In questi precisi appunti viene analizzata la materia di economia industriale nei suoi elementi costitutivi. Viene studiata la grande impresa e le politiche che vi stanno a fondamento, la regolazione della concorrenza, i meccanismi alla base di fusioni, acquisizioni e scissioni aziendali, l'economia di scala e i comportamenti strategici volti ad assicurarsi settori di mercato.
Economia industriale
di Valentina Minerva
In questi precisi appunti viene analizzata la materia di economia industriale nei
suoi elementi costitutivi. Viene studiata la grande impresa e le politiche che vi
stanno a fondamento, la regolazione della concorrenza, i meccanismi alla base
di fusioni, acquisizioni e scissioni aziendali, l'economia di scala e i
comportamenti strategici volti ad assicurarsi settori di mercato.
Università: Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano
Facoltà: Economia
Esame: Economia industriale
Docente: Pontarollo Enzo1. Definizione dell'ambito dell'economia industriale
L’economia industriale rappresenta uno sviluppo della microeconomia.
Il principio che sta alla base dello studio delle forme di mercato e del ragionamento economico è
massimizzare il profitto. La teoria dei prezzi affonda le sue radici nell’ idea che gli operatori economici
tendono il più possibile a massimizzare il profitto. La concorrenza è vista dall’uomo economico come un
male, viceversa monopolio e oligopolio sono molto apprezzati. Ad esempio i notai, i taxisti in Italia sono
pochissimi perché vige il principio “meno siamo, meglio stiamo, più guadagniamo”, se fossero di più ci
sarebbe concorrenza.
Quando iniziamo a studiare il SISTEMA INDUSTRIALE ci dobbiamo chiedere se è proprio vero che la
massimizzazione del profitto è il principio che sta alla base del comportamento di tutte le imprese. Ci sono
una serie di elementi che ci fanno pensare che, per quanto fondamentale sia il principio della
massimizzazione del profitto, non sempre il comportamento delle imprese è orientato a questo. Gli ultimi 50
anni di riflessione degli economisti hanno indagato in questo campo: si sono individuati degli indizi nel
comportamento delle imprese che rendevano discutibile questa assunzione su cui è basata la microeconomia.
Esistono molte situazioni nelle quali questo principio non si vede tanto. Lo si vede benissimo in una piccola
impresa, in cui reddito di impresa e reddito del titolare sono la stessa cosa. Ci si è chiesto se questo è vero
anche nelle grandi imprese che sono l’ossatura del sistema produttivo.
Valentina Minerva Sezione Appunti
Economia industriale 2. Descrizione della vicenda Unicredit
VICENDA UNICREDIT E CACCIATA DELL’AMMINISTRATORE DELEGATO PROFUMO: Profumo
aveva cercato di espropriare i proprietari e per questo è stato cacciato, perché non faceva la volontà degli
azionisti. Questi volevano la massimizzazione dei dividendi, mentre Profumo si occupava di altro, senza
tenere conto dei desideri degli azionisti.
Valentina Minerva Sezione Appunti
Economia industriale 3. Soggetti interessati alla grande impresa
La GRANDE IMPRESA è una struttura molto complessa.
I portatori di interesse della grande impresa sono:
- MANAGER : non corrisponde al proprietario dell’impresa, si occupa della gestione. Gli obiettivi del
manager sono la massimizzazione del proprio personale stipendio, che se aumenta a dismisura, c’è meno da
distribuire per gli azionisti; la massimizzazione del proprio potere e prestigio, questo è molto costoso e
incide sul bilancio dell’impresa (ad esempio il manager che vuole l’aereo personale per viaggiare. Questo
riduce i profitti dell’impresa).
- AZIONISTI : sono i proprietari, molto spesso assenti, ovviamente loro puntano alla massimizzazione dei
profitti.
- LAVORATORI : puntano a massimizzare i loro salari e ridurre la propria fatica, i tempi di lavoro;
- FORNITORI
- ABITANTI DELLA ZONA : spesso nessuno vuole un impianto industriale e questo condiziona la vita
dell’impresa. Questo vincola l’investimento a una serie di oneri impropri (ottenere i permessi, sottoporsi ai
controlli) che riducono la profittabilità.
Esempio della vicenda Rigassificatore di Rovigo
Il rigassificatore è un’apparecchiatura complessa che consente di ridurre il gas e renderlo liquido, questo
implica minori volumi. Quindi ovunque esiste un rigassificatore è possibile portare gas, non attraverso
gasdotto, ma a livello liquido. Successivamente viene rigassificato. La capacità produttiva grazie al
rigassificatore è aumentata dell’8% e questo ha diminuito la dipendenza dal gasdotto che noi abbiamo con la
Libia e la Russia. Però questi rigassificatori non sono voluti dagli abitanti della zona.
