Riassunto del manuale di psicopatologia dell'infanzia. Il testo fa riferimento alle teorie psicodinamiche e si propone di illustrare le principali manifestazioni psicopatologiche caratteristiche dell'età evolutiva, descrivendone sintomi, quadro di riferimento e tipi di intervento. Ampio spazio ai reattivi per l'infanzia e alle relative scale.
Manuale di psicopatologia dell’infanzia
di Salvatore D'angelo
Riassunto del manuale di psicopatologia dell'infanzia. Il testo fa riferimento alle
teorie psicodinamiche e si propone di illustrare le principali manifestazioni
psicopatologiche caratteristiche dell'età evolutiva, descrivendone sintomi,
quadro di riferimento e tipi di intervento. Ampio spazio ai reattivi per l'infanzia e
alle relative scale.
Università: Università degli Studi di Napoli - Federico II
Facoltà: Psicologia
Esame: Diagnosi Psicodinamica
Titolo del libro: Manuale di psicopatologia dell’infanzia
Autore del libro: M. Ammaniti
Editore: Cortina
Anno pubblicazione: 20011. Introduzione alla psicopatologia dell'infanzia
In campo infantile, durante i primi 3 anni di vita, la definizione dei disturbi psichici è molto problematica: in
primo luogo, si può parlare nell'infanzia di psicopatologia individuale sufficientemente strutturata,
chiaramente identificabile in un comportamento anomalo del bambino, oppure è più opportuno inquadrare
tale patologia come un disturbo della relazione con i genitori o le figure di attaccamento? In secondo luogo,
come si può cercare di definire la psicopatologia nel periodo preverbale, quando il bambino non è ancora in
grado di esprimere e comunicare le proprie difficoltà e le proprie ansie personali? Ancora, mentre nell'adulto
si può osservare un'organizzazione relativamente stabile nel funzionamento personale, nel caso del bambino
possono comparire comportamenti tipici che in determinate fasi hanno significato evolutivo, mentre la loro
persistenza, o la loro comparsa in altre fasi, può avere un significato psicopatologico.
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Manuale di psicopatologia dell’infanzia
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La psicoanalisi ha fornito un contributo di grande interesse alla comprensione della psicopatologia infantile.
Nel pensiero di Freud, le spinte pulsionali costituirebbero la motivazione centrale del comportamento del
bambino. Secondo questa prospettiva, la psicopatologia sarebbe provocata da 2 processi che
comporterebbero l'arresto dello sviluppo psicosessuale: 1) la fissazione: provocherebbe un blocco nello
sviluppo pulsionale, per cui la libido non raggiungerebbe il primato genitale, ossia il livello pulsionale più
maturo, e rimarrebbe legata a modalità immature e parziali di soddisfazione; 2) la regressione: comporta un
ritorno a stadi libidici precedenti, caratterizzati da relazioni oggettuali e identificazioni specifiche.
Per quel che riguarda la classificazione psicopatologica, Freud utilizza il criterio della trattabilità
psicoanalitica per distinguere le nevrosi dalle psiconevrosi: mentre le nevrosi sarebbero legate a disfunzioni
nell'abituale vita sessuale, con un blocco ed una conseguente trasformazione di sostanze chimiche sessuali,
le psiconevrosi sono trattabili psicoanaliticamente, e causate da un conflitto legato ad un'incompatibilità di
idee ed al conseguente fallimento della scarica dell'affetto.
Freud introduce anche il concetto di meccanismi di difesa, in particolare egli considera la rimozione, la
sublimazione e la formazione reattiva, che attiverebbero forze psichiche che reprimerebbero le pulsioni.
Freud suggerisce anche che la differenza fra nevrosi e psicosi si possa trovare nella relazione fra Es, Io e
realtà: nella nevrosi, l'Io risponderebbe alle richieste dell'Es rinnegandole attraverso il meccanismo della
rimozione, mentre nella psicosi l'Io ripudierebbe la realtà che pone richieste inaccettabili, tramite il
meccanismo della negazione.
