La crisi economica di fine Ottocento – David S. Landes
Insomma, l’Ottocento fu contrassegnato da una protratta e marcata deflazione, durata dal 1817 al 1896 con un’unica breve interruzione di circa sei o sette anni. La spiegazione di questa anomalia sembra trovarsi proprio negli incrementi di produttività che stimolarono e resero possibile questa crescita economica. Sebbene i progressi tecnologici si erano avuti anche in precedenza, fu l’eccezionalità delle innovazioni che costituirono la Rivoluzione industriale a generare questo quadro. Il declino dei prezzi del XIX secolo è dunque la conseguenza dell’industrializzazione europea.
L’economia alle cui vicende meglio risponde il corso dei prezzi è quella inglese. Ciò non fa meraviglia: l’Inghilterra, industrializzatasi per prima, rimase fino entro il XX secolo la capofila del mercato internazionale. Anche dopo che negli anni 1890 ebbe perduto la supremazia in settori cruciali, riuscì a reggere la predominante influenza riguardo ai prezzi delle merci. Dopo il calo netto dal 1870 in poi, la decelerazione fu invertita soltanto alla fine del secolo quando si ebbe la nascita e lo sviluppo dell’energia e dei motori elettrici, della chimica organica, ecc. Si può ritenere che lo sfruttamento energico delle nuove possibilità di risparmio sui costi avrebbe potuto determinare un’ulteriore diminuzione dei prezzi anche se, dato lo stato della tecnologia, la loro potenza d’urto doveva necessariamente essere minore di quella dei progressi del XVIII secolo. Poi, naturalmente venne la prima guerra mondiale, portando con sé pressioni inflazionistiche che rendono impossibile un confronto con il periodo precedente.
La Germania presenta un netto contrasto. L’economia tedesca, nonostante tutte le sue capacità potenziali, era molto indietro a quella inglese nel 1870 quanto ad assimilazione e a diffusione della tecnologia della Rivoluzione industriale. Lasciatasi alle spalle l’infelice congiuntura degli anni ’70, si ha l’impressione di un’ascesa ininterrotta.
La Francia offre un altro quadro ancora. Secondo Clapham essa non ebbe mai una rivoluzione industriale. La ebbe, ma attutita. Dopo l’espansione relativamente rapida del Secondo Impero, la Terza Repubblica fu un periodo di misurato progresso autunnale, accelerato alla fine dall’ascesa del 1900-13, che fu basata in parte sulla nuova tecnologia, in parte sullo sfruttamento di nuovi e preziosi giacimenti di minerali di ferro in Lorena. Prima di questa ripresa, la sonnolenza dell’economia francese suscitò ripetutamente timori per il crescente distacco economico con la Germania.
Accanto alle economie avanzate, una serie di paesi che oggi chiameremmo sottosviluppati avviarono in questi anni di transizione tecnologica la loro rivoluzione industriale. Alcuni di essi, come la Svezia e la Danimarca, effettuarono la trasformazione senza scosse e aumentarono rapidamente la produttività e il reddito pro capite. Altri, come l’Italia, l’Ungheria e la Russia, assimilarono la tecnologia moderna a pezzi, e questi progressi furono lenti a dissolvere la tenace arretratezza della maggior parte dell’attività economica. In questi paesi inoltre l’industria era fonte di una frazione così esigua della ricchezza e del reddito nazionali, che anche dei rapidi guadagni in questo campo incisero dapprima relativamente poco sulla produzione totale o sul tenore di vita.
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Dettagli appunto:
- Autore: Domenico Valenza
- Università: Università degli Studi di Catania
- Esame: Storia contemporanea, a. a. 2005/06
- Titolo del libro: Il mondo contemporaneo. Storia e storiografia
- Autore del libro: G. Longhitano
- Editore: Palombo, Palermo
- Anno pubblicazione: 2005
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