Valentina Minerva Sezione Appunti
Economia industriale 4. Meccanismo delle stock options
Sulla piccola impresa questo si vede molto meno. Nella grande impresa invece ci sono molti portatori di
interesse e quindi il meccanismo decisionale e le procedure decisionali devono tenerne conto, e questo tende
ad andare contro il principio della massimizzazione del profitto. La grande imprese si basa sulla struttura
manageriale, dove quindi non c’è il padrone, e questo facilita per il manager la possibilità di aumentare il
proprio profitto. E questo proprio perché la proprietà e il controllo delle grandi imprese è separato. Spesso il
management stesso nomina le altre parti del management e in questo modo si auto perpetua.
Quindi bisogna cercare di fidelizzare il management agli obiettivi dell’impresa, per perseguire il più
possibile la massimizzazione del profitto. Per fare questo si utilizzano gli stock option: la remunerazione
rimane bassa, ma aumenta la parte a incentivo che può essere riscossa sull’ottenimento dei risultati e di
obiettivi ambiziosi. Questo meccanismo rende il manager più realista che pone all’azienda obiettivi realistici
sui quali viene stabilito lo stock option. In questo modo si assume una logica più da azionista che da
dirigente.
Tutti questi elementi rendono difficile applicare questo principio, che però è così importante che si
utilizzano degli escamotage per tentare di recuperarlo.
Valentina Minerva Sezione Appunti
Economia industriale 5. Problemi della grande impresa che allontanano dalla
massimizzazione del profitto
Ci sono altri due problemi che gravano sulla grande impresa e che possono allontanare dalla
massimizzazione del profitto:
- in un’azienda esistono sempre degli elementi di rigidità che sono legati agli INVESTIMENTI GIÀ
EFFETTUATI.
Ad esempio se un’impresa ha fatto un progetto 10 anni fa, per 10 anni va avanti nella realizzazione del suo
progetto. In questo arco di tempo possono esserci cambiamenti bruschi delle condizioni di mercato che
possono rendere meno competitivo o addirittura negativo quell’investimento. E’ chiaro che avere fatto
investimenti irrecuperabili vincola la competitività dell’impresa e rende molto difficile gli aggiustamenti.
- In un’industria ci sono ECONOMIE DI SCALA che portano ad abbandonare la struttura atomistica e ad
adottare strutture di oligopolio.
Questi due fenomeni tolgono al meccanismo di mercato la capacità di orientare la produzione e di aggiustare
rapidamente il sistema.
Sulla base di tutto questo gli economisti si sono resi conto che il principio della massimizzazione del profitto
non è così totalmente convincente, allora la Teoria dell’impresa negli ultimi anni ha cercato di trovare degli
aggiustamenti. Da una parte c’è un filone che dice che non interessa tanto il profitto di breve periodo ma
quello di medio lungo periodo, ed è possibile che si possano superare così le strozzature. Dall’altra parte un
altro filone sostiene che l’impresa non persegue la massimizzazione del profitto ma la massimizzazione
della crescita: crescendo aumenta il potere di mercato e massimizza il profitto, perché non tende ad avere
prezzi di concorrenza, ma di monopolio o oligopolio. Non massimizzerà ma tenderà ad avvicinarsi al
massimo. Il profitto permette di far crescere l’impresa, questo porta ad un aumento dei salari, degli stipendi
e quindi un aumento dei dividendi. Con questo si è tentato di tenere insieme l’idea del self interest e l’idea
della soddisfazione degli interessi dei vai portatori di interesse. La crescita in questa fase diventa l’obiettivo
fondamentale dell’impresa perché permette di soddisfare tutti gli stakeholder. Questa teoria è stata elaborata
a metà anni ’60.
Certamente l’impresa punterebbe a massimizzare, ma di fatto non ci riesce perché esistono interessi
contrapposti all’interno dell’impresa. Questo crea un gioco nel quale ogni attore utilizza i suoi punti di forza
per soddisfare maggiormente la propria utilità. Se l’impresa riesce a massimizzare qualcosa, non è solo il
profitto, ma massimizza un qualcosa di molto complesso che dipende dalla forza relativa di molte persone
che operano nell’azienda e dal mercato in cui opera. Il vero obiettivo dell’impresa è soddisfare al meglio
tutti i portatori di interesse, non è un obiettivo massimizzante, ma di soddisfazione.
Le imprese puntano ad avere il massimo possibile di profitti che consentono di soddisfare i vari portatori di
interesse che esistono in azienda. Questa soluzione non è massimizzante ma soddisfacente per tutti. Questo è
un rattoppo nella teoria economica, che così non è perfetta, ma è soddisfacente.
Valentina Minerva Sezione Appunti
Economia industriale 6. Definizione di incentivo in ambito economico industriale
L’impresa per massimizzare le condizioni dei vari operatori cercherà di individuare dei sistemi di incentivi
per ciascuno.
Inoltre all’interno dell’azienda c’è un gioco di coalizioni. Ad esempio il manager si coalizza con il
personale, che a sua volta si può coalizzare con le amministrazioni locali. Questo gioco non può essere
facilmente modellato, perché varia a seconda della complessità dell’azienda, della capacità di chi la gestisce,
ecc.
