Appunti per l'esame - Relazioni internazionali. Si espongono le più significative teorie moderne in materia: liberali, realiste e istituzionaliste. In base a tali assunti si forniscono le spiegazioni relative alle trasformazioni radicali della politica internazionale contemporanea, negli ambiti della sicurezza, della globalizzazione economica e sociale, e dell’identità culturale.
Relazioni Internazionali
di Filippo Amelotti
Appunti per l'esame - Relazioni internazionali. Si espongono le più significative
teorie moderne in materia: liberali, realiste e istituzionaliste. In base a tali
assunti si forniscono le spiegazioni relative alle trasformazioni radicali della
politica internazionale contemporanea, negli ambiti della sicurezza, della
globalizzazione economica e sociale, e dell’identità culturale.
Università: Università degli studi di Genova
Facoltà: Scienze Politiche
Esame: Relazioni Internazionali
Docente: G. Cama
Titolo del libro: Relazioni Internazionali
Autore del libro: T. Anrdreatta, M. Clementi, A. Colombo, M.
Koenig, V. Parsi
Editore: Il Mulino
Anno pubblicazione: 20071. Stato e relazioni internazionali
La mancanza di governo è il primo contrassegno del sistema politico internazionale moderno. Questa
condizione per la quale in mancanza di un governo mondiale ogni soggetto sarebbe costretto ad avere cura
di se stesso è ciò che viene tradizionalmente chiamato ANARCHIA INTERNAZIONALE. Il sistema
internazionale è privo di governo ma non per questo disordinato. Cosa comporta trovarsi in un ambiente
privo di governo? Come nello stato di natura di Hobbes, condannando tutti i soggetti all’autodifesa, la
mancanza di un’autorità cui rivolgersi per tutelare, promuovere o ristabilire i propri diritti condanna
ciascuno a preoccuparsi delle intenzioni dell’altro. La mancanza di un organo in grado di garantire il
soddisfacimento delle promesse e fornire l’interpretazione autentica del loro contenuto fa sì che le intenzioni
altrui possano sempre apparire sospette o che siano fraintese.
Dilemma della sicurezza: anche quando nessuno tra gli stati ha intenzione di attaccare gli altri, essi possono
continuare a temere che le rispettive intenzioni non siano destinate a restare pacifiche e quindi possano
sentirsi costretti ad accumulare in anticipo potenza per la difesa. Ma poiché nessuno stato può essere sicuro
che questa accumulazione di potenza sia e resti indirizzata unicamente alla difesa, l’incremento di potenza di
ognuna delle parti provoca il corrispondente aumento delle altre secondo un movimento a spirale
esemplificato dalla corsa agli armamenti della guerra fredda.
A differenza dagli ordinamenti politici esterni, nei quali il monopolio dell’uso della violenza legittima da
parte dello stato obbliga tutti gli altri soggetti a competere in modo pacifico, la mancanza di un’agenzia
analoga nell’ordinamento internazionale legittima l’uso della forza da parte dei singoli stati in nome
dell’autodifesa.
Filippo Amelotti Sezione Appunti
Relazioni Internazionali 2. Tre grandi tradizioni di pensiero: Hobbes, Grozio e Kant
1. Hobbesiana: fondata sull’analogia tra l’anarchia internazionale e qualunque altra forma di anarchia. La
condizione della vita internazionale richiamerebbe la condizione che subentra ogni volta che un ordine
politico viene meno. Nessun ordine umano né interno né internazionale è a prova di violenza. Mente nei
contesti interni ogni volta che qualcuno aggredisce qualcun altro incorre nella sanzione della forza politica,
nel contesto internazionale, la mancanza di tale forza costringe a provvedere da sé alla sicurezza.
2. Groziana: dal momento che nessun contesto sociale può sopravvivere senza soddisfare i bisogni primari
della convivenza (limitazione della violenza, proprietà privata…), anche il sistema internazionale moderno
ha sviluppato un proprio tessuto di istituzioni necessarie per mantenere l’ordine e far fronte ai cambiamenti.
A questo tessuto appartengono la prassi delle conferenze internazionali, il sistema diplomatiche, la
formalizzazione del principio di equilibrio, il diritto internazionale.
