Appunti del corso "Semiologia del cinema e degli audiovisivi". Il linguaggio del cinema e delle sue immagini attraverso le tesi di teorici cinematografici e semiologi. Si danno le definizioni di piano, inquadratura e campo, per approfondire poi le riflessioni di Metz sul sintagma cinematografico e di Deleuze sull'immagine-tempo e l'immagine-movimento, nate dal pensiero di Bergson. Si parla della crisi dell'immagine-azione tipica del cinema classico con l'avvento degli autori e del neorealismo, che mettono in discussione la narrazione e l'idea di spazio e tempo. Così, in autori come Welles, Fellini, Antonioni e Ozu, vengono approfonditi i concetti di immagine-pulsione e immagine-cristallo. Senza trascurare l'apporto alla riflessione sul cinema data dagli scritti di Pasolini, Lyotard e Barthes.
Semiologia del cinema
di Massimiliano Rubbi
Appunti del corso "Semiologia del cinema e degli audiovisivi". Il linguaggio del
cinema e delle sue immagini attraverso le tesi di teorici cinematografici e
semiologi. Si danno le definizioni di piano, inquadratura e campo, per
approfondire poi le riflessioni di Metz sul sintagma cinematografico e di
Deleuze sull'immagine-tempo e l'immagine-movimento, nate dal pensiero di
Bergson. Si parla della crisi dell'immagine-azione tipica del cinema classico con
l'avvento degli autori e del neorealismo, che mettono in discussione la
narrazione e l'idea di spazio e tempo. Così, in autori come Welles, Fellini,
Antonioni e Ozu, vengono approfonditi i concetti di immagine-pulsione e
immagine-cristallo. Senza trascurare l'apporto alla riflessione sul cinema data
dagli scritti di Pasolini, Lyotard e Barthes.
Università: Università degli Studi di Bologna
Facoltà: Lettere e Filosofia
Esame: Semiologia del cinema e degli audiovisivi
Docente: Antonio Costa1. Definizione di inquadratura. Cinema e tv
Occorre distinguere nettamente cinema e televisione, che implicano approcci produttivi del tutto diversi
(pellicola / videocassetta, macchina da presa / telecamera). Il cinema “nasconde” le proprie tecniche di
realizzazione, a partire dal fatto che esistono fotogrammi che scorrono a 24 al secondo (velocità stabilita
standard solo con il sonoro), ed un film di 90 minuti contiene circa 130.000 fotogrammi e un numero di
inquadrature tra 400 e 600, salvo montaggi concitati legati a stili particolari; non esiste un unico metodo di
analisi del film, e qualunque analisi è tendenzialmente interminabile per la vastità degli aspetti insiti in un
film, sicché occorre avere ben presente l’obiettivo cui si mira con l’analisi; l’analisi può includere elementi
interni al film (sequenze, inquadrature) o esterni (commenti, recensioni), e deve considerare personaggi ed
ambienti come “esistenti”, le azioni ed avvenimenti come “eventi” ed i “regimi del narrare”, e questi
costituiscono la “narrazione”, mentre per la “rappresentazione” si hanno “messa in scena”, “messa in
quadro” e “messa in serie”.
La “inquadratura” pone problemi di definizione, ma è “la porzione di schermo illuminata” dal proiettore, e
distingue “campo” e “fuoricampo”, con “campo” come “porzione di spazio visibile” entro uno spazio
immaginario che il fruitore deve ricostruire, e “fuoricampo” come non visibile ma interagente con la
narrazione, e campo e fuoricampo formano lo “spazio filmico”, e istituiscono una dialettica tra loro che ne
determina il senso, in unione con il livello sonoro; l’inquadratura ha 4 lati, il campo ne ha 6, i 4 del piano e i
2 lati dell’al di là del fondo e dell’al di qua della macchina da presa, il cui sguardo viene assunto dallo
spettatore; il primo piano, inquadrando una testa, già implica il fuoricampo del corpo cui la testa è attaccata
e dell’ambiente in cui esso è collocato; l’immagine filmica scorre ad una certa velocità, ed ha una
temporalità astratta ma collocata in uno scorrimento standard, e si ha un continuo movimento, dei
personaggi ma anche della macchina da presa, e in specie la panoramica, il travelling (movimento di
carrello) e lo zoom.
