Rielaborazione di appunti del Prof. Martino e Prof. U. Pescara, a.a. 2008-09, corso di laurea: Servizi Giuridici per l'impresa
Procedura Civile
di Alessandro Remigio
Rielaborazione di appunti del Prof. Martino e Prof. U. Pescara, a.a. 2008-09,
corso di laurea: Servizi Giuridici per l'impresa
Università: Università degli Studi Gabriele D'Annunzio di
Chieti e Pescara
Facoltà: Economia
Docente: Prof. Martino e Prof. U. Pescara1. La Giurisdizione Ordinaria
Nella concezione originaria del c.p.c. la giurisdizione era un privilegio assoluto della sovranità nazionale
fondato sulla distinzione tra cittadino e straniero. Ovviamente la giurisdizione italiana era quella che si
esercitava sul cittadino e che si poteva esercitare sullo straniero solo a determinate condizioni (della
territorialità, presenza dello straniero sul territorio nazionale). Inoltre, questa, era una giurisdizione che:
- non riconosceva rilevanza alla pendenza di un processo di fronte a un giudice straniero;
- non riconosceva automaticamente effetti alla sentenza del giudice straniero;
- poneva il c.d. principio di reciprocità.
Con l’introduzione della l. 218/95 è stato rovesciato l’impostazione tradizionale:
- ai fini della giurisdizione, è venuta meno la distinzione tra cittadino italiano e straniero. In particolare,
l’attribuzione della giurisdizione al giudice italiano avviene non più in base alla nazionalità (ovvero la
cittadinanza), ma in base al domicilio (cioè un dato di fatto). In questo senso, la domiciliazione sottopone
automaticamente lo straniero alla giurisdizione italiana (art. 3 della l. 218/95);
- è stata attribuita sostanziale equivalenza tra sentenza italiana e quella straniera. Prima della l. 218/95, la
sentenza straniera non aveva valore in Italia e, per avere effetti, doveva essere recepita nell’ordinamento
italiano tramite la c.d. delibazione della sentenza (procedimento di recezione). Con la legge venne abolita la
delibazione della sentenza per avere gli effetti della sentenza straniera (tranne per l’esecuzione forzata) ma
la questa veniva riconosciuta a pari valore della sentenza italiana;
- prima dell’introduzione della l. 218/95 vigeva il principio dell’inderogabilità della giurisdizione nel senso
che la giurisdizione non poteva essere derogata dalle parti che intendevano scegliere un’altra giurisdizione
nazionale piuttosto che un’altra. Tale legge ha attribuito la possibilità di derogare alla giurisdizione a favore
di un giudice straniero;
- altra rivoluzione della l. 218/95 è stata il riconoscimento della litispendenza internazionale. Così la
sentenza del giudice straniero è valida ed efficace nell’ordinamento italiano ma la pendenza del processo è
riconosciuta anche di fronte al giudice straniero. Ciò significa che se una domanda ha dato vita ad un
processo davanti ad un giudice straniero, e questo processo pende (è in corso di svolgimento), non può
nascere un processo con identica domanda davanti ad un giudice italiano e questo ha l’obbligo di astenersi e
di sospendere la procedura in attesa che il giudice straniero si pronunci per primo.;
- infine è stato abbandonato anche il principio della reciprocità come condizione generale della giurisdizione
( la reciprocità è il criterio per cui il riconoscimento di una prerogativa allo straniero è subordinato al
riconoscimento di analoga prerogativa al cittadino italiano da parte dell’ordinamento di appartenenza dello
straniero).
Alessandro Remigio Sezione Appunti
Procedura Civile 2. Rapporto tra giurisdizione e processo
Adesso occorre fare una precisazione tra giurisdizione e processo.
Parlando di giurisdizione si fa riferimento ora al potere giurisdizionale, o agli organi dotati di giurisdizione,
o alla funzione giurisdizionale o all’attività giurisdizionale.
Il concetto di giurisdizione utile in questo contesto è quello di giurisdizione come attività o funzione. In
pratica si tratta della funzione dello Stato in cui si manifesta il potere di applicare la legge al caso concreto.
In particolare “applicare la legge al caso concreto” significa prendere in considerazione un caso
giuridicamente rilevante ed affidarlo alla pronunziazione del giudice che ne stabilisce gli effetti.
La funzione deve essere esercitata da organi appositi indicati dalla Costituzione e da alcune leggi ordinarie (
T.U. ord. giur.).
L’esercizio della funzione giurisdizionale deve essere operato dal giudice in una posizione di imparzialità
assoluta e di soggezione all’ordinamento.
Infine l’esercizio della funzione giurisdizionale ha bisogno di forme determinate attraverso le quali deve
estrinsecarsi. Tra tali forme vi è il processo ovvero la forma tipica attraverso cui si estrinseca la
giurisdizione civile.
La nozione di processo è differente dalla nozione di procedimento.
Mentre il primo è lo svolgimento coordinato a struttura procedimentale di più atti connessi tra loro, il
secondo è lo schema base del fenomeno processo. Quindi il procedimento è un’attività con un inizio, uno
svolgimento ed una fine che coinvolge un giudice, le parti egli organi ausiliari della giurisdizione.
Alessandro Remigio Sezione Appunti
Procedura Civile 3. La tutela giurisdizionale
Nel processo giurisdizionale occorre considerare due dimensioni giuridiche:
- il diritto processuale;
- il diritto sostanziale.
Per far capire la relazione che intercorre tra queste due dimensioni può essere utile fornire un esempio.
Avere o meno un diritto di credito è una questione di diritto sostanziale m, se questo diritto è incerto o
contestato, occorre accertarne l’esistenza mediante regole poste dalla legge processuale e quindi dal diritto
processuale.
In questa situazione il giudice si trova nella condizione di verificare la regolarità della domanda avanzata e
di tutto ciò che può essere opposto dal convenuto alla pretesa dell’attore.
Per ottenere la pronuncia di un giudice occorre prima di tutto farne domanda rispettando le forme poste dalla
legge. Tali forme, se non rispettate, non consentono la nascita del processo.
Tuttavia il convenuto può opporsi o contestare la validità della citazione affermando che la controversia
debba essere decisa da un giudice piuttosto che un altro (ordinario piuttosto che amministrativo) o da un
Tribunale di una città piuttosto che di un’altra.