3. Kantiana: il legame essenziale tra l’ammissibilità della guerra e la forma anarchica della convivenza
internazionale può suggerire la tentazione di liberarsi del tutto dalla prima superando la seconda.
L’analogia tra l’anarchia internazionale e lo stato di natura è solo apparente. La prima differenza investe le
dimensioni del potere. La mancanza di governo è indipendente dal modo in cui è distribuito il potere tra gli
attori. Un contesto anarchico può comprendere soggetti egualmente in grado di nuocersi oppure no. Lo stato
di natura era anarchico nel primo senso. L’anarchia internazionale non si avvicina a questa condizione. Qui
la soglia per uccidere gli altri può risultare più o meno alta ma mai tale da potere essere attraversata da tutti
nella stessa misura. Per esempio nessun soggetto può aspirare a distruggere gli USA. Anche se il numero
degli stati è aumentato, l’ineguaglianza tra loro ha fatto sì che il numero di giocatori competitivi sia stato
sempre molto più piccolo. Attualmente nessun attore può mettere in discussione l’egemonia globale degli
USA mentre questi possono determinare il sistema più che essere determinati da esso.
Le alleanze e i rapporti diplomatici suggeriscono la seconda differenza tra l’anarchia internazionale e altre
forme di anarchia. Oltre a eguali e non, gli attori che si muovono in un ambiente anarchico possono avere
relazioni più o meno continue tra loro. Possono non vere mai occasione di incontrarsi oppure possono anche
non potersi isolare gli uni dagli altri.
La terza differenza è che la sovranità ha potuto imporsi come principio normativo fondamentale della
politica internazionale moderna, che ha stabilito chi fossero i soggetti politici e giuridici della coesistenza e
ha affermato l’idea della società di stati come forma di organizzazione politica dell’umanità.
Quindi, il sistema politico internazionale moderno è privo di governo, anarchico. La mancanza di un’agenzia
dotata di monopolio dell’uso della forza legittima fa sì che tutti gli attori siano condannati all’autodifesa e
rende ineliminabile la possibilità della guerra. Ad allontanare l’anarchia internazionale da altre forme più
distruttive di anarchia, i soggetti a pieno titolo del sistema sono solo gli stati nel senso che solo gli stati
hanno diritto a usare legittimamente la violenza e di difendere e imporre il diritto con la forza. Infine gli stati
si valgono di istituzioni che danno sostanza e permanenza alla loro collaborazione ma fanno delle relazioni
tra loro non solo un sistema ma anche una società internazionale.
L’aspetto interstatale delle politiche internazionali ha sempre costituito uno spazio chiuso e circoscritto,
dominato dal monopolio statale sui due strumenti classici della politica estera, la diplomazia e la forza, e
aperto sui loro rispettivi esiti, la pace e la guerra.
Filippo Amelotti Sezione Appunti
Relazioni Internazionali Lungo tutto l’arco di vita del sistema internazionale moderno, questo equilibrio tra relazioni interstatali e
relazioni internazionali non statali (chiese, mercanti, multinazionali), ha continuato a spostarsi per effetto di
fattori interno ai singoli stati. Questo equilibrio sembra aver raggiunto una soglia critica nel corso
dell’ultimo secolo.
Filippo Amelotti Sezione Appunti
Relazioni Internazionali 3. L’approccio contemporaneo
Il primo approccio contemporaneo allo studio delle relazioni internazionali nasce nel periodo infrabellico,
dopo il 1919 ed è l’idealismo. Alimentato dalla grande ondata pacifista che avrebbe condotto agli
esperimenti di sicurezza collettiva incarnata dall’inedita istituzione internazionale del dopoguerra, la Società
delle nazioni, ai primi accordi collettivi di riduzione concordata degli armamenti, all’adozione di politiche
estere dirette a evitare una nuova guerra, l’idealismo procurò alla disciplina un programma rivoluzionario e
paradossale: quello di liberare la politica internazionale da quelle che erano state considerate le sue
caratteristiche distintive e ineliminabili: l’anarchia e la guerra. L’idealismo ricavò la propria caratteristica
eziologica della guerra, fondata su almeno 3 fattori in combinazione tra loro e aperta su altrettante
prescrizioni di natura politica e istituzionale:
1. che la causa della guerra fossero la frammentazione e i particolarismi propri delle relazioni politiche e
internazionali, in opposizione all’infittirsi delle interdipendenze economiche e commerciali tra una pluralità
di attori anche diversi dagli stati
2. che la causa della guerra fossero la struttura anarchica della politica internazionale e l’incentivo che ne
derivava a concepire la sicurezza nazionale come un gioco a somma zero, incarnate dalla prassi
dell’equilibrio di potenza e dal suo strumento, la diplomazia segreta, ai quali avrebbero dovuto essere
opposti i nuovi meccanismi della sicurezza collettiva, l’istituzione della Società delle Nazioni e la creazione
di un governo mondiale.