Massimiliano Rubbi Sezione Appunti
Semiologia del cinema 2. Definizione di piano nel cinema
Il “piano” è variamente definito, e si può individuare come lo spezzone minimo, l’unità di montaggio, o
meglio ogni spezzone che scorre ininterrottamente tra la partenza e l’arresto del motore della macchina da
presa; la nozione di “piano” è usata per l’ordine di grandezza dell’immagine, in una scala dal piccolo al
grande di campo lunghissimo (CLL) – campo lungo (CL) (che costituiscono i “totali”) – campo medio (CM,
con scala 1:1 per lo schermo cinematografico) – figura intera (FI) – piano americano (PA, figura umana da
testa a ginocchio, inventato dal western) – mezza figura (MF, fino alla cintola) – primo piano (PP, volto) –
primissimo piano (PPP, in cui il volto impedisce di percepire l’ambiente) (tutti piani antropocentrici, basati
sulla figura umana) – particolari e dettagli (elementi del volto e primi piani di elementi non umani); “piano”
è usato anche nel contesto della “mobilità” dell’immagine, con piani “fissi” o “mobili” a seconda
dell’immobilità o movimento della macchina da presa, ed infine e soprattutto per quanto riguarda la “durata
dei piani”, che per essere tali devono essere riconoscibili e dunque durare almeno 8 fotogrammi (1/3 di
secondo), e possono essere molto brevi o molto lunghi, tra cui i “piani sequenza”, nozione che unifica
elementi tecnici e narrativi e che indica la rappresentazione di un’azione narrativamente autonoma in un
unico piano spazio-temporale (ma non necessariamente di grandezza, con possibili passaggi ad esempio dal
campo lungo a quello medio); alcuni propongono di evitare l’uso del termine “piano”, per evitare di
incorrere nel suo significato ampio, in quanto anche il “piano sequenza” implica un montaggio in macchina,
e ogni passaggio tra piani di diversa grandezza implica un raccordo tra di essi. La segmentazione di un film
si basa su criteri spazio-temporali o narrativi, con interpretazioni diverse a seconda del criterio scelto
(“sequenze” spazio-temporali o “capitoli”).
Massimiliano Rubbi Sezione Appunti
Semiologia del cinema 3. Sequenze di "Una pura formalità" di Tornatore
La segmentazione più opportuna si basa su sequenze autonome narrativamente, e "Una pura formalità" si
divide in 10-12 sequenze; I sequenza = titoli di testa, notte, bosco, sparo, uomo che corre e viene fermato ad
un posto di blocco : presentazione del protagonista; II = ostilità del personaggio verso i presenti nel
commissariato; III = primo interrogatorio (da ostilità ad amichevolezza); IV = annuncio di un mistero; V =
secondo interrogatorio (da amichevolezza ad ostilità); VI = (entro cui si ha cambiamento di luogo, e dunque
racchiude 6° e 7° scena) tentativo di fuga dal commissariato; VII = terzo interrogatorio (da ostilità a
neutralità); VIII = ricostruzione della memoria narrativa di Onoff (svolta narrativa del film); IX = quarto
interrogatorio (fotografie, suddivisibile in 2 sequenze entro la stessa scena, il ricordo del suicidio e la fine
della pioggia con la telefonata); X = finale (partenza di Onoff).
Entro ogni sequenza si può attuare un “découpage” nei vari piani o inquadrature (porzioni entro due giunte
di montaggio); le informazioni su ogni piano si possono inserire nelle aree dell’inquadratura (numerata entro
la sequenza in serie, con relativa durata), della “colonna visiva” (elementi visivi, divisi in scala dei piani –
movimenti di macchina – angoli di ripresa, ossia messa in scena, e avvenimenti – movimenti dei personaggi
– “profilmico”) e della “colonna sonora” (divisa in dialogo, rumori e musica, sia diegetica, interna al film,
che extradiegetica); la scelta della prospettiva da cui analizzare la messa in scena dipende dal livello
narrativo, e da ciò dipende la scala dei piani, il tipo di movimento (o di staticità) della macchina da presa (ad
es., a 90° con i protagonisti); il “profilmico” include tutto ciò che sta “prima del film”, illuminazione in
particolare; nella colonna visiva si inserisce anche il fatto che un’inquadratura sia “flashback”; la scala dei
piani è antropocentrica, per cui ciò che conta è la porzione di figura del protagonista inquadrata.
