Il libro ricostruisce la storia del continente africano a partire dall'arrivo dei primi coloni europei, fino alla lunga e tortuosa strada che ha portato alla decolonizzazione. Particolare attenzione, infine, è dedicata ai processi storici che determinano l'instabilità politica di molte regioni africane.
Africa: la storia ritrovata
di Lorenzo Possamai
Il libro ricostruisce la storia del continente africano a partire dall'arrivo dei primi
coloni europei, fino alla lunga e tortuosa strada che ha portato alla
decolonizzazione. Particolare attenzione, infine, è dedicata ai processi storici
che determinano l'instabilità politica di molte regioni africane.
Università: Università degli Studi di Padova
Facoltà: Scienze Politiche
Esame: Storia dell’Africa dal 1500 al 2000
Titolo del libro: Africa: la storia ritrovata. Dalle prime forme
politiche alle indipendenze nazionali
Autore del libro: Giampaolo Calchi Novati e Pierluigi Valsecchi
Editore: carocci
Anno pubblicazione: 20051. Introduzione all'Africa
In questo lavoro tratteremo la storia del continente Africano a partire dall’arrivo degli europei e in special
modo a partire dall’inizio della colonizzazione intensiva del continente. Poiché tuttavia è impossibile
capirne la storia senza conoscere il prima, ovvero le condizioni dei territori al momento in cui gli europei
cominciarono a prenderne possesso, proporremmo anche un breve riassunto della storia africana precedente.
Si tratta di un qualcosa di molto difficile a farsi per le ragioni che presto spiegheremo; tuttavia, almeno nelle
sue linee principali, tale riassunto è essenziale prima ancora che molto interessante. Essenziale per lo storico
ed essenziale anche per gli africani d’oggi, impegnati nella costruzione di una propria identità storica e
culturale dopo lo shock del colonialismo.
Per ora è bene fissare un criterio che ci permetta di ricostruire la storia di un così enorme e variegato
continente. Per prima cosa è necessario osservare il clima, poiché esso, al pari dei mari, dei fiumi e delle
catene montuose negli altri continenti, ha segnato le linee di demarcazione fra le civiltà, le lingue, le
religioni e le culture dell’Africa.
Come si può notare l’im-menso deserto del Sahara costituisce una barriera naturale fra l’Africa del Nord, da
sempre proiettata nel Mediterraneo e legata alla civiltà occidentale antica, e il resto del continente. Vi è poi
un'altra zona, quella compresa fra deserto del Sahara e foresta pluviale, altra grande barriera naturale che
praticamente spezza in due l’Africa. Infine la grande regione meridionale, posta ai confini del mondo di
allora, lontanissima dall’occidente e lontana anche dal mondo arabo. Una regione che rimase del tutto isolata
fino all’arrivo dei primi colonizzatori europei.
Riassumendo: esistono due grandi barriere naturali, il deserto del Sahara e la foresta equatoriale, che
dividono il continente in tre fasce longitudinali:
- Africa del Nord o mediterranea;
- Africa occidentale o Sudan (il suo nome storico); compresa fra Sahara e foresta equatoriale.
- Africa australe, a sua volta parzialmente interrotta dal deserto del Kalahari.
Lorenzo Possamai Sezione Appunti
Africa: la storia ritrovata 2. L’Africa settentrionale
L’Africa settentrionale
Si tratta di una regione con clima mediterraneo temperato lungo la costa, e secco semiarido già
nell’immediato entroterra, che si tramuta poco dopo in vero e proprio deserto. Una regione quindi
favorevole all’insediamento umano e all’agricoltura, ma solo entro la stretta striscia costiera. Ad eccezione
però dell’Egitto, che grazie al Nilo poté ospitare una delle più antiche civiltà della storia dell’uomo, quella
egizia, i cui primi insediamenti risalgono addirittura al 5'000 a.C.
Altra grande civiltà africana fu Cartagine. Nata probabilmente come stazione commerciale fenicia lungo la
costa tunisina nel IX secolo a.C. Cartagine, già nel 500 a.C. aveva esteso il suo domini a tutta la costa
settentrionale dell’Africa, dall’Atlantico al confine con l’Egitto. Dominio che avrebbe mantenuto fin quasi al
146 a.C., quando Scipione l'Africano il Giovane rase al suolo Cartagine, ponendo fine alla sua gloriosa
storia.