Ruolo particolarmente importante, nel pensiero psicoanalitico, è svolto dall'angoscia, considerata sintomo
quasi universale dei disturbi nevrotici. Nella sua prima visione, Freud considera l'angoscia il prodotto di un
ingorgo libidico dovuto ad un'impossibilità di scarica. più avanti, egli rivede questa sua prima teoria,
capovolgendo il rapporto fra angoscia e rimozione: le situazioni sono pericolose perchè preannunciano il
possibile verificarsi di un trauma che comporterebbe uno stato di impotenza di fronte ad un incremento
soverchiante delle spinte pulsionali.
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Manuale di psicopatologia dell’infanzia
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Per quel che riguarda il contributo di Klein, si possono distinguere due diverse fasi. Nei suoi primi scritti,
ella descrive bambini in analisi che presentano nevrosi ossessive e fobiche: mentre Freud ritiene che il punto
di fissazione della nevrosi di collochi nel periodo fallico, secondo la Klein si formerebbe più precocemente,
nei primi anni di vita, nel periodo pregenitale. I sintomi fobici e ossessivi costituirebbero delle difese
rispetto alle angosce dei bambini che avrebbero un carattere psicotico, ossia sarebbero relative all'integrità di
sé.
Il periodo successivo nel suo pensiero, è caratterizzato fondamentalmente dal superamento del concetto di
fase in favore di quello di posizione: ogni posizione costituisce un assetto ed un'organizzazione mentale
caratterizzata da diverse modalità di relazione d'oggetto (parziali e totali) a livello di fantasia e di realtà,
dalla qualità delle angosce (paranoidi e depressive) e da specifici meccanismi di difesa. Questa nuova
prospettiva introdotta dalla Klein tende a considerare la nevrosi come secondaria ai nuclei psicotici
sottostanti, una sorta di difesa nei loro confronti. Su questa base quindi, lo sviluppo infantile è ricondotto ad
un'esperienza fortemente contrassegnata da dinamiche ed angosce psicotiche.
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Le prime fasi dello sviluppo infantile sarebbero caratterizzate da una prima fase autistica, corrispondente ai
primi 3-4 mesi di vita del bambino, e da una successiva fase simbiotica che si collocherebbe fra i 3-6 mesi;
in queste fasi si creerebbero i punti di fissazione che darebbero luogo alle psicosi infantili.
Il contributo di maggior interesse della Mahler è, tuttavia, lo studio del processo di separazione-
individuazione: questa inizia dal quinto mese con la sottofase della differenziazione, quando cioè il lattante
comincia ad emergere dall'orbita simbiotica che lo unisce alla madre; a questa fase segue la sottofase della
sperimentazione, nella quale il bambino mette alla prova le nuove acquisizioni psicomotorie, come ad
esempio la stazione eretta e la deambulazione. Questa fase sarebbe decisiva per l'instaurarsi di una patologia
borderline. Nelle successive fasi del riavvicinamento e del consolidamento dell'individualità, le capacità
relazionali del bambino si ampliano, ed egli affronta il distacco dalla figura materna verso cui manifesta forti
ambitendenze, ossia ne ricerca la rassicurazione, ma allo stesso tempo ne rifiuta la dipendenza. In queste
dinamiche, particolarmente importante diventa la figura paterna che sostiene l'autonomia e le capacità di
esplorazione del bambino, aiutandolo in tal modo a superare le sue ambitendenze nei confronti della madre.
Va detto comunque che alcune delle sue concettualizzazioni, come l'esistenza delle fasi autistica e
simbiotica, sono state fortemente criticate da alcuni esponenti della Infant research, come Stern: la teoria
della fase autistica e simbiotica nello sviluppo normale del bambino appaiono concettualizzazioni arbitrarie
che mostrano limiti della psicoanalisi quali il carattere speculativo delle sue teorie, non sostenute da nessuna
evidenza empirica, e la ricostruzione dello sviluppo infantile partendo dagli esiti psicopatologici.
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E' la ricerca nel campo dello sviluppo infantile orientata da quesiti clinici. Essa ha messo in evidenza che la
spinta a creare e mantenere relazioni è centrale per l'uomo, e come tale organizza l'esperienza psicologica.
