Riassunto relativo al manuale di fisiologia delle piante. Spiegati dettagliatamente i meccanismi di funzionamento vegetale, quali la funzione dell'acqua, la reazione alla luce, la fotosintesi clorofilliana, il ciclo di calvin, la maturazione del seme ecc.
Fisiologia vegetale
di Domenico Azarnia Tehran
Riassunto relativo al manuale di fisiologia delle piante. Spiegati
dettagliatamente i meccanismi di funzionamento vegetale, quali la funzione
dell'acqua, la reazione alla luce, la fotosintesi clorofilliana, il ciclo di calvin, la
maturazione del seme ecc.
Università: Università degli Studi di Roma La Sapienza
Facoltà: Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali
Corso: Scienze Biologiche
Esame: Fisiologia vegetale
Titolo del libro: Fisiologia vegetale
Autore del libro: Lincolin Taiz, Eduardo Zeiger
Editore: Piccinin
Anno pubblicazione: 20081. Struttura delle piante a seme
Nonostante la loro apparente diversità tutte le piante a seme mostrano tutte la stessa struttura di base. La
parte vegetativa è composta da tre organi: foglia, fusto e radice. La funzione principale della foglia è la
fotosintesi, quella del fusto è di sostegno e quella della radice è di ancorare la pianta al terreno e di assorbire
acqua e sali minerali. Ci sono due categorie di piante a seme: gimnosperme (dal greco “seme nudo”) e
angiosperme (dal greco “semi racchiusi”). Le gimnosperme sono il tipo meno evoluto di cui sono conosciute
circa 700 specie (le più numerose sono le conifere come il pino e le sequoie). Le angiosperme, le forme più
evolute, dominano il paesaggio e sono conosciute 250000 specie. L'innovazione più eclatante nelle
angiosperme è il fiore; per questo motivo vengono dette piante a fiore. Comunque, le cellule vegetali
contengono degli elementi propri assenti nelle cellule animali come: la parete cellulare, i cloroplasti, i
vacuoli e i plasmodesmi.
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Fisiologia vegetale 2. Parete cellulare delle cellule vegetali
La differenza fondamentale fra i vegetali e gli animali è che le cellule vegetali sono circondate da una rigida
parete cellulare. Quest'ultima impedisce le migrazioni cellulari (permesse nelle cellule animali) e protegge il
contenuto della cellula. Le cellule vegetali possiedono due tipi di parete: primaria e secondaria. Le pareti
cellulari primarie sono tipicamente sottili (<1 m) e sono caratteristiche di cellule giovani e in accrescimento.
Le pareti cellulari secondarie, invece, sono più spesse, più robuste e vengono depositate quando le cellule
sono pressoché differenziate. La resistenza e la durezza di quest'ultime pareti è dovuta alla presenza di
lignina, che ha permesso alle piante di possedere le fortificazioni cellulari necessarie per crescere in altezza
(le briofite non possiedono lignina e sono in grado di produrre solo strutture alte pochi centimetri).
Comunque, l'accrescimento vegetale è concentrato in regioni di divisione cellulare definiti meristemi. In
pratica tutte le divisioni nucleari (mitosi) e cellulari (citocinesi) avvengono in queste aree meristematiche. In
una pianta giovane, i meristemi più attivi sono localizzati tipicamente all'estremità del fusto e della radice e
prendono il nome di meristemi apicali. La fase di sviluppo vegetale che porta alla formazione di nuovi
organi e alla struttura di base vegetale è definita accrescimento primario. Questo è il risultato dell'attività di
meristemi apicali nei quali alla divisione cellulare segue un progressivo espandersi della cellula, tipicamente
per allungamento. Dopo il completamento della distensione si può avere in una determinata regione
l'accrescimento secondario. Questo, invece, implica la presenta di due meristemi laterali, il cambio cribro-
vascolare e quello subero-fellodermico. Il cambio vascolare dà origine allo xilema (legno) e al floema,
mentre il fellogeno produce il periderma, costituito essenzialmente di sughero. Comunque, anche se le
miliardi di cellule contenute in una piante sono specializzate tutte hanno una comune organizzazione:
contengono un nucleo, un citoplasma e organelli subcellulari e sono racchiuse da una membrana che ne
definisce i confini.
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Fisiologia vegetale 3. Struttura e sintesi delle pareti cellulari vegetali
Senza la parete cellulare le piante sarebbero degli organismi diversi da come li conosciamo. Infatti la parete
cellulare è essenziale per numerosi processi: 1) le pareti cellulari determinano la forza meccanica delle
strutture vegetali, permettendo loro di crescere ad altezze notevoli; 2) le pareti cellulari incollano le cellule
una con l'altra impedendo possibili slittamenti; 3) le pareti agiscono come esoscheletri che controllano la
forma della cellula e permettono lo sviluppo di elevate pressioni di turgore e quindi è indispensabile per le
reazioni idriche della piante; 4) il flusso di massa dovuto alla pressione d'acqua nello xilema richiede la
presenza di una parete meccanicamente resistente che possa resistere al collasso provocato dalle pressioni
negative dello xilema; 5) costituisce una barriera dall'attacco di organismi patogeni; 6) il più del carbonio
assimilato nella fotosintesi finisce nei polisaccaridi della parete i quali possono essere idrolizzati nei
componenti zuccherini poi recuperati dalla cellula ed utilizzati per fabbricare altri polimeri. Come abbiamo
detto, nonostante la diversità della morfologia, le pareti cellulari possono essere classificate in pareti
primarie, che si formano in cellule in crescita e di solito sono molto sottili e pareti secondarie, che si
formano alla fine dell'accrescimento e sono molto più spesse e rafforzate, come nel caso delle cellule dello
xilema, per via della presenza di lignina. La lamella mediana, un piccolo strato di materiale, si può notare
nella zona in cui giungono in contatto due pareti cellulari di cellule limitrofe. La composizione di questa è
diversa dalle pareti in quanto contiene pectine e diverse proteine. Inoltre, la parete cellulare è spesso
penetrata da piccoli canali delimitati da una membrana , i plasmodesmi, che uniscono le cellule limitrofe.
Comunque, in dettaglio, la parete primaria della cellula è composta da microfibrille di cellulosa immerse in
una matrice polisaccaridica. La matrice consiste in due principali gruppi di polisaccaridi, emicellulose e
pectine, più una piccola quantità di proteine strutturali. Le microfibrille di cellulosa (25%) sono delle
strutture relativamente rigide che contribuiscono a dare forza e struttura alla parete cellulare. Le singole
catene polisaccaridiche che formano la microfibrilla sono allineate e legate l'une alle altre a formare una
struttura molto ordinata (cristallina) che esclude l'acqua ed esclude l'accesso enzimatico. Quindi la cellulosa
è molto forte e stabile resistendo alla degradazione. Le emicellulose (25%), invece, sono dei polisaccaridi
flessibili che si legano in modo caratteristico ala superficie della cellulosa. Esse possono formare dei lacci
che legano insieme le microfibrille di cellulosa e formare uno stretto intreccio. Le pectine (32%) formano,
infine, una fase di gel in cui è immersa la trama di cellulosa ed emicellulosa. Esse agiscono da riempimento
idrofilico in modo da prevenire il collasso e l'aggregazione della cellulosa. Le emicellulose e le pectine
formano la matrice della parete. Invece, il ruolo preciso delle proteine strutturali (2-5%) è incerto, esse
potrebbero aggiungere forza meccanica alla parete e contribuire all'esatto assemblaggio delle componenti di
parete.