Con la sconfitta di Cleopatra e Marco Antonio nel 31 a.C. anche l’Egitto divenne provincia romana
completando così il passaggio sotto Roma di tutta l’Africa settentrionale. Dominazione che terminò solo nel
400 d.C., quando i vandali dilagarono in Africa settentrionale. Nel 500 però la regione verrà riconquistata
dall’imperatore bizantino Belisario, e rimarrà per quasi tre secoli sotto l’erede del vecchio Impero romano.
La dominazione bizantina si concluderà nel decennio successivo alla morte di Maometto (632), quando
eserciti islamici attaccheranno l’Egitto, sconfiggendo in breve tempo i bizantini e quindi dilagando
indisturbati per tutto il nord Africa. La loro dominazione continuerà praticamente fino all’arrivo degli
europei.
Lorenzo Possamai Sezione Appunti
Africa: la storia ritrovata 3. L'Africa occidentale
L’Africa occidentale, come mostra mirabilmente la figura è stretta a nord dal Sahara e a sud
all’inattraversabile foresta pluviale. Si tratta di una regione vastissima, anticamente nota col nome arabo di
Bilad es-Sudan, letteralmente “terra dei neri”. Infatti per gli arabi che provenivano dai paesi islamizzati del
nord Africa attraverso il Sahara, la regione si presentava come un paese diverso, abitato da gente di pelle
nera, disseminato di villaggi di coltivatori. Con il termine Sudan si intende indicare oggi, geograficamente,
la fascia di terre a sud del Sahara, estesa fino al limite delle foreste equatoriali, e longitudinalmente, che si
estende dalla Mauritania fino all’altopiano etiope.
È un ambiente di savane più o meno rade, soggetto a un clima a due stagioni, una piovosa e una asciutta, che
consente la coltivazione di cereali, come il miglio, di rapido ciclo vegetativo. Come razza le popolazioni del
Sudan sono alte e piuttosto scure di pelle, anche se non tanto quanto quelle abituate a vivere nelle foreste. La
regione del Sudan è oggi una delle più povere del continente, dedita sopratutto alla coltivazione di cotone e
arachidi.
Storicamente la regione del Sudan, in particolare nella grande zona del Sahel (che si estende in Mauritania,
Mali, Niger e Ciad), prosperò sfruttando le vie carovaniere transahariane attraverso le quali l’oro e gli
schiavi provenienti dalle regioni più a sud, venivano ceduti in cambio di tessuti, utensili, sale e armi che
giungevano da settentrione. Numerosi regni tribali sorsero e scomparvero nel Sahel contendendosi il
controllo di questi commerci e alcune grandi città, che adesso sono capitali di stato, nacquero proprio grazie
ai commerci fra Sudan meridionale e gli stati arabi dell’Africa mediterranea. Fu inoltre attraverso le vie
carovaniere, oltre che per spostamenti di popolazioni provenienti dal Sudan orientale, che l’intera regione
venne lentamente e progressivamente islamizzata.
Discorso diverso è invece quello che riguarda appunto la parte orientale della regione del Sudan, quella che
coincide oggi con, guarda caso proprio lo stato del Sudan. Essendo Attraversato dal Nilo lo stato del Sudan
ha sempre mantenuto dei contatti abbastanza significativi con l’Egitto, e quindi con l’Impero bizantino
prima, e il mondo arabo poi. Nella seconda metà del VI secolo (quindi quasi un secolo prima che l’Egitto
diventasse islamico), la zona dell’attuale stato del Sudan subì la cristianizzazione promossa dall’imperatore
bizantino Giustiniano e vi si svilupparono diversi stati cristiani di tipo teocratico. Rimasti isolati in seguito
alla conquista araba dell’Egitto (VII secolo circa) e sottoposti alle incursioni islamiche, furono conquistati
nel XVI secolo dai fung, una popolazione nera islamizzata; questi stabilirono nel 1504 un sultanato a
Sennar, che prosperò sulla tratta degli schiavi e divenne uno dei principali centri africani di cultura islamica;
le due religioni continuarono tuttavia a convivere e forte rimase la presenza cristiana.
