Appunti di lezione del Prof. Cugno del Corso di Sociologia dei Processi Economici a.a 2008/2009. Chiave del consumo come componente in grado di leggere e interpretare gli scenari contemporanei.
Il consumo non è solo sinonimo di atto d’acquisto, di scelta e acquisizione di un bene; è un’azione più complessa e articolata.
Sociologia dei Processi Economici
di Andrea Balla
Appunti di lezione del Prof. Cugno del Corso di Sociologia dei Processi
Economici a.a 2008/2009. Chiave del consumo come componente in grado di
leggere e interpretare gli scenari contemporanei.
Il consumo non è solo sinonimo di atto d’acquisto, di scelta e acquisizione di un
bene; è un’azione più complessa e articolata.
Università: Università degli Studi di Torino
Facoltà: Economia
Docente: Prof. Cugno1. CONSUMO COME AZIONE
- sequenza intenzionale di atti e comportamenti, pluralità di passi;
- compiuti da un soggetto (individuale o collettivo), detto attore sociale, che ha una sua autonomia, una sua
capacità individuale di riconoscere le opzioni per lui più vantaggiose;
- attraverso la posa in essere di una scelta fra più alternative selezionate dall’attore stesso;
- scelta che prende corpo per raggiungere un obiettivo, un risultato, basandosi su di un progetto;
- con l’obiettivo di trasformare la realtà, uno stato di cose in un altro più gradito.
Non consumiamo solo per rispondere ai bisogni, ma il consumo nasce anche come strumento per
trasformare la realtà ed esprimere la nostra identità, il nostro status (per sviluppare determinate relazioni
sociali, per esprimere la nostra cultura o le appartenenze che ci connotano).
CONSUMO COME AZIONE, che ha a che fare con un concreto impegno nel trasformare la realtà: il
consumo è un ciclo, cioè un insieme di attività fra loro collegate e con un preciso ordine logico.
Non è una sequenza occasionale di atti, ma intervengono dei passaggi logici.
E’ un insieme coerente di scelte riferite a quattro dimensioni cardine:
- alla desiderabilità degli oggetti e/o delle pratiche d’uso (quali oggetti richiamano il mio interesse e quali
sono i modi d’uso ritenuti legittimi); si va a vedere quali sono le condizioni in base alle quali un oggetto
desta l’interesse delle persone;
- alle modalità di acquisizione (come, dove e quando acquisisco un oggetto, come, dove e quando vengono
applicate delle certe pratiche).
E’ difatti differente acquisire un prodotto da un discount oppure da un negozio di lusso, rivolgersi al mercato
del nuovo o al mercato dell’usato, al mercato nazionale o al mercato globale, tramite Internet o tramite la
consulenza di un commerciante, oppure se ci si riferisce a grandi marche o a produzioni tipiche;
- alle pratiche d’uso: il bene viene utilizzato quotidianamente, non è solo semplicemente acquisito. Risulta
così importante sapere se i consumatori seguono le istruzioni del mondo della produzione oppure se optano
per modalità originali, alternative, determinando così dei cambiamenti di funzione;
- allo smaltimento degli eventuali residui, dei rifiuti: si guarda anche all’impatto ambientale, con un
consumatore sempre più attento oggi all’impatto delle sue scelte, tanto che questo impatto è una variabile da
considerare al momento della scelta fra più alternative possibili.
Questo smaltimento è condizione per l’insorgere di un nuovo desiderio, per il maturare di sollecitazioni, di
stimoli al desiderio: si generano così nuovi stimoli per una nuova occasione di consumare.
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Sociologia dei Processi Economici 2. AZIONE SOCIALE
Come azione riguarda un fare, un compiere determinate attività, ma attività qualificate da una determinata
caratteristica, cioè dal prendere corpo in una determinata situazione.
La situazione è il contesto, la realtà in cui il ciclo di consumo prende forma: questa situazione è influenzata
dalle tre precedenti variabili: la personalità individuale, cioè la sensibilità, gli atteggiamenti innati del
consumatore; la seconda variabile è la rilevanza dei luoghi in cui ci si trova e delle persone che li abitano
promuovendo dei modelli culturali preferenziali (cambia ad esempio consumare un determinato bene
all’interno di un contesto abituale piuttosto che in una realtà turistica); tutto ciò perché all’interno di questi
contesti operano modelli preferenziali fortemente differenziati, con il soggetto che è sollecitato a
conformarsi a delle proposte che provengono dall’esterno.
La terza variabile è un insieme delle sollecitazioni che provengono dal bene consumato.
OGGETTO: quando si parla di bene si intende qualsiasi componente che possa entrare a far parte dello
scambio di mercato, e quindi non solo gli oggetti materiali, ma anche qualsiasi tipologia di servizio o bene
immateriale (ad esempio se si va in un parco a tema o in una crociera si pone in essere un’azione sociale
dotata di senso, una procedura di consumo, e in questo caso specifico viene consumata un’esperienza).
Quindi quando parlo dell’importanza degli stimoli provenienti dall’oggetto faccio riferimento ad un insieme
di dimensioni collegate ai requisiti fisici dell’oggetto (forma, colore, design, qualità…), ma anche ad una
serie di dimensioni materiali simboliche che sono spesso esito di processi di costruzione artificiale
dell’attrattività: queste componenti simboliche sono un insieme di significati, di valenze che sono ideate
attraverso processi sociali e combinate con il bene attraverso processi comunicativi.
Parlare di processi di costruzione artificiale dell’attrattività è un modo per richiamare l’attenzione
sull’esistenza di strategie ad esempio di tipo promozionale, che però non riguardano il semplice messaggio o
la semplice comunicazione commerciale, ma che riguardano il processo di costruzione dell’immaginario di
marca, della rappresentazione della marca o che hanno per oggetto lo sfruttamento di determinati significati
di un certo luogo (ad esempio per promuovere una località sciistica che è stata luogo delle Olimpiadi si può
sfruttare questo fattore).
Tanto le componenti materiali quanto quelle simboliche sono oggetto di meccanismi di significazione
sociale, cioè di attribuzione da parte delle persone, da parte della società, di significati.