La tendenza innata a ricercare relazioni diadiche ed a raggiungere una reciprocità relazionale costituisce
indubbiamente una motivazione al pari della ricerca di cibo, della gratificazione libidica o della riduzione
della tensione.
Evidenze consistenti confermano l'ipotesi che gli infanti siano in grado di costruire modelli mentali
relativamente a se stessi ed al mondo con cui sono in rapporto, ed allo stesso tempo siano in grado di
sperimentare uno stato personale di disagio quando si verifichi una discordanza fra la realtà ed i propri
modelli mentali.
Altro risultato di questo filone di ricerche, riguarda il fatto che nello sviluppo normale l'esperienza di
efficacia personale e di coerenza esperienziale è strettamente correlata con gli scambi relazionali, in quanto
gli infanti apprendono, non solo a segnalare il proprio disagio, ma anche a suscitare risposte sintomatiche
nell'adulto che si occupa di loro: una risposta appropriata dell'adulto trasforma uno stato interno di tensione
e di impotenza del bambino in soddisfazione, coerenza ed efficacia personale. Sequenze transazionali del
genere intervengono anche nella costruzione di rappresentazioni mentali che contribuiscono allo stabilizzarsi
delle rappresentazioni delle interazioni generalizzate (IRG): queste ultime costituiscono la matrice della
personalità, ossia un'organizzazione psicologica sottostante ai pattern specifici individuali di percezione,
sperimentazione, adattamento e stile relazionale.
Conseguenza diretta di ciò è che bambini con attaccamento sicuro possono sviluppare capacità di
mentalizzazione in base alle quali leggere meglio la mente delle altre persone, comprendere i sentimenti
degli altri, comportandosi più adeguatamente.
Data la strutturazione precoce del mondo psichico, si può senz'altro ipotizzare che possano svilupparsi, fin
dai primi anni di vita, disturbi di personalità caratterizzati da pattern distorti nell'organizzazione
dell'esperienza personale, nei meccanismi adattativi e nell'area della relazionalità. Caratteristiche comuni dei
disturbi di personalità sarebbero: l'estrema rigidità dei modelli rappresentazionali interni; l'eliminazione
attraverso drastici meccanismi di difesa delle esperienze che mettono alla prova i modelli intrapsichici; la
persistente tendenza ad evocare negli altri risposte che corrispondono al proprio script, ossia ai propri
modelli, invece di un mutuo adattamento flessibile.
È in questo ambito che si inserisce il contributo della Developmental psychopatology (psicopatologia
evolutiva), che sottolinea l'importanza di studiare la psicopatologia in relazione ai cambiamenti più
significativi che avvengono nel corso del ciclo vitale.
I contributi psicoanalitici più significativi in questa prospettiva sono stati quelli di Bowlby, che ha
evidenziato l'importanza della deprivazione materna durante l'infanzia nell'insorgere della psicopatologia.
Importanti contributi per concettualizzare l'approccio evolutivo sono i principi di equifinalità (possibilità che
diversi percorsi conducano allo stesso risultato in termini evolutivi) e quello di multifinalità (un evento
traumatico non conduce necessariamente sempre allo stesso esito psicopatologico).
Anders sottolinea la limitata autonomia psicologica dei bambini prima dei 3 anni, per cui una psicopatologia
focalizzata sul bambino sarebbe quanto mai problematica, come ugualmente improbabile sarebbe
concettualizzare il disturbo del bambino come unicamente il riflesso del disturbo dell'adulto: la conclusione
non può che essere quella di inserire le sindromi comportamentali e psicologiche dell'infanzia nell'ambito
delle dinamiche delle relazioni familiari. I disturbi relazionali possono essere classificati come: 1) turbe
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Il documento non può essere copiato, riprodotto, trasferito su altri siti. Per scaricare appunti in PDF gratuitamente, visita https://www.tesionline.it/appuntirelazionali: provocano preoccupazioni quotidiane all'interno della famiglia ma sono di durata limitata e si
verificano di solito nei momenti di passaggio in cui avvengono nuove acquisizioni evolutive, oppure in
risposta a difficoltà dell'ambiente. Hanno un'evoluzione spesso favorevole e possono rappresentare anche
uno stimolo allo sviluppo; 2) perturbazioni relazionali: indicano una condizione evolutiva a rischio, in cui si
verificano in modo ripetitivo interazioni incoerenti che, nel caso perdurassero, potrebbero evolvere verso
una psicopatologia individuale o relazionale; 3) disturbi relazionali: caratterizzati da modelli interattivi rigidi
che comportano un fallimento evolutivo. In questo caso il disturbo dura più di 3 mesi e i sintomi riguardano
diversi contesti.