Inseriamo in questa fascia dell’Africa occidentale (anche se impropriamente: perché non fa assolutamente
parte della regione storica del Sudan), la regione del Corno d’Africa, o dell’Africa orientale. Tale regione
non è separata da quella del Sudan da invalicabili barriere naturali, come foreste o deserti, tuttavia la
presenza di catene montuose, come l’altopiano etiope, dove fra l’altro erano stanziate popolazioni di
religione cristiana, deve in qualche modo aver contribuito ad isolare questa regione dall’espansione
islamica.
Lorenzo Possamai Sezione Appunti
Africa: la storia ritrovata Della storia di queste regioni sappiamo molto poco, sebbene siano stati rinvenuto scritti di marinai greci del
primo secolo che parlavano dei commerci con alcune città della costa. Tali città, fondate spesso da
popolazioni indiane od arabe, si dedicarono con profitto al commercio di oro e schiavi, ma non rivolsero mai
la loro attenzione all’entroterra e la loro influenza sulle popolazioni dell’interno rimase perciò pressoché
nulla, quanto la nostra conoscenza di esse. Diverso è il caso del Regno etiope. L’Etiopia è costituita da un
grande altopiano circondato in tutti i lati da catene montuose e perciò facilmente difendibile. Quando intorno
al 600 l’Egitto cadde in mani arabe, i cristiani che vi risiedevano o si convertirono o fuggirono a sud:
dapprima nell’odierno Sudan e poi in Etiopia, dove rimasero e dove tuttora la religione dominante è quella
cristiana.
Lorenzo Possamai Sezione Appunti
Africa: la storia ritrovata 4. L’Africa australe
L’africa australe si può grosso modo dividere in due aree: quella dell’Africa centrale, pressappoco
coincidente con la foresta pluviale, e quella dell’Africa meridionale. Sulla storia di questi luoghi non
sappiamo praticamente nulla; erano regioni fuori dal mondo, lontane sia dall’Europa sia dal mondo arabo.
Mancano in maniera totale reperti scritti o resoconti di esploratori. Non vi erano vie carovaniere che
potessero catalizzare la formazione di entità statali e neppure l’islam arrivo mai in queste lande lontane.
Nelle foreste l’irruenza della natura e del clima erano tali da consentire la sopravvivenza solo alle tribù di
cacciatori-raccoglitori, mentre nelle savane meridionali esistevano diverse tribù che si dedicavano con
metodi arretratissimi alla coltivazione del miglio o all’allevamento. La zona dell’attuale stato del Sud Africa
era pressoché disabitata. In un certo senso è addirittura legittimo affermare che gran parte dell’Africa
meridionale non fu colonizzata, ma popolata per la prima volta, dagli europei che vi giunsero intorno alla
seconda metà del 1600, tanto era sottopopolata rispetto all’immensità dei suoi spazi.
Lorenzo Possamai Sezione Appunti
Africa: la storia ritrovata 5. L'Africa: un difficile lavoro
È assai difficile delineare, anche a grandi linee, la storia dell’Africa subsahariana, la cosiddetta Africa nera.
Ciò è essenzialmente dovuto alla mancanza di testimonianza scritte, perché - se si escludono alcuni
embrionali metodi di scrittura ideografica che si stavano formando in alcune zone dell’Africa occidentale - i
primi veri reperti scritti compaiono solo con la penetrazione araba nel continente, dato che né i greci né i
latini si spinsero mai stabilmente al di sotto del Sahara, lasciando peraltro ben poche testimonianze scritte. È
quindi solo intorno al X secolo che si cominciano ad avere numerosi scritti (in lingua araba) sull’Africa, in
particolare sulla fascia di continente immediatamente al di sotto del Sahara.