3. che invece della struttura anarchica della vita internazionale, la causa della guerra risiedesse nella natura
bellogena di alcuni stati, a cui si sarebbe potuto rimediare con la trasformazione di tutti gli stati in senso
democratico e liberale.
Filippo Amelotti Sezione Appunti
Relazioni Internazionali 4. Il realismo
Il fallimento di questo programma intellettuale preannunciato gia negli anni 30 dall’impotenza della Società
delle Nazioni di fronte alle sfide revisionistiche di Giappone, Germania e Italia e sanzionato dalla seconda
Guerra Mondiale e dalla paralisi delle Nazioni Unite di fronte alla guerra fredda liberò la strada
all’affermazione del realismo. Rifiutò la fiducia dell’idealismo nella possibilità di cambiare alla radice la
natura della politica internazionale. All’immagine progressiva e ottimista del primo, il realismo oppose
quella della immutabilità della politica internazionale nei secoli fondata sulla visione pessimista della natura
umana che la struttura anarchica del sistema internazionale farebbe gravare su ogni tipo di uomo.
Il realismo affida alla guerra il compito di garantire la pace. Il modo migliore per evitare una guerra della
portata della seconda guerra mondiale sarebbe non perseguire la pace a ogni costo ma opporre alla minaccia
una minaccia peggiore, e all’aggressione certa una guerra preventiva.
Al posto dell’enfasi sulle relazioni economiche e sugli attori non statali, il realismo mise al centro della
politica internazionale le relazioni tra gli stati e la continua incombenza della guerra. Al posto della logica
inclusiva della sicurezza collettiva recuperò il concetto della sicurezza nazionale. Al posto della fiducia nel
primato della politica intera su quella estera, il realismo ripose l’accento sulla distribuzione oggettiva del
potere, intesa come unica garanzia nei confronti delle strategie di pace o di guerra degli altri attori. Il
realismo si afferma come paradigma dominante delle relazioni internazionali sino alla fine degli anni 80 e
per molti versi rimane ancora oggi.
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Relazioni Internazionali 5. Il neomarxismo
Gia all’epoca della contrapposizione bipolare tra Urss e Usa, l’egemonia culturale del realismo venne sfidata
su almeno due fronti. Il primo prese corpo dal processo di riorganizzazione dei rapporti politici, economici e
culturali tra occidente e mondo, simboleggiato dalla decolonizzazione. La diffusione di nuovi programmi di
trasformazione della vita internazionale e la consapevolezza che la fine del dominio politico non era, né
sarebbe bastata a spezzare i legami preesistenti di dipendenza economica, aprirono lo spazio per los viluppo
di un terzo approccio: un approccio politicamente radicale e rivoluzionario che si confuse quasi sempre con
il neomarxismo. Questo individuò, come l’idealismo, nelle relazioni economiche, invece che in quelle
politico-militari la chiave di volta dell’ordine internazionale. Come il realismo, in tali relazioni, il
neomarxismo non cercò più una via di scampo alla guerra, bensì il luogo per eccellenza della gerarchia
internazionale e del conflitto. Per studiosi come Cardoso e Wallestein era la logica di economia capitalistica
mondiale a riprodurre i legami di dominio e dipendenza, tanto che per sfuggire agli uni o all’altra bisognava
muoversi non nella ma contro l’economia internazionale esistente: o rivoluzionandola o sganciandosi dai
suoi automatismi.
