Gli appunti prendono in esame la normativa sul reddito d'impresa che è divisibile in due gruppi di norme: uno dedicato all’identificazione della fonte del diritto, ed uno volto a disciplinarne il calcolo. Questo secondo gruppo è disciplinato da un elevato numero di norme che regola l'attività di misurazione del reddito.
Manuale di Diritto Tributario
di Andrea Balla
Gli appunti prendono in esame la normativa sul reddito d'impresa che è
divisibile in due gruppi di norme: uno dedicato all’identificazione della fonte del
diritto, ed uno volto a disciplinarne il calcolo. Questo secondo gruppo è
disciplinato da un elevato numero di norme che regola l'attività di misurazione
del reddito.
Università: Università degli Studi di Torino
Facoltà: Economia
Esame: Diritto Tributario II - a.a 2009/2010
Titolo del libro: Manuale di Diritto Tributario
Autore del libro: Falsitta
Editore: Cedam
Anno pubblicazione: 20091. I Redditi d'Impresa
1. QUADRO DELLA NORMATIVA RIGUARDANTE REDDITO D'IMPRESA
La riforma del 2003 ha innovato la struttura delle norme volte a disciplinare il calcolo della misurazione del
reddito attraverso l'introduzione dell'ires; infatti la disciplina di base per il calcolo del reddito d'impresa era
prima racchiusa all'interno dell’irpef. Ora il testo unico parla dell’ires nel titolo II, e al cui interno troviamo
alcune norme speciali pensate per le persone fisiche e per le società di persone disciplinate dal titolo I del
tuir.
Per il calcolo del reddito d'impresa presso le persone fisiche e le società di persone il testo unico fa rinvio a
complesso di precetti elaborato con riferimento alle società di capitali e agli enti commerciali.
2. LA FONTE DEL REDDITO D'IMPRESA
Le attività di lavoro indipendente danno luogo a quattro distinte fattispecie giuridiche:
- redditi agrari;
- redditi da lavoro autonomo;
- redditi d'impresa;
- redditi diversi.
Le attività da cui derivano redditi d’impresa sono contemplate nell'articolo 55 che al primo comma
individua i redditi d'impresa come quelli che derivano “dall'esercizio di imprese commerciali” e chiarisce
che con quest'espressione “si intende l'esercizio per professione abituale, ancorché non esclusiva, delle
attività indicate nell'articolo 2195 del codice civile e delle attività indicate alle lettere b) e c) del comma 2
dell'articolo 32 che eccedono i limiti ivi stabiliti, anche se non organizzate in forma di impresa”.
Vengono, al secondo comma, annesse altre attività che concorrono alla formazione del reddito d'impresa;
queste sono: a) l'esercizio di attività organizzate in forma di impresa dirette alla prestazione di servizi che
non rientrano nell'articolo 2195 cc; b) dallo sfruttamento di miniere, cave, torbiere, saline, laghi, stagni e
altre acque interne; c) dall'esercizio di attività agricole di cui all'articolo 32, pur se esercitate nei limiti
stabiliti da questa disposizione ove spettino una società in nome collettivo o in accomandita semplice.
Il comma tre precisa che tutte le predette attività sono attività commerciali, e quindi riferendoci al comma
uno sono da considerarsi imprese commerciali.
Quest'attività per essere considerate produttrici di redditi d'impresa devono esercitare la “professione
abituale, ancorché non esclusiva”. Va inoltre detto che tutte le attività commerciali indicate nell'articolo 55
se non sono esercitate in modo abituale, non producono redditi d'impresa ma redditi diversi ai sensi
dell'articolo 67 lett. i).
Esercizio per professione abituale deve essere sinonimo di esercizio abituale in contrapposizione
all'esercizio meramente occasionale; l'abitualità implica infatti, stabilità, regolarità dell'iniziativa, il protrarsi
nel tempo anche se in maniera non rigorosamente continuativa: è il caso delle attività a carattere stagionale o
comunque di quelle attività caratterizzate dalla presenza di fasi di pausa (che comunque sono da considerarsi
attività d’impresa).
L'articolo 2195 del codice civile fa un elenco di quelle attività considerate commerciali, ossia:
- le attività industriali dirette alla produzione di beni o di servizi;
- le attività intermediarie nella circolazione dei beni;
- le attività di trasporto per terra, per acqua e per aria;
- le attività bancarie e assicurative;
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Manuale di Diritto Tributario - le altre attività ausiliarie delle precedenti.
La dottrina sostiene che l'ambito dell'impresa commerciale è ottenuto sottraendo alla nozione di impresa
identificata dall'articolo 2082 quella di impresa agricola di cui all'articolo 2135; dal binomio di attività di
lavoro indipendente svolto in modo stabile ed economico resterebbero quindi escluse le attività agricole in
parte e quelle attività materiali e miste nelle quali soggetti non utilizza fattori produttivi esterni alla sua
persona(es. attività intellettuali).
Per quanto riguarda l'attività agricola, è di pensiero comune che l'attività imprenditoriale richiede un minimo
di etero-organizzazione, cioè di coordinamento e combinazione di fattori produttivi esterni al lavoro del
soggetto, come ad esempio il lavoro altrui e/o il capitale proprio e/o altrui; non ricorre quindi la definizione
di impresa neppure piccola laddove vi sia soltanto auto organizzazione e cioè semplice pianificazione del
proprio lavoro.
Per quanto riguarda le attività materiali e miste è unanimemente riconosciuta l'irriducibilità dell'esercizio di
un'arte o di una professione alla nozione di impresa di cui all'articolo 2082, come una sorta di privilegio che
ha il suo fondamento nell'articolo 2238 del codice civile.
Ci sono poi varie tesi che propongono di porre una distinzione tra produzione e prestazione di servizi ma in
base all'articolo 55 del testo unico, al comma primo, rientrerebbero nella sfera dell'attività quello volte alla
produzione di servizi le quali si caratterizzerebbero per l'impiego della combinazione di diversi fattori
produttivi mentre ne resterebbero fuori le attività di prestazioni di servizi; tuttavia il comma secondo
dell'articolo 55 le attrae al reddito d'impresa se sono organizzate in forma di impresa.
“Organizzate in forma di impresa”, è data la definizione dal comma due dell'articolo 55 che narra:
l'organizzazione in forma di impresa non si identificherebbe in qualsiasi tipo di coordinamento di fattori
estranei alla persona del soggetto ed eventualmente dei suoi familiari, ma nella organizzazione di particolare
rilievo e livello, considerabile in sé e per sé come idonea a realizzarne lo svolgimento ed a conseguire dei
risultati, in quanto dotata... dia autonomia funzionale.
È da sottolineare qui che la distinzione tra produzione e prestazione di servizi si configura in una diversa
distinzione di prospettiva, infatti nella prospettiva dell'agente il servizio è prodotto, in quella dell'utente è
prestato; non vi è quindi ragione di ritenere che il legislatore nell'utilizzare il comma due dell'articolo 55 con
l'espressione prestazione di servizi abbia inteso connotare nel senso sopra indicato l'espressione produzione
di servizi di cui al primo comma dell'articolo 2195.
Allo stato della legislazione si può dunque affermare che tutte le attività di lavoro indipendente ed esercitate
stabilmente forniscono redditi d'impresa salvo le attività descritte nell'articolo 32, da cui derivano redditi
agrari, nonché le attività artistiche professionali, da cui derivano redditi di lavoro autonomo. Le attività
artistiche professionali quando si estrinsecano in prestazioni di servizi possono tuttavia generare redditi
d'impresa se organizzate in forma di impresa ai sensi del comma 2, lett. a) dell'articolo 55.
Va detto che di certo non basta un minimo di etero organizzazione a provocare il trapasso dalla categoria di
reddito autonomo a quella di reddito d'impresa altrimenti la prima fattispecie finirebbe per scomparire.
Si deve invece reputare necessario un livello organizzativo più elevato, richiedente all'artista o a un
professionista di tramutarsi da prestatori di servizi a combinatore di fattori della produzione e quindi di
essere capace di spostare il baricentro dell'attività di prestazione di servizi dalla persona dell'artista o del
professionista all'organizzazione da questi creata gestito.