Su ciò che successe prima (l’Africa è abitata da tempo immemorabile), possiamo solamente basarci sulla
ricchissima tradizione orale africana, tradizione che però essendo orale, non ci consente né la precisione, né
la sicurezza essenziali ad una accurata ricostruzione storica. A ciò si aggiunga che, salvo qualche rara
costruzione in pietra, le civiltà africane edificavano con materiali naturali, affatto deperibili nell’inclemente
clima del continente. Una storia non scritta quindi, e perlopiù ancor oggi sconosciuta e avvolta dal mito.
L’arrivo degli europei viene comunemente fatto risalire al XV secolo, ma rimase limitato alle coste e ben
pochi europei (in genere missionari cappuccini) affrontarono l’ardua esplorazione dell’interno. Bisognerà
quindi aspettare fin quasi al XIX secolo perché gli scritti europei o turco-ottomani divengano più numerosi
ed affidabili di quelli arabi. Ed è da questa data, che coincide con l’inizio della famosa corsa all’Africa da
parte delle potenze coloniali europee, che davvero comincia la messa per iscritto della storia dell’Africa
nera. Prima di allora le fonti rimasero scarse, imprecise o poco affidabili, e allo storico abbisognava sempre
l’aiuto della testimonianza orale per colmare le loro lacune.
Lorenzo Possamai Sezione Appunti
Africa: la storia ritrovata 6. L’idea di Africa ieri e oggi
La mancanza di tradizione scritta, di realtà statuarie moderne, di monumenti od altre opere poderose, non è
un problema solo per gli storici, ma anche per gli africani d’oggi in relazione al concetto stesso di Africa
(intendiamo Africa nera) che nel tempo si è venuto formando: quello di un continente arretrato e selvaggio
abitato da popolazioni razzialmente e culturalmente inferiori. La mancanza di entità statali, di edifici che
colpissero.. furono tutti elementi che spinsero a ritenere i neri una razza inferiore dalla quale nulla di buono
o bello poteva essere imparato. Il ragionamento spinse anche a far risalire a precedenti dominazioni straniere
(o extraterresti), le poche opere pregevoli che gli europei trovarono al loro arrivo (come il grande recinto, un
maestoso monumento in pietra in Zimbabwe).
Tale idee hanno in parte plasmato gli stessi africani che, privi di monumenti e di testimonianza scritte, con la
brusca interruzione nella trasmissione orale causata dal fenomeno coloniale, si sono ritrovati ignari del loro
stesso passato e trasportati in un mondo, una società, un sistema economico, non loro. La riscoperta del
proprio passato come punto di partenza per la riacquisizione della propria identità, è ora l’obiettivo primario
dell’Africa indipendente, ma si tratta di qualcosa di non facile per le ragioni che abbiamo detto e per altre
che si possono facilmente immaginare.
L’africa nera era, ed ancor oggi è, per la maggior parte, un continente che ha acquisito consapevolezza di se
attraverso le descrizioni degli europei che lo avevano colonizzato ed è quindi normale che oggi sia
impegnato in un lento e difficile processo di riscoperta di se stesso. Un processo che però - spiace doverlo
dire - è in parte inattuabile. Intere culture (in molte delle quali non esisteva neppure la proprietà privata)
sono state spazzate via della colonizzazione, e di loro non è rimasto più nulla; anche la tradizione orale,
sotto i colpi della tratta degli schiavi, è stata in certi casi gravemente compromessa e con essa sono
scomparse per sempre credenze, lingue e tradizioni che costituivano la cultura di intere popolazioni.
Lorenzo Possamai Sezione Appunti
Africa: la storia ritrovata 7. Africa: arrivano i primi europei
1444_ portoghesi raggiungono l’arcipelago di Capo Verde e la foce del Senegal
1482_ fondata la piazzaforte di Elmina in Costa d’Oro (l’odierno Ghana)
1488_ il portoghese Bartolomeo Diaz raggiunge il Capo di buona speranza
1498_ Vasco da Gama raggiunge l’India circumnavigando l’Africa
Come si osserva i portoghesi iniziarono ad esplorare l’Africa nella seconda metà del 1400 (XV secolo); nel
1498 con l’impresa di Vasco da Gama avevano stabilito la prima rotta diretta verso l’India ed iniziavano a
costruire insediamenti anche lungo la costa orientale dell’Africa nera. Con i loro avamposti-piazzeforti
commerciali inizia il processo di colonizzazione dell’Africa da parte degli europei.