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Procedura Civile 4. La domanda giudiziale e le difese del convenuto
LA DOMANDA GIUDIZIALE
Gli artt. 2907 cc e 99 c.p.c. sono le due norme fondamentali in materia:
- art. 2907 cc: alla tutela giurisdizionale dei diritti provvede l’autorità giudiziaria su domanda di parte ( e
quando la legge lo dispone anche su istanza del pubblico ministero o d’ufficio);
- art. 99 c.p.c.: chi vuol far valere un diritto in giudizio deve proporre domanda al giudice competente. La
concessione della tutela giurisdizionale è subordinata alla domanda di parte. Così la domanda giudiziale è
l’atto genetico del processo nel senso che, per far valere un proprio di diritto in giudizio, occorre farne
domanda rispettando le forme prescritte dalla legge. La tutela giurisdizionale di un proprio diritto è concessa
nei limiti rispetto all’oggetto contenuto nella domanda. Così, chi vuole ottenere la tutela giurisdizionale,
mette in moto il processo sia dal punto di vista formale facendo la domanda, sia dal punto di vista
sostanziale indicando nella stessa domanda anche l’oggetto ed il contenuto.
Quest’ultimo aspetto può essere ricavato dal Libro I, titolo V, art. 112 del cc.
CORRISPONDENZA TRA IL CHIESTO E IL PRONUNCIATO
La regola generale è che il giudice deve pronunciare su “tutta” la domanda e non deve limitarsi a
pronunciare della domanda senza sorpassare i limiti.
La domanda giudiziale non solo introduce il processo ma obbliga il giudice a pronunciarsi integralmente su
di essa. I vizi di tale sentenza potrebbero riguardare o la mancata omissione della pronuncia da parte del
giudice o il superamento dei limiti di pronuncia (ultrapetita).
La pronuncia del giudice non comporta necessariamente l’accoglimento della domanda: la verifica della
fondatezza della domanda avviene a fine processo. Quindi la pronuncia può dar vita o ad una sentenza di
accoglimento od una sentenza di rigetto. Comunque in entrambi i casi si discorre di sentenza di merito
ovvero una sentenza che incide sui rapporti sostanziali delle parti regolandoli. In definitiva, il processo serve
a stabilire se effettivamente il diritto preteso esiste o meno e, la sentenza che decide sulla domanda è sempre
“sentenza di merito”.
Per arrivare alla sentenza di accoglimento occorre:
- che esista la norma giuridica che concede il diritto preteso;
- che si provino i fatti;
- che il giudice si renda conto dell’esistenza della norma invocata e che effettivamente quella norma regoli
quel caso.
In pratica il giudice deve individuare la norma da applicare, interpretarla ed applicarla al caso concreto. È
regola generale che l’attore “porti” l’interpretazione di una norma a lui favorevole mentre il convenuto porti
un’interpretazione opposta a quella dell’attore.
Il principio del contraddittorio impone che il processo coinvolga, sin dalla sua origine, anche il convenuto,
per il semplice fatto che egli sia stato messo in condizione di esprimere tutte le sue contestazioni nell’ambito
dello stesso processo. Di fronte a queste contestazioni, è normale che l’attore possa a sua volta replicare.
Così, lo sviluppo normale del processo prevede che alla domanda dell’attore, vi sia una contestazione del
convenuto e, a questa, vi sia una replica dell’attore.
LE DIFESE DEL CONVENUTO
Come si è visto, alla domanda dell’attore, il convenuto può opporsi in vari modi:
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Procedura Civile - che la pretesa non è fondata in diritto: l’infondatezza in diritto può riguardare l’inesistenza di una norma
giuridica invocata o la sua inefficacia. Si possono opporre, inoltre, problemi inerenti l’interpretazione della
legge e delle tecniche dell’interpretazione della legge;
- che la pretesa non è fondata sul fatto: viene contestata la correttezza dell’operazione fatta dall’attore di
riconduzione del fatto alla norma giuridica (es: l’attore fa domanda per risoluzione per inadempimento – il
convenuto afferma - che il contratto non era definitivo, ma preliminare per cui non era obbligato alla
prestazione – la presenza di un contratto preliminare e non definitivo, obbliga il giudice a rigettare la
domanda dell’attore);
- che il convenuto in giudizio non doveva essere lui ma un altro soggetto: il convenuto in giudizio può
affermare che in realtà doveva essere un altro soggetto e, di conseguenza, non è assoggettabile al processo.
Abbiamo già visto che il convenuto ha la possibilità di contestare gli aspetti sostanziali della vicenda
(esistenza del diritto preteso dall’attore ed i fatti alla base del diritto stesso), ma anche il potere degli organi
giudicanti aditi dall’attore a trattare e decidere della controversia. Così il convenuto può chiedere che non sia
“quel” giudice a decidere in quanto incompetente.
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Procedura Civile 5. La domanda giudiziale
La domanda (richiesta di tutela), come detto, è l’atto genetico del processo e determina il contenuto sul
quale il giudice dovrà decidere. Occorre che la domanda sia conforme alla legge processuale. Pertanto il
giudice sarà obbligato solo se le domande saranno conformi alla legge.
La rappresentanza tecnica: di regola, le parti del giudizio non vanno personalmente di fronte al giudice.
Solitamente le parti che vogliono agire in giudizio devono munirsi di un procuratore, detto rappresentante
tecnico, che fa da mediatore tra il titolare dell’interesse ed il giudice.
Secondo l’art. 82 c.p.c. le parti non possono stare in giudizio se non con il ministero o l’assistenza di un
difensore.
Tuttavia questa norma presenta un’eccezione. Infatti si può stare in giudizio personalmente per le
controversie di competenza del giudice di pace di valore non eccedente 516,46 €. Per tutte le altre
controversie le parti non possono stare in giudizio se non con il ministero o con l’assistenza di un difensore.
L’obbligo di difesa tecnica non sussiste neanche nel processo di lavoro.
Mediante l’atto detto “procura alle liti”, la parte deve essere rappresentato e non può agire di persona ma
tramite l’attività di un rappresentate il quale deve essere iscritto in uno speciale albo professionale.
Ovviamente deve stare in giudizio sia l’attore con il proprio rappresentante, ma anche la parte citata in
giudizio con il relativo rappresentante.
LE FORME DELLA DOMANDA
L’atto introduttivo del giudizio (domanda) deve assumere una certa forma per dar vita ad un processo.
La “domanda” consiste nella richiesta di tutela giurisdizionale e può assumere due forme: citazione e
ricorso.
La citazione è una forma normale della domanda nel senso che, salvo che non si tratti di una specifica
materia o di uno specifico processo per cui la legge richiede la forma di ricorso, le domande giudiziali
devono avere la forma di citazione. La differenza che intercorre tra domanda e citazione sta nel fatto che la
prima corrisponde con il contenuto dell’atto che può assumere la forma di citazione. Quindi la domanda è il
contenuto mentre la citazione è la forma.
ART. 163 C.P.C.: LA CITAZIONE
Secondo l’art. 163 c.p.c. la domanda si propone mediante citazione a comparire a udienza fissa. Così la
citazione, a differenza del ricorso, contiene innanzi tutto la data della prima udienza. L’atto di citazione
contiene la c.d. vocatio in ius ovvero l’invito al convenuto a comparire di fronte ad un certo organo in una
certa data fissata da colui che redige l’atto di citazione.
