono autoritarie. C’era un Consiglio di Stato, composto di
esperti che redigevano i progetti e consigliavano su questioni tecniche. C’era un Senato, i cui membri
venivano nominati, che avevano poche funzioni importanti. Le elezioni venivano gestite con cura. Il
governo proponeva un candidato ufficiale per ciascun seggio, potevano presentarsi altri candidati ma non
erano consentiti comizi politici di nessun genere. Il Corpo legislativo, eletto a suffragio universale maschile,
non aveva poteri indipendenti propri. Non poteva presentare progetti di legge, non esercitava controlli sul
bilancio, non aveva potere sull’esercito.
Napoleone III ambiva soprattutto alla fama di grande ingegnere sociale. Trovò alcuni dei suoi principali
sostenitori fra gli ex saint-simoniani, che ebbero il loro maggiore trionfo nell’invenzione delle banche
d’investimento, con le quali essi speravano di guidare la crescita economica.
I tempi erano quanto mai favorevoli a un’espansione, perché la scoperta dell’oro in California nel 1849 e
poco dopo in Australia, insieme ai nuovi strumenti di credito, portò a un cospicuo aumento della
disponibilità monetaria europea. Le ferrovie passarono in Francia negli anni ’50, da 3000 a 16000
chilometri. La domanda di materiale rotabile per le stazioni dava lavoro a fabbriche e miniere. Fecero la loro
comparsa le grandi società per azioni, anzitutto in campo ferroviario e bancario. Nel 1863 la legge concesse
il diritto di responsabilità limitata, per il quale un’azionista non poteva perdere più del valore nominale del
suo pacchetto: ciò incoraggiò gli investimenti.
L’imperatore voleva fare qualcosa anche per i lavoratori, entro i limiti del sistema esistente. La banca
agraria fu di qualche utilità per i contadini più facoltosi. I posti di lavoro erano abbondanti e i salari buoni,
almeno fino alla depressione del 1857. Maggiori furono le realizzazioni nel campo dell’assistenza pubblica.
Furono fondati ospedali e case di ricovero, con distribuzione gratuita di medicine. Cominciavano a profilarsi
vagamente i contorni di uno Stato attento ai servizi sociali. Nel 1864 fu riconosciuto ai lavoratori organizzati
il diritto allo sciopero. Furono così legalizzati i sindacati e le grandi società d’affari. Napoleone III non fece
abbastanza per i lavoratori per figurare come eroe della classe operaia, ma abbastanza per essere considerato
socialisteggiante.
Le dittature successive sono state di solito fortemente protezionistiche, aliene dall’affrontare una libera
concorrenza con il resto del mondo. Napoleone III credeva nella libertà del commercio internazionale. Ideò
un vantaggioso progetto di unione doganale con il Belgio, poi andato in fumo; concluse nel 1860 un trattato
di libero scambio con la Gran Bretagna, accompagnato da accordi commerciali minori con altri paesi.
Ma nel 1860 l’Impero cominciava a trovarsi in difficoltà. Con la sua politica di libero scambio l’imperatore
si era inimicato gli industriali di certi settori. I cattolici non vedevano di buon occhio la sua politica in Italia.
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Storia del mondo contemporaneo Dopo il 1860 l’opposizione si intensificò. Luigi Napoleone si rovinò con la guerra. Dopo la guerra di
Crimea, il nuovo Napoleone combattè nel 1859 in Italia, dal 1862 al 1867 in Messico e nel 1870 nella stessa
Francia con la Prussia in una guerra che di fattò fece svanire il suo Impero.
Soltanto negli anni ’20 e ’30, quando i dittatori spuntarono in tutta l’Europa, il mondo cominciò ad avere
sentore di cosa era stato veramente Napoleone: un’anticipazione del futuro più che una bizzarra
reincarnazione del passato.
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Storia del mondo contemporaneo 15. La formazione di Stati nazionali in Italia e in Germania – Hagen
Schulze
L’Europa centrale costituiva un elemento di separazione tra le grandi potenze, ponendo una certa distanza
tra loro e impedendo così collisioni dirette. In tempo di pace quest’area rappresentava un bastione
diplomatico, in caso di guerra era il teatro dello scontro. Inoltre serviva a evitare una concentrazione di
potere nel cuore dell’Europa. Per questo motivo l’autonomia dei vari stati tedeschi e italiani valeva agli
occhi dei loro vicini europei come garanzia di libertà per il continente, nonché dell’equilibrio tra gli Stati.
La via tedesca e quella italiana alla realizzazione di uno Stato nazionale furono strettamente legate tra loro:
basta dare un’occhiata alle date di inizio e di conclusione dei processi per rendersene conto. Sia in Germania
che in Italia il ceto sociale alla testa del movimento era costituito da una elite di nobili e di borghesi
possidenti e colti. Tali ceti borghesi portatori dell’idea di Stato nazionale erano anche formati in misura
considerevole da notabili, per i quali lo Stato nazionale non doveva costruire in primo luogo un’area
economica nazionale.