3. CATEGORIE SOGGETTIVE E REDDITO D'IMPRESA
Riconosciamo tre classi di soggetti che rientrano sotto il profilo del reddito d'impresa.
La prima categoria è rappresentata dalle società commerciali: le società in nome collettivo, quelle in
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Manuale di Diritto Tributario accomandita semplice e quelle di armamento; ai sensi dell'articolo 6, c.3, i redditi di queste società, da
qualsiasi fonte provengano, e quale che sia l'oggetto sociale, sono considerati redditi d'impresa e sono
determinati unitariamente secondo le norme relative a tali redditi. Si può quindi dire che l'applicazione della
normativa sul computo del reddito d'impresa si ricollega direttamente alla forma giuridica del soggetto
piuttosto che all'attività esercitata. Le regole di identificazione della fonte sopra delineate risultano pertanto
fuori gioco. Come fuorigioco si manifestano, se si allarga lo sguardo la normativa sull'ires, con riferimento
alle società nominate dall'articolo 73, lett.a) ossia le società per azioni, società in accomandita per azioni,
società a responsabilità limitata, società cooperative, società di mutua assicurazione, per le quali pure reddito
complessivo si identifica con il reddito d'impresa in ragione della forma giuridica assunta.
Una seconda categoria è rappresentata dalle persone fisiche rispetto le quali le regole relative
all'identificazione del reddito d'impresa assolvono la funzione di fornire l'elenco delle attività da cui
provengono redditi da incasellare nella categoria considerata.
All'estremo opposto si collocano, come terza categoria, le società di fatto e le organizzazioni diverse dalle
società. In particolare le società di fatto gli enti pubblici e privati, con o senza personalità giuridica, diverse
dalle società possono dare origine a reddito d'impresa; se c'è commercialità generano allora reddito
d'impresa se non c'è commercialità bisogna verificare la capacità di generare redditi d'impresa.
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Manuale di Diritto Tributario 2. L'imposta sul reddito delle società
1. CONDIZIONI PRELIMINARI
La tassazione dei redditi realizzati dalle formazioni sociali solleva, rispetto alla tassazione dei redditi
conseguiti dalle persone fisiche, talune questioni peculiari.
La prima questione riguarda la capacità contributiva delle formazioni sociali: tenendo conto dell'articolo 53
della Costituzione, sembra ragionevole ritenere che, nella misura in cui l'ordinamento riconosce la loro
idoneità ad essere titolare di rapporti giuridici di contenuto patrimoniale, le formazioni sociali siano in
condizione di esprimere una propria autonoma forza economica, e quindi una propria autonoma capacità
contributiva. Peraltro poiché le società sono istituzionalmente dei veicoli per produrre ricchezza da riversare
su coloro che integrano il sostrato personale, la tassazione di questa ricchezza in capo tra gli enti deve
necessariamente fare i conti con la possibilità che la medesima ricchezza venga tassato in capo ai
partecipanti: vi è quindi un problema di doppia tassazione. Prima di esplicitare la questione della doppia
imposizione va fatto un distinguo tra le società a scopo di lucro e quelle senza scopo di lucro. Le prime sono
incentrate sullo scopo della formazione sociale, le seconde assumono come fattore discriminante l'oggetto,
ossia l'attività.
Le organizzazioni senza scopo di lucro, cioè quel che per legge o per statuto non possono distribuire alcun
utile ai partecipanti, devono essere giudicate come le persone fisiche terminali dei redditi che producono. La
scelta di non tassare in tutto o in parte i redditi di questi organismi deve essere ricondotta a valutazioni
discrezionali del legislatore, legate alla meritevolezza e rilevanza sociale dell'attività esercitata e delle
finalità perseguite.
Per quanto riguarda le organizzazioni con scopo lucrativo l'introduzione di un'imposta reddituale a carico di
questi enti genera un fenomeno di doppia imposizione sulla medesima ricchezza, che solleva un problema di
incostituzionalità fissato dall’ articolo 3 della Costituzione.
Analizziamo ora i vari metodi di eliminazione della doppia tassazione.
Un primo metodo consiste nell'omologare il regime tributario dei dividendi a quello degli interessi e cioè
collocare i primi nella classe dei componenti positivi con riferimento a soggetti che li ricevono è in quella
dei componenti negativi con riferimento ai soggetti che corrispondono; sotto il profilo concettuale con
questo metodo detta posizione è valorizzata sotto il profilo dell'investimento e la relativa remunerazione di
riflesso configurata alla stregua di una rendita finanziaria piuttosto che come reddito d'impresa; sotto il
profilo pratico questo metodo ha il pregio di rimuovere l'interferenza del fattore fiscale nella scelta tra
capitale di rischio e capitale di prestito quale mezzo di finanziamento della società.
Un altro metodo è quello di tassare i redditi non in capo all’ente al momento della loro formazione, ma in
capo ai partecipanti al momento della loro distribuzione. Tuttavia questo metodo di esenzione consente di
differire “sine die” l’imposizione sugli utili non distribuiti. Per ovviare al problema si potrebbe optare per
una tassazione in capo all'ente limitata alla quota di utili d'esercizio mandata a riserva e non distribuita ma
tuttavia il problema della doppia imposizione di questi utili rimarrebbe inalterato.
Un terzo metodo consiste nell'esentare dall'imposta, che colpisce i redditi dei partecipanti, gli utili distribuiti
dalla formazione sociale. Questo metodo concilia perfettamente con le imposte di tipo reale poiché sono
applicate con aliquota uguale a tutti partecipanti soggetti passivi. Tuttavia è inadeguato per quanto riguarda
quelle imposte definite a carattere personale in quanto può non esservi coincidenza tra l'aliquota che grava
sui redditi delle formazioni sociali è quella che grava sui redditi dei singoli partecipanti. Infatti l'esclusione
dalla base imponibile degli utili da parte dei partecipanti può creare loro un non ragionevole vantaggio o
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Manuale di Diritto Tributario viceversa un non ragionevole svantaggio.
Un quarto metodo consiste di imputare tutti i redditi dell'ente direttamente ai partecipanti in proporzione
alle rispettive quote di partecipazione agli utili: tassazione mediante il criterio della trasparenza. Questo
metodo è utilizzato nei confronti delle società di persone coerentemente con l'articolo 2262 cc, che sostiene
che il diritto alla divisione integrale dell'utile si acquista con l'approvazione del bilancio o del rendiconto.( la
decisione di reinvestire nell’impresa in tutto o in parte i proventi delle società di persone, spetta al socio e
non alla collettività). Poiché il diritto del socio di una società di capitali a percepire la propria quota di utili
sorge solo a seguito della delibera di distribuzione, è facile ritenere che il sistema dell'imposizione per
trasparenza non possa essere impiegato nella disciplina della società di capitali, se non come regime
opzionale nel caso in cui ci sia il consenso della totalità dei soci.
Un ultimo metodo, non più esistente, consiste nel tassare i redditi tanto in testa all'ente, tanto in testa ai
partecipanti; al contempo viene attribuita a questi ultimi un credito d'imposta pari all'ammontare
dell'imposta assolta dalla formazione sociale all'utile distribuito. Questa procedura è detta del credito
d'imposta. Alla riforma del 2003 per gli utili distribuiti dalle società di capitali residenti il nostro
ordinamento veniva adottato questo criterio che garantiva l'eliminazione della doppia imposizione e
consentiva di modulare il prelievo sulla situazione economica del soggetto proposto al vertice della catena
societaria, ovvero il socio. Il criterio dell'esenzione dei soci interessava gli utili distribuiti dalle società non
residenti; questa necessità era dettata dalla diversità dei regimi tributari esteri: per i dividenti di fonte estera
l'ammontare del credito d'imposta spettante ai soci residenti non avrebbe potuto essere fissato in una
specifica percentuale. Questa dicotomia tra dividendi di fonte nazionale e dividendi di fonte estera è stata
cancellata dalla riforma del 2003.
