Impugnazioni in senso stretto e gravami
Occorre distinguere tra 2 tipi generali di impugnazione.
Nel primo tipo – c.d. “impugnazioni in senso stretto”- l’ambito cognitivo del giudice dell’impugnazione è limitato ai vizi della sentenza e, più in generale, agli errori del giudice del grado precedente. Si tratta di impugnazioni che si risolvono sostanzialmente nel controllo della correttezza del giudizio operato in sentenza, ovvero della ritualità del procedimento che ha condotto alla sentenza.
A questo genere di impugnazioni appartiene il ricorso per cassazione.
Altre impugNazioni – dette “gravami” (gravame è l’appello che da questo punto di vista si contrappone in maniera netta al ricorso per cassazione)- possono essere utilizzare per riportare alla cognizione del giudice dell’impugnazione il merito complessivo della controversia. In questo caso, al giudice dell’impugnazione non si chiede tanto di giudicare di specifici errori del giudice del grado precedente, ma piuttosto di decidere una seconda volta della controversia.
Quindi, il linea generale, l’appello va considerato quale mezzo di impugnazione che funge da sorta di prosecuzione del primo grado detto graveme, distinguendosi dalla impugnazione in senso stretto che è il mezzo attraverso cui, attraverso specifici motivi di censura, si lamentano specifici vizi della sentenza impugnata e del procedimento che ha preceduto la sentenza.
LE IMPUGNAZIONI INCIDENTALI
Per poter pensare ad una pluralità di impugnazioni contro la stessa sentenza occorre immaginare una pluralità di soccombenti perché non è possibile che un solo soccombente possa impugnare la sentenza in tempo diversi.
Immaginiamo che l’attore sia soccombente ma tale sia anche il convenuto, in un caso di unica domanda parzialmente accolta.
Per esempio: Tizio chiede 100 ma ottiene 50 dalla sentenza. Tizio, attore è vincitore sul piano dell’accertamento del diritto, vincitore sul piano della condanna a 50 e soccombente sul residuo 50 richiesto. Il convenuto è sicuramente soccombente, ma è vincitore sulla parte di domanda di condanna alla totalità della somma: la soccombenza si ripartisce parzialmente tra le due parti.
La logica del sistema è quella per cui le possibilità che la sentenza sia impugnata siano tante quante le soccombente in gioco, ma contro la sentenza ogni soccombente può compiere una sola impugnazione.
Principio fondamentale è quello della c.d. unitarietà del mezzo di impugnazione, per cui il procedimento di impugnazione, una volta aperto, deve fungere da contenitore di tutte le possibili impugnazioni di quella sentenza.
La regola è quindi che, proposta l’impugnazione principale, le altre impugnazioni si devono fare nella forma dell’impugnazione incidentale nello stesso processo.
Vediamo ora all’art 334 (impugnazioni incidentali tardive). Questo art permette di impugnare la sentenza anche quando in realtà siano scaduti i termini per impugnare, ovvero vi sia stata acquiescenza, cioè anche in ipotesi in cui la sentenza sarebbe passata in giudicato. La parte destinataria dell’impugnazione principale può quindi a sua volta proporre l’impugnazione incidentale anche se in ipotesi è scaduto il termine per impugnare, anche se non avrebbe potuto l’impugnazione principale.
Ciò vuol dire che, se per es, passati i 30gg dalla notifica della sentenza per appellare, io non ho appellato, non potrò + fare nulla in via principale. Se però la mia controparte avesse autonomamente proposto appello nei termini, io sarei rimesso in termini per appellare il capo di sentenza rispetto a cui sono soccombente con la modalità dell’appello incidentale: appello incidentale tardivo. Solo quindi a condizione che contro di me sia stato proposto appello, io posso ancora servirmi dell’impugnazione per cui in astratto sarebbero scaduti i termini.
Senza la possibilità dell’impugnazione incidentale tardivia, tutti coloro che si trovano nella condizione dell’attore parzialmente vittorioso, sarebbero sempre e cmq costretti ad impugnare subito anche se non hanno alcuna voglia di proporre l’appello, per la sola paura che la controparte a sua volta impugni e lo faccia in un momento tale che essa non abbia più il tempo per fare la propria impugnazione.
IL REGIME DELLE IMPUGNAZIONI NEI GIUDIZI CON PLURALITA’ DI PARTI
La pluralità di parti in primo grado si riflette sull’appello e , più in generale, sui procedimenti di impugnazione.
I problemi sorgono quando invece l’impugnazione non viene fin dall’origine proposta da tutti o nei confronti di tutti: se in primo grado il rapporto processuale intercorreva da Tizio, Caio e Sempronio, quid juris se il soccombente Caio impugna nei soli confronti di Tizio senza chiamare in giudizio Sempronio?
Il controllo del giudizio è rimesso alla volontà della parte soccombente, la quale può peraltro scegliere “cosa” impugnare rispetto a quanto deciso, e nei confronti di “chi” impugnare. Potrebbe cosi essere appellato un capo di sentenza che pronuncia tra A e B ma non un altro capo reso tra B e C. Il fatto è però che la mancata impugnazione di questo secondo capo di sentenza finisce per produrre il suo passaggio in giudicato nei confronti di C che non è parte del giudizio di appello, e a cui non si estenderà quindi la eventuale riforma della sentenza di primo grado.
Occorre capire quando il giudizio di impugnazione deve svolgersi tra tutte le parti e quando invece esso può svolgere tra un numero minore di soggetti.
La prima distinzione da fare è quella tra:
a) sentenza che decide un processo unico con pluralità di parti e
b) sentenza che decide un processo cumulato.
Nel primo caso è naturale che in appello la causa resti “inscindibile”: l’inscindibilità soggettiva è quei il riflesso della inscindibilità oggettiva. L’oggetto del processo e della sentenza si manterrà tale per tutte le successive fasi di giudizio, fasi che dovranno necessariamente coinvolgere tutti i soggetti del rapporto, del processo e della sentenza.
Il problema si pone nelle ipotesi in cui il processo ha avuto ad oggetto non un’unica causa, ma + cause tra loro cumulate. In tal caso la separazione è possibile se il cumulo delle cause decise è scindibile, mentre non è possibile se le cause cumulate risultano tra loro indipendenti.
Il cumulo è scindibile quando l’accoglimento dell’impugnazione soggettivamente incompleta non interferisce con il passaggio in giudicato della decisione non impugnata, nel senso che la riforma (o la cassazione) del capo di sentenza impugnata tra A e B potrebbe tranquillamente convivere con il capo di sentenza restato immutato tra B e C.
Il cumulo è invece inscindibile quando la eventuale riforma del capo di sentenza impugnato tra A e B appare incompatibile con il capo di sentenza tra B e C, così rivelando un rapporto di interdipendenza tra le decisioni che ne rende inscindibile la trattazione.
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Autore:
Alessandro Remigio
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- Università: Università degli Studi Gabriele D'Annunzio di Chieti e Pescara
- Facoltà: Economia
- Docente: Prof. Martino e Prof. U. Pescara
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