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Sociologia dei Processi Economici 3. AZIONE SOCIALE DOTATA DI SENSO
In quanto l’agire di consumo assume precisi significati in relazione a due dimensioni cardine:
- alle caratteristiche della struttura sociale in cui si consuma (cioè la gerarchia, l’insieme di relazioni su cui
si fonda la convivenza sociale);
- al sistema di atteggiamenti e di valori che connotano la cultura: difatti ogni luogo, ogni società è
depositaria di una certa cultura, e sono proprio i valori su cui poggia la cultura a guidare i significati del
nostro consumare.
Noi riteniamo erroneamente che il nostro comportamento sia libero, fortemente personale; ciò non è vero, in
quanto gran parte del nostro comportamento è appreso e sedimentato nella cultura di riferimento (ad
esempio il camminare e il parlare, oppure la sfera sessuale e l’atto sessuale, che in contesti differenti
denotano comportamenti differenti).
Da dove nasce il senso dell’azione sociale, e quindi anche dell’azione di consumo?
Il senso dell’agire sociale nasce dalla condivisione di un sistema di norme: sono norme culturali, sociali, che
vedono una condivisione di orientamenti, principi che definiscono il significato simbolico tanto degli oggetti
quanto delle pratiche d’uso (ad esempio l’anello, a cui si uniscono una serie di significati legati ad aspetti
culturali).
Il sistema di norme è “situato”, cioè parte integrante di una comunità o di un contesto (ad esempio le
mimose e la festa dell’8 marzo, che rappresentano un codice di consumo culturalmente situato, ma che in
Polonia invece sono un simbolo della prostituzione).
Gli oggetti, i beni non sono neutri, ma assumono significati in base alla condivisione di norme e
orientamenti tramandate oralmente, non scritte: noi veniamo a conoscenza del significato dei beni,
imparando a decodificare il linguaggio degli oggetti.
Il problema sorge quando cambiamo gruppo di riferimento, rischiando di commettere un errore perché non
abbiamo quell’apprendimento culturale sui valori e sui significati di determinate scelte di consumo (esempio
anche dei grisantemi che in Giappone sono simbolo di rispetto e onorabilità o che in Romania si utilizzano
per fare il bouquet di nozze, mentre da noi si usa nei funerali).
Cambiando quindi il contesto, è necessario elaborare un apprendimento chiamato socializzazione, che altro
non è che il processo di apprendimento che consente di interagire con le persone che ci circondano.
C’è un primo nucleo di socializzazione che viene definito primario, e prende corpo nei primi anni di vita a
cura della famiglia e che dà origine a quelle che vengono chiamate disposizioni durature, cioè quella
sensibilità, con gli atteggiamenti preferenziali che ci accompagneranno per tutta la vita e che quindi
risulteranno per un certo senso preferibili (ad esempio se ho fame e sono stato allevato in una famiglia
italiana, è più probabile che preferirò determinati alimenti per eliminare questa sensazione, o quanto meno
per concedermi una gratificazione, mentre se sono stato allevato in un altro contesto preferirò altri alimenti).
Il secondo tipo di socializzazione che ci accompagna per il resto dell’esistenza viene denominata
socializzazione secondaria, ed è basata sull’apprendimento di codici che maturano nel percorso esistenziale
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Sociologia dei Processi Economici e andranno ad arricchire la nostra esperienza (esempio dell’esperienza delle mimose in Polonia come
meccanismo di socializzazione secondaria e disposizione variabile utile ad adattarsi al contesto).
In un viaggio in un Paese diverso dal mio si elaborano delle disposizioni variabili, perché sperimento il
contatto con beni diversi da quelli della mia esperienza: è difficile però che si vadano a sostituire
all’esperienza duratura (ad esempio difficilmente sostituirò i miei alimenti con quelli che avrò sperimentato
in un certo Paese che ho visitato).
La socializzazione al consumo nasce da condotte di tipo partecipativo, cioè dal coinvolgimento completo nel
compiere azioni, nel vedere concretamente applicati determinati comportamenti.
Questo coinvolgimento dovrà riguardare un coinvolgimento attivo emozionale con una certa durata tale da
determinare un quantum di azioni sociali significative (non è ad esempio sufficiente che io passi davanti ad
un kebab perché io elabori una disposizione variabile al kebab, ma occorre che io sia sottoposto ad un
coinvolgimento emotivo polisensoriale per un certo lasso di tempo).
Questo apprendimento è rilevante in due occasioni:
- EFFETTO DIMOSTRATIVO (Duesenberry): sostiene che apprendiamo l’uso legittimo dei beni ed
impariamo a desiderarli attraverso il contatto visivo, in particolare vedendo l’uso che ne fa una persona a noi
vicina (ad esempio io ho un computer vecchio, incontro un amico con un computer di ultima generazione:
comincerò allora a desiderare di cambiare computer, e a cercare di informarmi sulle sue capacità tramite
questo mio amico).
Questo è un effetto molto forte, in quanto ci induce a violare la nostra propensione al risparmio; le persone
difatti sono orientate al risparmio, ma siccome ci sono molti effetti dimostrativi nella giornata, si è portati a
spendere il proprio reddito.
Questa è una strategia utilizzata anche delle imprese, e denominata marketing non convenzionale che,
fornendo anche gratuitamente di certi beni gli opinion leader di alcuni gruppi, attraverso la visibilità del
bene incentivino i loro amici ad acquistarli, determinando così un effetto domino.
- RAPPRESENTAZIONE PER IMMAGINI: cioè apprendo attraverso un flusso di immagini (tramite tv,
giornali, Internet…) che non riguarda però tanto la comunicazione commerciale (cioè la pubblicità), ma che
riguarda un fenomeno più sotterraneo e trasversale denominato product placement, cioè l’inserimento di
prodotti commerciali all’interno di un prodotto culturale come ad esempio un film, una mostra, un
documentario: cioè si prendono oggetti e li si inseriscono ad esempio nei film diffondendone l’uso in
maniera subliminale, sfruttando così il fatto che i consumatori hanno barriere molto più basse.
E’ questa la strategia che ha diffuso il consumismo in Italia aggirando regimi contrari quali il cattolicesimo e
il comunismo.