È stato di fatto esteso il criterio dell'esenzione parziale pari al 60%(ora 50,28%) per le persone fisiche, pari
al 95% per le società ed enti commerciali e non. Il credito d'imposta è infatti stato abbandonato poiché
ritenuto inadeguato ad un'economia globalizzata, nella quale società e soci appartengono di frequente a
giurisdizioni diverse.
Va ricordato che all'esenzione di dividendi la riforma associato l'esenzione delle plusvalenze su
partecipazione considerata una fonte di ricchezza omologa ai dividendi.
Questo scenario ha rafforzato il ricorso al metodo della trasparenza nel comparto delle società di capitali
soprattutto per quelle società controllate domiciliate nei paradisi fiscali. La tassazione per trasparenza
prevale nelle società a responsabilità limitata di piccole dimensioni e a ristretta base proprietaria di cui
all'articolo 116: questo modello permette di impedire all'assunzione della forma capitalistica di tradursi in un
appesantimento del prelievo tributario.
È secondaria nel consolidato nazionale e in quello mondiale, come nella tassazione per trasparenza delle
società di capitali partecipate da altre società di capitali di cui all'articolo 115, nei quali maggior rilievo
riveste l'esigenza di munir partecipanti di strumenti capaci di consentire la compensazione tra i redditi propri
e le perdite delle società partecipate.
Obbligatoria la tassazione per trasparenza dei redditi delle società domiciliate nei paradisi fiscali di cui agli
articoli 167-168 ed estesa dalla riforma alle società collegate.
2. LA STRUTTURA DELLA NORMATIVA SULL’IRES
Nel testo unico la disciplina dell'ires è disciplinata dal titolo II, che è suddiviso in sei capi:
- disposizioni generali;
- società ed enti commerciali;
- enti non commerciali;
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Manuale di Diritto Tributario - società ed enti commerciali non residenti;
- enti non commerciali non residenti;
- determinazione della base imponibile per alcune imprese marittime.
L’ires è stata introdotta con la riforma del 2003, ed ha sostituito l'Irpeg.
Per misurare la base imponibile delle società e degli enti commerciali non occorre più la combinazione delle
norme previste dal titolo I da leggersi in comunione con quelle del titolo II, ma l'imponibile si misura, o
meglio, si identifica con il loro reddito d'impresa.
Analoga autosufficienza non è stata raggiunta per gli enti non commerciali, i quali sono strettamente legati
all’irpef, anche se sussistono.
3. LA SOGGETTIVITÀ PASSIVA
I soggetti passivi dell’ires, sono individuati nell'articolo 73, c.1. e sono suddivisi in quattro insiemi:
- le società di capitali (società per azioni, società in accomandita per azioni, società a responsabilità
limitata), le società cooperative e le società di mutua assicurazione residenti nel territorio dello Stato;
- gli enti pubblici e privati diversi dalle società, nonché i trust, residenti nel territorio dello Stato che hanno
per oggetto esclusivo o principale l'esercizio di attività commerciali;
- gli enti pubblici e privati diversi dalle società, nonché i trust, residenti nel territorio dello Stato, che non
hanno per oggetto esclusivo o principale l'esercizio di attività commerciali;
- le società e gli enti di ogni tipo, compresi i trust, con o senza personalità giuridica, non residenti nel
territorio di uno Stato.
L'articolo 75, nello stabilire che la base imponibile dell'imposta è formata dal reddito complessivo netto,
assegna ad ogni insieme prima dettagliato, un diverso nucleo di norme attinenti alla determinazione della
grandezza reddito imponibile. Le lettere a) e b) fanno riferimento al capo II, la lettera c) fa riferimento al
capo III, la lettera d) fa riferimento al capo IV e V.
A dispetto della sua denominazione, l’imposta sul reddito delle società, non colpisce esclusivamente le
società ma anche formazioni sociali sprovviste di tale qualifica. Questa qualifica trova giustificazione
nell'articolo 73 ed è volta a evitare la formazione di figure soggettive atipiche che portano lacune nel tessuto
normativo; per questo sono racchiusi nel reddito d'impresa “ le altre organizzazioni non appartenenti ad altri
soggetti passivi nei confronti delle quali il presupposto dell'imposta si verifichi in modo unitario ed
autonomo”.
Per definire un soggetto passivo dell'ires, bisogna individuare alcune caratteristiche:
1) l'organizzazione: è identificabile nel suo essere organizzazione, cioè il complesso di persone e/o di beni
stabilmente strutturato per il raggiungimento di un dato scopo; 2) la non appartenenza ad altri soggetti
passivi: l'organizzazione non deve essere parte e cioè costituire segmento, articolazione, di un'altra più
ampia organizzazione sottoposta al tributo, ma essere esteriormente e riconoscibile come struttura distinta;
3) l'unitarietà ed autonomia del presupposto: l'attitudine dell'organizzazione a realizzare il presupposto
dell'impresa in modo unitario ed autonomo; tale caratteristica richiede: da un lato che gli effetti giuridici
degli atti compiuti dall'organizzazione ricadano unitariamente in capo ad essa e non in capo ai suoi membri,
dall'altro che l'organizzazione abbia la capacità di autodeterminarsi in vista del raggiungimento di uno
scopo, e quindi di esprimere una volontà (eventualmente) distinta da quella dei membri.
I trust seguono le regole delle imposte sui redditi che seguono gli enti diversi dalle società. Ai sensi
dell'articolo 73, comma 2, se i beneficiari sono individuati, i redditi conseguiti dal trust sono imputati in ogni
caso ai beneficiari in proporzione alla quota di partecipazione indicata nell'atto costitutivo e in altri
documenti successivi ovvero, in mancanza, in parti uguali; se questa condizione si verifica, il reddito del
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Manuale di Diritto Tributario trust è assoggettato ad imposta direttamente in capo ai beneficiari con il metodo della trasparenza. Questo
metodo impositivo implica che i soggetti ai quali il reddito è imputato abbiano il controllo della sua
destinazione: quindi oltre ad essere individuati devono essere titolari del diritto all'assegnazione immediata
del reddito di periodo, se così non fosse si andrebbe a violare l'articolo 53 della Costituzione.
Tra i soggetti passivi riconosciamo anche i gruppi di società. L'articolo 118 evidenzia che l'obbligazione
tributaria nascente dall'imponibile di gruppo è unitaria e si appunta in capo alla consolidante. Non si
configura quindi una soggettività passiva del gruppo, ma una soggettività della consolidante la quale è
tenuta a calcolare detto imponibile, a liquidare l'imposta è a versarla. Tuttavia questa visione è restrittiva in
quanto il gruppo rappresenta un'entità economica non ascrivibile ad uno specifico soggetto giuridico ma ad
un insieme di soggetti considerato in modo unitario ed autonomo.
Lo Stato e gli enti pubblici territoriali, ai sensi dell'articolo 74 c.1, non sono soggetti all’ires. Precisamente
non sono soggetti all’ires le amministrazioni dello Stato con prese quelle dotate di personalità giuridica, le
regioni, le province, le comunità montane e i comuni. Per quanto riguarda le regioni, le province, le
comunità montane e i comuni la norma riguarda solo quelle articolazioni organizzative che sono prive di
un'autonoma personalità giuridica; quelle con autonomia sono soggette all’ires.
4. LA COMMERCIALITÀ
Gli elementi su cui si basa la classificazione delineata nell'articolo 73, c.1, sono due: la commercialità e la
residenza. Sul primo elemento si guarda alla distinzione tra i primi due insiemi di soggetti e il terzo ( a,b – c)
sul secondo elemento è evidenziata la distinzione tra i primi tre insieme e il quarto (a,b,c – d).
Mentre alle organizzazioni incluse nel primo gruppo il predicato commerciale è assegnato in ragione della
particolare forma giuridica, a quelle del secondo e ha segnato quale riflesso della natura commerciale
dell'attività che ne rappresenta l'oggetto esclusivo o principale.
Per gli enti diversi dalle società sono ricondotti allo schema dell'ente commerciale, non in ragione della
forma giuridica né per lo scopo, ma per l'oggetto: cioè l'attività che l'ente svolge per raggiungere lo scopo.