Massimiliano Rubbi Sezione Appunti
Semiologia del cinema 4. Teorie del cinema. Ontologia, metodologia e campo
Nel dopoguerra, Casetti individua 3 paradigmi: le teorie ontologiche, metodologiche e di campo, che si
sviluppano fino agli anni ’70, mentre in seguito le teorie di campo si approfondiscono in nuove tendenze
degli anni ’80 e ’90, quelle di testo, mente e società (cognitivismo e testualità sociale), di cultura, arte e
pensiero (Deleuze, dibattito estetico e filosofico) e di storia, storie e storiografia. Nelle teorie ontologiche, il
cui caso emblematico è Bazin, si cerca di definire l’essenza di un oggetto metafisico secondo il criterio della
verità, e i principali soggetti a sviluppare tali teorie sono critici cinematografici operanti in riviste (Cahiers
du cinéma) e gruppi militanti, unificati da un linguaggio comune e che producono saggi o editoriali (di tipo
politico) a finalità culturale; le teorie metodologiche hanno come emblema Metz e la semiotica del cinema, e
mirano ad una riflessione sistematica, con un modello cognitivo, sulla pertinenza del discorso teorico, sulla
base di discipline già strutturate ed istituzionalizzate (semiologia, psicologia, linguistica) che fondano
l’analisi e vi verificano la propria correttezza, e tali teorie sono sviluppate da studiosi disciplinari,
universitari o ricercatori, unificati dalla loro formazione e produttori di relazioni scientifiche; le teorie di
campo sono emblematizzate dalla Feminist Film Theory (ricerca su cinema e ideologia), e si basano sulla
realtà fenomenica e sull’analisi di campi “problematici” come gender e politica, attraverso un sapere
trasversale usato secondo un criterio di pregnanza (utilità alla militanza), in un filone sviluppatosi tra
studiosi ma anche “amatori” riuniti da interessi convergenti e fini sociali; le teorie di campo sono alla base
della teorizzazione degli ultimi 20 anni.
La domanda basilare delle teorie ontologiche è “Cos’è il cinema?”, e le risposte definiscono vari filoni, che
correlano il cinema uno con la realtà (Bazin), uno con l’immaginario e uno con il linguaggio; la prima
corrente parte dalla riflessione sul neorealismo italiano, e include Bazin, con Che cos’è il cinema?, e in
specie Ontologia dell’immagine fotografica, che sostiene che cinema e fotografia sono la prima arte che non
richiede interpretazione umana ma si crea meccanicamente e fisicamente, e sono perciò compimento delle
arti precedenti perché indipendenti dalla soggettività, e in ciò Bazin trova spunto nelle tendenze
cinematografiche realiste del dopoguerra, dando poi l’avvio, con tale realismo ontologico, alla ricerca dei
Cahiers sulla “politica degli autori”; altri autori realisti sono Kracauer (Film. Ritorno alla realtà fisica),
Pasolini e Deleuze (in parte).
Massimiliano Rubbi Sezione Appunti
Semiologia del cinema 5. Sequenze e regia di "Sentieri selvaggi" di Ford
"Sentieri selvaggi" (1956) è il canto del cigno del cinema hollywoodiano classico, e in specie del western,
che tenta di traghettare verso le nuove tendenze. È opportuno parlare di “episodi” come macrosequenze
narrative, e di “sequenze” come unità spazio-temporali; tra le “tracce grafiche” di un film spiccano i titoli di
testa, che nel cinema hollywoodiano evidenziano protagonista (all’inizio) e regista (alla fine), e la continuità
di quest’ultimo con la scritta “Texas 1868” esprime la rilevanza del ruolo di John Ford; l’inquadratura
iniziale parte dall’interno buio della casa, su cui si apre il quadrato luminoso della porta, e poi la macchina si
sposta verso l’esterno con un movimento opposto a quello dell’inquadratura finale, che definisce la
circolarità del film e il suo essere una serie di “viaggi circolari” e “falsi movimenti”; la sequenza ha come
seconda inquadratura una mezza figura della donna (prima di spalle), e poi, con una nuova inversione di
campo, un campo lungo con le due montagne agli estremi e una figura umana che si avvicina al centro, in
una soggettiva definita dall’inquadratura precedente; una nuova inversione provvede a un arricchimento
progressivo dell’inquadratura, in cui entra da sinistra una persona, e poi un’inquadratura laterale che ritrae 4
personaggi, un “totale” (contenente tutti i personaggi narrativamente importanti) in cui entra un quinto
personaggio, e poi una nuova inquadratura della bambina con bambola e cane, da un punto di vista nuovo e
in figura intera; il cavaliere si avvicina alla macchina da presa, e dopo un’inquadratura che lo definisce “zio
Ethan” nella frase della nipote lo si reinquadra, e segue un’inquadratura frontale della fattoria che include il
cavaliere nella famiglia, come soggetto più vicino alla macchina che la riunifica facendo poi rientrare tutti
dentro; si ha quindi una dissolvenza incrociata all’interno della fattoria, con una cesura temporale ridotta ma
spaziale netta e una nuova sequenza narrativa (il riconoscimento dei familiari da parte di Ethan) definita dal
testo cinematografico stesso.
