Appunti che analizzano il testo di Cipolla che affronta una delle dimensioni della scienza sociologica, ovvero la sua operatività ed utilità sociale. Si dimostrano i contributi più significativi della sociologia a moltissime dimensioni del vivere quotidiano: dalla sanità, al lavoro, all'educazione, alla sessualità, alla nutrizione, allo sport.
La spendibilità del sapere sociologico
di Angela Tiano
Appunti che analizzano il testo di Cipolla che affronta una delle dimensioni della
scienza sociologica, ovvero la sua operatività ed utilità sociale. Si dimostrano i
contributi più significativi della sociologia a moltissime dimensioni del vivere
quotidiano: dalla sanità, al lavoro, all'educazione, alla sessualità, alla
nutrizione, allo sport.
Università: Università degli Studi di Bologna
Facoltà: Sociologia
Corso: Sociologia
Esame: Sociologia corso avanzato
Docente: C. Cipolla
Titolo del libro: Sociologia corso avanzato
Autore del libro: C. Cipolla (a cura di)
Editore: FrancoAngeli
Anno pubblicazione: 20021. Ipotesi di integrazione metodologica fra le subaree disciplinari
della sociologia
La sociologia può essere qualificata in tre dimensioni (che rappresentano la sua identità) fra loro integrate
che forniscono ipotesi di connessione fra le sub-aree disciplinari del nostro sapere. Queste tre aree sono:
teorica, empirica e operativa. Ognuna di queste aree si rapporta alle altre secondo lo schema: ipotesi di
ricerca (non abbiamo mai la certezza in campo sociologico). L'area teorica trasmette all'area empirica e
viceversa. L'area teorica si rapporta anche a quella operativa. La spendibilità è fondamentale. L'area
operativa trasmette dei problemi legati alla non soluzione di problemi specifici. C'è una cultura che si
spende nella pratica e prescinde da altre dimensioni. Il rapporto tra l'area empirica e quella operativa è più
stretto.
Angela Tiano Sezione Appunti
La spendibilità del sapere sociologico 2. Origine e sviluppo della sociologia clinica
Lo studio di Durkheim sul suicidio è stato considerato il primo lavoro sociologico per analizzare su base
empirica le reciproche relazioni fra struttura sociale e fattori individuali: "più di ogni altro sociologo classico
egli ha utilizzato un modello clinico". Egli trasforma a fatto sociale un tema considerato come opzione
individuale. Il suicidio, infatti, non è un fatto individuale: più è bassa la coesione sociale è più è alto il tasso
di suicidi e viceversa. Qui si trova la genesi della sociologia, secondo Cipolla.
La definizione di clinico non ha qui alcuna valenza medica di tipo patologico: secondo il suo significato
etimologico (dal greco Klinikos, derivato da kline, "letto", di origine indoeuropea) ripreso da Wirth, esso
indica lo "stare chini", il metodo dello studio di caso individuale come contributo della scienza sociologica
ad una comprensione più approfondita dei problemi sociali. Questa è l'origine della definizione di
"sociologia clinica" utilizzata per la prima volta nel 1930 da Milton C. Winternitz, un patologo che tentò
senza successo di costituire un dipartimento di sociologia clinica. Egli riteneva che il campo della sociologia
clinica non dovesse essere ristretto alla medicina, ma potesse estendersi anche in altri settori quali la
criminologia.
La possibilità di un intervento sociale basato sulla teoria sociologica si afferma ufficialmente con il primo
corso denominato "sociologia clinica" tenuto da Ernest W. Burgess dal 1931 al 1933.
Nel primo articolo scientifico dedicato alla sociologia clinica e pubblicato nel 1931 sull'American Journal of
Sociology, Wirth individuava nei consultori per l'infanzia il terreno privilegiato di lavoro per i sociologi
clinici, affrontando nel dettaglio la specificità del loro contributo in rapporto a quello degli altri
professionisti presenti.