Non esiste una teoria comportamentale definitiva, in quanto la struttura organizzativa e la presenza di attori
diversi configura situazioni caso per caso. Per noi già questo è uno strumento utile, perché ci aiuta a leggere
la vita dell’impresa.
Valentina Minerva Sezione Appunti
Economia industriale 7. Paradigma Harwardiano: introduzione
Gli economisti industriali hanno cercato di capire come funziona il sistema industriale e il sistema delle
imprese. Questi strumenti conoscitivi sono stati organizzati nel Paradigma Harwardiano (SCR – struttura
comportamento risultati economici), nel periodo che va dalla metà degli anni ’30 alla fine degli anni ’60,
periodo di sviluppo dei sistemi industriali negli Stati Uniti, molti studiosi hanno individuato delle regolarità,
quegli elementi che permettono di leggere la dinamica e la struttura del sistema produttivo industriale. Sono
riusciti a creare una griglia analitica che implica la conoscenza di una serie di elementi, conoscendo i quali si
può valutare la performance di un’azienda, di un settore o di un intero sistema produttivo.
Il paragdima Harwardiano è un approccio strutturalista: nell’ottica degli studiosi è la struttura del mercato
che condiziona i comportamenti e quindi i risultati economici. Conoscendo la struttura di un mercato si
possono ipotizzare i comportamenti, e quindi i risultati economici. Questo è un limite. La struttura dei
mercati condiziona il comportamento delle imprese, ma queste non sono solo dei soggetti passivi, ma
cercheranno in tutti i modi di modificare la struttura se non gli vanno bene i risultati. L’approccio degli
Europei negli anni ’60 è stato quello di non usare questo approccio nella misura rigida degli americani,
perché le imprese possono cercare di influenzare la struttura per avere dei risultati migliori. Anche i governi
spesso attivano delle politiche per avere dei risultati migliori e quindi per influenzare la condotta e la
struttura (es. politiche di antitrust attraverso l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato; politiche di
regolamentazione).
Valentina Minerva Sezione Appunti
Economia industriale 8. Elementi che compongono la struttura di mercato
Comprende una serie di elementi:
- CONCENTRAZIONE DEL MERCATO : numero di venditori e di compratori che operano sul mercato;
- BARRIERE ALL’ENTRATA : il monopolio legale non permette l’entrata.
- ECONOMIA DI SCALA : se le economie di scala sono elevate, i venditori sono pochi
- DIFFERENZIAZIONE
Valentina Minerva Sezione Appunti
Economia industriale 9. Modifiche al Paradigma Harwardiano
Gli economisti industriali studiano il complesso delle imprese. I diversi strumenti presenti nell’economia
sono stati tutti organizzati nel paradigma harwardiano. È nato tra la metà degli anni 30 e la fine degli anni 60
per studiare la dinamica del sistema industriale. È una griglia con cui valutare la performance di
un’industria, di un settore o di un intero sistema produttivo. Nasce in America mentre in Europa arriva solo
più tardi.
Nasce da un approccio strutturalista: è cioè la struttura del mercato che condiziona i comportamenti delle
imprese e i loro risultati economici. È un limite perché mancano le imprese, ora si dice che non sono più
solo soggetti passivi. I governi se vogliono possono influenzare la condotta e la struttura se non ritengono
una performance soddisfacente, ad esempio con la politica degli incentivi, con le politiche di antitrust o con
le politiche di regolamentazione.
Questa teoria è stata modificata ultimamente con diversi passaggi: per prima cosa è nata la teoria dei mercati
contendibili, che oggi non è più valida. Questa teoria comprendeva anche le barriere all’uscita che la teoria
di harward non comprendeva. Ad arricchire il quadro analitico è arrivata la teoria di R. Coase degli anni 30,
con l’integrazione e la disintegrazione verticale delle imprese. Ultimo filone in ordine di tempo è quello dei
comportamenti strategici, dove per strategici si intende qualcosa ai limiti dell’abusivo.
Valentina Minerva Sezione Appunti
Economia industriale 10. Elenco degli elementi costituenti la struttura del paradigma
harwardiano
1. STRUTTURA - STRUCTUR
a. concentrazione
b. economie di scala
c. barriere all’entrata
d. differenziazione del prodotto
e. diversificazione
f. integrazione verticale dell’impresa
2. COMPORTAMENTI - CONDUCT
a. pricing
b. politiche di prodotto
c. comportamenti strategici
d. fusioni e acquisizioni
e. ricerca e sviluppo
3. RISULTATI - RESULTS
a. profittabilità
b. crescita
c. qualità
d. progresso
Valentina Minerva Sezione Appunti
Economia industriale 11. Elementi costituenti la struttura del paradigma harwardiano:
struttura
1. STRUTTURA
Gli elementi della struttura sono piuttosto statici, perché cambiano lentissimamente. Gli elementi della
struttura sono poi quasi uguali in tutti i paesi o quasi. Già la parola struttura indica qualcosa di base,
qualcosa che da consistenza al mercato.
a. CONCENTRAZIONE : esiste dal lato della domanda e dal lato dell’offerta. Devo cioè sapere il numero
delle imprese per analizzare il mercato.
