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La politica estera fra guerre e istituzioni politiche: la teoria della pace democratica


Gli stati hanno una varietà di strutture politiche e questa diversità può influenzarne la politica estera: fa differenza quanto al modo in cui si comportano nell’arena internazionale. Questa notazione è alla base della teoria della pace democratica: una tradizione di ricerca di matrice liberale che instaura un nesso causale tra la natura del regime politico e i loro comportamenti internazionali. In particolare tra la natura democratica del regime e la guerra.
Ricorre all’idea che le democrazie si comportino diversamente dagli altri regimi politici nel sistema internazionale per via della loro natura pacifica. L’origine di questa idea risale al pensiero di Kant che con il suo “Per la pace perpetua”, ha indirizzato l’intera tradizione liberale contemporanea.
Ci si è interrogati su un problema specifico: se regimi politici diversi fanno la guerra con frequenza diversa. A questa domanda la letteratura offre una risposta netta: non è possibile sostenere che le democrazie sono più pacifiche degli altri regimi politici poiché esse combattono meno frequentemente la guerra. Al contrario numerosi studi giungono alla stessa conclusione: badando alla frequenza con cui si combatte la guerra in generale, le democrazie fanno la guerra tanto quanto le non democrazie. Ma le democrazie sono pacifiche nei rapporti reciproci: non si fanno guerra tra di loro.

Il tema della pace democratica si è imposto come centrale nelle relazioni internazionali a partire dalla prima metà degli anni 80, a seguito di un contributo di Doyle che articolava i risultati della ricerca empirica sulla guerra.
Prima fissa operativamente che le democrazie sono regimi fissi che durano al meno 3 anni e che si distinguono per l’economia di libero mercato e la proprietà privata, la sovranità esterna, la tutela giuridica dei diritti dei cittadini, le subordinazioni dei militari al potere esecutivo, il potere legislativo dotato di un ruolo effettivo nella formulazione delle leggi e formalmente eletto in modo competitivo tramite elezioni cui partecipa almeno il 30% dell’elettorato maschile e inoltre cui hanno accesso anche le donne entro un anno dalla rivendicazione del suffragio femminile. Nelle 118 guerre combattute in quasi 200 anni, anche se gli stati liberali sono stati coinvolti in numerose guerre con gli stati non liberali, gli stati in cui le libertà sono assicurate costituzionalmente non si nono ancora fatti la guerra.
Inoltre la ricerca segnala che le democrazie tendono a non combattere guerre preventive e cioè non attaccare per primi i nemici che si fanno minacciosi. Mentre i regimi non democratici ricorrono a questo strumento per impedire agli avversari di avere la meglio, le democrazie sperimentano strade alternative a seconda del regime che fronteggiano: se si tratta di un paese democratico tendono a cercare un accomodamento pacifico; se si tratta di un paese non democratico tendono a costruire alleanze difensive per sventare il probabile attacco.
Le democrazie inoltre cercano di risolvere le dispute in cui sono coinvolte con lo strumento dell’arbitrato internazionale molto più di frequente di quanto non facciano i regimi non democratici e dunque mostrano di apprezzare molto più di questi ultimi le possibilità offerte dalla risoluzione pacifica delle controversie.

Tratto da RELAZIONI INTERNAZIONALI di Filippo Amelotti
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