Il campo della sociologia clinica rimane abbandonato sino alla metà degli anni 70, quando un gruppo di
sociologi che non possono o non vogliono trovare collocazione accademica si aggregano sino a formare, nel
1978, un'associazione formale, la clinical sociology association. L'associazione, poi divenuta sociological
practice association, scaturisce quindi da un mutamento dei percorsi di carriera di questi sociologi che
cominciano ad identificare il proprio lavoro come "sociologia clinica" e a fondare una propria rivista, la
clinical sociology review a partire dal 1982. Essa svolgerà un ruolo di rilievo nella promozione della
sociologia clinica statunitense:oltre a stimolare un'estesa produzione letteraria su attività di insegnamento,
ricerca e intervento della sottodisciplina, essa introduce anche un processo di certificazione formale del
soiologo clinico.
Negli ultimi due decenni la sociologia clinica ha conosciuto quindi il suo periodo di maggior diffusione
negli Usa nei più diversi campi, grazie soprattutto alle possibilità da essa offerte di superare, ad esempio, il
tradizionale approccio puramente individualistico ai problemi di salute tipico della medicina o della
psichiatria (es: nel campo della salute mentale, disordini della personalità, la paranoia, ecc.).
Un ruolo specifico proposto al sociologo clinico è poi quello di "mediatore di salute" in quanto facilitatore di
mutamenti nei comportamenti sanitari adottati da individui, gruppi e organizzazioni tesi a promuovere la
salute e a prevenire il disagio.
Al di fuori degli Usa la sociologia clinica ha trovato una qualche applicazione in paesi come il Canada, il
Sud Africa, il Brasile, il Messico e l'Uruguay. In Europa, i due paesi dove ha suscitato maggiore interesse
sono stati la Francia e l'Italia. Nel primo caso, l'enfasi è stata posta soprattutto su di una socioanalisi clinica
di ispirazione psicoanalitica. In Italia, nel 1992, si costituisce pressi il dipartimento di filosofia e scienze
sociali dell'università di Cassino il gruppo italiano di sociologia clinica, che organizza successivamente il
primo seminario internazionale di sociologia clinica, i cui atti sono stati poi raccolti in volume.
Angela Tiano Sezione Appunti
La spendibilità del sapere sociologico 3. L'approccio della sociologia clinica: teorie, metodi e livelli
d'intervento
E' opportuno riprendere una distinzione cara alla sociologia statunitense: quella tra pratica sociologica,
sociologia applicata e sociologia clinica. Esse designano tre diverse modalità di intendere le possibilità di
utilizzo pratico, di spendibilità del sapere sociologico. La pratoca sociologica rappresenta un termine
"ombrello" generico che ricomprende gli altri due. La sociologia applicata comporta l'utilizzo di una
prospettiva sociologica per la risoluzione di determinati problemi ed implica una specialista di ricerca che
produce informazioni utili a risolvere tali problemi: il ruolo del sociologo è dunque quello di ricercatore
applicato e consulente esterno. La sociologia clinica comporta invece un intervento attivo e diretto da parte
del sociologo su determinati problemi sulla base di una prospettiva teorico-metodologica di tipo sociologico.
Dunque i due elementi che cratterizzano la sociologia clinica rispetto alla sociologia applicata sarebbero
l'intervento attivo e diretto da parte del sociologo nelle problematiche sociali ed il ruolo di agente di
mutamento da questi direttamente assunto in tale ambito. Lo scopo è quello di cambiare qualcosa che sta
intorno a noi; una sociologia ad impianto pragmatico: ha uno scopo di spendibilità che la caratterizza come
tale.