Tuttavia la colonizzazione rimase limitata solo alle zone immediatamente attigue alle piazzeforti
commerciali e i portoghesi che in esse risiedevano era spesso meno di un centinaio, talvolta solo poche
decine. Ovvio è quindi affermare che la loro influenza sulle popolazioni africane fu pressoché nulla. È
ragionevole pensare che solo le tribù stanziate nelle immediatissime vicinanze degli insediamenti potessero
avere dei rapporti culturali, e non solo commerciali con i portoghesi. Rapporti probabilmente di buon
vicinato, accordi di reciproca non aggressione, o tentativi di evangelizzazione operati da qualche missionario
temerario.
Le popolazioni nere dell’entroterra tenevano con i portoghesi solo rapporti commerciali, manufatti in
cambio di oro, e schiavi in seguito. Probabilmente per le trattative i portoghesi si affidavano ai missionari o
alle tribù indigene stanziate presso i loro insediamenti, che forse avevano cominciato ad imparare il
portoghese. Ma quanto alle tribù dell’interno è veramente difficile immaginare che, almeno per tutto il
cinquecento, esse abbiano in qualche modo risentito della presenza portoghese. Tenendo conto delle
difficoltà delle comunicazioni, dello stile di vita basato all’autosufficienza, delle barriere linguistiche e
culturali, è arduo ipotizzare stabili e profondi contati fra le popolazioni dell’interno Africa e il piccolo
gruppo di bianchi che si erano stabiliti lungo le coste.
Dato inoltre che fino alla seconda metà del 1800 la presenza numerica degli europei nel continente si
mantenne molto bassa e perlopiù limitata alle coste e alla zona dell’odierno Sud Africa (solo pochissimi
missionari si avventuravano nell’interno e non furono compiuti viaggi di esplorazioni almeno fino al XIX
secolo), tenendo conto dell’immensità del continente.., possiamo ancora una volta confermare la quasi non
influenza europea per quanto riguarda le popolazioni dell’interno, anche per i secoli XII e XIII (1600 e
1700). A ben guardare l’unico evento che effettivamente si abbatté in maniera veramente massiccia e
significativa sulle popolazioni di alcune zone dell’interno fu la tratta degli schiavi, ma di questa parleremo
fra pochissimo. Per concludere la premessa si ricordi perciò che fino al 1800 circa, la presenza europea non
indusse significativi cambiamenti nella cultura e nelle istruzioni della maggior parte delle regioni e delle
popolazioni dell’Africa nera.
Lorenzo Possamai Sezione Appunti
Africa: la storia ritrovata 8. Africa: oro e schiavi
I portoghesi cominciarono a fondare le loro stazioni commerciali lungo la costa africana per agevolare la via
diretta verso l’India; a partire dal 1500 anche altre potenze europee cominciano a stabilire alcuni
insediamenti lungo le coste del continente nero. Ma al di la dell’India, cosa spinge le potenze europee ad
impegnarsi in terre così lontane e pericolose?
La risposta è l’oro. Da alcuni secoli ormai la maggior parte dell’oro arrivava in Europa attraverso i mercanti
dei paesi nordafricani, i quali lo importavano dal Sudan attraverso le vie carovaniere transahariane. Gli
insediamenti lungo le coste dell’Africa consentirono agli europei di aggirare gli arabi ed importare l’oro
direttamente alla fonte. Per tutto il quattrocento e per alcuni decenni del cinquecento (quando il mercato sarà
inondato dalla produzione americana), l’oro della Guinea, della Costa d’Oro (oggi Ghana) e del Mozambico,
costituirà la ricchezza delle grandi compagnie commerciali europee, e continuerà ad esserlo anche nei secoli
successivi, affiancandosi al sempre più redditizio mercato degli schiavi.
Sulla deportazione di schiavi dall’Africa nera c’è molto da dire; per prima cose esistevano due tratte degli
schivi: la prima agiva dalla costa occidentale alle Americhe, la seconda dalla costa orientale verso l’India e
il mondo arabo.