Massimiliano Rubbi Sezione Appunti
Semiologia del cinema 6. Personaggi e struttura in "Sentieri selvaggi"
Un personaggio cinematografico può essere indagato dapprima come “persona reale”, poi come ruolo e
quindi come attante, e non c’è risposta alle domande su cosa ha fatto Ethan dopo la resa del Sud; con la terza
sequenza, marcata dalla musica, entra un nuovo personaggio da una nuova inquadratura, analoga alla prima
ma dalla porta posteriore, e si ha poi l’agnizione tra Ethan e Martin, con il primo che non riconosce il
secondo e lo vede come “mezzosangue”, mostrando subito l’odio per gli indiani; il primo giorno si chiude
con tale sequenza, e il secondo si apre con l’arrivo dei “rangers”, che conferma la centralità narrativa della
fattoria, da cui i personaggi si distaccano solo quando le informazioni sui personaggi e sugli eventi sono
state abbozzate, passando ad uno spazio aperto; il ritorno nella fattoria a sole calante avviene dopo che
Ethan prevede l’attacco degli indiani ad una fattoria, che con l’inquadratura del capo indiano chiude il
prologo del film (marcato anche dall’unica dissolvenza al nero del film, a parte la “dissolvenza” che si ha
con la chiusura della porta che chiude il film, con una funzione di cesura e non di creazione di suspense
come nella fiction TV), il primo episodio, o secondo se si considera isolato il ritorno di Ethan, ma è meglio
pensare ad un episodio unico per seguire un criterio legato alla fattoria e ai peripli che dal ritorno alla
fattoria sono conclusi, in modo che il film si configura come prologo – 1° periplo – 2° periplo – 3° periplo;
il prologo ha dunque 7 sequenze: ritorno di Ethan – riconoscimento delle nipoti – arrivo di Martin – cena
con gli altri partecipanti – arrivo dei rangers – viaggio all’esterno – attacco indiano, e non basta riconoscere
le sequenze spazio-temporali, ma occorre analizzare le macrosequenze narrative, ciò che implica una “scelta
di campo”, un punto di vista generale sul film che segue un modello, iconologico o simbolico.
Una nuova svolta narrativa si ha quando la linearità degli eventi è interrotta dalla lettera di Martin, la cui
lettura e visualizzazione segna una forte ellissi temporale (tutti gli eventi narrati, più i mesi che passano
dalla scrittura all’arrivo della lettera) collegata dal “defunto Futterman” della lettera agli ultimi eventi
presentati, l’uccisione appunto di Futterman, in un gioco tra il presente assoluto degli eventi e il tempo della
lettura della lettera, che genera sottosequenze complesse (gli eventi incassati in tale lettura, un’unica
sequenza). Le inquadrature finali sono simmetriche a quelle iniziali (Ethan solleva Debbie in alto, ritorno
alla fattoria, Ethan che rimane fuori e si allontana, escluso dalla famiglia, la chiusura della porta).
Massimiliano Rubbi Sezione Appunti
Semiologia del cinema 7. Teorie del cinema. Morin, Bordwell, Brunetta, Bazin
La domanda “cos’è il cinema?” viene articolata studiando i rapporti tra cinema e autore, realtà, spettatore e
linguaggio (Compagnon); il paradigma dominante nella letteratura è l’analisi di testo e autore, ma nelle
teorie poststrutturaliste l’autore è sussunto nel testo come sua istanza, e nel cinema l’idea di riferire il film al
suo autore come regista (e non sceneggiatore) si afferma negli anni ’20, e soprattutto con la “politique des
auteurs” proposta dai Cahiers du cinéma negli anni ’50, una “teoria dell’autore” che definisce come “autori”
registi hollywoodiani come Hitchcock e Hawks in base alla coerenza interna della loro opera,
indipendentemente dalle costrizioni produttive dello “studio system” americano; si analizza la “mise en
scène”, la materia dell’espressione filmica con i suoi procedimenti tecnico-stilistici, in base alla “familiarità
con il cinema” e con i suoi aspetti formali più che di messaggio, e diviene importante la conoscenza diretta
dell’autore. Il rapporto cinema – realtà è mediato anche in molte teorie ontologiche (Morin, surrealismo); il
rapporto tra cinema e spettatore si distingue in base al tipo di spettatore (empirico, modello) ed è centrale
negli approcci semiotici che cercano nel testo le istanze della ricezione; il rapporto cinema – linguaggio è
insito in tutte le analisi semiologiche.