Ai sensi dell'articolo 73, c. 4 e 5, l'oggetto esclusivo o principale dell'ente residente deve essere identificato
in base alla legge, all'atto costitutivo o allo statuto, se esistenti in forma di atto pubblico di scrittura privata
autenticata o registrata, e, in mancanza, in base all'attività effettivamente esercitata nel territorio dello Stato.
Per quanto riguarda gli enti non residenti l'oggetto si desume dall'attività svolta. I due metodi sembrano
alternativi: se l'oggetto è individuato in un documento non munito delle forme richieste, deve essere
determinato in base ad esso a prescindere dalla attività effettivamente svolta; se invece non è individuato in
alcun documento oppure è individuato in un documento munito di quelle forme, si deve far riferimento
all'attività concretamente esercitato. Questa suddivisione serve per qualificare l'ente ex-ante sulla base del
programma che è destinato a realizzare, anziché ex-post a seguito, quindi, di una valutazione dell'attività in
concreto esercitato. Se l'atto costitutivo, nel fissare l'oggetto dell'ente, nomina una pluralità di attività, per
determinare quale attività deve essere considerata quella prevalente occorre scindere quell'attività che l’ente
realizza direttamente al fine di annoverare lo scopo per il quale è stato costituito, e che pertanto esprime una
specifica ragione di esistere: viene così distinta l’attività primaria da quella/e secondarie. L'articolo 73,c.4,
chiarisce che il predicato della principalità deve essere associato alla prima attività, mentre alla seconda
deve essere riconosciuto carattere accessorio.
Identificata l’attività esclusiva, occorre stabilire se questa è o non è un'attività commerciale. Per far ciò si
ricorre all'articolo 55, il cui comma 3 stabilisce che le “disposizioni in materia di imposte sui redditi che
fanno riferimento alle attività commerciali si applicano, se non risulta diversamente, a tutte le attività
indicate nel presente articolo”. Tuttavia la definizione di commercialità deve essere integrata con l'articolo
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Manuale di Diritto Tributario 74, c.2 il quale dispone che non costituisce esercizio di attività commerciale l'esercizio di funzioni statali da
parte di enti pubblici, e l'esercizio di attività previdenziali, assistenziali, sanitarie da parte di enti pubblici
istituiti esclusivamente a tal fine, comprese le unità sanitarie locali.
Particolare rilievo assume il requisito della economicità dell'iniziativa. Si deve ritenere che le attività
indicate nell'articolo 55, ed in particolare quelle che questa disposizione identifica mediante rinvio
all'articolo 2195 cc., per essere definibili commerciali, e dunque per servire da strumento per qualificare
come commerciali gli enti di cui trattasi, devono essere gestite con metodo economico. Nell'articolo 2195
cc, trovano specie le attività economiche organizzate grazie anche alla combinazione dello stesso articolo
con il 2082 cc.
Non possono essere definite tali le attività che provocano una dispersione di risorse, e non sono perciò in
grado di perpetuarsi senza interventi di sostegno. Affinché un'attività venga definita economica è sufficiente
che i corrispettivi delle cessioni di beni e delle prestazioni di servizi coprano i costi, ossia permettano di
remunerare i diversi fattori della produzione impiegati. Insomma deve esserci una giustificazione economica
all'attività di impresa.
5. LA RESIDENZA
L'articolo 73, c.3, definisce residenti le società gli enti che per la maggior parte del periodo d'imposta hanno
nel territorio dello stato la sede legale, o la sede amministrativa, o l'oggetto principale. La sussistenza anche
di una sola delle condizioni sopra citate, è presupposto necessario e sufficiente per far sì che una società
venga attratta nella sfera dei soggetti considerati residenti nel territorio dello Stato e come tale assoggettata
alla relativa tassazione. Per sede legale della società o dell'ente si deve intendere quella fissata nell'atto
costitutivo o nello statuto, nel testo concordato o fissato dalla legge al momento della costituzione
dell'organizzazione, o in quello risultante da successive modifiche. È un dato formale. Sostanziale invece, è
il criterio della sede dell'amministrazione che è identificato come luogo dal quale è governata l'attività
dell'ente, e cioè nel luogo in cui ordinariamente si forma la volontà relativa agli atti rientranti nella sfera di
competenza dell'organo di amministrazione: è detto sostanziale in quanto occorre riferirsi alla situazione
effettiva.
Un altro fattore a cui si può ancorare la residenza è quello della localizzazione nel territorio italiano
dell'oggetto principale dell'ente; l'oggetto principale dell'organizzazione deve essere individuato in base
all'atto costitutivo esistente in forma di atto pubblico di scrittura privata autenticata, e, in mancanza, in base
all'attività effettivamente esercitata. Tuttavia in mancanza di una disciplina ben puntuale in materia di
tassazione delle società bisogna far riferimento all'articolo 5, c.3, lett. d) il quale applica il suddetto criterio
all'attività di determinazione dell'oggetto principale delle società di persone e quindi da esperire proprio al
fine di stabilirne la residenza.
Nel corso del 2006, per contrastare fenomeni di eterovestizione preordinati allo sfruttamento del regime di
esenzione delle plusvalenze su partecipazioni vigenti in altri ordinamenti, è stata introdotta una presunzione
relativa in materia di residenza delle società che detengono partecipazioni di controllo ai sensi dell'articolo
2359 c. 1 del cc. in società o enti commerciali residenti. Ai sensi dell'articolo 73,c.5-bis), salvo prova che la
sede dell'amministrazione di queste società si trova effettivamente all'estero, detta sede si considera esistente
in Italia se esse sono controllate, anche indirettamente, ai sensi del medesimo articolo 2359 cc., da soggetti
residenti in Italia oppure sono amministrate da un organo composto prevalentemente da persone residenti in
Italia.
6. LA DETERMINAZIONE DELL'IMPOSTA
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Manuale di Diritto Tributario L’ires, come le altre imposte sui redditi, è di tipo periodico. L'imposta non è però uniforme: per l'Irpef la
normativa, senza provvedere eccezioni, stabilisce la coincidenza con l'anno solare; per l’ires no. L'articolo
76, c.2, dispone che il periodo d'imposta è costituito dall'esercizio o periodo di gestione della società o
dell'ente, così come determinato dalla legge o dall'atto costitutivo. Se non determinato dalle fattispecie
appena elencate, o è determinato in un periodo di due o più anni, il periodo d'imposta è da considerarsi
rappresentato dall'anno solare (e da considerare tuttavia che alcuni eventi straordinari possono registrare una
contrazione o una dilatazione di tale periodo).
Salva la possibilità di riportare in avanti le perdite derivanti dall'esercizio d’ impresa e le eccedenze di
crediti d'imposta, ritenute d'acconto e versamenti in conto, l'obbligazione tributaria relativa ad un periodo
d'imposta è del tutto indipendente da quella relativa a periodi precedenti e successivi; questa autonomia è
definita dall'articolo 76 che sancisce, al comma 1, che ciascun fatto indicato dalla legge come fiscalmente
rilevante deve essere attribuito al periodo d'imposta entro cui la legge medesima lo colloca (questo principio
vale sia per il contribuente in fase di compilazione della dichiarazione, sia per l'amministrazione finanziaria
in fase di verifica). L'imposta sul reddito delle società è un'imposta di tipo proporzionale; dal 2008 l'aliquota
è fissata al 27,5% da applicare alla base imponibile. [Qui voglio ricordare che sussiste il principio di
derivazione secondo cui il reddito fiscale è derivato da quello risultante dal bilancio civilistico; per arrivare
però all'effettivo debito (se esiste) che la società deve versare all'erario, bisogna applicare le deduzioni alla
base imponibile applicare l'aliquota e si ottiene un'imposta lorda alla quale bisogna poi applicare le
detrazioni al fine di ottenere l'imposta netta: e semplicemente un ripasso di quello che a noi tutti dovrebbe
essere già chiaro ovvero il processo di calcolo dell'imposta dovuta dalle società].