Quindi, possiamo dire che la parete cellulare ha una fase di matrice (amorfa) composta da emicellulosa,
pectine, proteine, fenoli e lignina, ed una fase fibrillare di cellulosa. In dettaglio, la cellulosa è composta da
catene laterali di -D-glucosio unite con legami 14. I legami idrogeno presenti tra 20-40 catene formano una
microfibrilla. A causa dell'alterazione della configurazione spaziale del legame glucosidico che unisce
residui adiacenti di glucosio, l'unità ripetuta nella cellulosa è considerata il cellobiosio, un disaccaride -D-
glucosidico con legame 14. Le microfibrille di cellulosa sono di lunghezza variabile e variano
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Fisiologia vegetale considerevolmente in spessore secondo la fonte di origine. Il modello ricorrente di organizzazione
microfibrillare suggerisce una substruttura formata da domini cristallini legati insieme da regioni amorfe
meno organizzate. All'interno dei domini cristallini vi sono dei glucani (termine generico per definire i
polimeri formati da zuccheri) adiacenti disposti in modo ordinato e legati gli uni agli altri con dei legami
non covalenti che garantiscono alla microfibrilla di cellulosa una grande forza di tensione, equivalente a
quella dell'acciaio. La cellulosa è anche insolubile, chimicamente stabile e relativamente immune all'attacco
enzimatico e chimico. Studi al microscopio elettronico indicano che le microfibrille di cellulosa sono
sintetizzate da grandi complessi proteici, detti rosette di particelle o complessi terminali, inclusi nella
membrana plasmatica . Queste rosette sono presenti fino a sei subunità ognuna delle quali si ritiene che
contenga sei unità di cellulosa sintasi, l'enzima che sintetizza i singoli (14) -D-glucani che formano la
microfibrilla. Queste sintasi sono delle zucchero-nucleotide polisaccaride glucosiltrasferasi, che
trasferiscono monosaccaridi da zuccheri di nucleotidi alla parte terminale della catena polisaccaridica. La
cellulosa sintasi, che è localizzata dalla parte citoplasmatica della membrana plasmatica, trasferisce un
residuo di glucosio alla catena di glucano in fase di crescita. Il donatore di zucchero è uridin difosfato D-
glucosio (UDP-glucosio). Recenti ricerche indicano che il glucosio utilizzato per la sintesi di cellulosa possa
derivare dal saccarosio (un disaccaride composto da glucosio e fruttosio). Secondo questa idea, l'enzima
saccarosio sintasi agirebbe a canale metabolico per trasferire il glucosio ottenuto dal saccarosio, tramite
l'UDP-glucosio, verso la catena di cellulosa in fase di crescita.
La matrice, invece, è una fase altamente idratata in cui sono immerse le microfibrille di cellulosa. I
polisaccaridi della matrice sono sintetizzati da un sistema di enzimi legati alla membrana presenti
nell'apparato del Golgi e rilasciati dalla cellula tramite l'esocitosi di piccole vescicole. A differenza della
cellulosa, i polisaccaridi della matrice (emicellulose e pectine) sono meno ordinati e spesso descritti come
amorfi. Le emicellulose sono un gruppo omogeneo di polisaccaridi strettamente legati alla parete. Nelle
pareti primarie delle dicotiledoni l'emicellulosa più abbondante è lo xiloglucano. Questo polisaccaride ha
uno scheletro di (14 ) -D-glucano, proprio come la cellulosa, ma a differenza di quest'ultima lo xiloglucano
possiede delle corte catene laterali che contengono xilosio, galattosio e spesso un terminale di fucosio.
Queste catene laterali, interagendo l'un l'altre con l'allineamento lineare dello scheletro di glucano,
prevengono l'assemblaggio dello xiloglucano in una microfibrilla cristallina ed, essendo più lunghi dello
spazio che intercorre tra le microfibrille di cellulosa, hanno anche di legare insieme più microfibrille. Le
pareti secondarie, invece, contengono meno xiloglucani e più xilani e glucomannani che si legano anche
strettamente alla cellulosa. Le pectine, invece, come le emicellulose, rappresentano un gruppo omogeneo di
polisaccaridi, che contiene caratteristicamente zuccheri acidi come l'acido galatturonico e zuccheri neutri
come ramnosio, galattosio ed arabinosio. Le pectine formano una fase di gel in cui è immersa una trama di
cellulosa ed emicellulosa che agiscono da riempimento idrofilico che previene collasso ed aggregazione di
cellulosa. Comunque, le pectine sono i polisaccaridi più solubili della parete e hanno una struttura primaria
relativamente semplice, l'omogalatturonano. Questo polisaccaride, detto anche acido poligalatturonico, è un
polimero lineare di residui di acido -D-galatturonico con legame 14. Altre pectine abbondanti sono il
ramnogalatturonano I (RG I), che ha un lungo scheletro di base con alternanza di residui di ramnosio ed
acido galatturonico e il ramnogalatturonano II (RG II), che contiene uno scheletro omogalatturonanico con
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Fisiologia vegetale catene laterali comprendenti almeno dieci zuccheri differenti in un complicato intreccio di legami.
Comunque, le pareti primarie originano ex novo durante gli stadi finali della divisione cellulare, quando la
neo-formata piastra cellulare separa le due cellule figlie e si solidifica in una parete stabile capace di
sostenere la spinta della pressione di turgore. La piastra cellulare si forma quando le vescicole del Golgi e le
cisterne dell'ER si aggregano nella zona mediana del fuso di cellule in divisione. Il contenuto delle vescicole
consta di precursori che daranno origine alle future lamella mediana e parete primaria. Sono presenti due
sistemi di biosintesi della parete: 1) sintesi di cellulosa, che avviene direttamente sulla membrana plasmatica
e come abbiamo visto comprende strutture specializzate dette rosette di particelle e 2) sintesi dei
polisaccaridi della matrice che sono sintetizzati nel Golgi come parti separate e poi portati nella parete
cellulare. Comunque, dopo la formazione la parete può crescere e maturare tramite un processo che può
essere descritto come: sintesisecrezioneassemblaggioespansione (nelle cellule in crescita)legame e
formazione della parete secondaria. Abbiamo già descritto la sintesi e la secrezione dei principali polimeri,
ora consideriamo l'assemblaggio e l'espansione della parete. I polimeri della parete, dopo la loro secrezione
nello spazio extracellulare, devono essere assemblati in una struttura unificante. Anche se non ancora
chiarito si ritiene che l'assemblaggio della parete avvenga per autoassemblaggio e assemblaggio mediato da
enzimi. Nell'autoassemblaggio i polisaccaridi di parete posseggono una tendenza naturale ad aggregarsi
spontaneamente in strutture organizzate. Mentre nell'assemblaggio mediato da enzimi partecipano, appunto,
numerosi enzimi che aiutano ad assemblare la parete. Al termine dell'espansione cellulare alcune cellule,
però, continuano a sintetizzare una parete nota come parete secondaria. Queste pareti sono multistratificate e
differiscono da quelle primarie nella struttura e composizione. Per esempio, le pareti secondarie contengono
xilani al posto di xiloglucani, una maggior quantità di cellulosa e sono spesso impregnate di lignina. La
lignina è un polimero fenolico con un pattern di legami complesso ed irregolare formato dall'unione di
subunità di alcoli aromatici. Queste subunità sono sintetizzate a partire dalla fenilalanina e sono secrete nella
parete, dove sono ossidate dagli enzimi perossidasi e laccasi. A man mano che si forma lignina nella parete
essa elimina l'acqua dalla matrice e forma una trama idrofobica che lega strettamente la cellulosa e previene
l'estensione cellulare.
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Fisiologia vegetale 4. Le membrane biologiche
Tutte le cellule sono racchiuse da una membrana plasmatica (definita plasmalemma) che permette, grazie
alla presenza di proteine trasportatrici, alla cellula di assorbire e trattenere alcune sostanze e allo stesso
tempo di escluderne altre. Secondo il modello definito mosaico fluido, tutte le membrane biologiche hanno
la stessa organizzazione molecolare di base. Esse consistono di un doppio strato di fosfolipidi o, nel caso dei
cloroplasti, glicosilgliceridi. I fosfolipidi sono una classe di lipidi in cui due acidi grassi sono legati
covalentemente al glicerolo, che a sua volta è legato covalentemente a un gruppo fosfato. Attaccati al
gruppo fosfato ci sono poi altri componenti (gruppo di “testa”) come la serina, la colina e il glicerolo. A
differenza degli acidi grassi, i gruppi di testa sono altamente polari; di conseguenza i fosfolipidi posseggono
proprietà sia idrofiliche che idrofobiche. Le membrane dei plastidi (organuli ai quali appartengono i
cloroplasti), invece, sono uniche in quanto composte da lipidi formati quasi esclusivamente da
glicosilgliceridi. In quest'ultimi la testa polare è formata da galattosio, digalattosio o galattosio solfato, senza
la presenza di un gruppo fosfato. Comunque, in entrambi i casi, uno degli acidi grassi è saturo (cioè non
possiede doppi legami), mentre l'altra catena di acido grasso contiene uno o più doppi legami in cis (vale a
dire è insaturo=. La presenza di un doppio legame in cis crea un ripiegamento della catena che previene
l'impaccamento dei fosfolipidi nel bistrato, aumentando di conseguenza la fluidità delle membrane. Le
proteine, invece, associate al doppio strato lipidico sono di tre tipi: integrali, che si espandono attraverso
l'intero spessore della membrana e hanno quasi sempre funzioni di canali ionici, periferiche, che sono
attaccate alla superficie delle membrane per mezzo di legami non covalenti e sono coinvolte spesso nelle
interazioni tra la membrana e il citoscheletro, infine abbiamo le proteine ancorate, che sono legate alla
superficie della membrana tramite molecole lipidiche alla quale sono a loro volta legate covalentemente.