L’atto di citazione deve contenere, a norma dell’art. 163 c.p.c., una serie di requisiti determinati dallo stesso
articolo. La legge vuole che l’atto di citazione sia sottoscritto a norma dell’art. 135 c.p.c.. L’atto sottoscritto
deve essere poi consegnato all’ufficiale giudiziario che lo dovrà notificare: in pratica l’atto di citazione viene
redatto dall’avvocato e, invece di essere subito depositato presso il Tribunale, viene “trasmesso” al
convenuto ovvero viene notificato a questi. La notifica della citazione è un atto importantissimo in quanto,
nel momento in cui questo si perfeziona, si producono una serie di effetti processuali a cominciare dalla c.d.
litispendenza.
L’atto di citazione deve contenere alcuni elementi:
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Procedura Civile 1. “l’indicazione del tribunale davanti al quale la domanda è proposta”. È infatti necessario che l’atto di
citazione indichi l’organo giurisdizionale di fronte a cui è proposta la domanda;
2. “il nome, il cognome la residenza dell’attore, il nome, il cognome, la residenza, il domicilio o la dimora
del convenuto e delle persone che li rappresentano o li assistono”. Se si tratta di una persona giuridica,
occorre che la citazione contenga la denominazione con l’indicazione dell’organo che ne ha la
rappresentanza in giudizio. Così occorre tassativamente che vengano individuati precisamente i soggetti
della controversia in quanto la citazione in incertam personam è nulla;
3. “la determinazione della cosa oggetto della domanda”. La “cosa” in questione può essere rappresentata
dal diritto di cui l’attore chiede il riconoscimento. Tuttavia l’oggetto della domanda può indicare due tipi di
“cose” in quanto l’attore può rivolgersi al giudice per domandare uno specifico provvedimento. Quindi si
può far riferimento alla richiesta del provvedimento (sentenza di condanna) o al contenuto del
provvedimento (ovvero il riconoscimento del proprio diritto);
4. “l’esposizione dei fatti e degli elementi di diritto costituenti le ragioni della domanda con le relative
conclusioni”. Non basta chiedere una condanna ma bisogna esporre anche le ragioni della domanda. In
pratica occorre fornire una causa pretendi (ragione del chiedere). Dare gli “elementi di diritto” significa che
bisogna individuare la norma giuridica da cui si afferma l’esistenza del diritto preteso. Dopo l’esposizione
dei fatti è indispensabile trarre delle conclusioni in quanto la citazione si compone di una parte espositiva ed
una parte pretensiva in cui vi sono le pretese dell’attore;
5. “l’indicazione specifica dei mezzi di prova dei quali l’attore intende avvalersi e in particolare dei
documenti che offre in comunicazione”. La prova è la rappresentazione di un fatto. Chi agisce in giudizio
non può limitarsi ad affermare, ma deve anche dimostrare la verità di quanto raccontato. L’art. 115 c.p.c.
afferma che il giudice deve porre a fondamento della sua decisione, le prove proposte dalle parti. Quindi
grava sulle parti l’onere della prova per convincere il giudice;
6. “il nome, il cognome del procuratore e l’indicazione della procura qualora essa sia stata già rilasciata”.
Esso è un elemento essenziale perché la citazione impegna l’attore ma è atto del procuratore dell’attore
(avvocato). Oltre al nome ed al cognome dell’attore, deve essere indicata anche la procura. Ciò è necessario
quando la procura sia stata già rilasciata. Tuttavia il rilascio della procura può avvenire anche dopo la
notificazione della citazione. Questa possibilità è ammessa dall’art .125 c.p.c. secondo cui la procura può
essere rilasciata dopo la notificazione dell’atto ma prima della costituzione della parte rappresentata. In
pratica la notificazione della citazione può avvenire anche senza procura ma bisogna indicare la procura che
arriverà in un secondo momento. Infatti le parti si costituiscono quando depositano la notifica dell’atto di
citazione presso la cancelleria del Tribunale. Tra il la notifica e la costituzione delle parti (deposito in
cancelleria) possono intercorrere massimo 10 gg e, durante questi 10 gg, si deve conferire la procura;
7. “il giorno dell’udienza di comparizione, l’invito del convenuto a costituirsi entro 20 gg prima
dell’udienza, a comparire davanti ad un giudice”. Non basta che la citazione contenga i nomi delle parti, il
tribunale e l’oggetto, ma deve anche fissare il giorno dell’udienza di comparizione ed invitare il convenuto a
presentarsi all’udienza. La data dell’udienza deve essere fissata dall’attore ed il convenuto è tenuto a
presentarsi alla data fissata. Il convenuto è tenuto a costituirsi entro 20 gg prima della data dell’udienza
fissata. Nel momento in cui viene redatta la citazione non si sa ancora chi sarà il giudice.
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Procedura Civile 6. Il ricorso
Il ricorso, a differenza dell’atto di citazione, è una atto che apre direttamente ed immediatamente il rapporto
con l’organo in quanto questo non viene trasmesso prima al convenuto e non stabilisce unilateralmente la
data d’udienza, né invita qualcuno a presentarsi in giudizi. Il ricorso spiega le ragioni del ricorrente e
domanda un provvedimento di tutela e chiede al giudice di fissare la data dell’udienza. Così il giudice
provvedere a stabilire la data dell’udienza con un proprio decreto che verrà notificato assieme al ricorso
presso il convenuto entro un certo termine.
Ovviamente il ricorso deve contenere l’indicazione delle parti in quanto sarà necessario individuare le parti.
Poi questo sarà trasmesso dalla cancelleria del Tribunale al giudice designato che stabilirà la data
dell’udienza tramite un particolare provvedimento che è il decreto. Infine, il ricorso ed il decreto danno vita
ad un unico atto che sarà notificato al convenuto che, dal momento della notifica, sarà in condizione di
potersi difendere.
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Procedura Civile 7. Disegno generale del sistema delle notificazioni
LA NOZIONE DI NOTIFICA
Il meccanismo della notificazione riguarda esclusivamente gli atti processuali anche se comunque esistono
atti di natura non processuali che devono o possono essere notificati (atto stragiudiziali che il creditore
notifica al debitore per interrompere la prescrizione.
InnaZzitutto occorre fare alcune distinzioni tra:
-nozione di notificazione (art. 137 c.p.c.): ha ad oggetto un atto e, più specificamente, è la consegna al
destinatario della copia conforme di un atto documentale (originario). È un atto proprio dell’ufficiale
giudiziario. L’art. 137 c.p.c. afferma che le notificazioni sono eseguite dall’ufficiale giudiziario su istanza di
parte o su richiesta del p.m. o del cancelliere. In generale, quest’articolo stabilisce che l’ufficiale giudiziario
esegue la notificazione consegnando al destinatario una copia conforme all’originale dell’atto da notificare.