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Sociologia dei Processi Economici 4. CONSUMO = AZIONE CULTURALMENTE DETERMINATA
Codici e processi simbolici individuali e di gruppo orientano le azioni di consumo, fortemente così
influenzate dal contesto culturale di riferimento.
Prende forma dallo spazio e dal luogo in cui matura, ed è influenzata da tre tipi di ambiente:
- MACROAMBIENTE: la cosiddetta società inclusiva e globale, che ha a che fare con tutti quei prodotti e
quelle pratiche diffuse a livello globale;
- MESOAMBIENTE: è rappresentato dalla comunità locale, cioè il contesto geo-culturale di riferimento,
importante per le pratiche di consumo e le scelte di consumo di quei beni definiti tipici;
- MICROAMBIENTE: è costituito dai gruppi (di riferimento e non) con i quali interagisco, con cui io voglio
istituire dei legami, di cui voglio far parte (gruppi di riferimento), oppure con gruppi di cui sono già parte e
desidero continuare a farne parte (gruppi di appartenenza).
Ce ne sarà sempre uno prioritario.
I requisiti fondamentali dell’agire di consumo mettono in evidenza la profonda differenza fra approccio
sociologico e approccio economico; sono quattro:
- intenzionalità delle scelte e degli atti di consumo: la ricerca sociologica ha messo in luce come la scelta del
consumatore sia una scelta largamente consapevole e dettata da una specifica volontà. L’agire d’impulso
coinvolge un numero limitato e ristretto di situazioni e di beni: solo per i beni di piccola entità, di uso
frequente e connessi in modo stretto al desiderio si può parlare di agire d’impulso (ad esempio per le
caramelle e i cioccolatini). Per gli altri beni il comportamento di consumo è legato ad un progetto, e l’agire
d’impulso definisce un’area patologica, denominata consumo compulsivo;
- volontà di trasformazione dell’esistente: cioè attraverso il consumo si punta ad esprimere la propria entità,
il proprio status e i cambiamenti che intervengono nel proprio status (ad esempio il passaggio dallo status di
studente a quello di lavoratore, che viene spesso segnalato da forti cambiamenti nelle modalità di consumo
inerenti ad abbigliamento, auto, vacanze…);
- scopo non necessariamente razionale quando si consuma, che non necessariamente risponde ad un calcolo
di utilità costi-benefici. Il concetto di razionalità è stato rivisto alla luce dei risultati sociologici fino a
contemplare diversi criteri di razionalità, che in realtà misurano il vantaggio non solo in termini economici
di prezzo, ma anche tramite variabili sociali;
- l’investimento dei consumatori nella motivazione delle decisioni dei comportamenti: io consumatore sono
portato a motivare a me stesso e a chi mi circonda le mie scelte; anzi, è proprio il rischio di irrazionalità che
mi porta a giustificare meglio la mia scelta di consumo per difendermi da critiche, giustificando così il mio
comportamento.
Esistono quattro tipologie di motivazioni o modelli di giustificazione:
- razionalità strumentale: riferito alla possibilità di conseguire un obiettivo, per raggiungere una certa meta
(ad esempio ci si iscrive alla facoltà di economia in quanto si pensa che si avranno buone possibilità di
impiego una volta laureati);
- razionalità valoriale: la motivazione, la scelta è ispirata da un valore (ad esempio acquisto una maglia che
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Sociologia dei Processi Economici sostiene una buona causa);
- affettività: fa riferimento a componenti emozionali (ad esempio acquisto un determinato oggetto perché
sollecita la mia creatività, o perché piace alla mia compagna): è un comportamento che viene posto in essere
quando si vuole piacere, per essere alla moda;
- tradizione: per abitudine, per convenzione, perché ci si è sempre trovati bene.
Queste quattro tipologie di motivazioni sono spesso compresenti in ogni azione di consumo, ma tuttavia una
di queste è prevalente, cioè rappresenta la spinta, il fattore catalizzante che trasforma l’intenzione in
comportamento, in acquisto: questa è la tradizione, in quanto il comportamento umano è in genere orientato
alla convenzione, al conformismo, ed è molto meno impegnativo dell’anticonformismo e si ha più facilità di
essere accettati dalla comunità.
Nella tradizione intervengono la mia esperienza personale, quella delle persone più vicine a me e quella
della comunità cui appartengo. E’ molto difficile difatti che io ponga in essere comportamenti
anticonvenzionali non tenendo conto dell’esperienza del gruppo al quale appartengo.
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Sociologia dei Processi Economici 5. MOTIVAZIONI D’ACQUISTO
Le motivazioni d’acquisto costituiscono l’insorgere dell’intenzione, dell’interesse verso il consumo: le
ricerche dimostrano come ci sia un progressivo passaggio dalla centralità del bisogno alla centralità del
desiderio: tra le motivazioni d’acquisto non c’è più il bisogno, cioè la necessità di, la carenza di, ma il
desiderio, cioè la sensazione di mancanza legata ad una attrattività di prodotti più che non alla loro
funzionalità, cioè il far fronte ad un senso di mancanza, modificando così le proprie emozioni.
Si assiste così ad un passaggio dalla centralità delle sensazioni (quindi della sollecitazione dei cinque sensi)
a quelle che sono le emozioni, cioè la capacità del bene di variare lo stato psicologico della persona
provocandone una brusca alterazione: quello che cerchiamo nei prodotti è proprio una capacità di stimolare
una variazione d’umore, di farci provare un sentimento.
Ciò ci porta a riconoscere la centralità del piacere (edonismo) nelle pratiche di consumo, riconoscendo però
come nella società moderna il piacere sia materiale, cioè legato strettamente all’uso, alla funzione
dell’oggetto, mentre nella società contemporanea la ricerca del piacere ha natura mentalistica, cioè si basa
maggiormente sull’immaginare quelle che saranno le emozioni, quello che sarà il piacere nel consumare un
certo bene.
Ad esempio parlo di piacere materiale nel momento in cui il mio piacere nasce dall’uso di un cellulare, di un
computer o dall’assaggiare una caramella; parlo invece di piacere mentalistico nel momento in cui subentra
la componente immaginativa, cioè l’immaginare il vantaggio, l’emozione che mi darà l’uso del computer o
del cellulare. Ne consegue che è quasi più soddisfacente immaginare la possibilità di consumo che non
realizzarla, in quanto nella realizzazione concreta si pongono le premesse per la delusione, con il ciclo di
consumo che si accorcia.