Per quanto riguarda la tratta dell’Atlantico essa cominciò a svilupparsi nel cinquecento e già nel seicento il
suo valore come commercio aveva superato quello del commercio dell’oro. Nel settecento la deportazione di
schiavi nelle Americhe raggiunse il culmine e intere popolazioni stanziate lungo le coste occidentali
(sopratutto dell’Africa equatoriale) vennero deportate in massa. Le navi salpavano dalle coste occidentali
dell’Africa cariche di schiavi; arrivate nelle Americhe li vendevano imbarcando al loro posto le materie
prime prodotte dalle colonie; quindi si dirigevano verso i porti europei dove scambiavano i prodotti coloniali
con tessuti e armi prodotti in Europa; barattavano infine questi prodotti con le tribù africane della costa, che
fornivano loro in cambio gli schiavi provenienti dall’interno. Era il cosiddetto commercio triangolare che
assicuro profitti più che cospicui alle compagnie commerciali europee e anche agli stessi africani impegnati
nel rifornire gli europei di schiavi neri catturati nelle zone più remote dell’interno.
Solo a partire dall’inizio dell’ottocento le colonie americane cominciarono a divenire più indipendenti (nel
senso che il numero di chiavi si automanteneva e non c’era più spazio per nuove piantagioni), determinando
così una contrazione della domanda. Inoltre in questo periodo gli stati europei cominciarono
progressivamente a dichiarare criminale la tratta negriera e ad impegnarsi attivamente a reprimerla a partire
dalla metà del secolo. Con alcuni strascichi fino agli anni ottanta dell’ottocento il commercio degli schiavi si
esaurirà pressoché del tutto con la fine del secolo.
Ma quali furono i numeri? È difficile dirlo e spesso gli storici africani tendono a sovrastimare il fenomeno
quanto quelli anglosassoni a sminuirlo; tuttavia secondo stime:
- fra 1450 e 1600 vennero deportati 400 mila africani
- fra 1600 e 1700 il numero sfiora i 2 milioni
Lorenzo Possamai Sezione Appunti
Africa: la storia ritrovata - fra 1700 e 1800 supera i 6 milioni
- fra 1800 e 1900 si riduce 3,3 milioni.
- a questi numeri vanno aggiunti anche gli sciavi deportati dalla costa orientale: circa 1,2 milioni secondo le
stime.
La tratta lungo la costa orientale era un fenomeno molto antico, risalente al IX secolo (ma abbiamo notizia
di esso anche presso mercanti dell’antica Grecia!); tradizionalmente veniva praticato da mercanti egiziani e
mediorientali. Gli schiavi venivano generalmente inviati in Egitto o verso l’Impero ottomano, in certi
periodi anche verso le piantagioni portoghesi di Goa, in India. A parte nel corso del 18° secolo il fenomeno
rimase tuttavia abbastanza limitato e si esaurì (o perlomeno divenne clandestino) introno alla metà
dell’ottocento, quando l’intera Africa orientale cominciò a divenire possedimento diretto delle potenze
europee.
In conclusione possiamo dire che, geograficamente, il fenomeno schiavistico interessò solo le aree
raggiungibili dalla costa occidentale e, sia pure in misura minore, da quella orientale; alcune zone però,
come gran parte dell’Africa meridionale (che erano sottopopolate quando vi arrivarono gli europei), non
venne mai coinvolto nella tratta degli sciavi, se non come luogo di destinazione. Circa 13 (e forse anche più)
milioni di africani vennero trasportati in America come schiavi. Molti morirono durante il viaggio, molti
altri di fatiche e stenti durante il duro lavoro nelle piantagioni. Quelli che sopravissero e i loro figli, sono da
considerarsi fra i principali colonizzatori dell’America latina e degli Stati Uniti.
Altro discorso importante è quanto la tratta degli schiavi abbia ridotto la popolazione africana di allora e
quanto ciò abbia pesato sullo sviluppo del continente, anche alla luce della suo cronico sottopopolalamento.