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Il documento non può essere copiato, riprodotto, trasferito su altri siti. Per scaricare appunti in PDF gratuitamente, visita https://www.tesionline.it/appunti6. La diagnosi in età infantile - Evoluzione dei sistemi diagnostici
Solo a partire dagli anni '50 si è cercato di costruire un sistema diagnostico condiviso, basato sull'esperienza
e sulle osservazioni cliniche in modo sistematico.
In questo campo, si parla di “sindromi psicopatologiche”: raggruppamento di segni e sintomi, basato sulla
frequente co-occorrenza, che può far supporre una patogenesi sottostante, un decorso, un quadro familiare
ed una scelta del trattamento comuni. Segni: manifestazioni oggettive, osservabili e riconoscibili da un
osservatore esterno. Sintomi: manifestazioni soggettive, avvertite e vissute direttamente dalla persona
interessata.
Il DSM I e II presentavano limiti evidenti: ogni quadro clinico veniva definito in termini piuttosto generali,
senza specificare, in termini operazionali, quali siano i criteri da utilizzare per giungere ad una diagnosi.
Presentavano una bassa attendibilità, e quindi bassi livelli di concordanza fra clinici diversi rispetto allo
stesso quadro clinico. Inoltre il decorso clinico non può essere previsto in maniera puntuale.
Gli studi di attendibilità diagnostica del DSM III hanno invece dimostrato un notevole miglioramento
dell'attendibilità rispetto ai sistemi precedenti. Tuttavia anch'esso presentava dei limiti: molti disturbi di
personalità, pur essendo clinicamente rilevanti, non soddisfano i criteri del DSM, per cui ci si trova di fronte
al fenomeno della falsa negatività: le maglie del sistema diagnostico sono troppo larghe.
Il DSM IV costituisce la classificazione più recente basata su un sistema diagnostico multiassiale: per la
valutazione tiene conto di vari assi, ciascuno rivolto ad uno specifico campo di informazione. (asse I:
disturbi e sindromi cliniche; asse II: disturbi di personalità e ritardo mentale; asse III: condizioni mediche
generali; asse IV: problemi psicosociali e ambientali; asse V: valutazione globale del funzionamento). Le
diagnosi sono di tipo categoriale.
Una critica importante al DSM IV riguarda la diagnosi di disturbo di personalità prima dei 18 anni: esso
mantiene una concezione tradizionale, ignorando quanto è emerso negli ultimi anni nel campo della Infant
research e della Developmental psychopatology, e cioè che, fin dai primi anni di vita dell'individuo, vi è una
complessa strutturazione del funzionamento mentale e l'attivazione e modulazione dei sistemi motivazionali
di base. Già al termine del primo anno di vita, il bambino raggiunge alcune capacità di regolare le proprie
emozioni secondo una specifica e personale configurazione emotiva, e di stabilire legami di attaccamento
stabili con le figure significative che rimarranno fondamentalmente stabili nel corso dell'infanzia e
dell'adolescenza. Pertanto il DSM IV appare particolarmente inadeguato durante il periodo dello sviluppo
infantile e adolescenziale.
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Le critiche al sistema DSM sono state particolarmente intense dal mondo psicoanalitico.
In primo luogo si critica l'eccessiva attenzione al piano dei segni e dei sintomi: lo stesso sintomo può avere
funzioni e significati multipli, per cui basarsi sui sintomi manifesti può comportare diagnosi falsamente
positive o falsamente negative; lo stesso insieme di criteri comportamentali possono essere presenti in
disturbi diversi.