Se l'ammontare complessivo dei crediti d'imposta, ritenute d'acconto, versamenti d'acconto è superiore a
quello dell'imposta dovuta il contribuente ha diritto di scegliere se computare l'eccedenza in diminuzione
dell'imposta relativa al periodo d'imposta successivo, se chiederne il rimborso in sede di dichiarazione o se
utilizzarla in compensazione ai sensi dell'articolo 17 del DLGS 241/1997.
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Manuale di Diritto Tributario 3. La determinazione del reddito delle società e degli enti
commerciali
Secondo l'articolo 83 il reddito complessivo delle società e degli enti commerciali è determinato apportando
all'utile o alla perdita risultante dal conto economico, relativo all'esercizio chiuso nel periodo d'imposta, le
variazioni in aumento e in diminuzione conseguenti all'applicazione dei criteri stabiliti nelle disposizioni
relative al calcolo di tale reddito.
L'articolo 83 instaura un rapporto di dipendenza o qualsivoglia definire derivazione. Non si tratta però di
una dipendenza assoluta, in quanto il reddito d'impresa da indicare nella dichiarazione non collima
perfettamente con l'utile emergente dal bilancio d'esercizio, bensì è una dipendenza parziale. La ragione del
rinvio dal codice civile alle norme tributarie risiede nella ratio che il legislatore ha assegnato al bilancio: il
bilancio infatti ha il compito di rappresentare con evidenza e verità, articolo 2217 c.2 del codice civile, in
modo veritiero e corretto, articolo 2423 c.2 codice civile, tanto la situazione patrimoniale quanto gli utili
conseguiti o le perdite sofferte dall'impresa individuale o collettiva; detto risultato costituisce insieme
all'ordinamento giuridico il dato che più fedelmente dovrebbe rispecchiare l'incremento di ricchezza
provocata dall'esercizio di un'attività imprenditoriale, e quindi indicare la capacità contributiva attribuibile.
Nella legge delega per la riforma tributaria del 1971-1973 si disponeva che la determinazione del reddito
d'impresa avvenisse secondo criteri di adeguamento del reddito imponibile a quello calcolato secondo
principi di competenza economica tenuto conto delle esigenze di efficienza, rafforzamento e
razionalizzazione dell'apparato produttivo. Con queste premesse alla legge delega si voleva avere una
tassazione rispettosa del fondamentale principio di capacità contributiva.
Tra i primi interessi dobbiamo annoverare quello della certezza del rapporto tributario che ha una duplice
utilità: da una parte il contribuente ha interesse a non restare esposto agli accertamenti, dall'altro vi è
l'interesse della collettività all'agevole e sollecita riscossione dei tributi. Va qui detto che alcune valutazioni
sono soggettive e meno analitiche di altre come ad esempio gli ammortamenti, gli accantonamenti, le
rimanenze. Tuttavia questa soggettività è affidata al redattore del bilancio che deve rappresentare in modo
veritiero e corretto la situazione patrimoniale e il risultato economico della società, utilizzando la logica del
buon amministratore. La legge riconosce agli amministratori, i redattori del bilancio, il potere di individuare
sulla base delle conoscenze tecniche di cui deve disporre ogni buon amministratore, quel valore che meglio
consente di fornire, attraverso il bilancio, un’immagine veritiera e corretta della situazione patrimoniale e
del risultato economico della gestione. Possiamo quindi affermare che al cospetto di norme tributarie del
tipo considerato, l'osservanza dei criteri civilistico economici in sede di determinazione dell'importo delle
voci esposte nel bilancio d'esercizio, diventa sul piano tributario del tutto priva di significato contando su di
esso unicamente il rispetto dei parametri stabiliti dalle norme tributarie. Usando le parole del libro, nella
statuizione di queste norme sono insiti:
-l'accettazione dell'eventualità di una divergenza tra valori identificati mediante criteri civilistici e quelli
individuati alla stregua dei criteri fiscali;
-il riconoscimento che il concorso alla formazione del reddito d'impresa dipende dall'osservanza dei secondi
e non dei primi.
Accanto al citato interesse della certezza del rapporto tributario troviamo altre esigenze di matrice fiscale.
Tali interessi sono volti a contrastare i comportamenti elusivi o evasivi; per tutelare ed evitare che tali
comportamenti del tessuto normativo, sono state inserite norme che vietano in tutto o in parte la deduzione
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Manuale di Diritto Tributario di taluni componenti negativi di reddito, o di norme che prescrivono la riconduzione a valore normale di
taluni componenti, positivi e negativi, di reddito. Altro interesse collegato al precedente è quello di evitare le
doppie imposizioni. A questa matrice squisitamente tributaria si affiancano istanze di origine extra fiscale,
che sfociano nell'introduzione di norme qualificabili come agevolative o disincentivanti. Le prime operano
in ambito solamente tributario, e quindi a disciplinare unicamente l'attività di determinazione del reddito
d'impresa da esporre in dichiarazione, le seconde anche in ambito extra tributario e cioè è possibile che al
fine di assolvere la funzione loro segnata, subordinano l'applicazione del trattamento fiscale al compimento
di un atto non riconducibile alla suddetta attività di determinazione del reddito d'impresa. Questo atto può
consistere tanto in un comportamento che si inserisce nell'attività di predisposizione del bilancio d'esercizio,
quanto in un altro comportamento. Nel primo caso si configura quel particolare fenomeno denominato
dipendenza rovesciata - in quanto si verifica un ribaltamento dell'ordinario rapporto di dipendenza del
reddito d'impresa dal risultato del conto economico - e che è l'effetto di norme tributarie che legittimano il
soggetto a tenere nella redazione del bilancio una condotta non prevista dalle norme civilistiche.
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Manuale di Diritto Tributario 4. Le società che adottano i principi contabili internazionali
(IAS/IFRS)
Con il decreto legislativo 38/2005 è stato introdotto l'obbligo per alcune categorie di società, la facoltà per
altre, di redigere i bilanci applicando i principi contabili internazionali; detto decreto ha quindi modificato il
testo unico al fine di fare rimando ai principi contabili internazionali. Detti aggiustamenti coglievano
soltanto uno dei profili di criticità affioranti, quello della possibilità che soggetti versanti in situazioni
economiche omogenee subissero prelievi di entità diversa unicamente in ragione del sistema contabile
utilizzato, con un duplice esito: di disparità di trattamento e di interferenza del fattore fiscale nella scelta
dell'impianto contabile. La tendenza era quella di cercare di assicurare un imponibile tendenzialmente
indifferente in base al criterio contabile adottato; con questo decreto del 2005 venne introdotta una modifica
all'articolo 83 del testo unico per imporre alle società utilizzanti i principi contabili internazionali di
aumentare diminuire il risultato esercizio, prima di eseguire su di esso le consuete variazioni di matrice
tributaria, degli incrementi e dei decrementi patrimoniali che, in forza di detti principi, anziché transitare dal
conto economico, sono rilevati direttamente in stato patrimoniale. Va qui ricordato che i principi
internazionali sono informati al modello del reddito maturato e postulano la prevalenza della sostanza
economica sulla forma giuridica.
Con la legge 244/2007, cioè la finanziaria per il 2008, è stata accolta l'esigenza di un intervento più radicale;
l'articolo 83 è stato nuovamente modificato ed è stato rimosso l'inciso, sopra ricordato, relativo ai
componenti imputati direttamente a patrimonio, per stabilire l'applicazione, nella determinazione
dell'imponibile della società che adottano i principi contabili internazionali dei criteri di qualificazione,
imputazione temporale e classificazione in bilancio previsti da questi ultimi, anche in deroga alle successive
disposizioni del testo unico.
Per quanto riguarda i componenti positivi, l'articolo 109 al c.3, dispone la loro partecipazione all’imponibile
anche se non imputati al conto economico; per quanto riguarda i componenti negativi di reddito, l'articolo
109 al c.4, dopo aver subordinato la loro deduzione all’imputazione a conto economico, equipara a
quest'ultima l'imputazione a patrimonio netto in forza dei principi contabili internazionali. Ne consegue
dunque che dette rettifiche, se rilevanti al fine del calcolo dell'imponibile, si risolvono ora in variazioni al
risultato del conto economico e per tale ragione accedono comunque all’imponibile.