Elemento essenziale della notificazione è la “relazione di notificazione” cioè la certificazione dell’avvenuta
notificazione eseguita da parte dell’ufficiale giudiziario tramite relazione da lui datata e sottoscritta. Tale
relazione indica la persona alla quale è consegnata la copia e le sue qualità, nonché il luogo della consegna o
i motivi della mancata consegna e le notizie raccolte sulla reperibilità del destinatario (art. 148 c.p.c.);
-nozione di comunicazione (art. 136 c.p.c.): ha ad oggetto la notizia di un fatto, di un atto, di un ordine, di
una richiesta, di un provvedimento del giudice). È un atto proprio del cancelliere ed è attuata tramite il c.d.
“biglietto di cancelleria” che rappresenta il veicolo delle comunicazioni prescritte dalla legge. Il biglietto è
consegnato dal cancelliere al destinatario o può essere rimesso all’ufficiale giudiziario (in quest’ultimo caso
comunicazione e notificazione vengono a sommarsi.
LA NOTIFICA A MEZZO DI SERVIZIO POSTALE
Oltre alla notificazione direttamente compiuta dall’ufficiale giudiziario, la legge prevede la forma di
notificazione “a mezzo del servizio postale”. In questo caso la notifica si perfeziona per il soggetto
notificante momento della consegna del plico all’ufficiale giudiziario, mentre per il destinatario al momento
in cui lo stesso ha la conoscenza legale dell’atto (art. 149 c.p.c.). L’ufficiale giudiziario può ricorrere a
questo mezzo quando deve eseguire una notifica al di fuori del comune dove ha sede l’ufficio. Sulla
relazione di notificazione, l’ufficiale giudiziario dovrà scrivere le generalità dell’ufficio postale per mezzo
del quale spedisce la copia al destinatario.
NOTIFICHE NON COMPIUTE DALL’UFFICIALE GIUDIZIARIO. NOTIFICHE NEL RITO
SOCIETARIO
L’ordinamento processuale permette agli avvocati stessi di eseguire direttamente a notificazione senza
ricorrere all’ufficiale giudiziario. A tal proposito, la l. 53/94 concede agli avvocati muniti di procura alle liti,
la facoltà di eseguire la notifica in materia civile, amministrativa e stragiudiziale, e di eseguire direttamente
la notifica agli avvocati. Tuttavia questa facoltà non è stata utilizzata vista la lentezza del sistema giudiziario
e l’onere a carico dell’avvocato di premunirsi di autorizzazioni preventive.
Forme semplificate di notifiche tra gli avvocati sono quelle introdotte dal d.lgs 5/2003.
La nuova disciplina del processo societario ha introdotto nuove forme di notificazione: a mezzo fax, per
posta elettronica, scambio diretto tra difensori.
Queste forme di notifica riguardano tutta la materia societaria e riguardano solo le notifiche alle parti
costituite e, di conseguenza, sono atti rivolti esclusivamente ai procuratori delle controparti (avvocati).
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Procedura Civile Questo sistema di trasmissione degli atti giudiziari è stato poi esteso a tutti il processo di cognizione.
LA NOTIFICA “IN MANI PROPRIE” E LA NOTIFICA PRESSO RESIDENZA, DIMORA, DOMICILIO
La prima forma di notifica prevista dal codice è la “notificazione in mani proprie”. In pratica si tratta della
consegna personale e materiale della copia dell’atto al destinatario.
Tutta via è possibile che il destinatario si rifiuti di ricevere la copia dell’atto o non è reperibile.
Se la notificazione in mani proprie non è possibile ma è noti uno dei luoghi di residenza, dimora, o domicilio
del destinatario della notifica, la stessa notifica dovrà esser fatta nel comune di residenza del destinatario
ricercandolo nella casa di abitazione o dove ha l’ufficio o esercita l’industria o il commercio. Se il comune
di residenza non è noto, la notificazione viene fatta nel comune di dimora e, se anche questa è ignota, nel
comune di domicilio.
Ovviamente, se il destinatario non può essere trovato in alcuno di questi luoghi, l’ufficiale giudiziario
consegnerà la copia dell’atto ad una persona di famiglia, o addetta alla casa, all’ufficio o all’azienda, purché
non minore di 14 anni o non palesemente incapace. In mancanza di tali persone, l’ufficiale giudiziario
consegnerà la copia al portiere o, in mancanza, ad un vicino di casa che accetti di riceverla. In ogni caso il
ricevente sottoscriveranno una ricevuta all’ufficiale giudiziario che darà notizia al destinatario dell’avvenuta
notificazione dell’atto.
LE PROCEDURE SOSTITUTIVE IN CASO DI IRREPERIBILITA’ O DI IGNORANZA
DELL’INDIRIZZO
In caso di impossibilità di eseguire la consegna per l’irreperibilità o incapacità o rifiuto delle persone
indicate dall’art. 139 c.p.c., l’art. 140 c.p.c. prevede che la notifica si compia attraverso una procedura
sostitutiva della consegna. Questa procedura si scompone in tra atti. In particolare, l’ufficiale giudiziario:
-deposita la copia nella casa comunale dove la notifica deve eseguirsi;
-affigge l’avviso del deposito in comune alla porta dell’abitazione o dell’ufficio del destinatario;
-infine dà notizia al destinatario.
Una differente procedura è prevista dall’art. 143 c.p.c. per il caso in cui la residenza, il domicilio o la dimora
del destinatario risultino sconosciuti. Secondo questa procedura, la notificazione è eseguita dall’ufficiale
giudiziario mediante semplice deposito della copia nella casa comunale dell’ultima residenza del
destinatario. Se l’ultima residenza è ignota, il deposito avviene presso il comune del luogo di nascita del
destinatario. Tuttavia può accadere che anche quest’ultimo sia ignoto: in questo caso l’ufficiale giudiziario
deve consegnare la copia dell’atto al pubblico ministero.
LA SCISSIONE TEMPORALE DEGLI EFFETTI DELLA NOTIFICA
Dal “fenomeno” della notificazione discendono alcuni effetti.
Quanto agli effetti a favore del soggetto notificante (ufficiale giudiziario), tali effetti si producono ne
momento in cui l’atto viene consegnato all’ufficiale giudiziario. Quindi gli effetti circa l’eventuale ritardo
nella notificazione, non si rifletteranno sul notificante. Per comprendere meglio il concetto è utile portare un
esempio: un atto deve essere notificato all’ingiunto entro 60 gg dalla pronuncia del giudice; se l’atto viene
consegnato all’ufficiale giudiziario il 59mo giorno, i 60 gg verranno calcolato dalla notifica al debitore da
parte dell’ufficiale giudiziario.
Alessandro Remigio Sezione Appunti
Procedura Civile 8. Notificazione: a Persone Giuridiche / presso il Domicilio Eletto /
alle Amministrazioni dello Stato
Agli enti (persone giuridiche ed associazioni non aventi personalità giuridica), la notificazione si esegue
nella loro sede mediante consegna di copia dell’atto al rappresentante o alla persona incaricata di ricevere le
notificazioni o, in mancanza, ad altra persona addetta alla sede.
