Decolonizzazione ed indipendenza degli stati africani
Decolonizzazione ed indipendenza degli stati africani
Nel precedente capitolo abbiamo guardato ai processi di sviluppo, sia economici sia politici e sociali, che interessarono l’Africa nera fra le due guerre. Abbiamo anche visto la nascita e l’evoluzione del panafricanismo e della negritudine, che saranno il calderone ideologico dal quale, negli anni della seconda guerra mondiale, si produrrà il nazionalismo africano vero e proprio, che mirerà in primo luogo all’indipendenza, ma anche alla riscoperta del passato e alla valorizzazione del nero, inteso come cultura, razza e tradizione.
Una pluralità di intenti non priva di contraddizioni però: se infatti la lotta per l’indipendenza si combatté colonia per colonia e se gli stati africani odierni non ricalcano quelli del passato precoloniale ma i distretti amministrativi coloniali, e pur vero che il fenomeno ebbe portata generale e che molti dei movimenti nazionalisti si ispirarono alle ideologie -appunto generali ed unitarie- del panafricanismo e della negritudine. Ovvero spesso si combatteva per affrancare il singolo stato coloniale dall’Europa, ma lo si faceva ispirandosi all’idea che l’Africa era un’entità unica e che la propria lotta era solo un particolare del movimento generale che avrebbe portato all’emancipazione di tutto il continente, nella sua interezza ed unità culturale.
Al di là di questa “ispirazione di fondo” furono però mantenuti i confini delle unità amministrative coloniali (che come sappiamo non tenevano assolutamente conto di quelli etnici, religiosi, culturali e linguistici), e questa “scelta” sarà all’origine nei decenni successivi di non poche guerre e fenomeni di disgregazione politica. Una idea dell’Africa nera come entità unica rimase comunque nella visione di molti ed è condivisa anche oggi, se non altro per via delle comuni piaghe del sottosviluppo e della povertà.
Un’altra considerazione che possiamo fare osservando i caratteri della decolonizzazione africana, è che essa, negli anni immediatamente seguenti la seconda guerra mondiale, fu caratterizzata da un andamento talmente vertiginoso da ricordare quello che fu proprio della corsa all’Africa negli ultimi decenni dell’Ottocento; dal 1946 al 1961 (il cosiddetto anno dell’Africa, per il gran numero di paesi che si dichiararono indipendenti) il numero di membri delle Nazioni unite semplicemente raddoppiò. L’imperativo era indipendenza subito, anche se le condizioni per passare all’autogoverno forse non erano ancora del tutto mature.
IL CONTESTO INTERNAZIONALE
Accenniamo solo brevemente. È infatti noto che la seconda guerra mondiale e la consacrazione delle due superpotenze (entrambe anticoloniali seppure per motivi diversi), segnarono la fine della centralità dell’Europa e con essa anche dell’imperialismo di tipo coloniale. La decolonizzazione si svolse nel difficile contesto della guerra fredda e fu, a seconda delle singole circostanze, o favorita o sfavorita da questo contesto internazionale. Il Vietnam può essere considerato il simboli della triste interazione fra lotta per l’indipendenza e confronto a distanza fra le due superpotenze. Più spesso comunque il nuovo scenario internazionale favorì l’emancipazione; ad esempio alle conferenze fra gli alleati che seguirono la guerra, fu più volte messo in discussione il diritto di Londra e Parigi di riprendere il possesso dei territori dell’Asia di cui avevano perduto il controllo negli anni turbolenti della guerra.
Quanto alle ex potenze coloniali dopo le devastazioni della guerra esse semplicemente non avevano più la forza per tenersi i loro possedimenti. Le decolonizzazione sconta questa aporia di essere un grande fenomeno dal basso ma al contempo anche un riequilibrio dall’altro dei rapporti di forza sanciti dalla guerra. Non è un caso del resto che l’Africa sia stata l’ultima regione del mondo ad essersi affrancata dal colonialismo e che l’indipendenza abbia raggiunto prima i paesi dell’Africa mediterranea e solo in seguiti quelli dell’Africa nera. Tornando alle potenze coloniali possiamo delineare a grandi linee il loro modo di porsi di fronte al fenomeno: la g.b. come sappiamo dimostrò intelligenza, comprendendo subito la natura ineluttabile degli eventi e concedendo l’indipendenza appena la classe dirigente locale dimostrava di essere matura; la Portogallo e in misura minore la Francia tentarono fino all’ultimo la carta dell’assimilazione, imbarcandosi così in sanguinose ed inutili guerre; il Belgio non si pose neppure il problema fino all’ultimissima ora utile; l’Italia come sappiamo perse le sue colonie assieme alla guerra.
ALTRE COSE DA TENER PRESENTE
La decolonizzazione africana non può essere compresa senza tener conto degli attori che la portarono avanti. Il fatto è che essa non fu il risultato dell’azione dei gruppi dirigenti degli stati precoloniali (che perlopiù o furono annientati o divennero collaboratori degli europei, ma che in entrambi i casi perdettero la loro identità primigenia), ma bensì del corpo di istruiti che si era formato intorno alla presenza straniera: amministratori locali, burocrati, insegnanti, tecnici, commercianti.. Tutte persone che per quanto africane erano state istruite dagli europei ed avevano quindi assorbito anche la cultura europea e, soprattutto, il modo europee di gestire uno stato, dalla finanza alla diplomazia. In secondo luogo queste persone costituivano un elite, che, come tutte le elite, era interessata a mantenersi al potere anche quando gli europei se ne fossero andati.
Queste considerazioni sono essenziali per comprendere la natura dello stato africano indipendente, che spesso sarà infatti caratterizzato dalla difficoltà di comunicazione fra il gruppo dirigente centrale, residente nella capitale ed erede del periodo coloniale, e i molti poteri locali, sparsi nelle zone rurali: capi tribù, ecc. Ma sono altresì utili per capire tutta una cerchia di problemi spesso derivanti anche da altre cause in interazione fra loro. Ad esempio tutta la difficoltà insita nella riscoperta della propria identità culturale e della tradizione, oltre che alle motivazioni di cui si parlava al capitolo Uno, deriva in parte anche da questa “esteroformazione” del gruppo dirigente centrale.
In stati che non erano nazioni (perché trascendevano i confini etnici, religio..), con un gruppo dirigente più legato al passato coloniale che non alla realtà delle campagne, vi era il serio rischio di una disgregazione politica appena fosse venuta meno la dominazione straniera. Di fatto questo avvenne però solo in parte: gli stati della decolonizzazione hanno dato prova di una durata insospettabile. Così come sono rimasti solo in parte i modelli occidentali: molto spesso dietro una facciata istituzionale erede delle forme europee (quasi tutti gli stati africani sono democrazie sul modello francese o inglese), esiste una natura “indigena” con le sue regole e i suoi rapporti di potere. Gli stati della decolonizzazione sono insomma fenomeni complessi formatesi per interazione fra l’elemento europee e quello indigeno.
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