In Germania come in Italia quell’eterogenea mescolanza di piccola nobiltà, professori, impiegati nonché
borghesi agiati fu spinta a richiedere la creazione di uno Stato nazionale da fattori di carattere
eminentemente politico. Per uscire da questa situazione di perdita delle regole politiche, di allentamento dei
tradizionali vincoli di lealtà, c’era bisogno di uno Stato nazionale, le cui istituzioni fossero sufficientemente
solide e durature da proteggere nel tempo le conquiste del liberalismo.
Le somiglianze tra la situazione tedesca e quella italiana non finiscono qui; in entrambi i casi la potenza
moderna si trovava nella parte settentrionale della nazione, alla quale apparteneva solo parzialmente. In tutte
e due le situazioni ci fu un uomo politico di stampo bonapartista che non temette di fare appello alle passioni
delle masse per raggiungere il proprio obiettivo di unità, infine vi era il legame tra quest’uomo politico e il
movimento nazionale liberale.
Certo anche le differenze non sono di poco conto. Da un lato vi era lo stato piccolo-tedesco, con un’industria
relativamente molto avanzata, dall’altro un’Italia ancora basata in larghissima misura su un’economia
agraria. D’altro canto, l’elite liberale italiana, artefice dello Stato nazionale, si orientò incondizionatamente
verso i modelli costituzionali francese e inglese. Diverso era il caso della Germania, che aveva definito
l’identità del nuovo Stato nazionale in netta opposizione all’occidente ed ai suoi valori.
Domenico Valenza Sezione Appunti
Storia del mondo contemporaneo 16. La fine degli equilibri del congresso di Vienna - Hagen Schulze
Per l’Europa il sorgere degli Stati nazionali tedesco e italiano ebbe un significato rivoluzionario. Saltava il
principio di equilibrio nato a Vienna, basato sulla frammentazione dell’Europa centrale. La concentrazione
di potere del tutto nuova suscitò all’interno dei governi europei un notevole sconcerto al quale diede voce il
capo dell’opposizione inglese Disraeli: “Si affacciano pericoli nuovi e di gravità sconosciuta, con i quali
dovremo fare i conti e che sul momento non appaiono ancora comprensibili”.
La creazione di tali Stati nazionali è stata definita una rivoluzione dall’alto, un sovvertimento politico
guidato da uomini politici preminenti come Cavour e Bismarck. Nel caso italiano però appare evidente che
si era realizzata di fatto una stretta collaborazione tra il primo ministro piemontese e le forze della
rivoluzione dal basso, i democratici-rivoluzionari che facevano capo e Garibaldi e Mazzini. Tuttavia anche
per la Germania è possibile vedere nel cammino che condusse alla formazione dell’impero il risultato della
cooperazione tra Bismarck e il movimento nazionale. Nulla che alla lunga si fosse opposto al nazionalismo
delle masse avrebbe potuto condurre al successo.
L’anno 1871 segnò una svolta storica ancor più rilevante di quanto i contemporanei fossero in grado di
cogliere. Al centro dell’Europa si erano costituite in Germania e in Italia due importanti realtà poltico-
territoriali che apparivano estranee al sistema degli equilibri di potere europei. Di fronte a quest’evento le
principali potenze del continente reagirono così energicamente che all’inizio del XX secolo il volto dei
grandi stati nazionali europei era cambiato sostanzialmente, dal punto di vista sia politico che spirituale.
Domenico Valenza Sezione Appunti
Storia del mondo contemporaneo 17. Bismarck e l’unificazione tedesca – Micheal Sturmer
Collegata con una rivoluzione, l’unificazione avrebbe probabilmente destato ancora più diffidenze di quelle
suscitate pur dalla sua forma conservatrice e statalistica. Soltanto il suo carattere conservatore la rese
possibile in Germania e ancor più in Europa.
L’amara conclusione della rivoluzione politica del 1848 aveva creato condizioni favorevoli per la
rivoluzione industriale. Il denaro risparmiato uscì dalle sue tane e si trasformò in capitale. Nel 1854 fu
fondata la prima banca d’azioni. Dall’Inghilterra, dal Belgio, dalla Francia fluivano gli investimenti in
Germania. Si svilupparono nuove tecnologie e nuovi settori industriali.
La lotta per l’eredità degli Ottomani e per il dominio del Mediterraneo orientale condusse le potenze, nel
1854-56, a schierarsi su fronti opposti della guerra di Crimea. La Prussia potè esigere qualcosa in cambio
della sua neutralità. Perché non quella mano libera in Germania che poco prima Russia e Austria avevano
rifiutato al paese dalla vocazione tedesca? La sconfitta russa in Crimea rese gli Zar bisognosi di alleanze
verso l’esterno. Quando Bismarck, in occasione della rivolta polacca del 1863, fece sapere che i ribelli
polacchi in fuga sarebbero stati consegnati ai loro persecutori russi, egli conquistò quella benevolenza russa
che nel 1848 era mancata in modo così evidente ai liberali prussiani.
Nella guerra di unificazione italiana del 1859, l’esercito prussiano rimase all’erta, ma non per soccorrere i
viennesi. La sconfitta austriaca nella lotta contro la Francia e i Savoia paralizzò la monarchia danubiana
nella cura dei suoi interessi in Germania. E infine la Francia: le cui truppe inviate nel Messico nel corso
della guerra di secessione americana, non furono a disposizione nel 1866 per un’energica azione della
Francia contro l’unificazione della Germania da parte della Prussia.