Esempio 1: mercato dei biscotti. È molto concentrato dal lato dell’offerta perché ci sono produttori limitati,
non moltissimi. Dal lato della domanda è invece atomistico, perché milioni di persone comprano i biscotti.
Esempio 2: produttori di apparecchi per la distribuzione dell’energia elettrica. È concentrato sia dal lato
della domanda che dal lato dell’offerta, perché sono pochi sia i produttori che i fruitori di apparecchi per la
distribuzione dell’energia elettrica.
b. ECONOMIE DI SCALA : per molti studiosi è una caratteristica che starebbe in quelle in capo a tutto. Per
molti altri studiosi, tra cui il prof, l’economia di scala non va nei fattori di struttura perché la scala varia
molto nel tempo. La presenza di economie di scala influenza la concentrazione: se la dimensione ottima
influenza la quota di un’impresa sul mercato, il mercato sarà poco concentrato.
Esempio: frigoriferi. Dimensione ottima: 10%. Ci aspettiamo10 imprese perché se ci sono più di 10 imprese
qualcuno non riuscirebbe a vendere o sarebbe costretto ad esportare. La scala dell’impianto e dell’impresa
condiziona fortemente il numero degli operatori presenti su quel mercato.
c. BARRIERE ALL’ENTRATA : ci sono elementi del mercato che alzano le barriere all’entrata. Un nuovo
entrante può entrare ovunque tranne che nel monopolio ma deve superare degli ostacoli. Una possibile
barriera all’entrata sono le economia di scala.
d. DIFFERENZIAZIONE DEL PRODOTTO : si sceglie un prodotto invece di un altro a seconda dei gusti
di una persona. Quando la differenziazione incide si blocca il mercato perché si sceglie solo un prodotto e
non si guardano nemmeno gli altri. La differenziazione irrigidisce poi la curva di domanda: continuo a
comprare lo stesso prodotto anche se alzano il prezzo di quel prodotto. Il prezzo diventa quindi una variabile
strategica. La differenziazione del prodotto è uno strumento che fidelizza: le imprese coltivano il più
possibile i nostri punti fissi.
e. DIVERSIFICAZIONE
f. INTEGRAZIONE VERTICALE DELL’IMPRESA : elemento che non fa parte della struttura perché può
cambiare molto rapidamente a seconda del mercato. Gli ultimi anni ci mostrano oscillazioni rapide tra
strutture integrate verticalmente e strutture disintegrate. Più il mercato funziona, più ci si disintegra. Se il
mercato non funziona, ci si integra. È un cambiamento molto rapido.
Esempio: i distretti industriali possono nascere dalle disintegrazioni delle grande imprese così come dal ri-
assemblamento.
Valentina Minerva Sezione Appunti
Economia industriale 12. Elementi costituenti i comportamenti nel paradigma
harwardiano
2. COMPORTAMENTI
Data una struttura, si hanno certi comportamenti.
a. PRICING : l’impresa, nei limiti, definisce le sue politiche di prezzo. Sono enormemente sofisticate:
prevedono sconti, promozioni, abbuoni e altro. L’impresa calcola il suo prezzo facendo prezzo di acquisto +
eventuali mark up.
b. POLITICHE DI PRODOTTO : comprende due cose: la scelta dei prodotti da offrire e la promozione delle
vendite e pubblicità.
c. COMPORTAMENTI STRATEGICI : una volta erano i comportamenti che influenzavano i
comportamenti dei rivali indebolendoli o mandandoli via dal mercato. È un crinale molto sottile tra illegale e
legale.
Esempio: la collusione è un comportamento strategico cooperativo tipico del mercato oligopolistico.
Cooperativo perché fatto contro il pubblico; non cooperativo se fosse contro un altro operatore.
d. FUSIONI E ACQUISIZIONI : un comportamento strategico possono essere considerati gli interventi che
l’azienda fa su stessa come ad esempio la fusione o l’integrazione con altre parti della mia attività. Non
hanno un andamento regolare. Secondo la retroazione (non è solo la struttura che incide sui comportamenti
ma anche i comportamenti possono incidere sulla struttura) fusione e acquisizione incidono sulla
concentrazione.
e. RICERCA E SVILUPPO : è sempre un comportamento strategico. La ricerca e sviluppo sempre secondo
la retroazione incide sulla differenziazione.
Valentina Minerva Sezione Appunti
Economia industriale 13. Elementi costituenti i riluttai economici nel paradigma
harwardiano
3. RISULTATI ECONOMICI
Non è così semplice dalla struttura arrivare ai risultati, anche perché questi si possono misurare in diversi
modi.