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Fisiologia vegetale 5. Il nucleo contenitore del materiale genetico della cellula
Il nucleo è l'organulo che contiene l'informazione responsabile della regolazione delle principali funzioni
quali il metabolismo, la crescita ed il differenziamento della cellula. I geni che il nucleo contiene e le
relative sequenze sono definite collettivamente genoma nucleare. L'ampiezza di questo genoma varia
notevolmente nelle piante, andando dalle 1,2 x 108 paia di basi in Arabidopsis thaliana alle 1 x 1011 paia di
basi in Fritillaria assyriaca. La rimanente parte dell'informazione è confinata nei cloroplasti e nei mitocondri.
Il sistema di membrane che circonda il nucleo, definito membrana nucleare, è formato da due distinti
bistrati. Lo spazio compreso fra i due bistrati è definito spazio perinucleare, mentre i punti di fusione dei
bistrati sono detti pori nucleari. Il “poro” nucleare è una struttura complessa composta da un centinaio di
proteine (nuceloporine) disposte in modo ottagonale a formare il complesso del poro nucleare (NPC) dal
quale possono entrare proteine che presentano una specifica sequenza amminoacidica definita segnale di
localizzazione nucleare. Comunque, il nucleo è la sede dove si trovano e si replicano i cromosomi, costituiti
da DNA e da proteine associate. In generale questo complesso è definito cromatina. Come per la cellule
animali il DNA a doppia elica viene avvolto due volte attorno a un cilindro solido costituito da otto
molecole proteiche, gli istoni, a formare una struttura detta nucleosoma. Per quanto riguarda i processi
fondamentali di trascrizione e traduzioni, avvengono in maniera simili alle cellule animali.
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Fisiologia vegetale 6. Il reticolo endoplasmatico e l'apparato del Golgi
Le cellule posseggono un elaborato intreccio di membrane interne: il reticolo endoplasmatico (ER),
membrane costituite dal tipico doppio strato lipidico con proteine associate. Ci sono due tipi di ER, liscio e
rugoso, i quali sono interconnessi. L'ER rugoso (RER) differisce da quello liscio in quanto è ricoperto da
ribosomi, inoltre tende ad essere lamellare mentre l'ER liscio tende a essere tubulare. L'ER liscio, invece,
funge da sede primaria della sintesi lipidica e dell'assemblaggio della membrane. L'ER ruvido invece è la
sede della sintesi delle proteine di membrana e delle proteine secrete fuori dalla cellule o dentro il vacuolo.
Infatti, le proteine destinate alla secrezione attraversano la membrana del RER ed entrano nel lume dell'ER.
Questa è la prima tappa nella via di secrezione che coinvolge l'apparato del Golgi e le vescicole che si
fondono con la membrana plasmatica. L'apparato del Golgi appare alle micrografie elettroniche come una
struttura dinamica che consiste di uno o più ammassi di 3-10 membrane appiattite, a forma di sacculo o
cisterna, e di un intreccio irregolare di tubuli e vescicole, definito trans Golgi network (TGN). Comunque, il
Golgi è costituito da distinte zone funzionali, ognuna corredata da enzimi specializzati per ogni specifica
tappa nella trasformazione delle glicoproteine. Le cisterne presenti nella parte di secrezione del Golgi sono
definite trans mentre le cisterne dove avviene la formazione sono definite cis. Le cisterne mediante si
trovano fra le cis e le trans, mentre il TGN si trova nella parte trans. L'intera struttura è stabilizzata da
intrecci proteici che tengono unite le cisterne (elementi intercisterna). Le cellule vegetali contengono
centinaia di corpi del Golgi dispersi all'interno del citoplasma, mentre nelle cellule animali il Golgi tende ad
aggregarsi in una parte della cellula. Questo apparato ha diverse funzioni: 1) sintesi di polisaccaridi che
vanno a far parte della parete cellulare (esclusa la cellulosa); 2) glicosilazione, ossia il processamento delle
glicoproteine che saranno destinate alla superficie cellulare e ai vacuoli; 3) accetta e modifica le membrane
del RE per endocitosi. In dettaglio, le glicoproteine destinate alla secrezione raggiungono il Golgi tramite
vescicole che si formano dal RER e che sono modificate enzimaticamente all'interno del lume delle cisterne
del Golgi. Dopo essere state rielaborate dentro al Golgi, le glicoproteine abbandonano l'organulo all'interno
di altre vescicole, derivanti solitamente dal TGN. Tutti questi processi conferiscono ad ogni proteina
un'etichetta o un marker che specifica la destinazione finale di quella proteina fuori o dentro la cellula.
Inoltre, nelle cellule vegetali l'apparato del Golgi gioca un ruolo importante nella formazione della parete
cellulare. In questo organulo, infatti, vengono sintetizzati polisaccaridi non cellulosici di parete
(l'emicellulosa e la pectina) e una grande quantità di glicoproteine. Nonostante i numerosi anni di studio la
precisa via di neosintesi di sostanze attraverso l'apparato del Golgi non è stata ancora determinata. Secondo
il modello di trasporto vescicolare e cisterne cis, mediane e trans sono strutture stabili e molecole
trasportate si spostano da una cisterna a quella successiva attraverso vescicole che si formano alla periferia
di ogni cisterna. Tuttavia questo modello non spiega come molecole a volta anche molto grandi, come i
filamenti di procollagene, possano passare all'interno di vescicole. Per questo è stato proposto il modello di
maturazione/progressione delle cisterne. In cui i sacculi del Golgi non sono fissi, ma rappresentano una
struttura dinamica nella quale le cisterne procedono attraverso le interfacce cis, mediana e trans, portandosi
dietro il loro carico. Nella fase finale la cisterna stessa diventa una grande vescicola secretoria che si fonde
con la membrana plasmatica. Il movimento delle cisterne o delle vescicole nella direzione in avanti viene
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Fisiologia vegetale definito trasporto anterogrado. La formazione di queste vescicole dall'ER al Golgi (trasporto anterogrado) è
assistita da proteine di rivestimento di tipo II (COPII). Comunque, questo modello però pone un altro
problema. Infatti se le singole cisterne passano attraverso il Golgi come una parata di barche, come vengono
mantenute le distinte zone cis, mediana e trans. Questo problema è stato risolto con la scoperta del trasporto
retrogrado di vescicole fra le cisterne del Golgi. Il trasporto vescicolare retrogrado mantiene la distribuzione
spaziale degli enzimi e di altre proteine funzionali all'interno dei sacculi del Golgi agendo come una contro
corrente nei riguardi della progressione delle cisterne. Quando una determinata cisterna cis si sposta in
avanti verso la zona mediana le vescicole che si formano alla periferia trasportano indietro il suo corredo di
enzimi e recettori con un trasporto retrogrado verso la cisterna cis che si sta formando. Le vescicole che si
spostano dal Golgi all'ER (trasporto retrogrado) utilizzano una proteina di rivestimento detta COPI. Un terzo
tipo di proteina è la clatrina, indispensabile per la formazione di vescicole che originano dalla membrana
plasmatica e forse dal trans Golgi. Vescicole ricoperte da clatrina prendono parte al riciclaggio endocitico, il
trasporto retrogrado che porta proteine solubili e legate alla membrana all'interno della cellula. Queste
vescicole quindi si fondono con il compartimento provacuolare (PVC), dove avviene il riciclaggio dei
recettori di membrana. Anche le proteine destinate nei vacuoli litici (vacuoli da pH acido che contengono
enzimi idrolitici) sono trasportate tramite vescicole ricoperte da clatrina dal trans Golgi al PVC.