Altra critica è al tentativo di eliminare i pregiudizi teorici: la teoria non è soltanto inevitabile, ma è
essenziale per lo sviluppo di una tassonomia; senza di essa è impossibile valutare la validità di costrutto,
centrale in ogni sistema diagnostico.
Ancora, vi è un'eccessiva attenzione all'attendibilità, a spese della validità, cosa che ha prodotto un sistema
tassonomico altamente frammentato.
L'uso di distinzioni categoriali invece di quelle dimensionali sembra invece rispondere più al bisogno di
creare un senso di apparente semplicità, che a riconoscere la complessità dei fenomeni clinici.
Un'ulteriore problema è quello della comorbilità: essa non è una caratteristica della psicopatologia o della
sua organizzazione, bensì una conseguenza dei rigidi confini dati alle categorie diagnostiche.Per quanto
riguarda i sistemi diagnostici relativi all'infanzia ed all'adolescenza, previsti sia nel DSM IV che nell'ICD10,
ci si può chiedere se un sistema diagnostico relativo alla psicopatologia dell'adulto possa essere applicabile
ai bambini ed agli adolescenti. Già A. Freud riteneva che i criteri relativi agli adulti non potessero essere
applicati ai bambini in quanto i livelli funzionali spesso vanno incontro a fluttuazioni. Per lei, solo l'arresto
dei processi evolutivi costituirebbero un disturbo.
Un paradigma teorico di grande utilità in tal senso potrebbe essere quello evoluzionistico: l'utilità di tale
approccio risiederebbe nella possibilità di integrare gli sviluppi delle neuroscienze e di organizzare
un'interazione fra fattori biologici, psicologici e sociali ai fini dei processi di adattamento all'ambiente.
Alcuni postulati di tale approccio sono: 1) gli strumenti mentali, emotivi e cognitivi di cui siamo dotati
servono all'adattamento ed alla sopravvivenza; 2) l'ambiente di adattamento evoluzionistico dei nostri
antenati è completamento diverso da quello degli ultimi 10000 anni, ed un breve lasso di tempo come
quest'ultimo è insufficiente a determinare importanti cambiamenti genetici e adattamenti che consentano di
adattarsi a questi cambiamenti della vita sociale, per cui la maggior parte delle funzioni mentali sono state
costruite per garantire la sopravvivenza nelle antiche società dei cacciatori e raccoglitori; 3) alcune forme di
psicopatologia possono derivare da esperienze precoci durante i periodi di neuroplasticità che garantivano la
sintonia fra individuo ed ambiente precoce, ma sono disadattivi in altri contesti, in fasi successive dello
sviluppo.
In tale prospettiva, Emde ha ipotizzato che schemi diagnostici alternativi possano includere “disturbi della
relazione”, specie nei primi anni di vita: il disturbo può essere concettualizzato come una difficoltà che
riguarda fondamentalmente la transazioni fra l'individuo e l'ambiente.
Un consistente gruppo di psichiatri infantili e psicoanalisti francesi ha proposto un sistema di classificazione
diverso. Tale classificazione, che ripropone la distinzione psicoanalitica classica fra psicosi, nevrosi e
disturbi della personalità, non ha trovato grande diffusione al di fuori della Francia, tuttavia, presenta aspetti
di indubbio interesse in quanto non si limita a fornire criteri di tipo sintomatico ma considera anche la
struttura evolutiva del bambino in cui possono manifestarsi segni di malessere più sfumati. Gli autori
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Il documento non può essere copiato, riprodotto, trasferito su altri siti. Per scaricare appunti in PDF gratuitamente, visita https://www.tesionline.it/appuntimettono in luce che, quando si devono affrontare scelte terapeutiche, non è sufficiente il criterio
sintomatologico, ma occorre tenere presente gli aspetti patogenetici e la struttura della personalità.