Sarebbe stata l’Austria, e quindi ancora una volta la Germania cattolica e preindustriale, lo stampo del futuro
nuovo ordine tedesco? Oppure la Prussia avrebbe deciso a suo favore il grande confronto, facendosi forte
della potenza militare e industriale?
Negli anni Cinquanta la Prussia era in Germania l’unica potenza in grado di agire. Bismarck, apprese alla
Dieta federale che la Prussia era perduta se non si alleava con il nazionalismo e i liberali. La verità era che
con l’Austria veniva conservato un passato da tempo trascorso, ma con i liberali si spalancavano le porte al
mondo dell’industria e della finanza, verso un futuro imprevedibile. I liberali, sul fronte opposto, erano
tutt’altro che pacifisti. All’occorrenza erano pronti a battersi con l’Austria, se questo era il prezzo da pagare
per la costruzione dello Stato nazionale tedesco. E mentre, il re non voleva saperne di una guerra, il suo capo
del governo andava oltre. Egli aveva infatti compreso che i cittadini liberali, se avessero raggiunto i loro
obiettivi soltanto per mezzo delle armi prussiane, sarebbero stati costretti ad aderire al progetto nazionale
alle condizioni poste dalla Prussia.
Le due guerre del 1864 e del 1866 con Danimarca e Austria gli valsero l’ammirazione della Germania
nazionalista. Successivamente egli seguì una politica ambivalente: guanti di velluto con l’Austria, pugno di
ferro con i suoi alleati settentrionali. Con i tedeschi del sud furono stipulati dei trattati militari di protezione
e difesa che fecero della Prussia in Germania il padrone di casa.
Per i sostenitori del cattolicesimo, del Sacro Romano Impero e dell’Austria, tutto ciò era una catastrofe. Per
la Germania protestante, per i partigiani della Prussia e per i sostenitori del libero commercio era una
vittoria, sancita nel 1868 con la promulgazione del Codice industriale: non più corporazioni né limitazioni al
mercato ma liberi rapporti contrattuali secondo il modello inglese.
Rimaneva ancora aperto un conto: quella con la Francia napoleonica. Il nuovo ordine dell’Europa centrale
nel 1866 non era un trionfo della politica estera francese. L’Imperatore, indebolito dagli scandali e attaccato
Domenico Valenza Sezione Appunti
Storia del mondo contemporaneo in parlamento, non ebbe la saggezza di sottrarsi al vortice della guerra, come egli avrebbe potuto fare per
molto tempo.
Domenico Valenza Sezione Appunti
Storia del mondo contemporaneo 18. L'operaio e il sistema fabbrica nella prima industrializzazione –
Alain Dewerpe
Il sistema di fabbrica della prima industrializzazione propaga una condizione operaia, stato durevole
caratterizzato da bassi salari, lunghi orari, una grande insicurezza dell’impiego, disagiate condizioni lavoro,
l’assenza di protezione collettiva contro i rischi. Tale condizione si distingue dal lavoro nelle campagne per
l’intensità costretta dal lavoro, l’esigenza in fabbrica di puntualità, la separazione del lavoro dal focolare
domestico.
Il sistema di fabbrica implica un controllo padronale diretto sul processo di produzione… In ciò esso esige
una radicale riorganizzazione dei poteri nell’industria e una disciplina nuova del lavoro. L’imprenditore si
scontra con problemi complessi e sconosciuti fino ad allora. Esigendo la fabbrica continuità e omogeneità
del lavoro, egli deve fare onorare un nuovo rapporto tra il lavoro e il tempo, omogeneo, meccanico, regolare
oggettivato: di fronte a lavoratori rurale e genti che organizzano a modo loro il lavoro, gli occorre reclutare e
mettere al lavoro la sua manodopera, stabilizzarla alla fabbrica al fine di scansare i costi di una mobilità
troppo febbrile. La concentrazione e la meccanizzazione del sistema di fabbrica trasformano così
radicalmente le relazioni tra l’uomo e il lavoro.
L’esperienza della condizione salariale nell’industria è per il lavoratore una storia vissuta, personale e
collettiva. Tale trasformazione, benché sia attraversata da forti tensioni, si appoggia sulla coscienza
collettiva di un mondo operaio identificato nel proletariato. L’esperienza operaia è anche un’esperienza di
lotte di classe: la rivolta violenta, il rifiuto della macchina, l’assenteismo, infine lo sciopero. A contestazioni
deconcentrate, si aggiungono forme di mobilitazione: società di mutuo soccorso, borse del lavoro, sindacati,
internazionali operaie. Le lotte operaie sfoceranno così sull’invenzione di un movimento operaio, spesso
diviso, ma durevolmente influente e attore primordiale del miglioramento della condizione materiale e
morale del mondo operaio.
La storiografia esita quando si tratta di valutare il senso della parcellizzazione dei compiti operata dal
sistema di fabbrica a profitto dell’imprenditore: capacità sociale e tecnica (l’unico adatto ad organizzare la
produzione) o politica che gli consente di imporre il proprio controllo sul sistema di produzione? Egli
svolgerà in realtà sia la funzione di coordinatore, che la funzione di comandante.