La forma più semplice per misurare i risultati è la PROFITTABILITÀ, cioè il ritorno sugli investimenti. Ma
non è l’unico modo per misurare la performance. Ad esempio sarebbe anche utile calcolare l’EFFICIENZA
PRODUTTIVA, che non è l’efficienza economica. Altro risultato è la CRESCITA in termini di reddito. Ma
quale reddito devo misurare: Devo tenere conto anche se l’impresa è cresciuta: se ho problemi di bassa
crescita avrò dei problemi di struttura o di comportamento. Altro risultato è la QUALITÀ dei beni e dei
servizi offerti, col rapporto qualità prezzo. Poi ho il PROGRESSO tecnico, cioè la capacità di innovazione
del sistema produttivo: se mi innovo mantengo un vantaggio competitivo sui miei rivali.
Valentina Minerva Sezione Appunti
Economia industriale 14. Politiche industriali
Le politiche industriali rappresentano l’intervento pubblico alla fine dei risultati. Le due classiche politiche
sono:
- POLITICHE PER LA TUTELA DELLA CONCORRENZA : che intervengono dove il mercato funziona
male, dove esiste potere di mercato che consente all’impresa di adottare comportamenti considerati dannosi
al mercato stesso (intese, abuso di posizione dominante, ecc.). dal 1890 negli Stati Uniti è stata approvata la
prima legge, lo Sherman Act, per la tutela della concorrenza. Nel 1990 è stato introdotto in Italia.
- POLITICHE DI REGOLAZIONE: ha assunto rilievo negli anni ’90 in Italia quando sono state privatizzate
le imprese a partecipazione statale e si sono aperti alla concorrenza settori che fin’ora erano di monopolio
naturale. Aprire un mercato che storicamente era chiuso alla concorrenza non è facile. La regolazione
interviene anche in altri casi, come le norme regolamentari per la sicurezza, ambientali, alimentari, sulla
sicurezza del lavoro. Il mercato da solo non è in grado di regolarsi, quindi occorre che intervenga il
regolatore pubblico.
- POLITICHE REGIONALI: quando un paese deve sostenere le aree represse. Hanno l’obiettivo di ridurre i
divari tra le aree economiche del paese. In Italia abbiamo il Mezzogiorno e le aree represse del Centro nord.
- POLITICHE INDUSTRIALI: esempio: sostegno all’esportazione, alle fiere, credito di imposta. Misure che
agevolano le imprese nel loro lavoro e che rappresentano un sostegno.
- POLITICHE PER LA COMPETITIVITÀ
Oggi le politiche industriali spesso si configurano come aiuti di Stato. Bisogna quindi fare provvedimenti
che non siano percepiti dagli altri paesi come aiuti di Stato, perché se no ci sarebbe la ricorsa degli altri
paesi. C’è un poliziotto comunitario che vigila che le politiche non portino alla dissoluzione dei mercati.
L’Unione è fatta per mettere le imprese tutte sullo stesso piano. I Governi cercano sempre delle vie di fuga,
perché la spinta da parte delle imprese è forte.
Valentina Minerva Sezione Appunti
Economia industriale 15. Fattori di domanda nell'ambito del paradigma harwardiano
Sono delle precondizioni rispetto ai quali si configurano i mercati:
- ELASTICITÀ DELLA DOMANDA: domanda elastica o rigida
- STAGIONALITÀ DELLA DOMANDA
- FORME DI ACQUISTO
Sono fattori esterni, dati.
Valentina Minerva Sezione Appunti
Economia industriale 16. Fattori di offerta nell'ambito del paradigma harwardiano
- BENI DUREVOLI O NON DUREVOLI
- BENI DI CONSUMO E BENI DI INVESTIMENTO (impianti e macchinari utilizzati dalla produzione
industriale).
Il Paradigma è stato molto criticato. Perché l’approccio americano basa tutto sulla struttura e da poco rilievo
ai comportamenti, che data una certa struttura sono obbligati. La cosa non è così meccanicistica, l’uomo non
è un automa. Il paradigma può servire come uno strumento di primo approccio, ma poi deve essere
arricchito. I studiosi europei negli anni ’60 e ’70 hanno portato questo arricchimento, stabilendo che le
imprese adottano dei comportamenti per modificare la struttura, ad esempio con acquisizioni e fusioni.
Indubbiamente esistono dei fattori che influenzano i comportamenti, come le economie di scala, che portano
alla concentrazione delle imprese, ma ci sono comportamenti di imprese che portano a concentrarsi
(comportamenti di prezzo, comportamenti volti a indebolire i rivali), che possono prescindere dalla struttura.
Quindi struttura e comportamenti sono molto connessi: modifiche della struttura modificano i
comportamenti, e i comportamenti modificano la struttura.
Essendo molto basato sulla struttura, il paradigma, ignora dei fenomeni sviluppati successivamente come la
concorrenza oligopolistica, che è diventata una forma di mercato sempre più presente. I mercati
oligopolistici stanno crescendo, di numero, di dimensione. Il modello harwardiano non ha sviluppato delle
scoperte che altri studiosi successivi hanno individuato.