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Fisiologia vegetale 7. I vacuoli
Le cellule vegetali mature contengono grandi vacuoli pieni d'acqua, che occupano dall'80 al 90% del volume
totale cellulare. I vacuoli sono circondati da una membrana vacuolare, denominata tonoplasto. Trasportatori
proteici inclusi nel tonoplasto regolano i flussi ionici e di molecole organiche fuori e dentro il lume. In
cellule meristematiche i vacuoli sono meno diffusi, anche se talvolta sono presenti sotto forma di piccoli
provacuoli. Quest'ultimi sono prodotti dal trans Golgi network. Man mano che la cellula comincia a
maturare, i provacuoli si fondono per produrre i larghi vacuoli centrali caratteristici della maggior parte delle
cellule mature. Comunque, il vacuolo contiene acqua e ioni inorganici, acidi organici, zuccheri, enzimi
insieme ad una grande varietà di metaboliti secondari (ammine, flavonoidi, alcaloidi, etc.). Gli enzimi
idrolitici principali sono le proteasi, le ribonucleasi e le glicosidasi, importanti, non per i turnover delle
macromolecole come avviene nelle cellule animali, ma per la degradazione delle cellule vegetali durante la
senescenza o in risposta al danno cellulare. Inoltre, l'accumulo di soluti attivo garantisce al vacuolo la forza
motrice osmotica per l'assorbimento dell'acqua. La pressione di turgore generata da questo assorbimento di
acqua fornisce la rigidità necessaria per mantenere il portamento alle piante erbacee, che mancano di tessuti
lignificati di supporto. Vacuoli specializzati nell'accumulo di proteine, i cosiddetti corpi proteici, sono
abbondanti nei semi. Questi sono delimitati da una singola membrana e sono sferoidali (1-20 m).Durante la
germinazione, le proteine di riserva sono idrolizzate ed esportate verso il citosol per essere utilizzate nella
sintesi proteica. Queste sostanze di riserva sono molto utili nello sviluppo del seme fin quando non subentra
il processo di fotosintesi. In generale, i corpi proteici sono formati dal RE e dall'apparato del Golgi e
contengono: K, Mg, S e tracce di oligoelementi Gli enzimi idrolitici, invece, sono accumulati in piccoli
vacuoli litici, che si fondono con i corpi proteici per dare origine al processo degradativo. In questi vacuoli
litici il pH è mantenuto a valori acidi dall'attività della ATPasi vacuolare, una pompa protonica che sposta
protoni dal citosol al vacuolo.
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Fisiologia vegetale 8. I mitocondri
Una tipica cellula vegetale ha due tipi di organuli in grado di produrre energia: i mitocondri e i cloroplasti.
Entrambi i tipi di organuli sono separati dal citosol per mezzo di una doppia membrana (una interna e una
esterna). I mitocondri sono la sede cellulare della respirazione, un processo durante il quale l'energia liberata
dal metabolismo degli zuccheri è utilizzata per la sintesi di ATP a partire dall'ADP e dal fosfato inorganico
(Pi). Tutti i mitocondri, indipendentemente dalla forma, possiedono una membrana esterna liscia e una
membrana intera fortemente invaginata a formare le creste. Lo spazio racchiuso dalla membrana interna, la
matrice, contiene gli enzimi della via metabolica del ciclo di Krebs. La membrana intera, invece, è altamente
impermeabile alla diffusione di H+; cioè è una vera e propria barriera al passaggio di protoni. Questa
caratteristica peculiare consente la formazione di gradienti elettrochimici, la cui dissipazione attraverso lo
spostamento controllato di ioni H+ attraverso l'enzima transmembrana ATP sintasi è accoppiata alla
fosforilazione dell'ADP per produrre ATP. L'ATP può quindi essere ceduto ad altri siti della cellula dove è
necessaria energia per portare a termine reazioni specifiche.
Il processo di respirazione che avviene nei mitocondri rilascia l'energia accumulata nei carboidrati in
maniera controllata per l'utilizzo cellulare e allo stesso tempo genera numerosi precursori carboniosi per la
biosintesi. Da un punto di vista chimico, la respirazione può essere espressa in termini di ossidazione dello
zucchero a 12 atomi di carbonio, il saccarosio, e la riduzione di 12 molecole di CO2:
C12H22O11 + 13 H2O 12 CO2 + 48 H+ + 48 e-
12 O2 + 48 H+ + 48 e- 24 H2O
portando alla seguente reazione netta:
C12H22O11 + 12 O2 12 CO2 + 11 H20
con un bilancio energetico: 60 ADP + 60 Pi 60 ATP + 60 H2O
In questa reazione il saccarosio è completamente ossidato a CO2 mentre l'ossigeno viene utilizzato come
accettore finale di elettroni, venendo ridotto ad acqua. Lo scambio di energia libera standard della reazione
implica la liberazione di circa 5760 kJ (1380 Kcal) per mole (342 g) di saccarosio ossidato ed è la
liberazione controllata di questa energia libera unita all'accoppiamento con la sintesi di ATP che gioca un
principale ruolo nel metabolismo respiratorio. Considerando la grande quantità di energia libera rilasciata
durante l'ossidazione del glucosio, non ci deve sorprendere il fatto che la respirazione sia un processo a più
tappe, nelle quali il glucosio viene ossidato attraverso una serie di reazioni. Queste reazioni possono essere
suddivise i quattro processi principali: la glicolisi, il ciclo dell'acido citrico (ciclo di Krebs), le reazioni della
via dei pentosi fosfati e la fosforilazione ossidativa.
1) La glicolisi è portata a termine da un gruppo di enzimi solubili situati nel citosol e nel plastidio. Uno
zucchero, per esempio il saccarosio, è parzialmente ossidato attraverso la formazione di zuccheri fosfati a sei
atomi di carbonio (esosi fosfati) e zuccheri fosfati a tre atomi di carbonio (triosi fosfati) per produrre un
acido organico, per esempio il piruvato. Il processo libera un po' di ATP e potere riducente accumulato nella
forma del nucleotide piridinico ridotto, il NADH;
2) Nella via dei pentosi fosfati, anch'essa situata sia nel citosol che nei plastidi, il glucosio-6-fosfato è prima
ossidato nel composto a cinque atomi di carbonio ribulosio-5-fosfato. Il carbonio è perso come CO2 e il
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Fisiologia vegetale potere riducente è conservato sotto forma di due molecole di un altro nucleotide piridinico ridotto, il
NADPH. Il ribulosio-5-fosfato, nelle reazioni successive è convertito in zuccheri contenenti dai tre ai sette
atomi di carbonio;
3) Nel ciclo dell'acido citrico il piruvato è ossidato completamente a CO2, generando la maggio quantità di
potere riducente (16 NADH + 4 FADH2 equivalenti per saccarosio) a partire dalla degradazione del
saccarosio. Ad eccezione di una (succinato deidrogenasi che è localizzata nella membrana mitocondriale
interna), queste reazioni implicano una serie di enzimi solubili situati nel compartimento interno e acquoso
del mitocondrio, detto matrice.
4) Nella fosforilazione ossidativa gli elettroni sono trasferiti in una catena di trasporto elettronico che
consiste in un insieme di proteine trasportatrici di elettroni legate alla membrana mitocondriale interna.
Questo sistema trasferisce elettroni dal NADH (e specie affini) all'ossigeno. Il trasferimento degli elettroni
libera una gran quantità di energia libera, la maggior parte della quale è conservata attraverso la conversione
di ADP e Pi in ATP, catalizzata dalla ATP sintasi.