La notificazione al domicilio eletto presso una persona o un ufficio può esser fatta mediante consegna di
copia alla persona o al capo dell’ufficio in qualità di domiciliatario, nel luogo indicato nell’elezione. A
norma dell’art. 138 c.p.c., la consegna nelle mani della persona o del capo dell’ufficio presso il quale si è
eletto il domicilio, equivale a consegna nelle mani proprie del destinatario.
Per la notificazione alle amministrazioni dello Stato la legge processuale stabilisce che la notificazione deve
avvenire presso l’avvocatura dello Stato nel cui distretto ha sede l’autorità giudiziaria innanzi alla quale è
portata la causa.
NOTIFICAZIONI FUORI DEL TERRITORIO ITALIANO
Per la notificazione a persona non residente, né dimorante, né domiciliata nella Repubblica bisogna
distinguere:
-se la notifica deve avvenire in uno Stato non membro dell’UE, essa si esegue nei modi consentiti dalle
convenzioni internazionali. In mancanza di convenzioni l’atto è notificato mediante spedizione al
destinatario per mezzo posta raccomandata e mediante consegna della copia al p.m. che la trasmetterà al
Ministero degli affari esteri per la consegna alla persona alla quale è diretta;
-se la notifica deve avvenire in uno Stato membro dell’UE, essa si esegue secondo la procedura del
Regolamento CE 1348/2000.
LA NULLITA’ DELLA NOTIFICA
L’art. 160 c.p.c. è dedicato alla nullità della notifica. La notifica è nulla:
-se non sono osservate le disposizioni circa la persona alla quale deve essere consegnata la copia
-se vi è incertezza assoluta sulla persona a cui è stata fatta o sulla data.
La nullità della notifica non può essere pronunciata quando l’atto ha raggiunto il suo scopo, né può essere
opposta dalla parte che ha dato causa, né da quella che ha rinunciato.
Tuttavia, quando possibile, il giudice deve rinnovare la notifica nulla con effetti di norma retroattivi.
LA NOTIFICAZIONE PER PUBBLICI PROCLAMI
Quando la notificazione nei modi ordinari appare difficile per il numero di destinatari o per la difficoltà di
identificarli tutti, il capo dell’ufficio giudiziario può autorizzare la notificazione per pubblici reclami. Questo
meccanismo viene “azionato” dal presidente del tribunale o dal presidente della Corte d’appello, il quale
rilascia l’autorizzazione tramite decreto.
Quindi, tale forma di notificazione è rimessa all’organo giudiziario che la autorizza. Esempi tipici sono la
pubblicazione su testate giornalistiche e nella Gazzetta Ufficiale.
LE FORME SPECIALI DI NOTIFICAZIONE ORDINATE DAL GIUDICE
Le forme di notificazione previste dalla legge possono essere sostituite da forme stabilite d’ufficio dal
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Procedura Civile giudice, il quale può prescrivere che la notificazione venga eseguita in modo diverso da quello stabilito dalla
legge viste circostanze particolari o esigenze di maggiore celerità, riservatezza o di tutela della dignità (art.
151 c.p.c.) (ad esempio per i provvedimenti cautelari).
LE FORME DEI PROVVEDIMENTI DEL GIUDICE
Come già visto, la “cosa oggetto della domanda” è la richiesta di provvedimento idoneo a tutelare l’attore.
Quindi ora occorre capire cosa è consentito chiedere quali provvedimenti può adottare il giudice.
LE FORME DEI PROVVEDIMENTI DEL GIUDICE
L’art. 131 c.p.c. prescrive 3 forme di provvedimenti del giudice. In particolare la legge prescrive in quali
casi il giudice pronuncia sentenza, ordinanza o decreto.
La regola generale è quella per cui la legge stabilisce quale tipi di provvedimento adottare. Tuttavia, se la
legge non precisa quale provvedimento adottare, spetta la giudice valutare la forma di provvedimento più
adatta per raggiungere lo scopo dell’atto.
La sentenza è il primo dei provvedimenti disciplinati dalla legge perché è il classico provvedimento
nell’ambito della tutela giurisdizionale.
Essa è l’atto più solenne del processo. È pronunciata nel nome del popolo italiano e reca l’intestazione
“Repubblica italiana”.
Essa deve contenere alcuni requisiti:
- indicazione del giudice;
- indicazione delle parti,
- indicazione delle conclusioni;
- indicazione dell’esposizione dello svolgimento del processo e dei motivi in fatto e in diritto;
- il dispositivo;
- la data della deliberazione e sottoscrizione del giudice.
Il decreto è una forma di provvedimento reso anche senza l’instaurazione del contraddittorio e può essere
pronunciato d’ufficio o su istanza di una parte. Il decreto non è motivato salvo che la motivazione sia
prescritta dalla legge.
L’ordinanza è la forma dei provvedimenti resi durante il corso del processo e serve per risolvere
autoritativamente questioni di procedura.
Le forme dell’ordinanza e del decreto sono due forme di provvedimenti minori che sono interscambiabili tra
loro ma non con la sentenza. Essi sono atti mediante i quali il giudice pronuncia sul processo o dirige gli
svolgimenti del processo stesso. Essi hanno funzione più coordinatoria che decisoria.
La tipologia delle sentenze in base al loro contenuto. Dal punto di vista del contenuto, le sentenze di
accoglimento della domanda si distinguono in tre categorie:
1. sentenze di accertamento (sentenze dichiarative): sono sentenze che dichiarano l’esistenza del diritto
invocato e che la pretesa dell’attore è conforme alla legge e, di conseguenza, ci sono degli obblighi che
gravano sul convenuto. Un esempio di sentenza di accertamento è quella con cui il giudice accoglie l’azione
di accertamento della servitù a favore del proprietario del fondo contro chi contesta il possesso della servitù.