Un filone molto sviluppato è quello della TEORIA DEI GIOCHI. Lo studio degli oligopoli si presta molto
all’utilizzo della Teoria dei giochi. Questa teoria studia il processo di interdipendenza delle imprese, e ha
dato tanti contributi allo studio dei mercati oligopolistici attraverso modelli logici, che tende a esplorare
situazioni in cui le imprese scelgono tra strategie diverse che tendono a ripetersi. Si basa su giuochi ripetuti.
Questa teoria è stata sviluppata per la guerra, nasce negli Stati Uniti negli anni ’40 per stimare le mosse e
contromosse della guerra nucleare. Si basa su attori perfettamente razionali che studiano il comportamento
dei rivali, ripetendo le mosse. È evidente che se le mosse sono ripetute, queste possono essere modellate.
Questo approccio però è molto astratto, è limitato allo studio di mercati oligopolistici (pochi attori con
transazioni ripetute).però l’armamentario di azione di un’impresa è molto più ampio, come ad esempio la
possibilità di differenziare i prodotti. I giochi sono utili, ma non possono essere considerati lo strumento
cardine per analizzare i mercati.
Negli anni ’90 queste teorie sono state riviste e in qualche modo riproposte. In particolare Porter ha
individuato 5 forze dell’ambiente competitivo:
- AMPIEZZA E INTENSITÀ DELLA CONCORRENZA : che dipende dal numero e dalla distribuzione per
dimensione delle imprese che operano in quel settore, detta anche concentrazione;
- MINACCIA DI IMPRESE ENTRANTI : andiamo a vedere se esistono barriere che impediscono l’entrata
di nuovi attori.
- MINACCIA DI PRODOTTI E SERVIZI SUCCEDANEI : questo mette in difficoltà l’impresa. In questo
caso l’impresa si deve differenziare o deve diversificare.
- POTERE CONTRATTUALE DEI CLIENTI : è un altro modo di studiare l’oligopolio. Il potere degli
Valentina Minerva Sezione Appunti
Economia industriale acquirenti è rilevanti quando questi sono concentrati, e in questo caso è probabile che ci sia un oligopsonio e
questo denota che ho un oligopolio. Se ci sono pochi compratori e molti venditori, il potere è dal lato
dell’acquirente. In genere il potere ce l’anno i venditori, che sono attivi sul mercato.
- POTERE DEI FORNITORI : mercato degli input. Se i fornitori importanti per un processo produttivo di
un’impresa possono esercitare un forte potere di mercato. Coase ha individuato che quando non c’è mercato
il fornitore ha un forte potere di mercato. Un cliente in questi casi si integra o comprano i fornitori. Questo
perché un’impresa si integra quando i mercati funzionano male, ossia quando i fornitori hanno potere.
Perché se so di trovare gli input ad un prezzo concorrenziale non mi integro, perché se no appesantirei la
mia impresa. Quando i mercati funzionano bene le imprese verticalmente integrate si disintegrano. Porter
ripropone questo studio.
Valentina Minerva Sezione Appunti
Economia industriale 17. Definizione del concetto di concentrazione - ampiezza e intensità
della concorrenza
L’economia studia il potere economico. Spesso il potere di mercato si esercita all’interno di una situazione
in cui ci sono delle regole in cui l’impresa dovrebbe rispettare. Le imprese cercano di consolidare il mercato
spesso ricorrendo a comportamenti abusivi, inoltre chi ha potere di mercato spesso ha la capacità di
cambiare a suo vantaggio sia le strutture di mercato che il loro risultato. Ha una capacità di agire sulle
strutture sociali, politiche, istituzionali e sulle stesse regole del gioco.
Studiamo fenomeni di numerosità e diseguaglianza: si vanno a contare le imprese e le unità locali
(stabilimenti o sedi), si guarda la loro dimensione e la distribuzione per classi di ampiezza, poi si studia la
distribuzione all’interno di settori merceologici e aree geografiche.
Per poter fare questo abbiamo bisogno di strumenti statistici e di definire il concetto di mercato e di
industria. Il concetto di industria o di settore sono equivalenti.
La classificazione che si chiama Ateco 2007 è la versione nazionale del Nace revisione 2 e permette di fare
confronti di tipo internazionale. In questo modo si è omogeneizzata la classificazione internazionale. Oggi la
classificazione ha 6 livelli, ciascuno ha un codice numerico, una sezione che si distingue in 21 codici. Sotto
la sezione c’è la divisione con 88 codici. Poi c’è il gruppo con 272 codici. Poi la classe con 615, la categoria
con 918 codici, e la sottocategoria con 1224 codici. Se ragioniamo per sezione abbiamo 21 codici
(ripartizioni) che hanno una lettera che indicano le fondamentali attività economiche che si svolgono in un
paese. La sezione A in tutta Europa è agricoltura, silvicoltura e pesca. La sezione B indica l’estrazione e le
attività minerarie. La classe C è la manifatturiera. La classa D è la produzione e distribuzione di energia
elettrica, gas e aria condizionata. La classe E prevede acqua e rifiuti. La classe F prevede l’edilizia. Un buon
economista dovrebbe lavorare su C, D, E e F.