Recentemente, vari ricercatori si sono mossi cercando di costruire una classificazione basata su evidenze
empiriche della psicopatologia dell'infanzia e dell'adolescenza. Detto che l'identificazione empirica delle
sindromi non implica alcun assunto sulle cause o sul decorso clinico delle sindromi, tale classificazione è di
tipo multiassiale: nell'asse I vengono considerati i resoconti dei genitori, nell'asse II quelli degli insegnanti,
nell'asse III la valutazione cognitiva, nel IV la valutazione fisica, e infine nel V la valutazione diretta del
bambino. Dall'incrocio delle varie informazioni vengono valutate scale diverse delle sindromi internalizzanti
(isolamento, manifestazioni ansioso-depressive, lamentele somatiche), esternalizzanti (comportamento
delinquenziale, aggressivo), e in posizione intermedia fra le prime due (problemi sociali, del pensiero,
dell'attenzione).
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All'unità operativa che ha costruito tale classificazione hanno partecipato psicoanalisti e ricercatori che in
questi ultimi anni hanno dato un contributo decisivo allo sviluppo della Infant research.
Essa propone un sistema di classificazione multiassiale: asse I, classificazione primaria, dovrebbe riflettere
la caratteristica più saliente del disturbo; asse II, classificazione della relazione; asse III, condizioni o
disturbi fisici, neurologici, evolutivi e mentali; asse IV, agenti stressanti di natura psicosociale; asse V,
livello di sviluppo del funzionamento emotivo.
La vera novità è rappresentata dall'asse II che si focalizza specificamente sulla qualità della relazione
genitore-bambino. In tale ambito vengono distinti i seguenti quadri: 1) ipercoinvolgimento: il genitore tende
a interferire con le finalità e le intenzioni del bambino controllandolo eccessivamente, facendo richieste
inappropriate. Il bambino può apparire confuso, sottomesso, manifestare un livello di sviluppo inadeguato. Il
genitore può essere ansioso, oppure depresso o arrabbiato e il bambino può rispondere passivamente oppure
con rabbia ed ostinazione. Il genitore percepisce il bambino come parte di sé oppure come un proprio
compagno; 2) ipocoinvolgimento: il genitore manifesta un coinvolgimento ed una comunicazione sporadica,
in quanto è insensibile o non in sintonia coi segnali del bambino. Egli ignora, rifiuta o è incapace di
soddisfare le richieste di conforto del bambino. Il bambino può apparire trascurato sul piano fisico o
psicologico. La storia personale del genitore può essere caratterizzata da carenze affettive oppure da
trascuratezza; 3) relazione ansiosa/tesa: le interazioni sono tese, povere e non garantiscono un livello di
reciproco soddisfacimento. Il genitore appare molto sensibile ai segnali del bambino, ma interagisce con lui
in modo goffo, presentando sul piano affettivo uno stato ansioso e teso, per cui facilmente sbaglia
nell'interpretare il comportamento o lo stato emotivo del bambino; 4) relazione arrabbiata/ostile: le
interazioni sono negative e brusche, la rabbia e l'ostilità in primo piano. Il genitore appare teso, manipola
con tensione il bambino e lo può addirittura schernire o ridicolizzare; 5) disturbo relazionale misto: si
sovrappongono le modalità interazionali descritte; 6) matrattamento: può essere in forma verbale, fisica e/o
sessuale.
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Tramite questa si possono ottenere due tipi di dati: quelli oggettivi, i comportamenti, che sono indicatori
dello sviluppo e dello stato mentale del bambino; e quelli soggettivi, le motivazioni, i significati, le
attribuzioni sul bambino, emergenti dalle testimonianze dei genitori.
Negli ultimi 15 anni, l'Infant research ha messo in luce come l'esperienza soggettiva del caregiver e i suoi
schemi internalizzati delle relazioni di accudimento, studiati in modo sistematico nei pattern narrativi, hanno
un valore predittivo sulle relazioni future, sullo sviluppo e sull'adattamento del bambino.
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Freud utilizza l'osservazione, durante il gioco del rocchetto del nipotino Ernst, per indagare i processi
inconsci finalizzati a controllare l'angoscia di separazione dalla madre.
Mahler e collaboratori conducono una serie di rigorose ricerche longitudinali basate sull'osservazione della
relazione madre-bambino, che portano l'autrice a concettualizzare lo svolgersi del processo di separazione-
individuazione.