Glassner e Freedman identificano le competenze di base necessarie per un sociologo clinico: esse includono
anzitutto alcune delle teorie principali della tradizione sociologica, come quella funzionalista,
drammaturgica, interazionista-simbolica e conflittuale e concetti sociologici fondamentali come quello di
etnia, stratificazione sociale, ruolo, mutamento sociale. Le conoscenze derivanti dalla tradizione sociologica
andrebbero comunque coniugate, sempre secondo Glassner e Freedman, con un buon grado di
immaginazione sociologica, intesa, nel senso proposto da Mills, come vivida coscienza delle relazioni
intercorrenti tra il livello soggettivo dell'azione personale ed il contesto societario nel quale essa è inserita:
ciò implica, per il sociologo clinico, la capacità di muoversi con padronanza fra i diversi livelli analitici
dell'organizzazione sociale. E' una disciplina che richiede e produce immaginazione pratica; che è
inversamente proporzionale rispetto alla realtà di riferimento.
Una ridefinizione dei livelli d'intervento più vicina al dibattito sul legame macro-micro che ha attraversato
negli ultimi due decenni la sociologia statunitense è quella del continuum macro-micro proposta da Bruhn e
Rebach. Al polo macro di tale continuum si collocano le unità sociali più ampie, sia a livello societario che
intersocietario. A questo livello, le questioni cui si indirizza la sociologia clinica possono riguardare
problemi di relazioni o di conflitti intra o inter-istituzionale, conflitti territoriali urbani, scontri razziali ed
etnici. Al livello meso, le principali strutture intermedie sono costituite dalle reti sociali e dalle
organizzazioni di dimensioni più ridotte. Al polo micro, infine, si collocano gli individui e le unità sociali
che li contengono come la famiglia e gli altri gruppi primari. Qui le problematiche che il sociologo clinico
deve affrontare riguardano i processi di socializzazione, le dinamiche di interazione, le relazioni di ruolo, la
negoziazione di ruolo, le emozioni o l'autostima dei soggetti.
Angela Tiano Sezione Appunti
La spendibilità del sapere sociologico 4. Azione del sociologo clinico
Il lavoro clinico può collocarsi in qualunque punto del continuum macro-micro, nella consapevolezza che gli
eventi che si situano ad un livello hanno implicazioni per gli eventi agli altri livelli, dal momento che, come
afferma Collins, tutti i livelli sono correlati.
I mutamenti sociali che si verificano ad uno dei tre livelli si riflettono inevitabilmente anche sugli altri due
ed il sociologo clinico deve necessariamente tenerne conto. Egli deve saper usare le teorie sociologiche
esistenti per proporre diversi modelli di lettura delle problematiche affrontate che gli consentano di
identificare e comprendere i problemi affrontati e le possibili strategie per affrontarli e risolverli.
L'azione sociale normalmente tende a migliorare la qualità della vita e quindi si rende utile socialmente
attraverso il meccanismo dell'utilità sociale.
Da ciò che detto sopra, la pratica sociologica clinica crea un vero e proprio terzo livello, quello operativo. Le
relazioni che si instaurano fra area teorica pura, area della ricerca empirica e area operativa producono una
circolarità integrata intesa come "scambio reciproco e funzionale di conoscenze, di strumenti tecnici, di
apporti informativi finalizzati all'ottenimento di un particolare risultato euristico, cioè al raggiungimento di
una determinata verità più o meno spendibile immediatamente sul piano pratico". L'are operativa costruisce
sulle teorie disponibili le proprie congetture progettuali di risoluzione dei problemi affrontati; e retroagisce
sulla stessa area teorica fornendole nuovi materiali di riflessione attraverso l'emergenza dei problemi che
incontra nella propria pratica quotidiana. D'altra parte, riceve dall'area empirica gli indirizzi pratici di ricerca
metodologica scientificamente fondati;cui replica definendone i criteri di spendibilità e applicabilità che
consentono a tali metodologie di produrre effetti pratici. Questa integrazione fra i tre livelli della sociologia
si fonda su di una epistemologia di tipo correlazionale per la quale le interconessioni fra le diverse aree
costituiscono un elemento di fertilizzazione reciproca.