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Sociologia dei Processi Economici 6. DECISIONE D’ACQUISTO
In questa fase decido cosa e come consumare; la decisione d’acquisto matura oggi in una condizione di
cosiddetta iperscelta, cioè esiste un numero crescente di opportunità a disposizione del soggetto per
soddisfare i propri desideri, un numero di occasioni nettamente superiore alle reali necessità del soggetto:
ciò provoca un effetto perverso chiamato sindrome di Stendhal, che contraddistingue quella sensazione di
disorientamento di fronte ad un eccesso di opportunità; questo eccesso di opportunità può essere legato alla
quantità, ma anche alla qualità delle proposte (ad esempio un espositore con tutti gli ultimi modelli di
computer o di cellulare, con proposte in cui è difficile cogliere le differenze e conoscere tutte le
caratteristiche in quanto non si ha una formazione adeguata).
Tale sindrome risulta aumentare al crescere dell’età.
La sindrome di Stendhal è basata sullo stupore, e viene usata anche come strategia attrattiva nelle principali
esperienze di consumo (ad esempio nei grandi centri commerciali, specie dell’Europa dell’Est, mercati da
poco usciti da economie di sussistenza).
Ciò provoca un aumento della dissonanza cognitiva, vista come quel fenomeno che porta la persona ad avere
difficoltà nell’interpretare correttamente la situazione in cui si trova: di conseguenza è molto probabile così
che il consumatore acquisti violando le regole della razionalità, è come se si autoingannasse (se ad esempio
il consumatore vede prodotti con uguali caratteristiche tecniche e prezzo e, pur valutandone le differenze, ne
prediliga uno rispetto che l’altro solo perché questo è esposto in maniera più accattivante).
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Sociologia dei Processi Economici 7. ACQUISTO O ACQUISIZIONE DEL PRODOTTO
Nell’acquisizione del prodotto abbiamo un lento ma significativo passaggio dall’acquisizione della proprietà
del bene al cosiddetto accesso al bene: difatti il consumatore in virtù della rapida obsolescenza dei prodotti,
è sempre più portato, è sempre più disponibile a pagare un canone di affitto, di accesso al bene, mentre è
disinteressato ad acquisirne la proprietà.
Vengono offerti non in acquisto i prodotti, ma in affitto, dando poi al consumatore la possibilità alla fine del
contratto di riscattare il bene, oppure di restituirlo; tale seconda possibilità risulta essere la più frequente in
quanto i prodotti si logorano, e sono così oggetto di dumping sociale, cioè quel fenomeno di esportazione in
mercati a più basso potere d’acquisto di prodotti che sono già stati utilizzati: si forma così una catena, un
percorso di esportazione tramite passaggi successivi in Paesi più poveri (l’ultimo anello della catena è
spesso l’Africa).
Ciò determina spesso anche degli elevati costi sociali, in quanto si esportano anche delle pratiche sociali
(cioè tutta una serie di gusti, di atteggiamenti, di stili di vita associati a quei determinati beni).
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Sociologia dei Processi Economici 8. PRATICHE D’USO
Portano quasi sempre più raramente al logoramento fisico del bene materiale e al consumo completo del
servizio, mentre si concludono invece con la perdita dell’attrattività della proposta. Cioè sempre più spesso
si dismette il bene non tanto perché si è logorato, perché ha perso funzionalità, ma perché risulta essere
meno desiderabile, meno interessante, non più di moda (ma anche perché è stato provato ma non ha
interessato come capita per i pacchetti pay per view).
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Sociologia dei Processi Economici 9. SMALTIMENTO DEI RIFIUTI EVENTUALI
E' una dimensione sempre più rilevante e centrale nelle decisioni di acquisto e nelle scelte delle pratiche
d’uso.
Molte strategie imprenditoriali mettono in luce l’impatto di un prodotto sia nella fase d’uso che di
smaltimento già a partire dalla fase promozionale stessa.
Il consumo non è né buono né cattivo, e ci porta a distinguere due fenomeni spesso confusi nella realtà: il
consumismo e il consumerismo.
Il consumismo è un fenomeno legato alla crescita del cosiddetto tasso di consumatività, cioè alla contrazione
del tempo di uso del prodotto; è la corsa ai consumi, e ha a che fare con una società sempre più orientata al
consumo.
Il consumerismo ha a che fare con la critica al consumismo e in particolare con l’affermarsi di una nuova
attenzione ai diritti, agli interessi e alla tutela del consumatore.
Se non tutti lavoriamo, però sicuramente tutti consumiamo per definire la nostra posizione sociale, per
esprimere la nostra personalità.
Per capire come nella nostra realtà si affermi una dialettica tra consumismo e consumerismo, bisogna prima
affrontare una questione preliminare, cioè chiarire se il consumo sia un fatto privato (quindi sostanzialmente
legato alla libertà individuale e all’interesse individuale) oppure pubblico, cioè se nel consumo possano
convivere una serie di dimensioni sensibili all’interesse collettivo, vale a dire a quel benessere della
comunità di appartenenza che sta emergendo come problema.
Il consumo è stato a lungo definito come un fenomeno privato.
Il consumo è stato ampiamente identificato dalla letteratura come un fenomeno privato (cioè legato alla
soggettività, all’individualità della persona, alla sfera individuale, dove le decisioni prendono corpo solo
tenendo conto di un interesse ego-riferito). I consumi sarebbero difatti la massima espressione della libertà
individuale, quindi soggetti al desiderio, alla massimizzazione della soddisfazione personale.
Per i sociologi questa enfasi sull’individualità si trasforma in individualismo, in un atto quasi di egoismo
dell’individuo che, nel momento in cui consuma, sottovaluta consapevolmente le conseguenze dei suoi gesti
sulla realtà che lo circonda (ambiente e/o altre persone, le generazioni future o le persone del Terzo Mondo).
Il filone definito Scuola di Francoforte sottolinea proprio questa deriva individualistica dei consumi, con il
consumatore che trascura le responsabilità verso la realtà che lo circonda.