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Fisiologia vegetale 9. I cloroplasti
I cloroplasti appartengono al gruppo di organuli costituiti da una doppia unità di membrana chiamati
plastidi. Le membrane dei cloroplasti contengono clorofilla e le proteine ad essa associate e sono la sede
della fotosintesi. I cloroplasti posseggono un terzo sistema di membrane chiamato tilacoidi. L'impilamento
di tilacoidi forma un granum (al plurale grana). Le proteine e i pigmenti (clorofille e carotenoidi) che
prendono parte agli eventi fotochimici della fotosintesi fanno anche loro parte del tilacoide. Lo scomparto
fluido che avvolge i tilacoidi è denominato stroma ed è analogo alla matrice dei mitocondri. I grana sono
collegati gli uni agli altri attraverso tilacoidi non impilati definiti lamelle stromatiche. I plastidi che
contengono alte concentrazioni di pigmenti carotenoidi, piuttosto che clorofilla, sono chiamati, invece,
cromoplasti e sono i principali responsabili dei colori giallo, arancio e rosso, tipici di molti frutti e fiori,
come anche di molte foglie in autunno. I plastidi non pigmentati sono detti leucoplasti. Il tipo più importante
di leucoplasto è l'amiloplasto, un plastidio che accumula amido. Gli amiloplasti sono abbondanti nei tessuti
di riserva, della radice e dei semi. Comunque, sia i mitocondri che i cloroplasti possiedono un proprio DNA
e un sistema per la sintesi di proteine e si ritiene che siano evoluti da batteri endosimbionti. Il DNA di questi
organuli è nella forma di cromosomi circolari, localizzati in regioni specifiche della matrice mitocondriale o
dello stroma plastidiale definite nucleoidi. Il genoma mitocondriale è formato da circa 200 paia di kilobasi
(200000 paia di basi) e gran parte delle proteine codificate da questo genoma è rappresentata da proteine
ribosomiali 70S e da componenti del sistema di trasferimento di elettroni. Il genoma del cloroplasto è,
invece, più piccolo di quello mitocondriale, circa 145000 bp. Questo genoma codifica rRNA, tRNA, la
subunità più grande dell'enzima in grado di fissare la CO2, la ribulosio-1,5-difosfato carbossilasi/ossigenasi
(Rubisco) e molte altre proteine che prendono parte alla fotosintesi. Sebbene i mitocondri ed i cloroplasti
posseggano un genoma proprio e siano in grado di dividersi indipendentemente dalla cellula, sono
classificati come organuli semi-autonomi poiché dipendono dal nucleo per la maggior parte delle proteine di
cui sono composti. Bisogna considerare, comunque, che le cellule meristematiche contengono proplastidi,
che hanno pochissime se non nulle membrane interne, mancano di clorofilla e hanno un corredo incompleto
di enzimi in grado di svolgere la fotosintesi. Nelle angiosperme e in alcune gimnosperme lo sviluppo dei
cloroplasti a partire dai proplastidi è causato dalla luce. Infatti, a seguito dell'illuminazione, dentro il
proplastidio vengono importati dal citosol o si formano gli enzimi, vengono prodotti pigmenti in grado di
assorbire la luce e rapidamente le membrane proliferano dando origine alle lamelle stromatiche e alle pile di
grana. I semi di solito germinano nel suolo al buio e i cloroplasti si sviluppano solo quando i giovani
germogli sono esposti alla luce. Se i semi germinano al buio i proplastidi si differenziano in ezioplasti, che
non contengono clorofilla ma un pigmento precursore giallo-verde pallido, il protoclorofillide. Pochi minuti
dopo essere stati esposti alla luce gli ezioplasti vanno incontro ad un processo di differenziamento che
originerà i cloroplasti. Inoltre, bisogna dire che, i cloroplasti possono essere convertiti in cromoplasti, come
nel caso delle foglie in autunno o in alcuni semi durante la maturazione, ma in alcuni casi il processo è
reversibile. Anche gli amiloplasti possono essere convertiti in cloroplasti, ciò spiega perché l'esposizione
alla luce produca un inverdimento dei tessuti.
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Fisiologia vegetale 10. I microcorpi
Le cellule vegetali contengono anche dei microcorpi, che sono compartimenti circondati da una singola
membrana e che sono specializzati in varie funzioni metaboliche. I principali tipi sono i perossisomi, i
gliossisomi e gli oleosomi. I perossisomi sono presenti in tutti gli organismi eucariotici e nelle piante si
trovano nelle cellule fotosintetizzanti. Essi sono organelli sferici, contengono numerosi enzimi e la loro
funzione è quella di rimuovere atomi di idrogeno da substrati organici, consumando nel processo O2,
secondo la seguente reazione:
RH2 + O2 R + H2O2
Il perossido, potenzialmente dannoso e prodotto in questa reazione, è degradato dai perossisomi dall'enzima
catalasi, secondo la seguente reazione: H2O2 H2O + ½O2. I perossisomi, inoltre, nelle foglie delle piante
C3 giocano un ruolo fondamentale nella fotorespirazione (perossisomi fogliari). Altri tipi di microcorpi, i
cosiddetti gliossisomi, sono presenti nei semi che accumulano grassi. I gliossisomi contengono gli enzimi
del ciclo dell'acido gliossilico, che serve per convertire gli acidi grassi di riserva in zuccheri che sono poi
traslocati, attraverso i giovani germogli, in modo tale da fornire energia per la crescita. Infine, dobbiamo
dire che durante lo sviluppo del seme molte piante sintetizzano ed accumulano, oltre ad amido e proteine,
grandi quantità di trigliceridi sotto forma di olio, che si accumula in organuli definiti oleosomi, corpi lipidici
o sferosomi. Si tratta di organuli delimitati da un solo monostrato di fosfolipidi su la cui superfici si trovano
delle proteine definite oleosine che evitano la fusione con altri oleosomi. I fosfolipidi che costituiscono la
membrana sono orientati con le teste polari verso la fase acquosa e le code lipofiliche verso il lume nei lipidi
di riserva. In dettaglio, durante la germinazione del seme i lipidi contenuti all'interno degli oleosomi
vengono degradati e convertiti in saccarosio con l'aiuto dei gliossisomi (la lipasi idrolizza le catene degli
acidi grassi del glicerolo). La tappa iniziale della conversione dei lipidi in carboidrati implica la
degradazione dei trigliceridi accumulati nei corpi lipidici tramite l'enzima lipasi che è localizzati nella semi-
membrana che circonda il corpo lipidico. La lipasi idrolizza i trigliceridi a tre molecole di acidi grassi e
glicerolo. Dopo l'idrolisi dei trigliceridi, gli acidi grassi che ne risultano entrano nel gliossisoma, dove
vengono trasformati in acil-grassi-CoA attraverso l'opera dell'enzima acil-grasso-CoA sintasi. L'acil-grasso-
CoA è il substrato iniziale per la serie di reazioni di -ossidazione in cui acidi grassi con numero di carbonio
Cn sono sequenzialmente demoliti in n/2 molecole di acetil-CoA (-ossidazione degli acidi grassi). Gli acidi
grassi vengono smantellati mediante la -ossidazione dell'acil-CoA, un processo che procede in quattro
reazioni:
1.Formazione di un doppio legame attraverso deidrogenazione da parte del flavoenzima acil-CoA
deidrogenasi;
2.idratazione del doppio legame da parte dell'enoil-CoA idratasi che genera un 3-L-idrossiacil-CoA;
3.Deidrogenazione di questo 3-L-idrossiacil-CoA ad opera della 3-L-idrossiacil-CoA deidrogenasi;
4.Taglio del legame C—C in una reazione di tiolisi con CoA catalizzata dalla -chetoacil-CoA tiolasi che
genera acetil-CoA che contiene due atomi di C in meno dell'originale;
Comunque, la funzione dell'ossidazione degli acidi grassi è, naturalmente, di generare energia metabolica.
Ciascun ciclo di -ossidazione produce un NADH, un FADH2 e un acetil-CoA. L'ossidazione dell'acetil-CoA
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Fisiologia vegetale attraverso il ciclo dell'acido citrico genera altri FADH2 e NADH che vengono riossidati attraverso la
fosforilazione ossidativa formando ATP. La completa ossidazione di una molecola di acido grasso è quindi
un processo altamente esoergonico, che genera numerosi ATP
Nei tessuti dei mammiferi, le quattro attività enzimatiche associate alla -ossidazione avvengono nel
mitocondrio, invece nei tessuti di riserva dei semi delle piante esse sono esclusivamente localizzate nel
gliossisoma. La funzione del ciclo del gliossilato, invece, è di convertire due molecole di acetil-CoA in
succinato. L'acetil-CoA prodotto dalla -ossidazione è poi metabolizzato nei gliossisomi attraverso una serie
di reazioni che costituiscono il ciclo del gliossilato. All'inizio, l'acetil-CoA reagisce con l'acido ossalacetico
per formare acido citrico, che a sua volta è isomerizzato nel citoplasma ad acido isocitrico per opera
dell'aconitasi. L'isocitrato è re-importato nel perossisoma e convertito in malato da due reazioni uniche della
via del gliossilato: 1) Prima, l'acido isocitrico (C6) si spezza per opera del'enzima isocitrato liasi per dare
acido succinico (C4) e acido gliossilico (C2). Questo succinato è esportato al mitocondrio; 2) poi l'acido
malico sintasi unisce una seconda molecole di acetil-CoA all'acido gliossilico per formare acido malico.
