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Problemi dell’industrializzazione italiana all'unità – Stefano Fenoaltea


All’Unità il commercio estero dell’Italia ha la composizione tipica di un paese sottosviluppato, che esporta massimamente prodotti primari e importa beni di consumo manufatti. Cinquant’anni dopo il commercio estero è non solo tre, quattro volte maggiore ma di composizione ben diversa. Tuttavia, l’Italia rimane fino a tutta l’ultima guerra un paese con un’industria, sì, ma non industriale: povero, debole anche militarmente, e fonte di un’emigrazione tanto misera quanto massiccia.

Quali sono stati vantaggi che, nel tardo Settecento, hanno favorito l’industrializzazione in Inghilterra piuttosto che in Italia?
4- La presenza del carbone; a causa della bassa efficienza delle macchine e di forni di allora, i costi di trasporto e lavorazione si minimizzavano impiantando le ferriere sui bacini carboniferi.
5- Il clima freddo e piovoso; le piogge e l’abbondanza d’acqua riducevano i costi di trasporto, perché canali e fiumi erano un tempo i soli a permettere un trasporto economico anche nell’entroterra. Inoltre, riducevano i costi di produzione poiché l’acqua corrente è comunque necessaria all’industria.

La tecnologia della prima industrializzazione era pertanto decisamente sfavorevole all’Italia, tutta povera di carbone, e nella parte peninsulare povera pure di acqua e ricca di malaria. Ma il progresso tecnico giocava a favore dell’Italia. Già nel corso dell’Ottocento l’aumentata efficienza termica riduceva il potere attraente delle miniere di carbone. Furono le macroinvenzioni a favorire l’Italia, che fecero dell’elettricità e della chimica le industrie guida della seconda rivoluzione industriale, e pure quel progresso della medicina tropicale nella lotta contro la malaria. Esse favorirono l’Italia soprattutto perché entrambe erano a base scientifica e ad alto valore aggiunto, e pertanto attirate dalla disponibilità di particolari capacità umane più che di particolari materie prime. Siccome poi queste capacità erano appunto nuove, i secondi potevano qui competere con i primi senza handicap particolari.

Di fatto il paese leader della seconda industrializzazione non fu l’Inghilterra. Il paese all’avanguardia delle nuove industrie fu la Germania unita, forte di un sistema scolastico che favoriva appunto l’apprendimento tecnico e scientifico.

Nell’Inghilterra che sconfisse Napoleone dominavano infatti il potere politico i grandi proprietari terrieri che usavano il loro potere anche per mantenere il protezionismo agrario. Lo sviluppo dell’industria cotoniera e delle nuove città industriali ruppe quell’equilibrio politico, e con il Reform Bill del 1832 le città e gli interessi industriali ottennero una rappresentanza parlamentare proporzionata al loro peso reale. Si scatenò allora l’agitazione per l’abolizione del protezionismo agrario, a favore del libero scambio. Il sostegno retorico era fornito dalle nuove dottrine economiche liberiste, perfezionate in particolare da Ricardo, dottrine che postulavano il rifiuto del protezionismo e la limitazione della terra e dunque della produzione agricola.

Giustificata da queste dottrine, la nuova industria cotoniera si mise alla testa del movimento liberista. Nel 1846 il protezionismo venne abolito e mettendosi sulla via del libero scambio l’Inghilterra sposò pienamente la sua vocazione industriale.


Tratto da STORIA DEL MONDO CONTEMPORANEO di Domenico Valenza
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