Per Scuola di Francoforte ci si riferisce al gruppo di sociologi europei che si spostarono negli USA a seguito
del II Conflitto Mondiale, interessandosi molto ai temi dell’individualismo e delle derive consumistiche,
cioè le conseguenze sulla qualità della vita personale e collettiva di questa rincorsa al consumo.
Il consumo è la massima espressione della massimizzazione del benessere personale, individuale, laddove
per benessere si intende il benessere materiale, cioè perseguire la ricchezza, la crescita delle opportunità di
disporre di beni e servizi.
Questa è una posizione ideologica, in quanto questa considerazione si fonda largamente su di un pregiudizio,
cioè che nei consumi sia centrale l’interesse personale e che non possa esistere altro che l’interesse
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Sociologia dei Processi Economici personale: nella società contemporanea difatti si sviluppano tutta una serie di consumi, di sensibilità che
provano a conciliare l’interesse personale con la responsabilità verso l’ambiente, verso le persone anche non
presenti (ad esempio il consumo critico, il consumo eco-compatibile, o il commercio equo e solidale, che
invece cercano di conciliare le due dimensioni).
Quindi se si considera la letteratura il consumo è un fatto privato; ma se si considera la realtà dei fatti ci si
accorge dell’ambivalenza del consumo, ci si accorge che a lato di questa deriva individualistica esistono
tutta una serie di espressioni che provano a conciliare le due dimensioni, cioè la realizzazione personale
attraverso il consumo con quella che si potrebbe chiamare la coscienza ambientale e sociale, vista come un
controllo sulle esternalità negative dei comportamenti assunti dagli attori sociali.
Questa ambivalenza raggiunge tutta la sua significatività quando analizziamo due dimensioni:
-precondizioni economiche dei consumi (ruolo delle istituzioni): in base alle precondizioni della realtà in cui
matura il comportamento che vincolano il nostro agire; significa andare a considerare come il nostro agire
non è nella realtà dei fatti totalmente libero, perché matura in un sistema di istituzioni e forme regolative che
condizionano e orientano la nostra attività (ad esempio il mercato è di per sé un’istituzione, in cui gli attori
economici non sono completamente liberi di definire le condizioni di scambio, perché certe merci magari
vengono escluse dal commercio, o perché si formano dei cartelli per creare monopolio in un settore, con la
conseguenza che la libertà di consumare viene limitata in tale settore);
-conseguenze dei consumi (effetti sociali e culturali): esistono delle conseguenze sociali degli atti che
andiamo a compiere con il nostro consumare (acquistare un bene piuttosto che un altro può avere un certo
impatto ambientale, così come determinare la povertà o la ricchezza di una certa area: si può allora parlare
del boicottaggio di quei Paesi che producono palloni tramite la manodopera infantile).
Il consumo diventa così un fenomeno ambivalente in cui la libertà individuale si confronta con una serie di
identità culturali e politiche che nascono proprio sull’identità di consumatore: viene così promossa da una
serie di movimenti sociali una nuova cultura del consumo, movimenti che lottano per l’affermazione di una
società più equa non più facendo riferimento come in passato al ruolo di cittadini, quindi alla rivendicazione
di un intervento statale, ma facendo leva sul loro ruolo di consumatori, utilizzando il consumo come voto,
come strumento per far cambiare il comportamento al sistema imprenditoriale piuttosto che agli enti
governativi.
Per movimenti sociali (o movimenti del consumo) si fa riferimento a forme di auto-organizzazione, di
gruppi di persone che si mobilitano per raggiungere un certo risultato: una forma tipica di auto-
organizzazione è la campagna di boicottaggio (ad esempio la rete Lilliput che informava i cittadini che una
quota delle bollette che doveva essere indirizzata alle energie rinnovabili, invece era stata destinata alla
costruzione di inceneritori).
Differente è invece l’associazionismo di consumo, che vengono definiti anche sindacati dei consumatori,
cioè dei gruppi in questo caso organizzati e strutturati di persone che professionalmente si occupano di
difesa dei consumatori.
Risulta evidente la differenza tra cittadini che si auto-organizzano in gruppi come movimenti di volontariato
per informare, per tutelare, per risolvere un problema e invece quello che è un gruppo professionale, una
vera e propria lobby, che magari punta allo stesso risultato, ma con una struttura molto diversa.
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Sociologia dei Processi Economici
I movimenti sociali portano avanti una visione alternativa a quella consumistica volta a conciliare l’interesse
personale e l’interesse collettivo e orientata a perseguire l’assunzione di responsabilità per mezzo del
consumo.
Questa nuova cultura è eterogenea, cioè ne esistono diverse espressioni che si rifanno a due matrici:
- matrice della SOSTENIBILITA’: accoglie e valorizza il pensiero liberistico, che accetta un ruolo forte del
consumo, proponendosi tuttavia di controllare le esternalità negative (si parla difatti di sostenibilità); si
punta maggiormente sul ruolo della tecnologia, sull’innovazione di prodotto (ad esempio in un’ottica di
sostenibilità non mi propongo di eliminare il sacchetto di plastica, ma di trovare il sacchetto di plastica che
sia biodegradabile);
- matrice della SOBRIETA’: la sobrietà porta con sé una critica molto forte al modello capitalistico di
stampo liberale, proponendo un’autolimitazione volontaria dei consumi, che punta ad un cambiamento degli
stili di vita.
Ora cerchiamo di capire come si è affermato questo modello di privatizzazione dei consumi.
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Sociologia dei Processi Economici 10. STANDARD DI CONSUMO = CONDIZIONE PIENA
CITTADINANZA
Idea di consumo come espressione di libertà, tanto che un certo livello minimo di benessere, di consumo,
viene contemplato come condizione di piena cittadinanza: a partire dalla Rivoluzione Industriale abbiamo
assistito allo sviluppo di forme societarie nelle quali il possesso di standard minimi di consumo è condizione
sine qua non per la piena inclusione nel sistema sociale; questa condizione, questi standard minimi non
hanno solo a che fare con la quantità di beni consumati, ma in larga misura con la qualità dei beni che vado a
consumare.