La storiografia del cinema si sviluppa dapprima come calco degli schemi di storia letteraria; si possono
distinguere storie economico-sociali (Allen & Gomery, Deslandes, Comolli, Altman, Creton), socioculturali
(Brunetta, Sklar, Sorlin) ed estetico-linguistiche (Bordwell, Stargell, Thompson, Aumont); le storie
economico-sociali intrecciano storia del cinema ed eventi economici e politici, trattando il cinema come
“genere merceologico” e sottolineando l’importanza non della “invenzione” ma della “innovazione”
(inserimento nel processo produttivo, come nel “caso Lumière”, con i fratelli che più che inventare il cinema
iniziano a produrre proiezioni cinematografiche, e pubblicizzano le “immagini in movimento” con soggetti
che definiscono una “estetica del realismo”); le storie socioculturali studiano il “visibile” (Sorlin), ossia la
realtà costruita socialmente in base ad un “patto” che limita la quota di realtà effettiva visibile, ed il rapporto
tra “visibili” del film e della società nel suo complesso, e in generale correlano film e società in senso
ampio, non solo produttivo ma culturale ed istituzionale; le storie estetico-linguistiche analizzano, talora con
approccio formalistico (Bordwell), le “filosofie” del cinema, come il “primato della narrazione”
hollywoodiano, e le collegano (Aumont) ad altri campi come la pittura, per cogliere il “modo di
espressione” cinematografico (Burch). Tra le teorie ontologiche, quella di Bazin delinea il cinema come
“riproduzione della realtà”, di contro alle teorie formaliste in cui centrale è l’operazione di montaggio (è
Bazin che inventa il concetto di “piano-sequenza”).
Massimiliano Rubbi Sezione Appunti
Semiologia del cinema 8. Il cinema di poesia di Pasolini e la soggettività
Entro le teorie ontologiche, Pasolini costituisce una figura atipica, e la sua teorizzazione deriva dagli
Elementi di semiologia di Barthes (1964), rifacendosi a Longhi (teoria dell’arte visiva) e alla “Stilkritik” di
Auerbach e Contini; Deleuze ripropone molti temi di Pasolini con un vigore filosofico assente in
quest’ultimo. I 2 saggi fondamentali sono “Il cinema di poesia” (1965) e “La lingua scritta dell’azione”
(1966; “della realtà” nell’edizione 1972), relazioni presentate al festival di Pesaro in cui si afferma la
semiologia francese strutturalista; il primo saggio si rifà al formalismo russo e alla determinazione della
categoria di “letterarietà” con la contrapposizione “lingua di poesia” e “lingua di prosa” (Sklovskij), e
Pasolini sostiene l’irrazionalità del cinema che lo oppone alla razionalità della prosa, e perciò condanna la
“narrazione” a favore della “espressione”; il cinema è pregrammaticale e prestorico, ma è stato piegato alle
esigenze della narrazione, e comunque mantiene la forza eversiva dell’universo espressivo non codificato; la
“poesia” del cinema si realizza mediante l’inclusione della soggettività del poeta, compiuta dalla “soggettiva
libera indiretta” analoga al “discorso libero indiretto” letterario, un’inquadratura che caratterizza il punto di
vista di un personaggio (“soggettiva”) ma stabilisce una programmatica indistinzione tra autore e
personaggio; il cinema di poesia è stabilito dall’uso pretestuale della soggettiva libera indiretta (Deserto
rosso di Antonioni), ossia dallo scambio di punti di vista tra autore e personaggio, con lo svuotamento
dell’inquadratura dai personaggi e un’attenzione ai dettagli non contestualizzati come soggettiva dei
personaggi, in un’antinarratività che definisce la “lingua di poesia” come forza centrifuga rispetto alla
“chiusura di senso” narrativa.
Massimiliano Rubbi Sezione Appunti
Semiologia del cinema