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Laffay e "Il verosimile filmico" di Della Volpe

Laffay e "Il verosimile filmico" di Della Volpe


Un altro filone di teorie su cinema e linguaggio si focalizza sui fondamenti del linguaggio cinematografico, e tra gli autori Della Volpe, Laffay e soprattutto Mitry; Della Volpe ("Il verosimile filmico", 1954) si rifà all’idealismo ma in chiave marxista, e si riferisce alla scena della scalinata di Odessa della Corazzata Potëmkin di Eisenstein per mostrare come l’immagine filmica, attraverso riferimenti concreti, stimola un’attività mentale di astrazione razionale, a partire dalle “forme e idee discriminate e discriminanti”, discernibili nel continuum audiovisivo, e tale razionalità dell’immagine porta a rivalutare il momento delle tecniche (montaggio) e a proporre una nozione di “verosimile filmico” come coerenza interna e non rispetto alla realtà naturale (il realismo è spesso violato da Eisenstein); Laffay polemizza con Bazin, sostenendo che l’impressione di realtà del cinema è data dalla dimensione narrativa che lo struttura, e teorizza il “grand imagier” come non autore empirico né autore modello, ma istanza fondamentale del “far vedere” e del “narrare”; Mitry (Estetica e psicologia del cinema, 1963-65) contesta le teorie del realismo di Bazin, definendo il cinema come linguaggio e l’immagine come segno, in un’articolazione del linguaggio filmico che distingue le immagine in descrittive (“oggettive”), personali (dello stile di un autore), semi-soggettive e soggettive, ed il montaggio in narrativo, lirico, d’idee e intellettuale.

Tratto da SEMIOLOGIA DEL CINEMA di Massimiliano Rubbi
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