Dalla Rivoluzione Industriale, in ogni periodo storico, in ogni decennio grossomodo, è possibile individuare
una tipologia di consumo quale condizione sine qua non per essere parte della società: ad esempio nella
società dell’ultimo dopoguerra (anni ‘50) il classico bene di cittadinanza (cioè beni che dimostrano la piena
inclusione nella società) erano gli elettrodomestici; negli anni ‘70 lo status simbol era l’automobile, ma
anche la vacanza fuori dagli spazi domestici; alla fine degli anni ‘80 e inizio anni ‘90 era il telefonino.
Ogni epoca ha un suo bene di cittadinanza, che consente di essere pienamente inclusi e vivere a pieno la
propria condizione di cittadino.
Questa condizione si sviluppa attraverso tre meccanismi: il primo meccanismo è quello della democrazia,
cioè qualsiasi Paese che voglia dirsi democratico deve assicurare la libera partecipazione dei cittadini lungo
due assi: come produttori, e quindi la libera imprenditorialità, e la libera possibilità di consumare. Questo è
tipico del capitalismo di stampo liberale, perché ad esempio nella Russia post-bellica, in cui vigeva il
capitalismo collettivistico, ciò non si verificava.
La seconda strategia è quella che vede la felicità privata, la felicità individuale ancorata all’aumento dei
consumi: viene utilizzato l’indicatore dello sviluppo dei consumi perché si presume che man mano che
aumenta il livello dei beni consumati, aumenta anche il livello di soddisfazione delle persone, aumenta la
loro qualità di vita.
Il terzo meccanismo è quello che ha a che fare con il benessere pubblico, cioè con la qualità della vita a
livello collettivo: l’idea è che uno Stato, una comunità godano di benessere tanto più aumenta il PIL; viene
utilizzato anche per le comparazioni internazionali, per confrontare diversi livelli di benessere.
La conseguenza di quest’enfasi privatistica sui consumi è che si modifica la struttura societaria in vista di
una democratizzazione degli stili di vita; la triplice equivalenza, cioè l’unione di questi tre principi porta ad
un appiattimento della struttura societaria, ad un abbattimento delle disuguaglianze esistenti all’interno degli
Stati Occidentali e alla costituzione del ceto medio.
Vi è però anche una conseguenza negativa; infatti questa triplice equivalenza induce gli Stati, gli attori
economici a perseguire l’incremento dei consumi nel breve termine, senza curarsi di quelle che possono
essere le conseguenze negative di questa diffusione dei consumi: si rischia cioè di incentivare le esternalità
negative, perché si finisce con il disinteressarsi delle conseguenze di un aumento indiscriminato dei
consumi.
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Sociologia dei Processi Economici La triplice equivalenza reca implicito l’aumento esponenziale:
- delle disuguaglianze;
- degli effetti negativi sul benessere pubblico (“costi nascosti del capitalismo”);
- dell’infelicità individuale (“paradosso della felicità”).
Rifiuto del calcolo strumentale ego-riferito
Comporta così tre patologie socioeconomiche: l’aumento delle disuguaglianze fra Paesi, una serie di effetti
negativi indiretti sul benessere pubblico e, quasi per paradosso, un incremento dell’infelicità individuale.
- Si fa riferimento al divario tra Nord e Sud del Mondo, all’impoverimento di ampie zone del pianeta che
diventano per un certo senso i finanziatori del benessere, della partecipazione democratica dei Paesi ricchi;
questo è evidente in quelli definiti porti franchi, zone dei Paesi sottosviluppati (Sud-est Asiatico, Africa e
Nord America) dove le imprese hanno assoluta libertà di gestione, zone extraterritoriali private. In queste
zone avviene la delocalizzazione di lavorazione magari pericolose, o ad alto impiego di manodopera e di
sfruttamento della stessa.
- Non si considerano le conseguenze che determinate tipologie di consumo e lavorazione possono avere
sull’ambiente o sulla società (esempio dei costi nascosti del capitalismo, che comporta il dibattito fra il
tentativo di conciliare lo sviluppo economico con la tutela ambientale; esempio di un consumatore che
acquista un elettrodomestico in classe A+ perché attento all’ambiente, ma lo compra troppo grosso rispetto
alle dimensioni di cui realmente necessiterebbe, o di un individuo che acquista un’auto a basse emissioni,
ma poi la utilizza anche solo per andare dietro casa).
- E’ il criterio dell’infelicità individuale; il fatto negativo ha qua a che fare con l’incapacità di quote
crescenti di consumo di generare qualità della vita per il consumatore: man mano che aumentano le mie
possibilità di consumo, si riduce il grado soddisfazione che io provo nella quota di maggiorazione. Sempre
più spesso non è la quantità di beni a creare felicità, bensì la capacità del consumo di incidere su due risorse
scarse: il tempo e le relazioni.
La soluzione a questo paradosso è proprio quella di incominciare a riconoscere come la felicità dipenda
dalla capacità dei beni di liberare tempo e di attivare relazioni (esempio del computer che genererà felicità
nel momento in cui mi permetterà di guadagnare tempo, o tanto più mi permetterà di creare relazioni, di
creare legami con altre persone: è questo il caso tipico delle aggregazioni di marca, in cui i consumatori
vanno a creare delle vere e proprie tribù sulla base del consumo di uno stesso prodotto, di una stessa marca,
come nel caso Macintosh, dove si condivide l’ideale di combattere lo strapotere di Microsoft).
L’esistenza di queste tre distorsioni e la consapevolezza dei consumatori di questo distorsioni porta ad un
crescente rifiuto del calcolo ego-riferito, quindi di quelle valutazioni utilitaristiche che sono così centrali nel
dibattito economico: questo calcolo è costituito dal tentativo dei consumatori di combattere il cosiddetto
potenziale antisociale dei propri investimenti, dei propri interessi nell’acquisizione di oggetti, di nuove
opportunità di consumo.
Esistono differenti strategie che permettono ai consumatori di limitare la portata antisociale dei propri
consumi:
- edonismo della semplicità;
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Sociologia dei Processi Economici - elogio della lentezza;
- rivalutazione delle relazioni;
- downshifting ed autoproduzione.