Klein considera l'osservazione come mezzo per accedere alla comprensione delle primitive fantasie inconsce
e del loro impatto sulla vita emotiva.
Winnicott sottolinea invece una maggiore aderenza al contesto reale, affettivo e sociale, entro cui si
svolgono le cure di accudimento, sviluppando il concetto di madre sufficientemente buona, cioè capace di
rifornire emotivamente e supportare concretamente lo sviluppo del bambino. Winnicott rileva inoltre che il
bambino piccolo non può essere considerato separatamente dalla madre.
Bowlby propone una visione del bambino come individuo attivo e biologicamente preadattato che ricerca
precocemente scambi sociali, che organizza le sue esperienze in rappresentazioni di Sé e degli altri (modelli
operativi interni), e che necessita, per il suo positivo sviluppo, non già di gratificazioni orali, come postulato
dal modello della psicoanalisi classica, ma di cure adeguate e di risposte al bisogno primario di
attaccamento.
In tempi relativamente recenti si è registrata una proficua convergenza fra l'approccio psicoanalitico e le
teorie psicologiche evolutive. Entro questo schema di riferimento teorico, la ricerca ha fornito numerose
evidenze che il Sé di un individuo dispone di un'organizzazione interna che lo rende fin dall'inizio attivo,
competente, capace di autoregolarsi, di avere intenzioni e formare aspettative entro un contesto organizzato,
continuo e prevedibile, di cure e di scambi con i genitori. I modelli relazionali che prendono forma nel corso
di interazioni ed esperienze di reciprocità hanno un valore predittivo rispetto all'adattamento e al
funzionamento del bambino in epoche successive, tanto che su può dire che come va la relazione, così va
l'individuo.
Il processo di valutazione dello sviluppo in ambito clinico parte da queste premesse, focalizzando
l'attenzione sulla relazione genitore-bambino: si considera ogni comportamento come parte di un sistema
comportamentale transazionale. La valutazione del bambino è pertanto necessariamente accompagnata da
una valutazione della qualità degli scambi e delle caratteristiche del contesto di accudimento. Entro questo
schema concettuale, una corretta valutazione deve includere anche l'esperienza soggettiva di ciascun partner,
comprendendo anche le rappresentazioni ed i ricordi della storia delle interazioni della diade; è quindi
importante che il clinico possa integrare le informazioni rilevabili da fonti multiple includendo le interviste
ai genitori, l'osservazione e la valutazione diretta dello sviluppo del bambino e della sua relazione con i
caregiver.
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Bowlby propone l'espressione “modello operativo interno” (MOI) per descrivere la rappresentazione interna
nei suoi aspetti strutturali e dinamici. La struttura dei MOI del Sé, e delle figure di attaccamento, è una
struttura relazionale che emerge da ripetute e precoci esperienze interpersonali; un individuo che ha
sviluppato un MOI delle sue figure di attaccamento come amorevoli e pronte a sostenerlo, può costruire un
modello complementare del Sé come segno di sostegno e amore.
Stern definisce “rappresentazioni di interazioni generalizzate” (RIG) le esperienze infantili di interazioni
ripetute che costituiscono unità mnestiche di base su cui si organizzano dinamicamente “isole di coerenza”,
ossia elementi costanti dell'esperienza del Sé e dell'altro che formano aspettative e previsioni di interscambi
futuri.
In linea con tali concettualizzazioni, la ricerca e la clinica si sono sempre più orientate a considerare gli
aspetti rappresentazionali delle esperienze reali che svolgono un ruolo decisivo nell'organizzazione del
mondo intrapsichico ed interpersonale di ciascun individuo.
In particolare, molti studi sono stati rivolti a studiare le rappresentazioni di sé e degli altri significativi
relative all'attaccamento: i comportamenti di attaccamento, che inizialmente sono predeterminati
biologicamente allo scopo di ottenere vicinanza e sicurezza, vengono in seguito organizzati ad un livello
cognitivo rappresentazionale attraverso i MOI.