Nel rinvio di classificazione in bilancio, l'articolo 83 si ri fa alle regole formulate dai principi contabili
internazionali in ordine al raggruppamento nel bilancio degli effetti finanziari delle operazioni e degli eventi
aziendali in classi e sottoclassi.
Nel rinvio ai criteri di imputazione temporale, l'articolo 83 rinvia alle regole di rilevazione contabile
espresse dai principi contabili internazionali.
Per quanto riguarda il rinvio ai criteri di qualificazione, l'articolo 83 rinvia alle regole di identificazione dei
piani di rilevanza giuridica dell'operazione e degli eventi aziendali, e perciò fondamentalmente al principio
della prevalenza della sostanza economica sulla forma giuridica, che, per i principi contabili internazionali,
costituisce un corollario di una delle quattro caratteristiche qualitative dell'informazione di bilancio:
l'attendibilità. Un bilancio per essere attendibile, in base agli IAS, deve rappresentare fedelmente le
operazioni e gli altri eventi e per fare ciò è necessario che essi siano rilevati e rappresentati secondo la loro
sostanza e realtà economica e non solamente secondo la loro forma legale. L'attività delle imprese è dunque
segmentata in ragione degli effetti economici che produce anziché delle forme negoziali utilizzate e dei
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Manuale di Diritto Tributario connessi effetti giuridici. L'ampiezza della deroga alle regole di misurazione dell'imponibile contenute nel
testo unico prodotto da rinvio a indicati criteri, non è agevole da determinare.
Il principio di neutralità trova per questa via una dimensione nuova, diversa da quella valorizzata dal Dlgs
38/2005, delineando una omogeneità tra società che adottano i principi contabili internazionali e società che
adottano i principi nazionali, che non è di risultato, che non si appunta sulla misura dell'imponibile, ma sulla
struttura del suo calcolo: una neutralità procedurale in luogo della neutralità sostanziale. Tuttavia la
dimensione della neutralità procedurale che affiora da questo riassetto è destinata ad arrestarsi alla fase della
dichiarazione. Le qualificazioni adottate da soggetti che applicano i principi contabili internazionali sono
soggetti a contestazioni maggiori rispetto a quei soggetti che applicano i principi nazionali: infatti, le prime
richiedono apprezzamenti in ordine agli assetti prodotti dall'attività negoziale che le seconde non richiedono.
Il rischio che in sede di controllo l'esito di queste valutazioni non sia condiviso dai verificatori, che
all'impostazione contabile adottata dalla società questi ultimi contrappongono un'impostazione diversa,
frutto di una diversa ricostruzione dei fenomeni economici generati dall'attività negoziale condotta dalla
società, è certamente molto elevato, con grave nocumento per la certezza del rapporto tributario, uno dei
valori che maggiormente dovrebbe informare la legislazione in materia, riflettendo tanto l'interesse dei
contribuenti alla pianificazione delle proprie iniziative economiche, quanto quello della collettività
all'agevole e sollecita riscossione dei tributi. Va fatta quindi una considerazione e cioè che la
semplificazione nella fase dichiarativa che discende da un'ampia deroga ai soggetti che applicano i principi
contabili internazionali, deroga introdotta con la finanziaria per il 2008, non è detto che sia l'approccio più
adeguato al soddisfacimento degli interessi che permeano la disciplina del prelievo.
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Manuale di Diritto Tributario 5. Il meccanismo delle variazioni in aumento e in diminuzione
Procedimento per trovare il reddito d’impresa:
- quantificare l’utile o la perdita sulla base del sistema contabile applicabile
- valutare i singoli fatti, nonché le valutazioni di fine esercizio, nella normativa tributaria al fine di verificare
eventuali differenze di valutazione con il punto precedente (per principi IAS bisogna verificare quale sia la
regolamentazione valida).
- nel caso in cui non vi sia coincidenza tra i due ordini di valori, in sede di compilazione dei redditi bisogna
rettificare il risultato civilistico come segue:
- variazioni in aumento se i componenti di reddito valutati con le norme tributarie fanno emergere un
maggior reddito
- variazioni in diminuzione se i componenti di reddito valutati con le norme tributarie fanno emergere un
minor ricavo.
Variazioni in aumento: sono originate dalle norme che obbligano ad includere tra i componenti positivi di
reddito proventi in tutto o in parte non imputati al CE sulla base dei principi contabili (es. art85 c2), oppure
le norme che obbligano ad escludere componenti negativi di reddito, perché in tutto o in parte indeducibili
(es. art101 c1) o perché deducibili in periodi d’imposta successivi (es. art96 c1)
Variazioni in diminuzione: sono originate da norme tributarie che consentono di includere tra i componenti
negativi oneri non imputati al CE secondo codice civile, oppure le norme che consentono di escludere dai
componenti positivi di reddito proventi imputati al CE secondo i principi contabili (es. art86 c4)
Le variazioni possono anche esser classificate in base alla loro attitudine ad incidere sull’imponibile degli
esercizi successivi:
Variazioni temporanee: derivano dalla differente tempistica di rilevazione tra disciplina fiscale e civilistica:
una li anticipa mentre l’altra li differisce con un effetto sul reddito legato al segno dell’operazione anticipata
o posticipata. Alla variazione di un segno in un esercizio ne consegue una di segno opposto in un futuro
esercizio.
Variazioni permanenti: derivano da scelte diverse in ambito fiscale e civile nella identificazione dei
componenti di reddito: uno li riconosce l’altro no con un effetto sul reddito di ampliamento o di restrizione a
seconda del segno dell’elemento coinvolto.
Se le regole contabili e fiscali sono difformi ci si deve comportare in modo da rispettarle entrambe
utilizzando la norma civile per la redazione del bilancio e la norma fiscale per la dichiarazione dei redditi.
Norma contabile: fornisce parametro di legittimità per il bilancio.
Norma fiscale: fornisce legittimità per la dichiarazione dei redditi.
Se invece una situazione non è prevista nelle norme fiscali si deve prendere in considerazione la relativa
valutazione contabile anche in sede tributaria.
Le variazioni appena descritte hanno ripercussioni a livello patrimoniale. Di questo fenomeno ne sono
espressione:
- riserve in sospensione d’imposta: sono accese in forza di particolari disposizioni tributarie al fine di
usufruire della possibilità di rimandare il concorso alla formazione del reddito d’impresa di determinati
componenti positivi o di anticipare il concorso alla formazione del reddito d’imposta di determinati
componenti negativi (sono entrambe variazioni in diminuzione). Sono incrementi di ricchezza venuti ad
esistenza secondo le regole che governano la misurazione del reddito d’impresa, ma sottratti a tale processo
sino al verificarsi di quegli accadimenti che le disposizioni suddette indicano come estintivi del regime di
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Manuale di Diritto Tributario sospensione (no per quelle previste da art 109 c4 lett.b). Accadimenti estintivi: 1 distribuzione ai soci delle
riserve; 2 qualunque uso al di fuori della copertura delle perdite; 3 qualsiasi forma di impiego; 4 incidono
anche eventi che riguardano gli elementi dell’attivo in relazione ai quali le medesime sono sorte (es. riserva
da conferimento agevolato); 5 affrancamento mediante assolvimento di un prelievo di tipo sostitutivo.
Se una certa riserva si contrappone a valori fiscalmente riconosciuti, tale riserva in sospensione è l’unico
strumento a disposizione del legislatore per mantenere la possibilità di operare un prelievo. Se invece si
contrappone a valori che non sono fiscalmente riconosciuti non è obbligatorio costituire il vincolo poiché il
prelievo su tali valori resta comunque legato alle vicende dell’attività che presentano il disallineamento. Se
però si opta per il vincolo, al fine di evitare la doppia tassazione, si deve stabilire un collegamento tra
vicende della riserva e vicende delle attività.
- I fondi tassati sono una situazione opposta: derivano da rettifiche di valore fiscalmente non riconosciute e
da accantonamenti non riconosciuti. Sono decrementi di ricchezza rilevati contabilmente ma esclusi dalla
formazione del reddito sino a quando non si verifica la condizione di deducibilità richiesta nella normativa
tributaria. Compaiono al passivo dello SP se si tratta di fondi rischi ed oneri oppure nell’attivo se sono fondi
rettificativi dell’attivo.