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Sociologia dei Processi Economici 11. PRATICHE E MICROCULTURE DEL QUOTIDIANO
Per edonismo della semplicità si intende l’investimento nella ricerca del piacere per mezzo di beni e
opportunità di consumo in qualche modo a basso impatto ambientale e sociale: le persone che si riconoscono
in questo edonismo della semplicità ritengono che sia fonte di qualità della vita la possibilità di investire in
beni relativamente semplici, a basso impatto ambientale, ma che riscoprono una serie di valori tradizionali.
Con l’elogio della lentezza, detto anche “filosofia slow”, ci si riferisce alla filosofia del rallentare i tempi di
vita del prodotto, il ricambio e il riciclo dei prodotti.
Il terzo elemento è quello della rivalutazione delle relazioni, cioè il cercare non tanto opportunità di
consumo, beni materiali, quanto strumenti che mettono in contatto, che permettono di sentirsi parte di un
gruppo, che consentono di attivare delle relazioni.
La quarta strategia è quella del downshifting, cioè dell’autolimitazione, della ricerca della sobrietà,
dell’autocontenimento che sfocia anche nell’autoproduzione di una serie di beni.
Si può così notare che si partiti da un’ottica della sostenibilità, fino ad arrivare ad un’ottica più della
sobrietà.
Indipendentemente dalla strategia che prediligo, tutti questi comportamenti che vengono a conciliare libertà
e responsabilità di consumo sono attivati attraverso pratiche e culture del quotidiano; non quindi tramite
gesti eclatanti, ma tramite gesti quotidiani (scelta di una marca piuttosto che un’altra).
Dal punto di vista sociale si assiste così ad un cambiamento epocale, in quanto le persone non ritengono più
che la politica, le forme di partecipazione attraverso i partiti, i sindacati, le associazioni dei consumatori
possano risolvere i loro problemi, e allora automaticamente elaborano e si impegnano attraverso azioni
definite in prima persona. Le persone perdono fiducia nelle vie che la modernità aveva accreditato come
strumenti per la soluzione dei problemi e cominciano ad investire in prima persona, cioè vanno ad
immaginare e a costruire delle soluzioni e attivano queste soluzioni applicandole nel loro agire quotidiano,
nelle scelte che costeggiano la realtà quotidiana.
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Sociologia dei Processi Economici 12. PARTECIPAZIONE E STILI DI VITA
Andiamo così ora ad analizzare il legame che si crea tra forme di partecipazione sociale e stili di vita.
Quando si parla di partecipazione ci si riferisce all’attivo coinvolgimento delle persone, dei cittadini in
strategie d’azione tese a trasformare la realtà sociale: se non condivido i principi, le regole sulle quali si basa
la realtà, attraverso la partecipazione che mi vede impegnato direttamente provo a modificare la realtà
esterna.
Ci sono due tipologie di partecipazione:
- PARTECIPAZIONE MODERNA: è una partecipazione mediata da organizzazioni, da istituzioni (quali
partiti, associazioni di consumatori, le lobby come quella ambientalista…);
- PARTECIPAZIONE POST-MODERNA: nasce dalla libera organizzazione delle persone a quei gesti e a
quelle pratiche che rappresentano gesti quotidiani, di routine; incido con le mie scelte di consumo come se
fossero una sorta di voto.
Quando invece parlo di stili di vita faccio riferimento a modelli culturali ai quali ispiro il mio
comportamento. Ciascuno di noi cerca di esprimere attraverso il proprio comportamento un determinato stile
di vita, l’adesione a determinati valori (ad esempio si può avere uno stile di vita improntato all’edonismo, o
legato alla sensibilità ecologica).
Si sceglie un modello e si cerca di esprimere attraverso il proprio comportamento l’adesione ai valori tipici
di quel modello.
Partecipazione e stili di vita sono due fenomeni intimamente correlati: lo stile di vita difatti influenza non
solo la forza ma anche le modalità di partecipazione, e le modalità di partecipazione influenzano,
modificano lo stile di vita. Se ad esempio scelgo uno stile di vita eco-compatibile, ovviamente i miei modelli
di partecipazione, il mio modo di stare nel Mondo saranno improntati ai principi dell’ecologia, andando ad
interiorizzare tutta una serie di informazioni ed esperienze che andranno a qualificare meglio la mia idea di
eco-compatibilità, andando a strutturare meglio il mio modello di eco-compatibilità a cui voglio aderire; ci si
mette così anche qualcosa di proprio, si personalizza il modello.
C’è così una relazione biunivoca.
Nella società contemporanea assistiamo ad un incremento nelle forme di partecipazione che al di là della
loro natura occasionale e sistematica, politica o civile, prendono corpo attraverso il consumo: il consumo va
in altri termini a sostituire quell’interesse che per largo tempo ha avuto la sfera dell’ideologia dei partiti.
Queste forme di partecipazione sono largamente influenzate dai movimenti sociali degli anni ‘70: il
movimento pacifista, il movimento ambientalista, il femminismo e il consumerismo.
Ognuno di questi movimenti pone l’accento sulla routine quotidiana, cioè sui comportamenti delle singole
persone, e sul contributo che questi comportamenti danno agli assetti socioeconomici: questi movimenti
determinano stili di vita aperti, cioè che sono costantemente sottoposti a revisione, integrati, modificati per
aderire meglio alle finalità perseguite, per renderli maggiormente funzionali all’obiettivo prefissato.
Questa apertura porta con sé anche l’ambivalenza dello stile di vita, cioè il fatto che lo stile di vita non è mai
applicato ed applicabile trasversalmente a tutte le sfere dell’esistenza (ad esempio per quanto riguarda i
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Sociologia dei Processi Economici consumi eco-compatibili, si può notare come questo comportamento sia spesso soggetto a revisione perché
si assumono a mano a mano comportamenti sempre più aderenti ad un modello eco-compatibile, ma è anche
ambivalente, in quanto magari in certe sfere sono un consumatore ecologico integerrimo, ma magari in un
altro campo mi concedo forme di consumo ad elevato impatto: ad esempio se vado sempre in bici nel
quotidiano, ma poi vado in aereo in viaggio).
Lo stile di vita così come le forme partecipative sono definite dai consumatori non in forma isolata, ma
neppure attraverso quei meccanismi di confronto ai quali ci aveva abituato la modernità: ciò significa che il
consumatore, quando decide i suoi stili di vita, non lo fa come avveniva in passato in base a quelli che sono i
modelli proposti dalle istituzioni (famiglia, Chiesa, partito, Stato…), ma va a comporre la sua scelta
attraverso percorsi di riflessione, di confronto con altri cittadini nella forma dell’autorganizzazione.