Domenico Valenza Sezione Appunti
Storia del mondo contemporaneo 19. L'imprenditore nella prima industrializzazione – Alain Dewerpe
In tale periodo emerge la figura moderna dell’imprenditore, celebrata per il suo spirito di iniziativa, la sua
capacità di innovazione e anticipazione dei bisogni, la sua cura delle gratificazioni morali e materiali. Egli
proporrà a tutti, soprattutto agli operai, una nuova etica del lavoro che esalta l’austerità, il risparmio, lo
sforzo, il sacrificio e la riuscita. Fuori dal lavoro industriale produttivo, l’industrializzazione trasforma il
lavoro dei servizi, modificando tanto quello degli impiegati quanto quello degli esperti. Si ispessisce un
doppio movimento di crescita di impieghi antichi e di creazione di mestieri nuovi (tra cui gli ingegneri o gli
agenti di borsa).
Domenico Valenza Sezione Appunti
Storia del mondo contemporaneo 20. Modifiche dell'agricoltura nella prima industrializzazione –
Alain Dewerpe
Il lavoro contadino si apre al mercato, all’agricoltura specializzata. Gli spazi delle campagne si allargano
mentre si sgretolano i contatti di vicinato a vantaggio degli orizzonti più lontani dei mercati esteri. In
Europa, a partire dagli anni ’40, i contadini riattivano una pratica molto antica, la conquista delle terre. Il
contadino si fa dunque tecnico. I legami diventano stretti tra agricoltura e scienza, come in Germania, grazie
all’azione parallela delle accademie agricole e delle stazioni agronomiche. Modernizzazione e
meccanizzazione dell’agricoltura provocano una mutazione importante delle condizioni di abitudini e di
lavoro.
Tali evoluzioni testimoniano di una vittoria dell’individualismo agrario, come in Scandinavia o in Francia,
dove vi è la crescita delle democrazie rurali di contadini piccoli proprietari indipendenti. Diversamente va
altrove. Le tensioni provocate tanto dalle strutture agrarie delle agricolture tradizionali quanto dallo statuto
dei contadini sfociano su una crisi agraria. Dagli Urali all’Andalusia, la rivolta agraria degli anni 1850-1914
è in effetti aperta.
Domenico Valenza Sezione Appunti
Storia del mondo contemporaneo 21. Movimento operaio e socialismo – René Rémond
Il socialismo moderno vuol essere la risposta ai problemi nati dalla rivoluzione industriale. In origine, la
riflessione dei fondatori delle scuole socialiste è stata suscitata da due conseguenze di tale rivoluzione: la
miseria dei lavoratori e la durezza della condizione operaia. Davanti allo spettacolo di questa miseria, certi si
chiedono se un regime economico capace di generare simili conseguenze sia accettabile e rimettono in
discussione i postulati sui quali è fondata l’economia liberale del XIX secolo. I fondatori della scuola
socialista sono pure messi in allarme dalla frequenza delle crisi che interrompono lo sviluppo dell’economia
e provocano disoccupazione e chiusura delle fabbriche. Vi è così all’origine del socialismo una doppia
contestazione, di rivolta morale contro le conseguenze sociali e di sdegno razionale contro l’illogicità delle
crisi.
Il primo significato della parola socialismo è una reazione contro l’individualismo. Invece di lasciare
completa licenza all’individuo, il socialismo lo subordina all’interesse e alla necessità del gruppo sociale.
L’accento si sposta dall’individuo alla società. Dal suo punto di partenza, il socialismo passa alla
costruzione di un sistema positivo e propone una dottrina dell’organizzazione sociale, non politica:
all’inizio, le scuole socialiste si situano su un piano diverso da quello dei partiti politici.
Da allora, la situazione si modificherà: da scuola di organizzazione sociale, esso si trasformerà in partito
politico per la conquista del potere. Quest’evoluzione dal sociale al politico è legata all’evoluzione interna
del socialismo: pur avendo tutte queste scuole un fondamento comune nella critica del liberalismo,
divergono però sulle modalità pratiche e nella filosofia generale. Una di queste scuole prenderà il
sopravvento sulle altre e le soppianterà: il marxismo, impostosi per la forza del sistema, per la sua coerenza
interna, per il genio dei suoi fondatori.
Domenico Valenza Sezione Appunti
Storia del mondo contemporaneo 22. Il marxismo – René Rémond
Un’aspra competizione si scatena ai congressi dell’Internazionale. La prima Internazionale, fondata a
Londra nel 1864, ha un carattere molto composito e il piano ideologico resta abbastanza vago. Saranno le
successive a rendere il marxismo maggioranza verso la fine del secolo. Alcune circostanze di politica estera
hanno contribuito alla vittoria del marxismo in Francia fra cui la guerra del 1870. I socialismi anteriori al
1848, definiti utopistici dai marxisti, si fondavano su una visione ottimistica della società. La guerra civile e
la Comune annienteranno queste speranze e saranno la prova che la lotta di classe è una legge della realtà
sociale.