(se io ritengo di esser titolare di una servitù di passaggio sul fondo del mio vicino e questi mi contesta che
tale servitù sussista, l’art. 1079 cc mi dà il diritto ed il potere di rivolgermi al giudice e di chiedere che
contro il vicino proprietario autore della contestazione sia pronunciata sentenza che accerti l’esistenza del
diritto di servitù). Così il diritto prima contestato, non può essere più contestato dal convenuto;
2. sentenza di condanna: al contenuto di accertamento può aggiungersi qualcosa. Questo qualcosa è
rappresentato dalla richiesta di condanna nel fare, dare, non fare qualcosa oltre alla pretesa dell’attore
titolare di un diritto dell’accertamento di tale diritto. (azione di rivendicazione: il proprietario non possessore
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Procedura Civile può chiedere l’accertamento del suo diritto ed inoltre può chiedere la condanna del possessore a restituire la
cosa). La condanna serve a “sfondare” le difese del convenuto che potrebbe non adeguarsi al semplice
accertamento;
3. sentenza costitutiva: per capire il concetto è utile fornire un esempio: “il proprietario che è circondato dal
fondo altrui e non ha uscita sulla via pubblica, ha diritto di ottenere il passaggio sul fondo vicino per il
conveniente uso del fondo”. Se qui vi fosse l’accordo tra le parti, il problema non creerebbe. Ma se le parti
non si accordassero, negando il diritto di passare nel fondo, la legge concede il diritto di pretendere il
passaggio sul fondo per ottenere dal giudice il diritto di passaggio su quel fondo. Quindi questa sentenza
costituisce il diritto di passaggio ma, fino al momento dell’emanazione della sentenza, il diritto non si
costituisce. Come per le sentenze di accertamento, anche per le sentenza costitutive può essere chiesta
l’ulteriore condanna. (azione di risoluzione del contratto: posso chiedere al giudice la risoluzione del
contratto a prestazioni corrispettive in quanto la controparte è inadempiente; la nuova situazione è
rappresentata dall’estinzione del contratto; fino al momento della sentenza, il rapporto esiste ancora; così
accanto alla sentenza costitutiva, può essere chiesta anche la condanna della controparte che è tenuta a
restituirmi sia la mia prestazione, sia la sua prestazione.
La condanna è spesso intesa come un ordine, un comando, ma nel linguaggio giuridico si configura come
una particolare garanzia data al diritto del vincitore rispetto alla prestazione dell’obbligato. La prestazione di
cui si discorre è rappresentata da un pagare, nell’ambito dei rapporti economici, ma anche un consegnare o
rilasciare determinati beni. Tali prestazioni possono avere ad oggetto un fare (compimento di una data
attività), di un non fare (astensione dal compiere una determinata attività), un disfare (eliminare un qualcosa
fatta in violazione di un obbligo negativo di astensione).
La sentenza di condanna, dopo riforma entrata in vigore nel 1993, hanno valore esecutivo. La cosa è molto
importante in quanto, prima della riforma, avevano valore di titolo esecutivo solo le sentenze d’appello.
La capacità di agire e resistere in giudizio.
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Procedura Civile 9. La rappresentanza
Per la legge processuale è necessario esser capaci. Come si distingue una capacità giuridica da una capacità
di agire, si distingue anche una capacità di esser parte, da una capacità di agire in giudizio.
La capacità di esser parte è la possibilità di esser diretti destinatari degli effetti delle sentenze di merito; si
tratta di una capacità di ordine generale che corrisponde alla capacità giuridica. La capacità giuridica in linea
generale ce l’hanno tutti i soggetti dell’ordinamento.
Questo si riflette sul processo, nel senso che tutti i cittadini italiani, ma anche stranieri e apolidi, hanno la
capacità giuridica generale che si trasforma in capacità di essere parti del processo. Anche le società prive di
personalità giuridica hanno una rilevanza nell’ordinamento.
Differente da questa capacità di ordine generale che hanno tutti è la capacità di agire in giudizio. Questa
capacità di agire in giudizio corrisponde alla capacità di agire del diritto sostanziale. Non tutti hanno la
capacità di agire, non tutti hanno la capacità di compiere atti che hanno effetti giuridicamente rilevanti.
L’art 75 dice “Sono capaci di stare in giudizio le persone che hanno il libero esercizio dei diritti che vi fanno
valere”. Quando la persona fisica che è capace di essere parte non ha anche questa capacità processuale di
stare materialmente in giudizio, la legge prevede che sia rappresentata da un’altra persona fisica. L’esercizio
della rappresentanza da parte di questa altra persona fisica integra la capacità di agire mancante. Il secondo
comma dell’art 75 dice: “Le persone che non hanno il libero esercizio dei diritti non possono stare in
giudizio se non rappresentate, assistite o autorizzate secondo le norme che regolano la loro capacità”.
La capacità mancante viene surrogata da forme predeterminate dalla legge di rappresentanza legale.
Per quanto riguarda la rappresentanza volontaria qui passiamo al problema della rappresentanza conferita,
dalla volontà di un soggetto capace, ad un altro soggetto (rappresentante) per agire in nome e per conto del
primo (rappresentato): si apre pertanto il problema se la persona possa delegare ad altri la sua
rappresentanza in giudizio.
Quindi rappresentare una persona in giudizio significa che gli atti del processo saranno compiuti dal
rappresentante ma gli effetti del processo si ripercuoteranno nella sfera non del rappresentante ma del
rappresentato.
Al potere di rappresentanza sostanziale non corrisponde a priori il potere di rappresentanza processuale.
Il procuratore generale (cioè chi ha la possibilità di agire per tutti gli affari del proponente in base a una
procura generale) e il procuratore speciale (cioè chi è preposto al compimento di atti specifici) non hanno a
priori anche la relativa rappresentanza processuale. Tale rappresentanza in giudizio deve essere stata
conferita specificamente per iscritto, e non si presume tranne che per gli altri urgenti e le misure cautelari.
Il potere generale di agire in giudizio indipendentemente dal conferimento della rappresentanza processuale
ce l’ha invece il procuratore generale di chi non ha residenza o domicilio nella Repubblica. Questo
procuratore generale può agire processualmente ovvero essere ritualmente convenuto in giudizio perchè qui
la rappresentanza processuale è insita nel conferimento della procura generale sostanziale.
Rappresentanza generale ha sempre anche l’institore, cioè il preposto all’impresa.
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Procedura Civile 10. La pendenza del processo
Al perfezionarsi della notificazione al convenuto, il processo inizia a “pendere”: per tutti i processi che
iniziano con la citazione, il momento del perfezionamento della notificazione è il momento della creazione
della litisdipendenza. L’art 39 indica che la notificazione della citazione determina la pendenza della lite
(ovvero del processo).
Il fatto che il processo penda comporta:
- che le parti della controversia diventano parti del processo e diventano quindi titolari di diritto ed obblighi
particolari;
- che il diritto oggetto di controversia (c.d. diritto controverso) è disciplina transitoria e strumentale rispetto
alla decisione su di esso.
Possiamo considerare la litisdipendenza il primo degli effetti della proposizione della domanda effettuata
attraverso la notificazione della citazione. Il fenomeno della litisdipendenza comporta una regola che sulla
stessa domanda tra le stesse parti, non può esservi più di un processo, o non può esservi più di un rapporto
processuale.
Il giudice che verifica che la stessa domanda è stata già proposta di fronte ad un altro giudice deve quindi
astenersi dal decidere.
Sulla stessa domanda è quindi ammesso che penda uno ed un solo processo.
Dalla proposizione della domanda discendono vari effetti che si ricollegano a un principio fondamentale
dell’ordinamento processuale secondo cui la durata del processo non deve andare a scapito della parte che
ha ragione.