Proprio l’eccentricità rispetto al mainstream storico della disciplina condannò le teorie radicali a una
marginalità nel dibattito scientifico delle relazioni internazionali, destinata ad aggravarsi verso la fine del
secolo prima per effetto dello sviluppo delle tigri asiatiche che premiava economie che avevano scelto di
integrarsi nel sistema capitalistico mondiale e poi con il crollo dell’Unione Sovietica e dei regimi socialisti.
Filippo Amelotti Sezione Appunti
Relazioni Internazionali 6. Il neoliberalismo
Un destino diverso sarebbe toccato al neoliberalismo o istituzionalismo liberale. Il suo sviluppo accompagnò
una constatazione e una preoccupazione parallele. La constatazione era che una parte sempre maggiore delle
relazioni internazionali riguardasse tematiche che non avevano più a che fare con la preoccupazione realista
per la sicurezza militare e la guerra. La preoccupazione, sollevata dal crollo del sistema di Bretton Woods e
alimentato da tutto il decennio successivo (quindi anni 70, 80) dallo spettro di un prossimo declino
americano era che questo tessuto potesse finire lacerato o intaccato da una crisi dell’egemonia politica ed
economica degli Usa. Proprio questa eventualità si impose come il primo interrogativo del costituzionalismo
liberale: che sorte sarebbe toccata all’interdipendenza complessa qualora l’egemonia americana fosse
tramontata? A questo interrogativo, l’istituzionalismo liberale e la teoria dei regimi internazionali risposero
in maniera diversa dai realisti e neorealisti. Senza negare il ruolo decisivo degli Usa nella nascita e nello
sviluppo delle principali istituzioni postbelliche, gli istituzionalisti liberali posero l’accento sul fatto che una
volta consolidate, tali istituzioni, erano ormai in grado di sostenere per proprio conto le prospettive di
cooperazione tra gli stati abbassando i costi di transazione legati al raggiungimento di futuri accordi
internazionali; diminuendo la propensione all’inganno e il timore dell’inganno altrui.
Realismo e neoliberalismo restano tuttora d’accordo su alcune premesse: che gli stati rimangono gli attori
principali delle relazioni internazionali; che gli stati siano egoisti unicamente preoccupati di massimizzare
l’utilità attesa in termini di sicurezza, potere e interesse; che la loro identità sia data una volta per tutte,
indipendente da fattori ideazionali. Proprio contro queste premesse cominciò a rivolersi alla fine degli anni
80 un approccio più sociologico allo studio delle relazioni internazionali: il costruttivismo. Esso pose
l’accento su come fattori ideazionali come norme sociali o idee condivise possano giungere a ridefinire
identità e interessi degli attori tanto da renderli più o meno propensi ad avere relazioni ostili con gli altri. La
fortuna del costruttivismo si inserì nella corrente più comprensiva del postmodernismo e della sensibilità che
lo accompagnava per la fine delle grandi narrazioni.
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Relazioni Internazionali 7. Equilibrio di potenza
La definizione di equilibrio di potenza si riferisce a una situazione nella quale nessun attore, da solo o tra ite
alleanza può dominare tutti gli altri. Questa situazione richiede 2 condizioni:
1. non è necessario che i vari attori siano dotati di uguali risorse ma è necessario che la distribuzione di
potenza sia diffusa in modo che l’attore più forte non sia in grado di sconfiggere tutti gli altri insieme.
2. una distribuzione diffusa della potenza non è sufficiente perché ci sia equilibrio. Il comportamento degli
attori deve veder prevalere la prevalenza per una politica del bilanciamento piuttosto che dello squilibrio.
Gli attori devono allearsi con il più debole contro il più forte (balancing) e non viceversa (bandwagoning)
gli effetti della condizione di equilibrio sono 3:
1. il sistema internazionale rimane plurale e non nascono egemonie forti da dominarlo.
2. gli attori principali tendono a sopravvivere anche quando sono piccoli e meno potenti perché in questo
caso faranno meno fatica a trovare alleati.
3. ci saranno meno guerre perché se nessuno può dominare gli altri si genera una situazione di mutua
deterrenza.