A partire dal 1870-1880, i progressi del marxismo si accelerano; nella maggior parte dei paesi esso diviene
la filosofia riconosciuta nel movimento operaio. Poiché il marxismo suscita la formazione di partiti che
tentano di conquistare l’opinione pubblica e il potere, vengono ormai a far parte del sistema delle forze
politiche i partiti socialisti, i quali non credono più che sia possibile trasformare la società ignorando,
isolando o aggirando il potere. Dopo il 1900 il movimento socialista costituisce una forza di primo piano: in
Francia (nel 1914 primo partito dopo i radicali), in Germania (il partito socialdemocratico è il primo gruppo
parlamentare), in Inghilterra (si costituisce un partito socialista per iniziativa dei sindacati, il partito
laburista). Molto ridotto negli Stati Uniti, nel Canada, assente nel resto del mondo. Già prima del 1914, si è
compiuta l’evoluzione che trasferisce il socialismo dal piano ideologico a quello delle forze organizzate.
Il socialismo, che in nessun luogo partecipa all’esercizio del potere, è dappertutto una forza di opposizione e
appunto perché è all’opposizione si schiera a sinistra, in quanto essa si oppone in blocco alle istituzioni
politiche, al regime economico, alla morale borghese, ecc. Dopo un primo stadio di neutralità, quindi,
passerà all’appoggio delle istituzioni democratiche. Attraverso il libero gioco delle elezioni e della
rappresentanza parlamentare, questi partiti sperano di arrivare al potere e di realizzare il loro programma.
Domenico Valenza Sezione Appunti
Storia del mondo contemporaneo 23. Il carattere internazionale del socialismo – René Rémond
Il carattere internazionale del socialismo vede l’organismo principale nell’Internazionale. Essa prende atto
dalla solidarietà internazionale dei lavoratori, che risulta dall’identità di interessi e della loro opposizione a
un capitalismo anch’esso internazionale. Per gli stessi motivi le scuole socialiste si sono schierate contro il
nazionalismo, un’illusione suscitata dalla borghesia per distogliere i proletari dai loro interessi di classe.
Poiché il socialismo incarna la causa della pace internazionale, l’unione tra pacifismo e socialismo è quasi
totale. Per le grandi masse, il socialismo sembra incarnare sia una speranza di solidarietà, un’aspirazione alla
pace, sia il sogno di una società più giusta e fraterna. Tutto ciò fa del socialismo un elemento capitale del
gioco politico. Lo stato d’impotenza in cui i socialisti si sono trovati, nell’estate 1914, la loro incapacità di
arrestare la corsa alla guerra spiega la scissione del movimento all’indomani del conflitto e la ricerca di
un’altra formula, quella di cui la Russia bolscevica propone l’esempio con la terza Internazionale.
Domenico Valenza Sezione Appunti
Storia del mondo contemporaneo 24. Protezionismo e liberalismo nel XIX secolo - Pierre Rosanvallon
Si è detto spesso che il XIX secolo ha segnato il trionfo del capitalismo liberale. Questa constatazione è
ambigua. Se il capitalismo impone in effetti la sua legge al mondo intero, il liberalismo è per contro
singolarmente assente da questo movimento.
Al livello degli scambi internazionali, il protezionismo è la regola e il libero scambio l’eccezione. La
Francia resta ostinatamente protezionista durante tutta la prima metà del secolo XIX. Gli Stati Uniti non si
scostano da una politica doganale molto restrittiva durante tutto il secolo. La Germania si richiude su se
stessa dopo aver realizzato la propria unità doganale interna con la costituzione dello Zollverein nel 1834.
Solo la Gran Bretagna fa eccezione, abolendo nel 1846 le barriere doganali sui cereali e nel 1850 il celebre
Atto di Navigazione che vietava l’importazione di merci di provenienza coloniale su navi che non fossero
inglesi. Ma l’Inghilterra è libero-scambista solo perché è al culmine della sua potenza industriale. Essa spera
di inondare l’Europa, di cui è la fabbrica, coi propri manufatti. Il libero scambio è per essa solo un mezzo
della sua politica imperialista. Questo esempio dell’Inghilterra provocherà tuttavia una certa tendenza a
liberalizzare gli scambi in Europa nella seconda metà del secolo XIX, almeno su base strettamente
bilaterale; ma sarà solo una breve parentesi: a trionfare è praticamente il protezionismo.
E’ anche nel XIX secolo che la maggior parte dei paesi europei sviluppano una politica di colonizzazione ad
oltranza benché Adam Smith avesse denunciato ampiamente l’illusione coloniale da un punto di vista
economico. “Per gli inconvenienti che risultano dal possesso delle colonie ogni nazione se li è pienamente
riservati interi; quanto ai vantaggi, è obbligata a dividerli con molte altre nazioni”. La Francia, la Germania
e la Gran Bretagna si lanciano tuttavia in una costosa competizione per dividersi il controllo dell’Africa.
Anche in materia di politica interna, il liberalismo sembra dimenticato. Il ruolo economico e sociale dello
Stato cresce ovunque, principalmente in Francia e Germania. E’ questione di faire aller piuttosto che laisser
faire. Il principio sacrosanto della libera concorrenza non resiste alla formazione di trust e di cartelli potenti.
Gli accordi e i monopoli dominano dunque il mercato. Nel secolo XIX a trionfare non è quindi il capitalismo
liberale ma il capitalismo selvaggio. Le idee liberali sono ovunque combattute dalla classe dominante
quando questa non può usarle a suo profitto.
