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Immagine-tempo e immagine-cristallo. Fellini, Antonioni e Ozu


Antonioni dapprima mostra i tempi e gli spazi morti della banalità quotidiana, poi vi riassorbe i personaggi stessi; Fellini usa lo stesso meccanismo con riferimento allo spettacolo, che invade così il quotidiano dei personaggi; in Antonioni la vedenza, erranza ed intollerabilità divengono così un’istanza disumanizzata, priva di personaggi.
Deleuze parla di un “incontro”, o meglio di una “epifania”, tipica del neorealismo, in una lettura formale e non “realistica” e politica, e Fellini ed Antonioni non sono perciò “devianze” dal neorealismo; l’“incontro” non è prefigurabile, ma può essere solo “pensato durante” (Ingrid Bergman davanti agli scavi di Pompei in "Viaggio in Italia"), e il film diviene quasi un documentario sul ruolo interpretato da un attore, come poi sarà Fino all’ultimo respiro di Godard, senza schemi senso-motori ma con la ripresa di “incontri” improvvisati con materie a più livelli (visivo, sonoro, verbale, gestuale, mentale); l’incontro con l’imprevedibile mortifica il soggetto, e tale approccio si radica nel cinema giapponese, in particolare in Ozu, che rappresenta l’essenza dell’immagine-tempo entro le relazioni familiari e i gesti minimi, ossia il tempo (inteso alla Bergson) allo stato puro; in Ozu centrale è la “commozione estetica suscitata dalle cose del mondo”, e l’uso dell’inquadratura dall’altezza delle ginocchia è un marchio distintivo di Ozu, che rappresenta il tempo come ciò che permane entro la successione di stati mutevoli, spesso attraverso “nature morte” immutabili (il vaso), che esprimono l’immutabilità del tempo, a differenza delle cose; il tempo diviene così l’immutabilità di una forma che però raccoglie in sé il mutamento, e da qui nasce l’idea dello “ialosegno”, la “immagine-cristallo”, in cui si rende trasparente il processo temporale di formazione e insieme la stabilità strutturale, e in cui le sfaccettature riflettono variamente la luce, ossia la forma permanente ma attraversata dal mutamento; si instaura la relazione tra mutevole ed immutabile, mediante il loro incontro, e Deleuze riporta il pensiero di Antonioni sull’“orizzonte”, come limite dell’esperienza quotidiana ma anche confine astronomico mai raggiungibile, due concezioni che nella cultura giapponese si fondono in un orizzonte temporale, cosmico e quotidiano insieme; il quotidiano, secondo Deleuze, si rivela non schema senso-motorio ma situazione ottico-sonora, e quest’ultima apre alla dimensione del pensiero e del tempo, rendendola visibile ed udibile.

Tratto da SEMIOLOGIA DEL CINEMA di Massimiliano Rubbi
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