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Manuale di Diritto Tributario 6. Il riporto delle perdite
Art.84: se si ha una perdita può essere utilizzata per ridurre l’importo del reddito complessivo dei periodi
d’imposta successivi, ma non oltre il quinto.
Questo articolo è fondamentale per un tributo che si basa sul principio della capacità contributiva. Consente
infatti si raggiungere un ragionevole compromesso tra le esigenze in campo: quello dell’erario, di un
prelievo periodico, e quello del contribuente, di un prelievo giusto.
Comma 1: delinea un riporto in avanti limitato. È illimitato, ai sensi del comma due, solo l’importo di
perdite relative ai primi tre periodi d’imposta in modo da agevolare le imprese appena create che hanno
perdite fisiologiche. Non può però essere applicato per società che sono state costituite quali contenitori per
un’attività economica già avviata poiché le eventuali perdite non possono essere considerate fisiologiche.
In regimi di esenzione: non può essere oggetto di riporto la parte delle perdite che è attribuibile alla mancata
inclusione tra gli elementi positivi di reddito di proventi esenti dall’imposta (eccezione: plusvalenze art.87).
Questa regola è in contrasto con il principio di inerenza poiché imputa ai proventi esenti costi ad essi non
riferibili, con l’unico plausibile intento di cancellare l’agevolazione loro riservata.
È invece coerente al principio di inerenza il principio secondo cui (art. 83) le perdite subite nell’esercizio di
attività che fruiscono di regimi di esenzione totale o parziale assumono rilevanza nella stessa misura in cui
assumerebbero rilevanza i relativi redditi. Questo principio impedisce alle perdite di ridurre l’imponibile di
esercizi futuri di un importo pari a quello dei redditi che hanno goduto dell’agevolazione. L’effetto è quello
di azzerare l’agevolazione come se le perdite prodotte dalla gestione esente si fossero compensate con i
redditi prodotti dalla stessa gestione.
Il riporto delle perdite viene meno se ricorrono due condizioni:
- Trasferimento della maggioranza dei diritti di voto della società;
- Modifica dell’attività principale esercitata dall’impresa nel periodo d’imposta del trasferimento, o nei due
successivi o anteriori.
Questa regola ha lo scopo di evitare che una società possa essere oggetto di commercio in ragione proprio
della sua dotazione di perdite fiscalmente riconosciute. La preclusione scatta a partire dall’esercizio in cui
entrambe le condizioni sono soddisfatte. Quindi le perdite che incappano nell’intervallo di tempo tra il
mutamento del primo e il mutamento del secondo possono essere riportate. Il divieto inoltre non opera
quando la società, nel biennio precedente a quello di trasferimento, abbia avuto almeno 10 dipendenti, e che
dal suo conto economico relativo all’esercizio precedente a quello del trasferimento risultino un ammontare
di ricavi dell’attività caratteristica e un ammontare di spese per prestazioni di lavoro subordinato e relativi
contributi superiore al 40% di quello risultante dalla media degli ultimi esercizi anteriori.
Non è invece contestabile dall’amministrazione la pratica di consumare le perdite, in prossimità della
scadenza, attraverso atti di realizzo posti in essere a tale specifico fine anche se fatte infragruppo. Questo
accade perché tale consumo non concede alla società di poterle sfruttare successivamente alla scadenza e
quindi non aggira alcun divieto fissato dall’ordinamento.
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Manuale di Diritto Tributario 7. Regole attinenti all’imputazione temporale dei componenti
positivi e negativi di reddito
Vi sono due diversi criteri per individuare il periodo d’imposta nel corso del quale gli eventi che interessano
la gestione e il patrimonio dell’impresa si riflettono sulla determinazione del reddito:
- Cassa: di più agevole applicazione. In questo caso il periodo d’imposta in questione è identificato facendo
riferimento al momento dell’incasso del corrispettivo delle cessioni di beni e delle prestazioni di servizi e a
quello del pagamento del corrispettivo degli acquisti.
- Competenza: è più preciso ma complesso. Il periodo d’imposta è individuato tenendo conto del momento
in cui si perfeziona la fattispecie da cui i componenti positivi o negativi di reddito traggono giuridicamente
origine, risultando acquisiti al patrimonio dell’impresa sotto forma di credito o di debito, a prescindere dal
momento della percezione o del pagamento.
- Principio di correlazione costi-ricavi: secondo questo principio i componenti negativi devono essere
correlati a quelli positivi, cioè devono essere imputati allo stesso periodo. Questo avviene tramite il
meccanismo delle rimanenze finali o della capitalizzazione del costo e del suo successivo ammortamento.
Art.109 comma 1: opta per il secondo dei criteri descritti per tutti quegli elementi per i quali non è stato
disposto diversamente in precedenti norme del presente capo.
Deroghe:
- Norme che riguardano un particolare componente di reddito e che usano il criterio di cassa (es. art88 c3,
art89 c2, art95 c5, art99, art100 c2, art109 c7)
- Norme che hanno proprio il compito di escludere ogni indagine da parte dell’amministrazione intorno
all’osservanza in concreto di questo criterio da parte dei contribuenti (es. valutazione rimanenze,
ammortamenti, accantonamenti)
Distinzione cessione di beni e prestazione di servizi:
- Cessione di beni: contratti ad effetti reali, contratti ad effetti obbligatori nei quali prevale, e risulta
caratterizzante, un’obbligazione di dare.
- Prestazione di servizi: contratti ad effetti obbligatori in cui predomina un’obbligazione di fare.
IAS/IFRS: i criteri di imputazione di tali principi soppiantano le regole generali dell’art109 anche per la
misurazione dell’imponibile fiscale. Non vengono invece soppiantate le regole speciali come quelle che
prescrivono l’imputazione per cassa. In questi principi la distinzione tra cessione di beni e prestazione di
servizi viene fatta in ragione della sostanza economica dei fenomeni. Questo comporta quindi di poter
aggregare più negozi in uno solo e di poter disaggregare un unico negozio in più operazioni.
Esempio di disaggregazione: cessione di un prodotto con un servizio di manutenzione per un certo numero
di anni. Bisogna scorporare il contratto nelle sue sostanze economiche e valutarle ognuna in base ai relativi
criteri.
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Manuale di Diritto Tributario 8. Cessione di beni. ART.109, C.2, LETT.A).
Questa disposizione non concerne l’imputazione temporale di specifici componenti di reddito, ma in
generale di qualsiasi componente che può ricollegarsi al particolare evento considerato.
Per il cedente:
- Bene merce: la norma indicherà il periodo d’imposta nel quale il ricavo concorre alla formazione del
reddito, e il bene deve essere eliminato dall’attivo circolante.
- No bene merce: la norma indicherà nel quale deve essere attribuita la eventuale plusvalenza o
minusvalenza, e il bene deve essere eliminato dall’attivo immobilizzato.
Per il cessionario:
- Bene merce: la norma stabilisce il periodo in cui il costo concorre alla formazione del reddito, e in cui il
bene deve essere iscritto nell’attivo circolante.
- No bene merce: la norma stabilisce il periodo a partire dal quale il bene si reputa nel patrimonio
dell’impresa.
La nozione di cessione comprende tutte quelle fattispecie alle quali si collega “l’effetto traslativo o
costitutivo della proprietà o di altro diritto” su di un bene.
Strumento giuridico tramite cui si produce codesto effetto:
- Contratto: come la compravendita, la permuta, la donazione o un conferimento in società.
- Atto unilaterale del cedente: come l’assegnazione dei beni ai soci da parte di una società.
- Atto dell’autorità giudiziaria
- Atto della pubblica amministrazione
Non si configura invece una cessione:
- nel caso di destinazione dei beni al consumo personale o familiare dell’imprenditore o ad altre finalità
estranee all’esercizio d’impresa.