Queste forme di confronto avvengono attraverso i cosiddetti network, cioè le reti che assegnano uguale
importanza a tutte le persone che decidono di partecipare alla riflessione; i network sono spesso sostenuti
dalle nuove tecnologie, attraverso i blog, i forum, le chat.
Oggi gran parte delle ricerche di mercato e delle ricerche di opinione avvengono proprio partecipando alle
chat, e non più tramite le ricerche per strada.
Siamo così di fronte ad un rinnovamento delle forme di partecipazione che Micheletti definisce come
partecipazione individualistica; per partecipazione individualistica si intende quella forma di
coinvolgimento, di impegno nella trasformazione del quotidiano, della realtà socio-economica che prende
forma dall'unione di tanti comportamenti, di tanti atti individuali. Quando il consumatore va al supermercato
agisce come attore individuale, ma tramite la somma di tanti comportamenti individuali si forma una spinta
al cambiamento, che agisce su due grandi sistemi: difatti l'aggregazione di queste spinte individualistiche è
in grado di andare a modificare i comportamenti delle imprese e dei governi.
Attraverso quale risorsa può avvenire questo mutamento, che fa sì che governi e imprese modifichino il loro
comportamento? Per quanto riguarda gli Stati è la perdita di consenso (dove una serie di comportamenti
quotidiani riflettano una perdita di consenso); per quanto riguarda invece il mondo imprenditoriale si parla
della leva dei profitti, di riduzione delle quote di mercato.
Si arriva così al riconoscimento di un fenomeno conosciuto come consumerismo politico: è un utilizzo delle
decisioni di consumo come leve per costituire un capitalismo dal volto umano, ovvero ha a che fare con tutta
una serie di scelte nelle quali i consumatori pensano di ridurre le esternalità negative del capitalismo ed i
fallimenti del mercato per mezzo delle loro decisioni di acquisto.
Tre sono i fenomeni caratterizzati da questa etichetta:
- boicottaggio;
- buycottaggio o boicottaggio positivo;
- interferenza culturale o sovversione delle routine.
POLITICA DEL QUOTIDIANO: forme di resistenza o di innovazione fondate sulla democrazia
partecipativa
- è il rifiuto ad acquistare un prodotto o servizio in una società che ha dei comportamenti contrari alla dignità
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Sociologia dei Processi Economici umana o al rispetto dell’ambiente;
- ha a che fare con l’impegno nel premiare attraverso l’acquisto quelle aziende che hanno avviato
programmi di responsabilità;
- è una pratica che nasce negli anni ‘70 e che si propone di sensibilizzare l’opinione pubblica e gli stessi
attori economici modificando i messaggi, le campagne comunicative delle organizzazioni che si vogliono
colpire (esempio di Joe Chemio delle sigarette Camel, che viene trasformato per mostrare le conseguenze
del fumo) tramite critica (esempio anche delle ultime tornate di elezioni politiche, con Berlusconi fortemente
colpito parafrasando i suoi messaggi pubblicitari originali).
Il consumerismo politico quindi non fa altro che generare una politica del quotidiano (Sassatelli), cha ha a
che fare con forme di innovazione dei comportamenti o al contrario di resistenza fondate sui meccanismi
della cosiddetta democrazia partecipativa.
Per definire la democrazia partecipativa partiamo dal concetto di democrazia rappresentativa: quest’ultima
non è altro che quella forma di governo democratico nella quale i cittadini delegano le decisioni di interesse
generale ai loro rappresentanti politici; si parla invece al contrario di democrazia partecipativa nel momento
in cui sono i cittadini ad autorganizzarsi per risolvere un certo problema (ad esempio come cittadino posso
votare per un partito che propone delle soluzioni istituzionali, oppure posso organizzare un gruppetto che va
ad istituire un progetto ad esempio di commercio equo e solidale).
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Sociologia dei Processi Economici 13. LIBERTA’ E RESPONSABILITA’ NELLA REGOLAZIONE
DEI CONSUMI
Storicamente la sfera dei consumi è pressoché ricondotta nella sfera privata.
INDIVIDUALITA’ = SFERA NON NEGOZIABILE
Extraterritorialità dei consumi rispetto al ruolo dello Stato e del diritto
Il problema della regolazione dei consumi nasce dal dibattito sulla natura pubblica o privata dei consumi.
Se difatti i consumi sono un fatto privato, la regolazione dei consumi da parte pubblica non è legittimabile in
quanto va a limitare la libertà di scelta e l’autonomia personale degli attori sociali.
Solitamente i consumi sono stati configurati come un fatto privato, e ciò ha generato una sorta di
extraterritorialità dei consumi rispetto alla sfera dello Stato e dello stesso diritto: l’individualità è difatti la
prima sfera di esistenza del soggetto, non negoziabile, e quindi l’ingerenza dell’ente pubblico è considerata
negativamente.
In questa sfera si esprimono la libertà e l’autonomia del singolo: ma se i consumi non sono regolati da parte
statale, è probabile che si generino esternalità negative, degli effetti imprevisti, che si vadano a scaricare dei
costi sul benessere collettivo (si punta a massimizzare il proprio interesse senza pensare alle possibili
conseguenze dannose sull’ambiente o sui terzi).
I consumi sono così libera espressione dell’individualità e come tali devono essere lasciati
all’interpretazione della persona: ciò significa che qualsiasi intervento statale in materia di consumi viene
considerato negativamente, e rimanda all’idea di uno Stato paternalista, che considera i propri cittadini
incapaci di considerare l’interesse sociale e come tali soggetti che necessitano di una guida, di un
orientamento esterno. E’ questo il capitalismo collettivistico, molto diffuso nei Paesi dell’Est, caratterizzato
da un rigido controllo della produzione e dei consumi tramite programmazione della produzione e
vincolando, orientando i consumi dei cittadini (tramite ad esempio le campagne di tesseramento, con quote
fisse attribuite a ciascuna famiglia).
L’interferenza nella libertà di scelta evoca l’idea di STATO PATERNALISTA
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