Esempio: settore C, divisione n.10 : industria alimentare
C 14 : abbigliamento, articoli in pelle
C 20 : industria chimica
Esempio: settore 13.1 : preparazione fibre tessili
Settore 13.2 : tessitura
Quando parliamo di concentrazione facciamo riferimento a fenomeni di numerosità e diseguaglianza riferita
a determinate grandezze, come numerosità delle imprese e numerosità degli addetti e quindi disuguaglianza
delle imprese e degli addetti. Questo ci consente di calcolare le dimensioni medie delle imprese e degli
addetti. Il censimento fornisce la segmentazione per classi di ampiezze delle imprese, questo ci dà un’idea
disaggregata della struttura.
Valentina Minerva Sezione Appunti
Economia industriale 18. Definizione di concentrazione economica, concentrazione tecnica
e concentrazione finanaziaria
L’unità locale è il singolo stabilimento o la singola sede, l’impresa spesso ha molti stabilimenti e molte sedi.
Dal punto di vista delle imprese parliamo di CONCENTRAZIONE ECONOMICA, mentre dal punto di
vista delle unità locali si parla di CONCENTRAZIONE TECNICA.
Questi dati possono essere calcolati in modo aggregato, facendo riferimento alla concentrazione totale, per
capire il peso delle grandi imprese. Questo tipo di analisi non è molto significativa, può servire per un
discorso, per un’intervista, ma noi tendiamo a lavorare di più su dati disaggregati, a livello di settore, quindi
parliamo di concentrazione relativa a specifici settori. Oppure possiamo lavorare a livello di area geografica
sia in maniera aggregata che disaggregata.
Esiste anche la CONCENTRAZIONE FINANZIARIA, che indica fenomeni di fusione e disuguaglianza, per
indicare di quanto è la ricchezza finanziaria e disuguaglianza nella proprietà e nel controllo del capitale
investito nelle imprese.
Possiamo anche valutare in termini di fatturato, di valore aggiunto (valore effettivo della produzione) e in
termini di quote di mercato. Questi sono altri indicatori.
La dimensione può essere vista da diversi punti:
- occupati
- fatturato
- valore aggiunto
- capitale investito
- quote di mercato
In genere si sottostima sempre la concentrazione economica che esiste effettivamente, perché non sono noti i
rapporti che esistono tra le diverse imprese.
Inoltre a seconda della grandezza che utilizziamo, abbiamo dei risultati diversi. cioè possiamo usare i
dipendenti, il fatturato, il capitale, gli investimenti e via dicendo. Se usiamo alcuni parametri rischiamo di
sottovalutare effettivamente il potere economico, perché questa grandezza varia.
L’indicatore globale indica che probabilmente in questo paese esistono fenomeni di concentrazioni
significativi dei venditori in particolari settori. Se la concentrazione aggregata è molto elevata può
nascondere fenomeni importanti: da un lato che esistono imprese molto grosse e dall’altro che possono
esistere molte imprese diversificate. Se in un sistema economico abbiamo imprese molto grandi è probabile
che queste oltre al potere di mercato, siano in grado di esercitare un potere fuori mercato. Sappiamo che
quanto più grande è un’impresa, tanto è più un asset per un paese. Un paese che ha solo piccole imprese
soffre della posizione internazionale.
Il grado di concentrazione è positivamente correlato alla dimensione delle unità produttive. Settori che sono
fortemente concentrati in un paese, tendono a esserlo anche in altri paesi, con qualche attenzione, dipende
molto dal denominatore.
Per misurare la concentrazione abbiamo diversi metodi.
Valentina Minerva Sezione Appunti
Economia industriale 19. Rapporto di concentrazione
Questo rapporto si indica con la lettera Cn. Questo rapporto misura la quota di mercato controllata dalle
prime n imprese operanti in un paese.
In questo caso usiamo il fatturato o i dipendenti.
È un dato importante perché le imprese non lo mettono a disposizione volentieri. Questo rapporto ha un
limite. So qual è il livello di concentrazione a livello delle prime n imprese, però se prendo in
considerazione più imprese, potrebbe cambiare la curva. L’andamento della curva può variare. Con il C4 so
la quota delle prime 4, ma non so com’è distribuito il resto del mercato. Quindi è una conoscenza di tipo
parziale.
Le imprese hanno sviluppato e sviluppano continuamente delle politiche miranti fusioni o acquisizioni per
aumentare il livello di concentrazione. Le imprese possono crescere per via interna od esterna
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Economia industriale 20. Definizione del concetto di concentrazione del mercato
La concentrazione del mercato indica il grado di accentramento della produzione (o altra variabile) di un
particolare mercato nelle mani di poche e grandi imprese. La concentrazione permette di capire il potere di
mercato (ad esempio autonomia delle imprese di fissare i prezzi)
Dobbiamo fare riferimento a due aspetti:
- numerosità
- diseguaglianza
Fissi tutti gli altri fattori, maggiore è la concentrazione
- minore è il numero delle imprese,
- oppure
- più diseguale è la distribuzione delle quote di ogni impresa.