Domenico Valenza Sezione Appunti
Storia del mondo contemporaneo 25. Il capitalismo nel XIX secolo - Pierre Rosanvallon
L’espressione sistema capitalistico ha spesso indotto in errore. Il capitalismo non è la realizzazione di
un’utopia o di un piano di società. Non è il risultato di una costruzione razionale e premeditata. Il
capitalismo è la risultante di pratiche economiche e sociali concrete. Esso designa una forma di società nella
quale una classe sociale, i capitalisti, controlla l’economia e le forme di organizzazione sociale che
interferiscono con la vita economica. Questa definizione permette di rimuovere un equivoco permanente:
quello che consiste nell’assimilare il capitalismo ad un’ideologia; essa non obbedisce ad altra regola che non
sia quella del proprio interesse. Per questo, essa può essere di seguito libero-scambista e protezionista.
Dell’utopia liberale, il capitalismo ha mantenuto solo ciò che praticamente gli fa comodo (l’affermazione
della proprietà privata come fondamento della società, per esempio); esso intrattiene in questo senso un
rapporto puramente strumentale col liberalismo. La sola libertà che rivendica è quella del capitale; esso è in
primo luogo un pragmatismo di classe.
Marx sarà il primo a rompere apparentemente con questa illusione dell’economia politica classica,
dichiarando che non serve a nulla opporre protezionismo e libero scambio. Egli si dichiara a favore del
libero scambio, dichiarando che tale sistema affretta la rivoluzione sociale. E, pertanto, Marx rimane quindi
prigioniero della sua concezione dell’ideologia, persistendo a prendere il capitalismo come la realizzazione
dell’ideologia liberale. E’ in questa concezione che bisogna trovare l’origine di tutte le critiche al
capitalismo che consistono paradossalmente nell’accusarlo di non essere fedele a sé stesso e di esserlo
troppo. Il capitalismo è preso per ciò che non è: la realizzazione pratica dell’economia politica classica.
La maggior parte dei teorici è così di nuovo portati a porsi la questione dello statuto e della definizione
dell’economia politica. Queste interrogazioni si sviluppano in tre direzioni:
1- Il ritorno al progetto politico, l’economia al servizio della politica (List);
2- L’economia politica ridotta a un semplice mezzo per assicurare il benessere generale della società
(Sismondi);
3- L’economia pura come teoria scientifica dello scambio (Walras).
Il secolo XIX si traduce così attraverso una smitizzazione generale dell’economia politica: essa rinuncia a
presentarsi come la scienza globale e unificata del mondo moderno.
Domenico Valenza Sezione Appunti
Storia del mondo contemporaneo 26. L’egemonia inglese nel XIX secolo – Paul Kennedy
L’ideologia della politica economica del laisser faire predicava pace eterna, basse spese governative e la
riduzione del controllo dello Stato sull’economia e sull’individuo. Presupponendo che la guerra fosse la
soluzione estrema, la modernizzazione che ebbe luogo nell’industria e nelle comunicazioni britanniche non
fu accompagnata da miglioramenti dell’esercito.
A metà dell’epoca vittoriana, pur dominante, l’economia britannica fu probabilmente meno mobilitata per la
guerra che in ogni altro periodo dall’avvento degli Stuart e, d’altra parte, le spese militari furono mantenute
ad un minimo assoluto. Quindi, la potenza bellica non rifletteva le dimensioni dell’economia britannica nel
mondo. Anche una guerra molto limitata come quella di Crimea mise duramente alla prova il sistema. I
vittoriani ritenevano che l’equilibrio tra le grandi potenze continentali rendesse inutile ogni intervento
militare su larga scala da parte della Gran Bretagna. Mentre si impegnava, per via diplomatica e tramite il
distaccamento di squadre navali, per influenzare gli eventi politici nelle periferie vitali d’Europa, la Gran
Bretagna tendeva ad astenersi dall’intervenire altrove.
Fino alla metà del XIX secolo il Regno era pertanto una potenza di tipo diverso. Esso era effettivamente
forte in altri campi, ognuno dei quali era considerato dai britannici molto più importante del mantenimento
di un grande esercito.
Domenico Valenza Sezione Appunti
Storia del mondo contemporaneo 27. L’egemonia inglese nel XIX secolo: campo navale e colonialismo
- Paul Kennedy
Campo navale
Il primo di questi era il campo navale. Durante il secolo antecedente il 1815, la marina britannica era stata
considerata la più grande del mondo. La caratteristica essenziale degli ottant’anni che seguirono Trafalgar fu
che nessun altro paese minacciò in modo serio il dominio marittimo britannico.
Impero coloniale
Il secondo importante campo in cui si manifestava la potenza britannica era il suo impero coloniale in
costante espansione. Anche qui la situazione generale era molto meno competitiva che nei due secoli
precedenti, quando la Gran Bretagna aveva dovuto combattere a più riprese contro Spagna, Francia e altri
Stati europei. Non è quindi esagerato affermare che tra il 1815 e il 1880 gran parte dell’impero britannico
sopravvisse grazie a un vuoto di politica di potenza. Nonostante in molti ritenessero inutili ulteriori
acquisizioni coloniali, solo pesi sulle spalle del già sovraccarico contribuente britannico, l’impero continuò a
crescere tra il 1815 e il 1865. Alcune furono acquisizioni strategico-commerciali, altre la conseguenza della
brama di terre dei coloni bianchi.