Il sociologo clinico ha a sua disposizione una varietà di strumenti metodologici di natura sia quantitativa che
qualitativa che dovrebbe saper utilizzare come basi metodologiche per sviluppare le skill fondamentali
dell'osservazione, dell'ascolto, dell'indagine, della descrizione e del pensiero critico. Il locus nel quale
applicare tale borsa degli attrezzi dovrebbe essere fondamentalmente quello del caso in esame d'oggetto
d'intervento. Lo studio di caso diviene quindi in realtà l'approccio metodologico privilegiato dal sociologo
clinico.
Secondo un modello classico, l'intervento procede secondo quattro stadi principali: di assessment, di
pianificazione, di implementazione e di valutazione. Nella fase di valutazione preliminare della situazione
problematica (assessment), lo studio di caso ha lo scopo di arrivare ad una sua comprensione adeguata sulla
base di una definizione operativa della situazione. Nella fase di pianificazione dell'intervento, l'elemento
operativo tende a prevalere, attraverso la definizione degli obiettivi e delle attività conseguenti
dell'intervento, tenendo conto delle risorse necessarie e dei vincoli presenti. Nella terza fase, quella
dell'implementazione, il sociologo clinico non dovrebbe dimenticare di individuare ed utilizzare
regolarmente delle tecniche di ricerca che gli consentano di registrare in maniera puntuale il proprio
intervento al fine di una sua eventuale successiva analisi: che diviene l'oggetto privilegiato della quarta ed
ultima fase d'intervento, quella di valutazione, volta a misurare la performnce dell'intervento stesso sulla
base degli obiettivi dichiarati.
Angela Tiano Sezione Appunti
La spendibilità del sapere sociologico 5. Intervenire per cambiare - Problemi epistemologici, teorici e
deontologici della sociologia clinica
Le tre componenti della sociologia clinica sembrano essere, dunque, tre: il pluralismo teorico, la sua
modulazione sulla base dell'immaginazione sociologica lungo l continuum micro-macro e l'integrazione
metodologica. Allo stesso tempo, nascondono una serie di trappole. Un primo livello di rischio ha natura
epistemologica e si colloca nelle pieghe di quel pluralismo teorico che, se non gestito bene, rischia di
tramutarsi in eclettismo teorico. Non è qui in discussione la possibilità di una sociologia eclettica intesa
come "un'unione di tesi fra di loro conciliabili, attraverso un'operazione che escluda ciò che non torna o non
può essere accostato"; quanto ad una posizione che vuole combinare ogni cosa in una sorta di sincretismo
totalizzante che includa tutto e il contrario di tutto. Quando ci appoggiamo ad alcuni paradigmi il rischio è
presente: gli approcci devono essere coerenti tra di loro.
Un secondo livello di rischio ha invece natura teorica e riguarda il focus fondamentale del lavoro clinico,
che è rappresentato dal comportamento ed in particolare da quei tipi di comportamento definiti come
problematici da determinati soggetti o gruppi. La prospettiva utilizzata dalla sociologia clinica per affrontare
tali problematiche è di tipo biopsicosociale, che comporta il riconoscimento dell'influenza sul
comportamento e della reciproca interazione di tre diversi tipi di sistemi d'azione: biologici, psicologici e
sociali. Sulla base di tale approccio il comportamento viene concepito come essenzialmente volontario,
rifiutando ogni prospettiva definita "di tipo deterministico" che consideri l'azione individuale come il
risultato di forze esterne, più che non delle scelte deliberate compiute da attori razionali che cercano di far
fronte e adattarsi alle sfide ambientali sulla base delle opzioni disponibili. Se è vero che i comportamenti
semplicemente non accadono, ma sono il frutto di scelte più o meno deliberate dei soggetti in relazione ad
altri soggetti e alle condizioni poste da un determinato contesto, enfatizzarne eccessivamente la componente
soggettiva individuale rischia di risolversi in una sorta di onnipotenza dell'azione del tutto illusoria, che
tende a sottovalutare l'incidenze dei condizionamenti strutturali sull'azione.