Nell’ambito del realismo ci sono 2 punti di vista sul funzionamento dell’equilibrio: da un alato c’è chi
ritiene che l’equilibrio emerga volontariamente come frutto di esplicite scelte da parte delle principali
potenze. Caratterizza il realismo classico. Studiosi come Morgentau e Kissinger hanno predicato l’equilibrio
di potenza come guida per gli statisti e come principio di prudenza nella condotta della politica estera. Un
esempio di una teoria dell’equilibrio di stampo volontari sta è quella di Kaplan che afferma come siano
necessarie sei regole per il funzionamento di un meccanismo di equilibrio, a loro volta riassumibili in 3
principi. Primo gli stati dovrebbero aumentare le proprie capacità se possibile in modo pacifico, con la forza
se necessario. Secondo gli stati dovrebbero opporsi a ogni stato o coalizione che cerchi di assumere una
posizione di dominio sul sistema o che leda all’indipendenza degli stati. Terzo gli stati in guerra dovrebbero
fermarsi prima die liminare lo stato avversario e dovrebbero permettere agli stati sconfitti di essere
reintegrati nel sistema. Un discorso a parte per la posizione della scuola inglese ispirata dal pensiero di
Wighr e Bull collocata in una posizione intermedia tra realismo e liberalismo. Per loro l’anarchia non è
necessariamente un’anomia nel senso dei uno stato di natura Hobbesiano privo di regole. Tali regole
consentirebbero il mantenimento dell’ordine internazionale e il perseguimento di minimi obiettivi primari
come l’indipendenza degli stati e della società internazionale. L’equilibrio di potenza non è solo quindi
l’espressione della politica estera degli stati ma una norma di condotta propria della società degli stati che
conformandosi ai suoi precetti garantiscono la stabilità internazionale.
dall’altro, il neorealismo (o realismo strutturale), suggerisce che invece l’equilibrio tenda a verificarsi
spontaneamente a causa di logiche sistemiche che prescindono dalla volontà degli stati; è quindi un effetto
non intenzionale derivante dalla volontà degli stati di accumulare ricchezza che permea tutta la politica
internazionale. Questa teoria sistemica è la più influente. Il fondatore del realismo strutturale, Walts ha
sostenuto che il sistema internazionale è composto dalle unità (stati) e dalla struttura nella quale esse
operano. A sua volta ogni struttura politica è composta da tre elementi: il principi ordinatore (anarchico o
gerarchico), la differenziazione funzionale tra le unità, la distribuzione delle capacità tra le unità. Dato che il
principio ordinatore è anarchico, non c’è differenziazione funzionale perché tutti gli stati devono pensare da
soli alla propria sicurezza e l’unica variabile è la distribuzione di potenza. Le variazioni di dotazione di
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Relazioni Internazionali risorse tra gli stati sono bilanciate da una naturale tendenza all’equilibrio. Il principio del self-help induce gli
stati a schierarsi con i più deboli contro il più forte (balancing). Se si schierassero con il più forte si
troverebbero alla mercè dello stato che ha maggiori capacità di minacciare la loro sicurezza; inoltre
sarebbero poi costretti ad affrontare uno stato espansionista e rafforzato dalle ultime conquiste. Alleandosi
con il più debole uno stato massimizza la propria influenza perché il più debole ha più bisogno di alleati e
sarà disposto a maggiori concessioni. I neorealisti considerano riduzioniste le precedenti teorie e ritengono il
proprio punto di vista sistemico in quanto dipendente dalla natura anarchica delle interazioni tra le unità a
prescindere dalle intenzioni. Se il sistema è anarchico la tendenza all’equilibrio si verifica comunque perché
unità differenti sottoposte allo stesso stimolo sistemico tendono al medesimo comportamento. Tanto più
forte è lo shock esogeno che minaccia l’equilibrio, tanto più forti saranno gli incentivi a contrastarlo.
Aspettative opposte alla teoria dell’equilibrio sono quelle della teoria del domino che si basa sulla
prevalenza del badwagoning e prevede che anche un piccolo spostamento nella distribuzione di potenza
scateni ulteriori cambiamenti dello stesso segno che si riverberano sull’intero sistema. Con un processo
simile al domino il cambiamento iniziale viene amplificato sino ad essere in grado di trasformare il sistema
stesso.