Se come sembra probabile la tratta negriera non ne ha inficiato le potenzialità demografiche nel lungo
periodo, è però vero che, almeno per quanto riguarda il 18° e il 19° secolo, il continuo prelievo di schiavi da
alcune zone dell’Africa centrale, deve aver prodotto delle carenze di forza lavoro tali da rallentarne il
possibile sviluppo. Rimandiamo comunque al libro per l’approfondimento di questo aspetto, peraltro di
difficile trattazione per la mancanza di dati attendibili e per la difficoltà di ricostruire i possibili tassi di
sviluppo demografico dell’Africa di allora.
Già nella premessa abbiamo avuto modo di citare come la presenza europea fino alla seconda metà
dell’ottocento, fosse rimasta molto limitata e circoscritta alla coste. Abbiamo detto che le popolazioni non
costiere (e quindi la stragrande maggioranza degli abitanti dell’Africa nera), non subirono in maniera
apprezzabile l’influenza degli europei e se non fosse stato per la tratta degli schiavi (peraltro portata avanti
dalle stesse popolazioni africane impegnate nella vendita di schiavi agli europei), la presenza dei bianchi
lungo le coste non avrebbe prodotto nessun mutamento nelle secolari strutture economiche e sociali delle
popolazioni dell’interno.
Se un evoluzione anche presso le popolazioni dell’interno vi è stata, in seguito all’arrivo degli europei, essa
Lorenzo Possamai Sezione Appunti
Africa: la storia ritrovata è stata trasmessa loro dalle popolazioni africane stanziate lungo le coste, le sole che avessero potuto
apprendere qualcosa dagli europei. Vale quindi la pena di soffermarsi sul rapporto fra queste popolazioni
“costiere” e gli europei che con esse interagivano, vuoi per il commercio dell’oro, vuoi per quello degli
schiavi.
Secondo il nostro eminente libro, il rapporto fra europei ed africani fu di sostanziale parità e rispetto
reciproco dall’antichità fino al seicento-settecento; tanto che sarebbe più coretto parlare di una società
costiera africana che includeva in se anche gli europei che vivevano presso di essa, piuttosto che di poche
centinaia di europei stanziati affianco ai villaggi delle popolazioni africane lungo la costa. Ovvero non di
due comunità distinte che dialogano reciprocamente, ma di una sola comunità, composta per la quasi totalità
da neri, ma nella quale vivono e trovano un loro posto e ruolo, anche i pochi bianchi arrivati dall’Europa. In
una comunità di questo tipo ognuno impara dall’altro, gli africani apprendono la tecnologia europea e gli
europei i riti e la cultura africane, o, perlomeno, ne subiscono l’influenza. A sostegno di questa tesi anche la
considerazione che fra cinquecento al seicento, il modo di vivere di un contadino europeo e di uno nero
africano, non erano ancora incolmabili, nel senso che erano entrambi assolutamente analfabeti e vivevano in
grande povertà. Invero le abitazioni africane venivano chiamate case dagli europei fino al 17° secolo circa,
dopo saranno viste dispregiante solo come capanne.
La notevole evoluzione sociale, economica e culturale che caratterizzò l’Europa del settecento e più ancora
dell’ottocento, unita alla visione misera e priva di dignità che ispiravano gli africani deportati come schiavi
nelle stive delle negriere agli occhi degli spettatori europei, contribuirono a produrre l’idea di un salto di
civiltà fra i due continenti. Il nero non fu più visto come un uomo diverso, infedele, arretrato
tecnologicamente, ma comunque uomo al pari del bianco, ma come l’esponente selvaggio e rozzo, lo
schiavo sporco, di una subcultura umana arretrata e spregevole. Questa fu effettivamente la visione che
s’impadronì del discernimento europeo fra settecento, ottocento ed inizio novecento.
Quindi in definitiva è facile supporre che almeno fino al settecento fra i due gruppi che abitavano le coste
del continente nero vi sia stato un certo interscambio culturale reciproco, mentre nei secoli successivi, tale
interscambio sia progressivamente diventato a senso unico, per tradursi, a partire dalla seconda metà
dell’ottocento, in una imposizione forzata agli africani della cultura, della religione, della lingua.. in pratica
dei modelli europei. Sull’entità dell’interscambio fra cinquecento e ottocento è difficile esprimersi: gli
europei erano molto pochi e mancano fonti precise; tuttavia possiamo ritenere che se anche esso fu limitato
nella maggior parte dei casi, almeno in due zone esso assunse proporzioni significative: in sud Africa con i
boeri e nella zona del golfo di Guinea, dove più numerosa era la presenza europea per via del commercio
dell’oro e degli schiavi.