Non tutti gli indicatori considerano sia la numerosità che la diseguaglianza.
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Economia industriale 21. Le misure della concentrazione dei venditori
Esistono diverse misure di concentrazione a livello settoriale.
Criteri per valutare la capacità di ogni singola misura di concentrazione di riflettere adeguatamente le
caratteristiche più importanti della numerosità e della distribuzione dimensionale delle imprese:
- se i settori A e B hanno lo stesso numero di imprese, A è più concentrato di B se la quota di mercato
cumulata delle imprese di A è maggiore di quella di B in tutti i punti della distribuzione per dimensione;
- un trasferimento di quote di mercato da un’impresa più piccola a una più grande dovrebbe aumentare la
concentrazione;
- l’entrata di un’impresa di piccole dimensioni dovrebbe ridurre la concentrazione;
- una fusione dovrebbe accrescere la concentrazione.
La scelta di un indicatore deve portare a valutare l’adeguatezza dell’indicatore rispetto a numerosità e
diseguaglianza. Gli economisti hanno studiato quali devono essere le caratteristiche ottimali di questi
indicatori.
Prima del calcolo della concentrazione si deve scegliere:
- l’unità economia di riferimento (imprese, unità locali, gruppi);
- la variabile da utilizzare (fatturato, addetti, valore aggiunto);
- l’industria di riferimento;
- l’indicatore (assoluto, relativo);
Il giudizio sulla concentrazione è legato alla possibilità che un carattere si distribuisca fra i diversi elementi
di una collettività con intensità diversa.
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Economia industriale 22. Elenco degli indicatori di concentrazione
Indici assoluti
- Reciproco del numero delle imprese
- Rapporto di concentrazione
- Indice di Herfindahl-Hirschman
- Indice di Hannah e Kay
- Coefficiente di entropia
- Variazione dei logaritmi delle dimensioni di impresa
- Media, mediana
Indici relativi
Rispetto a una situazione di equi distribuzione calcolano lo scostamento
- Curva di Lorenz
- Coefficiente di Gini
- Varianza
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Economia industriale 23. Esempio di calcolo della concentrazione
Esempio di calcolo della concentrazione
Abbiamo sei settori industriali (S1, ……, S6) ognuno di essi ha lo stesso ammontare totale delle vendite
(fatturato), ma una diversa distribuzione delle vendite per singola impresa.
Ci sono 9 imprese e queste imprese sono distribuite in modo diverso in 6 diversi settori. Ogni settore ha lo
stesso ammontare totale delle vendite. All’interno dei settori c’è una distribuzione diversa delle vendite.
Nel settore 2 c’è perfetta equi distribuzione, le imprese hanno lo stesso settore di mercato.
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Questa tabella mette a confronto i risultati dei vari indicatori.
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Economia industriale 24. Definizione del rapporto di concentrazione (Cn)
Di solito è indicato con il termine Cn, n si riferisce al numero di imprese considerato.
n deve essere minore di N, perché N è la somma di tutte le imprese.
xi : è la variabile che utilizzo per misurare la concentrazione. In questo caso è il fatturato dell’impresa
iesima.
xi/X : è la quota percentuale del fatturato della singola impresa sul fatturato totale. La quota di mercato si
indica con Si
La sommatoria delle xi che va da 1 a 9 è uguale a X
Supponiamo C3: faccio la sommatoria per i che varia da 1 a 3 di Si, cioè delle quote delle prime 3 imprese.
Nel secondo grafico ci sono due settori con andamenti diversi. Il settore A ha un equi distribuzione su un
numero minore di imprese. Se calcolo la concentrazione con un n più basso di n*, come ad esempio C3, il
settore che mi risulta più concentrato è il B.
Se uso un n maggiore di 4, ad esempio na, il settore più concentrato mi risulta essere a. Se prendessi n = 4,
risulterebbero ugualmente concentrati. Quindi a seconda dell’n che scelgo, varia il risultato. Per scegliere
correttamente n dobbiamo far riferimento alle informazioni del settore. In genere l’ampiezza del mercato
può dire il numero ottimale
SVANTAGGI : questo indicatore non tiene conto della numerosità totale. Se abbiamo solo il risultato e non
i dati disaggregati non possiamo sapere niente sulla diseguaglianza. È un indicatore che ha qualche
problema.
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C è sempre il meno concentrato, qualsiasi numero di imprese prendo per A e per B c’è il problema visto
prima. Se uso C4 hanno la stessa concentrazione, anche se è evidente che il settore B è più concentrato.
Questo è un errore.
Il rapporto di concentrazione si può fare sia sui valori assoluti che sui valori percentuali.
C3, il settore più concentrato di tutti è il 4.
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