L'acido malico viene poi ossidato tramite l'acido malico deidrogenasi in acido ossalacetico, che può unirsi a
un altro acetil-CoA per continuare il ciclo. Il compito del ciclo dell'acido gliossilico è di mantenere attivo il
ciclo nel gliossisoma, ma l'acido succinico si sposta poi nel mitocondrio dove viene ulteriormente
convertito. Comunque, spostandosi dai gliossisomi ai mitocondri il succinato è convertito in acido malico
dalle normali reazioni del ciclo dell'acido citrico:
1.La citrato sintasi catalizza la condensazione dell'acetil-CoA con l'ossalacetato per formare citrato,
composto che dà il nome al ciclo;
2.La strategia delle due prossime tappe del ciclo è quella di trasformare il citrato in un isomero più
facilmente ossidabile e quindi di ossidarlo. L'aconitasi converte il citrato, che contiene un gruppo alcolico
terziario resistente alle ossidazioni, in isocitrato, che contiene invece un gruppo alcolico secondario
facilmente ossidabile;
3.L'isocitrato deidrogenasi ossida l'isocitrato formando un -chetoacido intermedio, l'ossalosuccinato, in una
reazione accoppiata alla riduzione del NAD+ a NADH; l'ossalosuccinato viene decarbossilato, generando -
chetoglutarato. Questa è la prima tappa in cui l'ossidazione è accoppiata alla produzione di NADH ed è
anche la prima tappa in cui si ha la formazione di CO2;
4.Il complesso multienzimatico -chetoglutarato deidrogenasi decarbossila ossidativamente l'-chetoglutarato
a succinil-coenzima A. Questa reazione porta alla riduzione della seconda molecola di NAD+ a NADH e
alla generazione della seconda molecola di CO2. A questo punto del ciclo sono state prodotte due molecole
di CO2, quindi l'ossidazione del gruppo acetile è stata completata ma gli atomi di carbonio che sono stati
ossidati non sono quelli entrati nel ciclo come acetil-CoA;
5.La succinil-CoA sintetasi converte il succinil-CoA in succinato. In questa reazione viene conservata
l'energia libera del legame tioestere mediante la formazione di una molecola di GTP ad “alta energia”, a
partire da GDP e Pi;
6.Le restanti reazioni del ciclo servono ad ossidare il succinato di nuovo ad ossalacetato per poter eseguire
un altro giro del ciclo. La succinato deidrogenasi catalizza l'ossidazione del legame singolo centrale del
succinato a doppio legame trans, formando fumarato, con la concomitante riduzione del coenzima redox
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Fisiologia vegetale FAD a FADH2;
7.La fumarasi catalizza poi l'idratazione del doppio legame del fumarato, formando malato;
8.Infine, la malato deidrogenasi riforma ossalacetato, ossidando il gruppo alcolico secondario del malato al
chetone corrispondente e riducendo la terza molecola di NAD+ a NADH.
L'acido malico che ne risulta può essere poi esportato dal mitocondrio, in cambio di succinato, attraverso il
trasportatore di acidi dicarbossilici localizzato nella membrana mitocondriale interna. L'acido malico è
quindi ossidato ad acido ossalacetico, attraverso l'acido malico deidrogenasi citosolica, e l'acido ossalacetico
che ne risulta è convertito in carboidrati.
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Fisiologia vegetale 11. I plasmodesmi
I plasmodesmi sono estensioni tubulari della membrana plasmatica, del diametro di 40-50 nm, che
attraversano la parete cellulare collegando i citoplasmi di cellule adiacenti. Siccome molte cellule vegetali
sono collegate fra loro in questo modo, i loro citoplasmi formano un continuum cui si dà il nome di
simplasto (l'apoplasto, invece, è un sistema continuo di pareti cellulari connesse tra loro). Così il trasporto di
soluti attraverso le cellule che utilizzano i plasmodesmi è definito trasporto simplastico. Esistono due tipi di
plasmodesma: primario e secondario. I plasmodesmi primari si formano durante la citochinesi, quando le
vescicole che derivano dal Golgi che contengono i precursori della parete cellulare si fondono per formare la
piastra cellulare (la futura lamella mediana). In questo modo lo sviluppo di questi plasmodesmi fornisce una
via di continuità e comunicazione diretta fra cellule clonate dalla stessa cellula madre. I plasmodesmi
secondari si formano fra le cellule a seguito della disposizione delle pareti cellulari, sia per evaginazione
della membrana plasmatica verso la superficie della cellula, sia per ramificazione da un plasmodesma
primario. I plasmodesmi secondari, comunque, oltre ad aumentare la comunicazione fra le cellule prodotte
per clonazione, permettono la continuità simplastica delle cellule anche senza essere di origine clonale. In
generale, i plasmodesmi hanno una complessa struttura interna che ha la funzione di regolare il traffico
molecolare da cellula a cellula. Ogni plasmodesma è formato da uno stretto tubulo di ER, definito
desmotubulo. Il traffico macromolecolare avviene principalmente in uno spazio ristretto situato fra il
desmotubulo e la membrana plasmatica detto manicotto citoplasmatico. Associate alle membrane del
desmotubulo e alla membrana plasmatica all'interno del manicotto vi sono delle proteine globulari disposte
in modo elicoidale, che sono interconnesse, dividendo il manicotto in otto-dieci microcanali. L'ampiezza di
questi canali serve a selezionare la grandezza delle molecole che devono passare attraverso il poro. Si parla
quindi di limite di esclusione dimensionale o SEL dei plasmodesmi. Il SEL può essere regolato con un
meccanismo ancora poco conosciuto, ma con la probabile partecipazione dell'actina e della miosina. Sono
state proposte due possibilità: 1) l'actina e la miosina possono consentire al poro di restringersi, riducendo il
SEL del poro; 2) l'actina e la miosina possono direttamente facilitare il movimento delle macromolecole e
particelle nel passaggio attraverso il poro.
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Fisiologia vegetale 12. L'acqua e il bilancio idrico delle piante
Di tutte le risorse di cui la pianta necessita per crescere e funzionare, l'acqua è la più abbondante e, allo
stesso tempo, la più limitante. La regione per cui l'acqua è spesso un fattore limitante è che i vegetali
utilizzano acqua in enormi quantità come conseguenza diretta dell'assorbimento per diffusione della CO2
fotosintetica. L'assorbimento della CO2 è accoppiato alla perdita di acqua, poiché le piante non hanno mai
differenziato un tessuto selettivamente permeabile alla CO2 e non all'acqua. In piante sane e ben idratate, un
tipico rapporto di scambio è dell'ordine di 500 molecole d'acqua per ogni molecola di CO2 incorporata.
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Fisiologia vegetale 13. Processi di trasporto dell'acqua
Quando l'acqua si sposta dal terreno all'atmosfera, attraverso la pianta, essa viaggia attraverso una struttura
ampiamente variabile e anche il meccanismo di trasporto varia secondo il tipi di struttura (parete cellulare,
citoplasma, doppio strato lipidico, spazi aeriferi). Come sappiamo, in una soluzione le molecole d'acqua non
sono statiche, esse sono in moto continuo e collidono le une con le altre scambiandosi energia cinetica. La
diffusione è riferita al processo tramite il quale le molecole si rimescolano a seguito della loro agitazione
termica casuale. La diffusione, infatti, permette il movimento da zone ad alta concentrazione verso zone a
concentrazione minore, cioè secondo il gradiente di concentrazione. Lo scienziato tedesco Adolf Fick, nel
1880, scoprì che la velocità di trasporto del soluto tramite diffusione è direttamente proporzionale al
gradiente di concentrazione (Cs/x), cioè alla differenza di concentrazione della sostanza s (Cs) fra due punti
separati dalla distanza x. Simbolicamente possiamo scrivere questa relazione come legge di
Fick:
Js = - (DsCs / x)
La velocità di trasporto del soluto, o la densità di flusso (Js), è la quantità di sostanza s che attraversa
un'unità di area nell'unità di tempo (cioè Js può essere espressa in mol m-2 s-1) Il coefficiente di diffusione
(Ds), invece, è una costante di proporzionalità che misura la facilità di una sostanza s di muoversi attraverso
un particolare mezzo. Il coefficiente di diffusione quindi è caratteristico per ogni sostanza e dipende sia dal
mezzo che dalla temperatura. Il segno negativo nell'equazione indica che il flusso si sposta secondo i
gradienti di concentrazione.