Lorenzo Possamai Sezione Appunti
Africa: la storia ritrovata 9. La presenza europea in Africa
Già nella premessa abbiamo avuto modo di citare come la presenza europea fino alla seconda metà
dell’ottocento, fosse rimasta molto limitata e circoscritta alla coste. Abbiamo detto che le popolazioni non
costiere (e quindi la stragrande maggioranza degli abitanti dell’Africa nera), non subirono in maniera
apprezzabile l’influenza degli europei e se non fosse stato per la tratta degli schiavi (peraltro portata avanti
dalle stesse popolazioni africane impegnate nella vendita di schiavi agli europei), la presenza dei bianchi
lungo le coste non avrebbe prodotto nessun mutamento nelle secolari strutture economiche e sociali delle
popolazioni dell’interno.
Se un evoluzione anche presso le popolazioni dell’interno vi è stata, in seguito all’arrivo degli europei, essa
è stata trasmessa loro dalle popolazioni africane stanziate lungo le coste, le sole che avessero potuto
apprendere qualcosa dagli europei. Vale quindi la pena di soffermarsi sul rapporto fra queste popolazioni
“costiere” e gli europei che con esse interagivano, vuoi per il commercio dell’oro, vuoi per quello degli
schiavi.
Secondo il nostro eminente libro, il rapporto fra europei ed africani fu di sostanziale parità e rispetto
reciproco dall’antichità fino al seicento-settecento; tanto che sarebbe più coretto parlare di una società
costiera africana che includeva in se anche gli europei che vivevano presso di essa, piuttosto che di poche
centinaia di europei stanziati affianco ai villaggi delle popolazioni africane lungo la costa. Ovvero non di
due comunità distinte che dialogano reciprocamente, ma di una sola comunità, composta per la quasi totalità
da neri, ma nella quale vivono e trovano un loro posto e ruolo, anche i pochi bianchi arrivati dall’Europa. In
una comunità di questo tipo ognuno impara dall’altro, gli africani apprendono la tecnologia europea e gli
europei i riti e la cultura africane, o, perlomeno, ne subiscono l’influenza. A sostegno di questa tesi anche la
considerazione che fra cinquecento al seicento, il modo di vivere di un contadino europeo e di uno nero
africano, non erano ancora incolmabili, nel senso che erano entrambi assolutamente analfabeti e vivevano in
grande povertà. Invero le abitazioni africane venivano chiamate case dagli europei fino al 17° secolo circa,
dopo saranno viste dispregiante solo come capanne.
La notevole evoluzione sociale, economica e culturale che caratterizzò l’Europa del settecento e più ancora
dell’ottocento, unita alla visione misera e priva di dignità che ispiravano gli africani deportati come schiavi
nelle stive delle negriere agli occhi degli spettatori europei, contribuirono a produrre l’idea di un salto di
civiltà fra i due continenti. Il nero non fu più visto come un uomo diverso, infedele, arretrato
tecnologicamente, ma comunque uomo al pari del bianco, ma come l’esponente selvaggio e rozzo, lo
schiavo sporco, di una subcultura umana arretrata e spregevole. Questa fu effettivamente la visione che
s’impadronì del discernimento europeo fra settecento, ottocento ed inizio novecento.
Quindi in definitiva è facile supporre che almeno fino al settecento fra i due gruppi che abitavano le coste
del continente nero vi sia stato un certo interscambio culturale reciproco, mentre nei secoli successivi, tale
interscambio sia progressivamente diventato a senso unico, per tradursi, a partire dalla seconda metà
dell’ottocento, in una imposizione forzata agli africani della cultura, della religione, della lingua.. in pratica
dei modelli europei. Sull’entità dell’interscambio fra cinquecento e ottocento è difficile esprimersi: gli
europei erano molto pochi e mancano fonti precise; tuttavia possiamo ritenere che se anche esso fu limitato
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Africa: la storia ritrovata