Domenico Valenza Sezione Appunti
Storia del mondo contemporaneo 28. L’egemonia inglese nel XIX secolo: la finanza - Paul Kennedy
Il terzo campo su cui si basavano la peculiarità e la forza britanniche era quello della finanza. Per essere
esatti, questo elemento difficilmente si può separare dal globale progresso industriale e commerciale del
paese: il denaro era stato necessario ad alimentare la rivoluzione industriale, che a sua volta aveva prodotto
ancora più denaro, sotto forma di utili sul capitale investito. Tale grande disponibilità di capitale e la pace
prolungata, insieme ai miglioramenti nelle istituzioni finanziarie, spinsero gli Inglesi a investire all’estero
come mai era accaduto prima.
Le conseguenze di questa ingente esportazione di capitale furono varie importanti. La prima era che gli utili
sugli investimenti all’estero ridussero notevolmente il disavanzo commerciale sui beni visibili in cui la Gran
Bretagna era sempre incorsa. Essi si aggiunsero alle già cospicue entrate invisibili che provenivano dai
trasporti marittimi, dalle assicurazioni, dalle banche. Insieme, essi garantivano che la Gran Bretagna sarebbe
diventata sempre più ricca, in patria come all’estero.
La seconda conseguenza fu che l’economia britannica funzionava come un enorme mantice, che assorbiva
grosse quantità di materie prime e di derrate alimentari e inviava fuori un gran numero di tessuti, prodotti in
ferro e altri manufatti, un modello affiancato dalla rete di trasporti marittimi, contratti di assicurazione e
collegamenti bancari.
Non stupisce quindi che i sudditi della regina Vittoria fossero convinti di aver scoperto, seguendo i principi
dell’economia politica classica, il segreto per garantire sempre più prosperità e armonia mondiale. Per
quanto tutto quanto rendesse gli inglesi in poco più tempo più ricchi di quanto non fossero mai stati, non
conteneva anche elementi strategicamente pericolosi a lunga scadenza? Col senno di poi, è possibile
individuare almeno due conseguenze.
La prima era il modo in cui il paese stava contribuendo allo sviluppo a lungo termine di altre nazioni, sia
fondando e facendo progredire le industrie e l’agricoltura straniere, sia costruendo ferrovie, porti e navi a
vapore che alla lunga avrebbero dato la possibilità ai produttori d’oltremare di fare concorrenza.
La seconda potenziale debolezza strategica derivava dalla crescente dipendenza dell’economia britannica
dagli scambi e soprattutto dalla finanza internazionali. Intorno alla metà del XIX secolo, le esportazioni
rappresentavano almeno un quinto del reddito nazionale totale. Allo stesso modo, anche le importazioni
divenivano sempre più importanti. E nel settore che si stava espandendo più rapidamente di tutti, quello
delle invisibili operazioni bancarie, assicurative, di compravendita di merci e di investimento all’estero, la
dipendenza dal mercato mondiale era ancora più decisiva.
Domenico Valenza Sezione Appunti
Storia del mondo contemporaneo 29. La rivoluzione dei trasporti e lo sviluppo economico nel XIX
secolo – Yehogacin S. Brenner
La rivoluzione dei trasporti trasformò completamente l’intera struttura economica del continente tra il 1860
e il 1900. In quest’arco di tempo l’Europa fu coperta da una fitta rete di ferrovie che permise non solo di
sfruttare più intensamente le fonti già note di materie prime, ma rese disponibili nuove fonti finora utilizzate,
favorendo così una profonda redistribuzione geografica della popolazione.
Nel primo venticinquennio dell’800 in Inghilterra alla rapida crescita di commercio e dell’industria non
aveva fatto seguito un pari progresso nel sistema stradale e nella canalizzazione. Di conseguenza il costo dei
trasporti era talmente aumentato da rendere conveniente la costruzione e l’applicazione di macchine a
vapore sulle strade ferrate, in modo da poter far fronte alle nuove esigenze dei traffici.
Dopo un primo utilizzo dei binari nelle miniere, l’età delle ferrovie ebbe realmente inizio soltanto nel 1830
con l’apertura della linea Liverpool – Manchester per il trasporto regolare di merci e passeggeri. Sebbene la
nuova linea ferroviaria incontrò una serie di opposizioni da parte delle compagnie che gestivano i canali, la
sua superiorità economica divenne presto così manifesta che diventò difficile poter rinunciare allo sviluppo
delle ferrovie. Intorno al 1838 la costruzione di una ferrovia che collegava Londra e Birmingham venne a
dimostrare che i nuovi mezzi di comunicazione potevano infrangere gli ostacoli che fino a quel momento la
natura aveva posto allo sviluppo dei traffici. Le ferrovie potevano così aprire la via a mercati e fonti di
energie ritenuti fino a quel momento inaccessibili; fu dimostrato che lo sviluppo economico non era più
dipendente dalla localizzazione delle principali arterie commerciali e subordinate alla vicinanza di fiumi e
porti, e che le stesse arterie potevano essere orientate dalla volontà dell’uomo verso i depositi e i mercati più
convenienti.