Un secondo processo che porta allo spostamento dell'acqua è conosciuto come flusso generale o flusso di
massa ed è riferito al movimento di gruppi di molecole molto spesso in risposta a un gradiente di pressione.
Fra i numerosi esempi comuni di flusso di massa troviamo gli spostamenti di acqua all'interno di tubazioni,
il flusso il un fiume e la caduta della pioggia. Se consideriamo il flusso di massa attraverso una tubatura, la
velocità del volume dipenderà dal raggio (r) della tubatura, dalla viscosità () del liquido e dall'ampiezza del
gradiente di pressione (p/x) che conduce il flusso. Jean-Leonard Poiseuille descrisse l'equazione di questo
flusso nell'equazione:
Velocità del volume di flusso = (r4/8) (p/x) [m3/s]
Questa equazione dimostra che il flusso di massa generato dalla pressione è molto sensibile al raggio della
tubatura. Infatti se il raggio raddoppia la velocità del flusso del volume aumenterà per un fattore 16 (24). Il
flusso di massa dell'acqua condotto dalla pressione è il meccanismo predominante responsabile del trasporto
a lunga distanza dell'acqua nella pianta tramite lo xilema. Esso è anche responsabile della maggior parte del
flusso d'acqua che si verifica nel suolo e nelle pareti cellulari dei tessuti vegetali.
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Fisiologia vegetale 14. L'osmosi e il gradiente di potenziale idrico
Le membrane delle cellule vegetali sono selettivamente permeabili; cioè esse permettono lo spostamento
dell'acqua e di altre piccole sostanze cariche attraverso ad esse più facilmente di soluti più grandi e sostanze
cariche. L'osmosi, come la diffusione e il flusso di massa, avviene spontaneamente in risposta a una forza
motrice. Nella diffusione semplice il trasporto è garantito da un gradiente di concentrazione, nel flusso di
massa sa un gradiente di pressione e nell'osmosi entrambi i tipi di gradiente influiscono nel trasporto.
Comunque, in tutti gli organismi viventi processi come le reazioni biochimiche, l'accumulo di soluti e il
trasporto a lunga distanza sono garantiti da un input di energia libera. Il potenziale chimico per ogni soluto è
definito come la somma del potenziale di concentrazione, elettrico e idrostatico, quindi è la somma di tutte
le forze che possono agire su una molecola e portano ad un trasporto netto:
= 0 + RTlna + PV + zEF + mgh
dove 0 è il potenziale in condizioni standard, R, T, V e F sono rispettivamente la costante dei gas, la
temperatura in Kelvin, il volume parziale molare della sostanza e la costante di Faraday, mentre, a è l'attività
(che per soluzioni diluite corrisponde alla concentrazione, ossia alla molalità), P è la pressione, z è la carica
elettrica della sostanza, E è il potenziale elettrico del sistema in cui si trova la sostanza e m, g e h sono
rispettivamente la massa della sostanza, l'accelerazione di gravità e l'altezza in cui si trova. Il potenziale
chimico dell'acqua, secondo questa la precedente relazione, è l'espressione quantitativa dell'energia libera
associata all'acqua. In termodinamica l'energia libera rappresenta il potenziale per compiere lavoro. In
questo modo, dunque, il potenziale elettrochimico riferito all'acqua viene denominato potenziale idrico, che
è rappresentato dal potenziale chimico dell'acqua diviso il volume molale parziale dell'acqua (Vw, il volume
di una mole d'acqua, 18x10-6 m3 mol-1). Il potenziale idrico è la misura dell'energia libera dell'acqua per
unità di volume (J m-3); dall'equazione precedente ricaviamo per l'acqua:
= 0 + RTlna + PV+ mgh
0 per convenzione è zero se l'acqua è pura a pressione atmosferica; RTlna è un fattore dipendente dalla
concentrazione dell'acqua (più è concentrata, più è pura rispetto al soluto e per convenzione a=1 per l'acqua
pura); V è uguale a 18,03 cm3/mol ovvero 18x10-6 m3/mol; m ossia la massa, invece è uguale a
H2O=2(1)+16=18. A questo punto dividendo per Vw (o V) troviamo il potenziale idrico dell'acqua che
quindi sarà espresso come:
(-0/Vw) = (RTlna/Vw) + (PV/Vw) + (mgh/Vw) = w
Il potenziale idrico, w, è anche considerato come l'energia per unità di volume necessaria per trasportare
acqua reversibilmente ed isotermicamente da un punto del sistema ad uno di riferimento, il tutto espresso in
unità di pressione (J/m3). Quindi, come possiamo capire, il potenziale idrico serve per definire: 1) la
direzione del flusso idrico attraverso le membrane cellulari e quindi la direzione dell'acqua che si muove
sempre da un potenziale idrico più alto ad uno più basso fino a raggiungere l'equilibrio, 2) valutare lo stato
idrico della pianta (nelle foglie il potenziale risulta essere più basso di quello delle radici per cui l'acqua si
muove dalle radici alle foglie) e, 3) quando il potenziale risulta ridotto le piante vanno incontro a strett idrico
che influenza diversi processi fisiologici. Comunque, i fattori principali che hanno un effetto sul potenziale
idrico delle piante sono la concentrazione, la pressione e la gravità. In generale, il potenziale idrico, come
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Fisiologia vegetale abbiamo visto, è simbolizzato dalla lettere greca w (psi) e il potenziale idrico delle soluzioni può essere
suddiviso in componenti individuali, di solito scritte nella forma:
w = s + P + g espressa anche come: w = - + P + gh
I termini s, p e g denotato rispettivamente gli effetti di soluti, pressione e gravità sull'energia libera
dell'acqua.
In dettaglio, il termine s, definito potenziale del soluto o potenziale osmotico, rappresenta l'effetto sul
potenziale idrico della presenza di soluti disciolti. Poiché la diluiscono, i soluti diminuiscono l'energia libera
dell'acqua e questo effetto è tipicamente entropico, cioè miscelare soluti e acqua aumenta il disordine del
sistema e quindi abbassa l'energia libera. Per soluzioni diluite di sostanze non dissociabili il potenziale
osmotico può essere stimato dall'equazione di van't Hoff:
s = RTlnaw/Vw = -RTcs = - (pressione osmotica)
dove R è la costante dei gas (8,23 J mol-1 K-1), T è la temperatura assoluta in Kelvin e cs, è la
concentrazione del soluto in soluzione, espressa come osmolalità (moli di soluti totali disciolti in un litro
d'acqua [mol L-1]). Il segno meno indica che i soluti disciolti riducono il potenziale idrico di una soluzione.
La pressione osmotica, , è la pressione che deve essere applicata ad una soluzione per controbilanciare la
diffusione dell'acqua vero la soluzione a più alta concentrazione di soluto.
Il termine P, invece, indica la pressione idrostatica della soluzione. Pressioni positive innalzano il potenziale
idrico, mentre pressioni negative lo riducono. Talvolta P è definito come potenziale di pressione, mentre
quando è riferito alla pressione idrostatica positiva all'interno delle cellule esso è solitamente definito
pressione di turgore. La pressione di turgore cellulare è importante per almeno due motivi: 1) per distendere
le pareti cellulari durante la crescita e 2) per aumentare la rigidità meccanica delle cellule e tessuti giovani
non lignificati (quando P=0 la pianta appassisce). Comunque, il valore di P può essere negativo; per
esempio, nello xilema e nelle pareti fra le cellule dove si può sviluppare tensione, o pressione negativa. La
pressione idrostatica si misura come derivazione della pressione ambientale. Per definizione P è uguale a 0
MPa per l'acqua nello stato standard. Nello stesso modo, il valore di P per acqua pura in un recipiente aperto
è considerato 0 MPa, anche se la sua pressione assoluta è 0,1 MPa (1 atm).
La gravità, come sappiamo porta l'acqua a muoversi verso il basso, a meno che questa forza sia contrastata
da una forza uguale e opposta. Il termine g dipende quindi dall'altezza (h) dell'acqua al di sopra dell'acqua di
riferimento, dalla densità dell'acqua (w) e dall'accelerazione dovuta alla gravità (g). In simboli possiamo
scrivere questa equazione come:
g = wgh
dove wg ha un valore di 0,01 MPa m-1. Di solito quando si considera il trasporto dell'acqua a livello
cellulare, la componente gravitazionale (g) di solito si omette in quanto impercettibile rispetto al potenziale
osmotico e alla pressione osmotica. Quindi avremo che: w = s + P .