Mary Main e coll. hanno esaminato le connessioni tra le rappresentazioni mentali dell'adulto delle proprie
esperienze infantili e la sicurezza dell'attaccamento del proprio bambino, utilizzando un'intervista
semistrutturata, l'Adult Attachment Interview (AAI): è stato messo in luce, grazie anche al contributo di
ulteriori studi, che i modelli di attaccamento rilevati dalle interviste dei genitori, sono efficaci predittori
dello stile di attaccamento dei propri figli nei primi anni di vita, e possono trasmettersi tra le generazioni.
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infanzia
Il processo di valutazione diagnostica nella prima infanzia ha l'obiettivo di monitorare lo sviluppo del
bambino negli aspetti maturativi e nel livello di funzionamento adattivo, e di esaminare la specificità dei
problemi relazionali ed individuali all'interno del contesto di vita. Tale valutazione deve tenere conto del
bambino, del caregiver, della relazione fra loro, e deve cogliere l'interdipendenza fra disturbo individuale e
fattori interattivi.
Per valutare se la relazione promuove lo sviluppo o, al contrario, lo intralcia è necessario valutare quanto il
caregiver sia in grado di decodificare i segnali del bambino e di regolare cicli e ritmi di comportamento,
modalità ed intensità degli stimoli per accordarsi ai livelli di attività ed agli stati di aurosal del bambino. La
valutazione della qualità della relazione prende in esame anche la funzione riflessiva del caregiver, ossia la
capacità di riconoscere gli stati mentali del bambino con i suoi bisogni, intenzioni, aspettative e desideri.
Esistono fattori che possono impedire lo sviluppo della responsività, sia da parte del caregiver che da parte
del bambino, e vanno considerati: parliamo di fattori genetici, difficoltà nella vita fetale e perinatale,
condizioni di prematurità e malattie fisiche. I comportamenti responsivi dei genitori possono
controbilanciare una vulnerabilità di questo tipo. È opportuno inoltre indagare su eventuali condizioni
sfavorevoli, come separazioni precoci, psicopatologia del genitore, svantaggio socioeconomico, che possono
determinare condizioni di rischio ambientale e incidere in modo negativo sullo sviluppo del bambino e sul
legame bambino-caregiver.
Durante l'osservazione della relazione bambino-caregiver, devono essere valutati sia gli aspetti qualitativi
che quelli quantitativi: il tono affettivo della risposta del bambino al compito di sviluppo richiesto è
importante quanto l'appropriatezza della sua risposta all'età di sviluppo. È importane osservare quanto il
bambino è capace di segnalare alla madre l'efficacia dell'interazione in atto, o la necessità di una correzione.
All'interno della “matrice clinica relazionale” (clinico-bambino-caregiver) emergono narrazioni ricche di
molteplici significati. Il clinico deve riuscire ad accogliere ed elaborare contemporaneamente due livelli di
informazione: i dati “oggettivi”, ovvero tutto ciò che è osservabile, disturbi evolutivi, precocità,
temperamento, stili interpersonali di comportamento del bambino e del caregiver, disturbi psikiatrici del
caregiver; e i dati “soggettivi”, che comprendono gli stati emotivi ed affettivi dei genitori, le
rappresentazioni mentali del Sé, del partner e del figlio.
La capacità del clinico di coinvolgere i genitori per ottenere la loro collaborazione è fondamentale. Per
ottenere una buona alleanza occorre far perno sulle competenze e sui punti di forza sia del bambino sia dei
genitori. Il processo valutativo si rivela particolarmente utile se viene impostato come opportunità di
riflettere sul bambino e come stimolo a confrontare le proprie ansie e aspettative e a rielaborarle.
La valutazione clinica comprende anche l'indagine sulle caratteristiche personali e sulle risposte di cui
dispongono i genitori, sul sostegno che ricevono dalla famiglia allargata e dal contesto socioeconomico in
cui vivono. È necessario anche avere informazioni sul funzionamento del sistema familiare, sui suoi valori
culturali e sul sistema di credenze.
Salvatore D'angelo Sezione Appunti
Manuale di psicopatologia dell’infanzia
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