- Nel caso di attribuzione dei beni da parte della casa madre ad una sua stabile organizzazione
La nozione di bene si riferisce a diverse fattispecie di bene:
- Beni mobili: il corrispettivo è conseguito, e la spesa si considera sostenuta, alla data della consegna o della
spedizione. È quindi irrilevante il momento in cui si verifica l’effetto traslativo o costitutivo della titolarità
del diritto reale. Ratio: assicurare la certezza del rapporto tributario. Con il termine consegna o spedizione
non si vuole però dar rilievo all’effettivo spostamento fisico del bene ma piuttosto di designare il
trasferimento dal cedente al cessionario del possesso del bene, ossia, a prescindere da qualsiasi mutamento
materiale, il passaggio del potere di fatto sul bene corrispondente all’esercizio della proprietà o di altro
diritto reale. Fare attenzione al fatto che la consegna può avvenire o direttamente oppure tramite un vettore o
spedizioniere. Nel secondo caso (art.1510 c.2 c.c.) il venditore adempie l’obbligo nel momento in cui
rimette la cosa al vettore, salvo diverso accordo col compratore. La spedizione si può quindi interpretare
come il momento in cui avviene la consegna e quindi il trasferimento del possesso. In questo modo però il
termine spedizione risulterebbe sostanzialmente superfluo. Per quest’ultimo motivo non sembra del tutto
sbagliato sostenere che la spedizione, ove riscontrabile, soppianti la consegna, e dunque consenta di
ritagliare un’area in cui la competenza risulta disancorata dal mutamento nella situazione possessoria. La
data del trasferimento del diritto reale è significativa quando è successiva alla data della consegna o della
spedizione (leasing, vendita con riserva di gradimento o a prova o nel contratto estimatorio). Non lo è invece
nell’ipotesi di vendita con riserva della proprietà e della locazione con clausola del trasferimento della
proprietà vincolante per ambedue le parti perché tale differimento ha solo una funzione di garanzia.
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Manuale di Diritto Tributario - Beni immobili e le aziende: in questo caso il legislatore ha stabilito che i corrispettivi si considerano
conseguiti, e le spese sostenute, alla data di stipula dell’atto a cui si ricollega il passaggio del diritto. Non
vien invece considerato come cessione il contratto preliminare. Sono quindi irrilevanti il momento
dell’incasso o del pagamento del corrispettivo e il momento dell’emissione o ricezione della fattura. Se
l’effetto traslativo della proprietà avviene in un momento successivo rispetto a quello definito dal
legislatore, è a tale momento successivo che è necessario attribuire rilievo.
- Le società IAS/IFRS: segue i principi internazionali in deroga a quelli appena descritti. In questi principi la
cessione avviene (par 14 IAS18) nel momento in cui vi è il trasferimento all’acquirente dei rischi e dei
benefici connessi alla proprietà dei beni. È infatti da ritenersi priva di sostanza economica una cessione che
non priva il cedente del controllo sui futuri, potenziali, flussi finanziari legati all’attività ceduta. Esempio: un
impresa vende merci e, contemporaneamente, si accorda per riacquistarle in un momento successivo ad un
prezzo stabilito. Questo contratto non è di cessione perché non vi è trasferimento dei rischi e dei benefici. Se
però il rischio che rimane a capo del cedente è insignificante (vendita con impegno al rimborso se cliente
insoddisfatto) allora si configura come cessione. A).
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Manuale di Diritto Tributario 9. Le prestazioni di servizi. ART.109, C.2, LETT.B)
È rilevante il momento della loro ultimazione. Vi sono principalmente dei problemi fattuali nell’individuare
tale momento perché non è sempre chiaro il momento in cui termina il servizio (es. servizio di
organizzazione aziendale). Altro problema è di capire se le attività svolte da un soggetto a favore di un altro
soggetto siano una prestazione unica oppure prestazioni distinte. La regola generale è derogata per le opere,
forniture e servizi di durata pluriennale pattuite come oggetto unitario, i quali concorrono a formare il
reddito col sistema delle variazioni delle rimanenze. In questo modo i ricavi vengono ripartiti lungo tutto
l’arco di tempo in cui detti servizi vengono resi. Se la prestazione di servizi deriva da un contratto da cui
derivano corrispettivi periodici (es. mutuo) allora rileva la data di maturazione dei corrispettivi e non quella
di ultimazione del servizio. Con questa interpretazione si è voluto dare riconoscimento al fatto che siano le
parti a decidere il momento in cui matura il servizio; vi è quindi una configurazione di carattere oggettivo
del concetto di maturazione. In favore di questa interpretazione c’è il fatto di non dare la possibilità al
contribuente di disporre discrezionalmente dello spostamento dei corrispettivi da un periodo d’imposta ad un
altro. Questa interpretazione è regolamentata dall’art.821 c.3 c.c. che dispone che i frutti civili si acquistano
giorno per giorno, in ragione della durata del diritto. Vi è quindi una separazione tra maturazione ed
esigibilità. Se io infatti rescindo un contratto la parte di corrispettivo anticipata, ma non maturata, deve
essere restituita mentre la parte non ancora versata ma già maturata risulterà ugualmente dovuta. Tale
disciplina è rilevante per tutti quei contratti ad esecuzione continua e periodica.
Per le società IAS/IFRS: par.20 IAS18: la rilevazione segue lo stadio di completamento dell’operazione:
solo se alla data di bilancio il ricavo non è attendibilmente stimabile, la loro rilevazione avviene sulla base
dei costi sostenuti e recuperabili. B)
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Manuale di Diritto Tributario 10. La certezza dell’esistenza e l’obiettiva determinabilità
dell’ammontare
Per essere chiamato a partecipare al calcolo del reddito relativo al periodo di competenza un componente di
reddito deve essere giudicabile come certo nell’an ed obiettivamente determinabile nel quantum. Se manca
anche solo uno dei due la rilevazione deve essere rimandata al momento in cui entrambi si realizzano
(art.109 c.1 parte seconda). La rilevanza delle condizioni si applica solo a quei componenti di reddito che
fanno riferimento, per la loro rilevazione, al criterio di competenza mentre non viene applicata per i
componenti che si rifanno al criterio di cassa.
- An: non confondere certezza con definitività. La certezza deriva dalla ricerca di un vincolo giuridico, da
cui deriva il credito o il debito, avente origine in un contratto, in un fatto illecito, in un atto della pubblica
autorità o direttamente nella legge.
- Quantum: deve essere determinato in modo obiettivo. Si richiede quindi la determinabilità e non la
determinatezza. Però non basta che l’elemento reddituale venga quantificato in base a mere congetture o
calcoli probabilistici. Non va infatti dimenticato che, ai sensi dell’art.107 c.4, non sono ammessi, nella
determinazione del reddito, accantonamenti diversi rispetto a quelli previsti dal legislatore e che tutti i debiti
presunti e stimati devono essere iscritti in fondi rischi alimentati attraverso gli accantonamenti.
Come detto devono verificarsi entrambe le condizioni per poter iscrivere l’ammontare in bilancio. Non
occorre per forza che alla fine dell’esercizio la realizzazione di queste condizioni sia effettivamente
conosciuta, purché sia conoscibile, con l’ordinaria diligenza, prima della predisposizione del bilancio e della
dichiarazione dei redditi. Può risultare anche successivo il momento dell’acquisizione di una
documentazione atta a comprovare l’avveramento del fatto da cui sorge il credito o il debito.
Nel caso in cui un contribuente iscriva un costo non ammissibile o tolga un ricavo che invece era da
iscrivere, l’amministrazione può dichiarare indeducibile il costo e sottoporre a tassazione il ricavo senza
dover impugnare il bilancio. Con questo si vuole sottolineare che nell’art.109 il legislatore non ha voluto
concedere al contribuente alcun margine di opzione. Tale vincolo è però anche per l’amministrazione perché
essa non potrà andare a recuperare a tassazione un ricavo in un periodo diverso da quello di competenza,
argomentando che il contribuente non lo ha imputato al periodo di competenza, né può dichiarare
indeducibile, nel periodo di competenza un costo, argomentando che il contribuente lo ha già dedotto in un
esercizio precedente.
Andrea Balla Sezione Appunti
Manuale di Diritto Tributario