Discutendo di suoli secchi ed acqua e di tessuti con scarso contenuto d'acqua come i semi ci s'imbatte in un
altra componente di w; il potenziale di matrice (m). Il potenziale di matrice è utilizzato per tener conto della
riduzione di energia libera dell'acqua quando esiste come un sottile strato, spesso una o due molecole,
adsorbito sulla superficie di particelle di suolo relativamente secche, pareti cellulari e altri materiali, dunque
è la misura della tendenza della matrice ad assorbire altre molecole di acqua.
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Fisiologia vegetale In conclusione possiamo dire che il potenziale idrico serve per definire la direzione del flusso idrico
attraverso le membrane cellulari e per valutare lo stato idrico della pianta. Piante con ridotti w vanno
incontro a stress idrico, che a sua volta influenza diversi processi fisiologici. In generale, il w delle piante
deve essere più basso del w del suolo, altrimenti avverrebbe il processo inverso: il suolo assorbirebbe acqua
dalle piante. Le piante che vivono in terreni aridi ottengono un w sufficientemente basso abbassando i valori
di s, attraverso l'accumulo di soluti nel vacuolo. Comunque, di solito le foglie ben idratate hanno un w di -
0,2/-0,6 MPa. Le foglie di piante in zone aride, invece hanno un potenziale idrico di -2/-5 MPa. Altre piante
che hanno bassi valori di w (-2,5 MPa) sono le alofite, piante che vivono su terreni salini e alcalini, e piante
che accumulano grandi concentrazioni di zuccheri, come ad esempio la barbabietola da zucchero o la canna
da zucchero.
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Fisiologia vegetale 15. L'acqua entra nella cellula secondo un gradiente di potenziale
idrico
Immaginiamo un beaker aperto pieno di acqua pura a 20°C; poiché l'acqua è a diretto contatto con
l'atmosfera la sua pressione idrostatica sarà uguale a quella atmosferica (p=0 MPa). Non ci sono soluti
nell'acqua e così s è uguale a 0 MPa, quindi il potenziale idrico risulta essere uguale a 0 MPa (w = s + p).
Infine, poiché ci stiamo occupando di processi di trasporto che avvengono in un beaker, definiamo l'altezza
di riferimento come uguale al livello del beaker, ottenendo così g=0. Immaginiamo ora di sciogliere del
saccarosio in acqua alla concentrazione di 0,1 M. Questa aggiunta abbassa il potenziale osmotico (s) a -
0,244 MPa e diminuisce il potenziale idrico (w) a -0,244 MPa. Consideriamo ora una cellula vegetale
flaccida (cioè una cellula senza pressione di turgore) con una concentrazione totale di soluti interna di 0,3
M. Questa concentrazione di soluto porta ad un potenziale osmotico (s) di -0,732 MPa. Poiché la cellula è
flaccida la pressione interna è uguale alla pressione ambientale, così la pressione idrostatica (p) è 0 MPa e il
potenziale idrico della cellula è -0,732 MPa. Se mettiamo questa cellula all'interno del beaker contenente la
nostra soluzione 0,1 M di saccarosio, poiché il potenziale idrico della soluzione di saccarosio (w=-0,244
MPa) è maggiore di quello della cellula (w=-0,732 MPa), l'acqua si sposterà dalla soluzione di saccarosio
verso la cellula (da un potenziale idrico maggiore ad uno minore). Comunque, poiché le cellule vegetali
sono circondate da rigide pareti cellulari, anche un piccolo aumento del volume cellulare causa un forte
aumento della pressione idrostatica all'interno della cellula. Così, man mano che l'acqua entra nella cellula,
aumenta la pressione idrostatica o pressione di turgore cellulare, p. Di conseguenza aumenta il w della
cellula e si riduce la w, cioè la differenza tra il potenziale idrico interno ed esterno. Alla fine il p aumenta
quel tanto che basta per innalzare il w della cellula agli stessi valori del w della soluzione di saccarosio. A
questo punto è raggiunto l'equilibrio (w=0 MPa) e cessa il trasporto netto dell'acqua. L'inverso di quello che
abbiamo spiegato avviene se la cellula veniva posta in una soluzione di saccarosio 0,3 M, in cui il w della
soluzione sarà più negativo del w della cellula e l'acqua dalla cellula si sposterà verso la soluzione.
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Fisiologia vegetale 16. Misura del potenziale idrico
Gli scienziati hanno speso una considerevole quantità di energia per mettere a punto dei metodi accurati e
affidabili per valutare lo stato idrico di una piante. I quattro strumenti che sono stati prevalentemente
utilizzati per misurare w, s e p sono di seguito descritti: psicrometro, camera a pressione, osmometro
crioscopico e sonda di pressione. La psicrometria è basata sul fatto che la pressione di vapore dell'acqua
diminuisce riducendo il suo potenziale idrico. Gli psicometri misurano la pressione di vapore dell'acqua di
una soluzione o di un campione vegetale in base al principio che l'evaporazione dell'acqua da una superficie
ne abbassa la temperatura. Per compiere una misurazione viene sigillato un pezzo di tessuto all'interno di
una camera contenente un sensore di temperatura in contatto con una piccola goccia di una soluzione
standard con concentrazione nota (noto s, e quindi noto anche w). Se il tessuto ha un potenziale idrico
minore rispetto a quello della goccia allora l'acqua evapora dalla goccia, diffonde nell'aria e viene assorbita
dal tessuto. La piccola evaporazione d'acqua raffredda la goccia; maggiore sarà la differenza del potenziale
idrico fra il tessuto e la goccia e più alta sarà la velocità di trasferimento dell'acqua e quindi più fredda sarà
la goccia. Se la soluzione standard ha un potenziale idrico minore di quello del campione da misurare,
l'acqua diffonderà dal tessuto alla goccia, causando il riscaldamento della goccia stessa. Misurando il
cambiamento della temperatura della goccia per soluzioni diverse con s noto è possibile calcolare il
potenziale idrico della soluzione per la quale il movimento dell'acqua fra la goccia ed il tessuto è zero,
indicando che la goccia e il tessuto hanno raggiunto lo stesso potenziale idrico. Questo metodo è molto utile,
ma anche molto sensibile alle fluttuazioni termiche. Per questa ragione gli psicrometri sono utilizzati
soprattutto nei laboratori e trovano solo applicazioni limitate in campo, dove la temperatura non può essere
facilmente controllata. Invece, un metodo relativamente veloce per stimare il potenziale idrico di grandi
frammenti di tessuto, come foglie intere e germogli, è tramite la camera a pressione (misura w). In questa
tecnica, l'organo da misurare viene reciso dalla pianta e parzialmente sigillato in una camera a pressione. La
colonna xilematica d'acqua, prima della recisione, è sotto tensione. Quando la colonna d'acqua viene
spezzata dalla recisione dell'organo (cioè la sua tensione viene alleviata permettendo a P di raggiungere lo
zero) l'acqua viene attratta rapidamente dallo xilema per osmosi dalle cellule circostanti. La superficie di
taglio risulta, quindi, opaca e secca. Per poter compiere misurazioni la camera viene pressurizzata con gas
compressi fino quando l'acqua dello xilema raggiunge di nuovo la superficie di taglio. La pressione
necessaria per riportare l'acqua alla superficie è definita la pressione di bilanciamento. La pressione di
bilanciamento misurata in questi tessuti non traspiranti è uguale in grandezza (ma di segno opposto) alla
pressione dello xilema (P). Poiché il potenziale idrico della nostra foglia non traspirante è uguale a quello
dello xilema possiamo calcolare il potenziale idrico sommando P e s (che di solito si omette essendo molto
piccolo: 0,1 MPa) dello xilema. Le misure della camera a pressione possono fornire una stima accurata del
potenziale idrico della foglia. Inoltre, poiché questo metodo è rapido e non richiede strumentazioni accurate
o controlli elaborati della temperatura, esso è utilizzato spesso in campo. L'osmometro crioscopico (misura
s) misura, invece, il potenziale osmotico di una soluzione valutandone il punto di congelamento. Come
sappiamo le soluzioni hanno proprietà colligative che dipendono in generale dal numero di particelle
disciolte e non dalla natura del soluto. Una di queste è la diminuzione del punto di congelamento
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Fisiologia vegetale