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Relazioni Internazionali 8. Tipi e forme di equilibrio internazionale
Il realismo classico ha sostenuto la preferenza per le configurazioni multipolari (più di 2 grandi potenze)
sottolineando il legame tra l’equilibrio di potenza e un elevato numero di attori che comporta maggiori
possibilità di trovare alleati potenziali. Se le risorse internazionali sono suddivise tra un numero di stati
maggiore di 2 sarà possibile mobilitare contro qualunque stato che intraprenda un espansionismo eccessivo
una quantità di risorse maggiori rispetto a quelle dell’aggressore. Se gli attori principali sono solo due, le
risorse mobilitabili sarebbero più o meno pari a quelle dello stato espansionista. Se uno stato ha più
controparti disperderà tra esse la sua attenzione ed è difficile che entri in competizione mortale con un altro
stato particolare. La presenza di altri attori principali rende possibile una risposta diplomatica al riarmo di un
potenziale avversario. Invece di rincorrersi l’un l’altro con il riarmo, gli stati possono ricorrere ad alleanze
che ne garantiscano la sicurezza e che compensino le accresciute capacità di un potenziale avversario.
La critica più radicale alla tesi della stabilità dei sistemi multipolari proviene dai sostenitori del bipolarismo
(realismo strutturale). Innanzitutto le superpotenze di un sistema bipolare sono più grandi delle grandi
potenze in un regime di multipolarismo perché possono contare su circa la metà delle risorse globali. Inoltre
i sistemi bipolari sono più semplici e quindi propensi alla stabilità. Inoltre ogni superpotenza in un mondo
bipolare è consapevole che la minaccia non può che provenire dall’altra superpotenza. Inoltre le
superpotenze non hanno dubbi su chi abbia la responsabilità di contenere la minaccia perché un’ azione di
una superpotenza provocherà subito una reazione dell’altra. Non è quindi possibile che gli stati scarichino il
barile del contenimento della minaccia gli uni sugli altri e che questa non trovi resistenza sinchè non è
troppo tardi secondo la logica del buckpassing. (dicono che c’era quindi stabilità nella guerra fredda mentre
un es. di buckpassing ci fu prima della seconda guerra quando Inghilterra, Urss e Francia volevano
contenere la Germania ma preferivano che fosse un altro a farlo). I sistemi bipolari inoltre sono privi della
sindrome del chainganging cioè dell’inclinazione a legarsi a doppio filo ai propri alleati. In un sistema
bipolare le superpotenze possono contare solo sulle proprie forze e non si faranno smuovere da cambiamenti
negli allineamenti diplomatici. (es. di chainganging è prima della prima guerra quando le due alleanze erano
così rigide da rendere il conflitto inevitabile e una crisi locale divenne una guerra su scala mondiale)
La teoria ortodossa della balance of power presuppone che la variabile critica sia la potenza ovvero lo stock
di capacità a disposizione di uno stato. ci sono però grandi episodi storici nei quali questa teoria non
funziona (es. dopo la seconda guerra la maggior parte degli stati si sono alleati con gli Usa anche le l’Urss
era meno potente). è per questo che Walt ha introdotto una teoria più complessa dell’equilibrio basata sulla
minaccia anziché sulla potenza. Quindi gli stati non creerebbero minacce contro lo stato più potente ma
contro quello più minaccioso. La minaccia è una variabile complessa, funzione di 4 variabili:
1. la potenza aggregata: la capacità a disposizione di uno stato
2. la tecnologia militare: il grado in cui le capacità possono essere trasformate in potere offensivo che ha a
che vedere con la forza relativa delle tecnologie offensive rispetto a quelle difensive, l’offense-defense
balance. Se le tecnologie offensive prevalgono gli stati sono indotti a prendere misure preventive, dal
momento che chi attacca per primo potrebbe conseguire un vantaggio decisivo
3. la geografia: la posizione geopolitica, dal momento che il potere è più minaccioso quanto è più prossimo
chi lo subisce. Le potenze continentali (come Francia, Germania) sono state concepite come più minacciose
delle potenze marittime (gran Bretagna) che erano più distantio dagli altri stati. (vedere scacchiera pg 61)
4. le intenzioni degli stati: a parità di capacità, uno stato con esplicite intenzioni aggressive sarà percepito
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Relazioni Internazionali come significativamente più minaccioso di uno stato con nessuna ambizione espansionistica.
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