L’ordinamento processuale realizza questo principio in vario modo. Ad es. lo realizza con le norme sulla
condanna alle spese ma lo realizza anche incidendo sulla prescrizione del diritto, e dettando una disciplina
particolare degli atti di disposizione del diritto controverso.
Guardiamo uno per uno questi effetti cosi importanti.
Effetti sulla prescrizione.
(quasi) Tutti i diritti si prescrivono per il non uso prolungato nel tempo. La prescrizione è però interrotta
(oltre che da altri eventi) della proposizione della domanda giudiziale.
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Procedura Civile 11. Art 2943 primo comma
La domanda giudiziale (la notificazione della citazione) interrompe la prescrizione. Parlando di interruzione
della prescrizione, intendiamo il fenomeno per cui l’atto interruttivo blocca il decorso del tempo, che
ricomincia da capo dal momento dell’interruzione: “Per effetto della interruzione s’inizia un nuovo periodo
di prescrizione.” Se io ho un diritto di credito che si prescrive, per es, in 5 anni, ciò vuol dire che, di fronte
all’inadempimento del debitore, sono tenuto ad adire il giudice nel corso dei 5 anni. Se agisco dopo i 5 anni
mi vedrò eccepita la prescrizione, ma, agendo tempestivamente, vanificherò il decorso del termine originario
e darò luogo ad un nuovo termine di prescrizione.
Il codice civile completa la disciplina aggiungendo un’altra norma fondamentale: l’art 2945 comma secondo
aggiunge all’effetto c.d. “interruttivo” della domanda introduttiva del giudizio anche un effetto di
sospensione della prescrizione: “ Se l’interruzione è avvenuta mediante uno degli atti indicati dal primo
comma dell’articolo 2943, la prescrizione non corre fino al momento in cui passa ingiudicata la sentenza che
definisce il giudizio”. Non che la domanda abbia interrotto la prescrizione, ma è necessario anche che la
prescrizione non riprenda subito a correre.
Gli effetti da considerare sono quindi due: uno è l’effetto strettamente interruttivo, l’altro è l’effetto
sospensivo o l’effetto interruttivo permanente che fa si che la prescrizione ricominci a corre dal passaggio
ingiudicato della sentenza di merito che accoglie la domanda.
Anatocismo
Un altro effetto collegato alla proposizione della domanda giudiziale è la produzione del cd. Anatocismo
(interesse composto o interessi sugli interessi). L’istituto è previsto dall’art 1283 c.c. dice che gli interessi
scaduti normalmente non producono interesse, ma “gli interessi scaduti possono produrre interessi solo dal
giorno della domanda giudiziale”.
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Procedura Civile 12. Inefficacia della disposizione del diritto controverso
L’altro effetto è l’inefficacia, in corso di causa, degli atti di disposizione del diritto controverso. Prodottasi la
litispendenza, il diritto fatto valere non è più disponibile, nè alienabile negli stessi termini in cui lo era
prima, secondo la disciplina generale della circolazione dei diritti. Esso viene sottoposto ad una sorta di
disciplina speciale che non impedisce di disporne, ma rende inopponibile l’eventuale disposizione a chi sarà
riconosciuto in sentenza quale legittimo titolare del diritto.
Art. 111 primo comma c.p.c.
“Se nel corso del processo si trasferisce il diritto controverso per atto tra vivi a titolo particolare, il processo
prosegue tra le parti originarie”.
Di fronte al trasferimento del diritto controverso da parte del convenuto, la sentenza che riconosce la
titolarità dell’attore, permetterà a questi di recuperare il bene anche nei confronti del terzo acquirente.
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Procedura Civile 13. Competenza e giurisdizione nella dinamica del procedimento
Determinare la competenza significa individuare il giudice a cui spetta trattare la controversia e
legittimamente deciderne. Occorre di volta in volta determinare il tipo di organo abilitato a decidere la
controversia; una volta determinato questo, occorre poi individuare quale dei tanti organi distribuiti sul
territorio va concretamente investito della trattazione della controversia.
Le regole di competenza svolgono la funzione di garantire la predeterminazione del giudice.
Il potere di esercitare la giurisdizione civile è in vario modo distribuito tra tutti gli organi investiti di tale
potere secondo tre fondamentali criteri di determinazione della competenza:
- il criterio della materia;
- il criterio del valore
- il criterio del territorio.
Competenza per materia
Con il criterio della materia, l’organo giudicante viene individuato in relazione al tipo di controversia
sottoposta a giudizio, cioè al rapporto giuridico che viene concretamente dedotto. Per le cause “relative alla
misura ed alla modalità d’uso dei servizi di condominio di case” è esclusivamente competente il giudice di
pace: la richiesta di accertamento di una misura d’uso del servizio di condominio non dà luogo a calcoli di
valore e resta sempre e comunque competente il giudice di pace. Lo stesso si deve dire per le cause relative a
rapporti tra proprietari di immobili adibiti ad abitazione in materia di immissioni di fumo o calore,
esalazioni, rumori, scuotimenti e simili propagazioni che superino la normale tollerabilità.
Il tribunale è competente per materia quanto alle cause “relative allo stato e alla capacità delle persone e ai
diritti onorifici, per la querela di falso, per l’esecuzione forzata”.
Al tribunale sono state poi trasferite le competenze per materia già del pretore: esso ha quindi competenza
esclusiva sulle cause di lavoro e di previdenza sulle cause di locazione e di comodato di immobili sulle
azioni possessorie sulle controversie.
Competenza per valore
La determinazione della competenza per materia presuppone una specifica previsione in tal senso da parte
della legge. In mancanza di previsioni relative alla materia, la competenza va determinata impiegando il
criterio del valore della causa.
Così al giudice di pace è attribuita competenza per le cause relative a beni mobili di valore non superiore a €
2582,28. Sulle cause di valore superiore è competente il tribunale.
Il tribunale è altresì competente sulle cause “di valore indeterminabile”, cioè su quelle cause che non
consentono una effettiva e diretta applicazione del parametro monetario perchè insuscettibili di immediata
quantificazione pecunaria.
Un caso peculiare di “competenza mista”, cioè di combinazione di una competenza per materia e di
competenza per valore è quello dell’art 7co2 cui il giudice di pace è competente “per le cause di
risarcimento del danno prodotto dalla circolazione di veicoli e di natanti, purchè il valore della controversia
non superi € 15493,71. Il potere del giudice di pace di trattare e decidere la causa è attribuito secondo il
criterio della materia, ma la competenza cosi determinata non è assoluta, bensì limitata.
Per la determinazione del valore della causa ai fini della competenza la regola fondamentale è che il valore,
agli effetti della determinazione della competenza, si determina dalla domanda. La domanda va considerata
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Procedura Civile nel suo obiettivo petitum, senza alcuna preventiva indagine sulla sua fondatezza.