Verso la fine dell’800 il sistema ferroviario dell’Europa settentrionale ed occidentale era quasi completato.
Le ferrovie stimolarono il movimento dei passeggeri in maniera senza precedenti perché metteva a
disposizione un mezzo di trasporto rapido, economico e poco rischioso e, inoltre, aumentarono
enormemente la mobilità del lavoro. Si ebbero infatti nella distribuzione geografica della popolazione dei
mutamenti che ebbero enormi conseguenze. Inoltre il progresso delle ferrovie comportò un’enorme
espansione del trasporto delle merci. Ancora, l’espansione del sistema ferroviario rese possibile la
concentrazione e la specializzazione della manodopera in regioni più adatte a un certo tipo o a un certo
stadio di produzione.
Domenico Valenza Sezione Appunti
Storia del mondo contemporaneo 30. Lo sviluppo economico nel XIX secolo in Gran Bretagna –
Yehogacin S. Brenner
Il difetto maggiore nella rapida diffusione dei trasporti ferroviari in Gran Bretagna fu provocato dalla
mancata previsione dei gravi inconvenienti connessi alla carenza di un organico sistema ferroviario
nazionale. Nella stessa località venivano infatti costruite linee in concorrenza senza tenere in alcun conto le
necessità future di un sistema unificato. Nel decennio 1840-50 la costruzione di ferrovie in Inghilterra fu
intrapresa con un entusiasmo che non venne meno fino alla grande crisi del 1847.
Sul continente lo Stato svolse un ruolo molto più attivo nella costruzione delle ferrovie, specialmente dopo
che i vantaggi di carattere politico ed economico ad esse furono universalmente riconosciuti. Dato che il
volume dei traffici non era ancora tale da rendere inadeguati gli sviluppi dei trasporti, gli imprenditori erano
poco inclini a rischiare il denaro e per tale motivo sin dall’inizio le ferrovie continentali furono costruite
tenendo conto delle esigenze di un piano di sviluppo economico e delle ambizioni politiche nazionali.
Domenico Valenza Sezione Appunti
Storia del mondo contemporaneo 31. Lo sviluppo economico nel XIX secolo in Belgio – Yehogacin S.
Brenner
In Belgio lo Stato intraprese la costruzione di strade ferrate nel 1834. Le ferrovie belghe costituiscono un
buon esempio di impresa posseduta in comproprietà dai privati e dallo Stato, in cui allo Stato va il compito
di finanziare la parte che il capitale privato non finanzia e delega a quest’ultimo la costruzione di quei rami
in cui ha un interesse diretto. Dopo il 1886 lo Stato cominciò a riscattare le linee private sia per uniformare il
sistema ferroviario nazionale che per impedire che cadesse sotto il controllo del capitale straniero.
Domenico Valenza Sezione Appunti
Storia del mondo contemporaneo 32. Lo sviluppo economico nel XIX secolo in Francia – Yehogacin S.
Brenner
Lo sviluppo ferroviario della Francia ha molti punti in comune con quello belga. I suoi inizi furono
caratterizzati da un ampio dibattito pubblico sui metodi di finanziamento e sulla sua struttura di base. Il
risultato fu un compromesso in base al quale lo Stato assicurava agli imprenditori privati il suo aiuto purchè
essi a loro volta accettassero un piano generale dello Stato per la distribuzione dei tronchi ferroviari nel
Paese e una certa forma di controllo statale sulle tariffe per il trasporto. Tale piano, che trovò la sua
espressione nella Legge Ferroviaria, si dimostrò fin troppo costoso e fu giocoforza chiedere la
partecipazione del capitale privato. Dopo la crisi del 1851, le costruzioni ferroviarie ripresero con grande
vigore.
Domenico Valenza Sezione Appunti
Storia del mondo contemporaneo 33. Lo sviluppo economico nel XIX secolo in Germania – Yehogacin
S. Brenner
Anche in Germania l’importanza economica e politica delle ferrovie fu compresa quasi immediatamente, ma
la divisione del Paese in un gran numero di Stati politicamente ed economicamente indipendenti, e la sua
arretratezza industriale non resero possibile l’immediato sfruttamento di tali vantaggi. Il loro sviluppo fu
dunque graduale e le prime linee vennero realizzate da imprenditori privati. Agli inizi i governi poco fecero
per incoraggiare l’azione delle compagnie ferroviarie, temendo di essere coinvolti dal punto di vista
finanziario e di gravare troppo i bilanci statali. Tuttavia non erano per nulla disposti a lasciare l’intera
questione nelle mani di capitalisti privati. La crisi del 1847-50, provocando un vero e proprio crollo delle
azioni ferroviarie, permise ai governi di acquistarne in gran numero a basso prezzo. Di conseguenza, intorno
al 1850, lo Stato controllava circa il 55% delle linee ferroviarie tedesche. Nel periodo imperiale la tendenza
ad uniformare sempre più il sistema ferroviario fu ulteriormente rafforzata da Bismarck.
Domenico Valenza Sezione Appunti
Storia del mondo contemporaneo