L’art 14 detta i criteri per la valutazione delle cause “relative a somme di denaro e di quelle relative a beni
mobili”: la competenza si determina in base alla somma indicata in domanda, o al valore del bene mobile
dichiarato dall’attore.
Occorre distinguere le cause relative a somme di denaro da quelle relative a beni mobili.
Per le prime, se l’attore indica il valore della somma non rileva l’eventuale contestazione di tale valore da
parte del convenuto: la questione del valore indicato nella domanda rileva sia ai fini della competenza, sia ai
fini del merito.
Diversamente per le cause relative a beni mobili. La determinazione del valore incide solo sulla competenza,
non anche sul merito: se ad esempio chiedo la restituzione di un violino, il mio diritto alla restituzione
sussiste sia se si tratta di uno Stradivarius appartenuto a Paganini stimato 1 milione d euro, sia se esso non è
altro che un comunissimo violino di infimo valore.
La legge fissa poi numerosi altri criteri di determinazione della competenza per valore. Cosi, in caso di
richiesta da parte di + soggetti, o contro più soggetti, dell’adempimento per quote di un’obbligazione, il
valore della causa si determina dall’intera obbligazione.
Il valore delle controversie per divisione si determina calcolando il valore della massa attiva da dividersi.
Per la determinazione della competenza sulle controversie immobiliari l’art 15 sembra imporre un calcolo
convenzionale sulla base del valore catastale dell’immobile.
Parlando di cause relative ai beni immobili ci si riferisce alle cause in cui oggetto dell’accertamento sono
diritti reali su immobili: la competenza relativa ai diritti personali al godimento di immobili è determinata
infatti tenendo conto del titolo del rapporto, con applicazione dell’art 12 co1, sicchè si potrebbe talora avere
una competenza del giudice di pace.
Competenza per territorio
Veniamo ora alla competenza per territorio (foro della causa).
Ci sono da un lato i c.d. fori generali, dall’altro, i c.d. fori speciali. I primo sono quelli che – in mancanza di
disposizione contraria – sono determinati in funzione di un criterio di localizzazione del convenuto,
indipendentemente dal tipo di controversia sottoposta a giudizio. I secondi sono invece riservati dalla legge
alla trattazione di specifiche controversie.
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Procedura Civile 14. I fori generali e fori speciali
I fori generali sono quello delle persone fisiche e quello delle persone giuridiche. Art 18: “è competente il
giudice del luogo in cui il convenuto ha la residenza o il domicilio, e, se questi sono sconosciuti, quello del
luogo in cui il convenuto ha la dimore; se il convenuto non ha la residenza, nè domicilio, nè dimora nello
Stato o se la dimora è sconosciuta, è competente il giudice del luogo in cui risiede l’attore”.
Il foro generale delle persone giuridiche e delle associazioni non riconosciute è determinato dall’art 19 che
dispone che “ qualora sia convenuta una persona giuridica, è competente il giudice del luogo dove essa ha la
sede. E’ competente altresì il giudice del luogo dove la persona giuridica ha uno stabilimento o un
rappresentante autorizzato a stare in giudizio per l’oggetto della domanda”.
I fori speciali
Fori speciali sono i fori determinati in funzione del tipo di controversia sottoposta a giudizio. Così per le
cause relative a diritti di obbligazione, l’art 20 attribuisce competenza al “giudice del luogo in cui è sorta o
deve eseguirsi l’obbligazione dedotta in giudizio”. L’art 22, per le cause ereditarie, attribuisce competenza al
giudice del luogo dell’aperta successione. Per le azioni possessorie è competente il tribunale del luogo in cui
è avvenuto il fatto denunciato. Fori ad hoc sono poi determinati per le cause tra soci e tra condomini.
I fori speciali vengono distinti in fori speciali facoltativi e fori speciali esclusivi.
I fori facoltativi sono detti tali perchè la loro scelta è lasciata alla volontà dell’attore. Il caso esemplare è
quello dell’art 20 che consente all’attore di decidere se chiamare il convenuto davanti al suo foro generale,
ovvero davanti “al giudice del luogo in cui è sorta o deve eseguirsi l’obbligazione dedotta in giudizio”.
I fori esclusivi impongono invece all’attore di agire nello specifico foro determinato in funzione del tipo di
causa, senza possibilità quindi di far ricorso al foro generale.
Sono fori esclusivi i fori che la legge determina:
- per le cause relative a diritti reali
- ad azioni possessorie
- ereditarie
- tra soci e condomini
- relative alle gestioni tutelari e patrimoniali
- nelle quali è parte una amministrazione dello Stato
per il procedimento di esecuzione forzata
per le cause di opposizione all’esecuzione.
C’è una distinzione da fare anche per foro derogabile e foro inderogabile.
Per derogabilità di un foro si intende infatti la possibilità che le parti si accordino per sottoporre una
determinata controversia alla competenza di un dato giudice, anche se si tratti di giudice che, a norma di
legge, non sarebbe competente.
La distinzione tra foro facoltativo e foro esclusivo non va confusa con la distinzione tra foro derogabile e
foro inderogabile. La prima distinzione attiene al potere o meno dell’attore di scegliere tra più fori; la
seconda distinzione si riferisce alla possibilità o meno che attore e convenuto prevedano in via contrattuale
una deroga alla disciplina legale della competenza.
In conclusione la competenza per valore e la competenza per materia non sono derogabili dalla concorde
volontà della parti, mentre la competenza per territorio è di per se derogabile, ma si danno casi in cui la
legge ne sancisce l’inderogabilità.
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Procedura Civile L’art 28 dichiara assolutamente inderogabili i fori stabiliti per:
- cause relativi a casi di intervento obbligatorio in causa del pubblico ministero
- il procedimento di esecuzione forzata (e opposizione della stessa)
- i procedimenti cautelari
- i procedimenti possessori
- i procedimenti c.d. di camera di consiglio
- altri casi disposti espressamente dalla legge.
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Procedura Civile 15. La rilevazione dell’incompetenza
La rilevazione dell’incompetenza incontra limiti temporali abbastanza marcati.
Ai sensi dell’art 38, l’incompetenza per materia, quella per valore e quella per territorio nei casi previsti
dall’art 28, possono essere rilevate non oltre la prima udienza; nel rito del lavoro si tratterà dell’udienza di
discussione di cui all’art 420. La parte convenuta e il giudice dovranno rilevare tale eccezione entro questo
limite temporale a pena di preclusione.
L’incompetenza per territorio in caso di foro derogabile è invece riservata alla parte e va eccepita a pena di
decadenza nella comparsa di risposta.
Le questioni sollevate con l’eccezione di incompetenza sono decise “in base a quello che risulta dagli atti e,
quando sia reso necessario dall’eccezione del convenuto o dal rilievo del giudice, assunte sommarie
informazioni”.
Esse sono decise inoltre “ai soli fini della competenza”: si tratta cioè di una decisione sommaria che non può
pregiudicare il merito della controversia.
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Procedura Civile