Bisogna assumere il caso oggetto di studio in tutte e tre le dimensioni (bio-psico-sociale). Molto spesso non
tutto è trasparente per noi stessi figuriamoci per chi ci osserva. Dietro alle azioni (con spiegazione) c'è un
comportamento non logico che un osservatore dovrebbe riuscire a cogliere. Capire ciò che il soggetto
razionalizza e ciò che invece non razionalizza tramite la sua condotta.
Un terzo livello di rischio per il sociologo clinico è rintracciabile nella dimensione etico-professionale insita
in quella che si può definire la struttura dell'intervento sociologico: quest'ultimo crea infatti una nuova
situazione sociale nella quale si viene ad instaurare una relazione fra un soggetto che è portatore di un
determinato problema ed un altro soggetto che è chiamato ad aiutarlo per risolverlo. Si tratta di una
relazione di natura professionale, nella quali il primo soggetto rivestirà il rulo di cliente ed il secondo di
professionista. tale relazione, per sua natura spesso asimmetrica (data dall'incertezza) si viene ad intersecare
in maniera problematica con l'altro ruolo rivestito dal sociologo clinico: quello di agente di mutamento.
Angela Tiano Sezione Appunti
La spendibilità del sapere sociologico 6. Stato sociale e cittadinanza: la sociologia come risorsa interna ai
sistemi di welfare
Questo capitolo affronta il ruolo della sociologia all'interno delle politiche di welfare state. Qual'è la sua
funzione? Secondo Mori la sociologia ha un ruolo interno ed un ruolo esterno.
La FUNZIONE INTERNA DELLA SOCIOLOGIA è una conoscenza che permette lo sviluppo di una forma
di discorso afferente a quello specifico insieme d'istituizioni che indichiamo con il termine di welfare state.
Lo stato asume questo ruolo quando costituisce una base informativa per una politica migliore; progettare ed
ideare interventi che rispondano ai bisogni manifesti della popolazione, per fare ciò, bisogna conoscere
questi bisogni. Quando parliamo di welfare state parliamo di un certo tipo di bisogni: lavora sui diritti
sociali; la sociologia porta all'attenzione dei decisori politici i diritti sociali. Questi ultimi entrano nel
concetto di CITTADINANZA. MARSHALL, nel suo famoso libro Cittadinanza e classe sociale, mostra
l'esistenza e le differenti implicazioni del rapporto tra cittadinanza e stato sociale.
Esistono tre fasce di diritti cge definiscono lo status di cittadino: i diritti civili, politici e sociali. Ai primi
corrsipondono la libertà di parola e di pensiero, quella di possedere beni personali, di contratto ed il diritto
alle prestazioni del sistema giudiziario; ai secondi fanno riferimento i diritti di elettorato sia attivo che
passivo; a quelli sociali, invece, livelli di istruzione, di benessere e di sicurezza. Questi ultimi sono propri
del welfare state.
La novità introdotta da Marshall è che lo sviluppo del capitalismo dovrebbe andare di pari passo con lo
sviluppo dello stato sociale. Non avere una redistribuzione equa dei redditi, ma ogni cittadino dovrebbe
godere parimenti di questi tre diritti: parità di accesso per tutti i cittadini. Secondo Marshall, quindi, la
cittadinanza sociale non aspira affatto all'equiparazione dei redditi, il fine dei diritti sociali riguarda
esclusivamente una concreta uniformità di status, la sua idea di uguaglianza si rivolge cioè alla qualità della
vita e non ai salari. Non tutti gli autori sono d'accordo con questa tesi: per alcuni, i diritti sociali, non
andrebbero inclusi nel concetto di cittadinanza. Per quanto riguarda i diritti civili e politici, il cittadino ha un
ruolo attivo, per i diritti sociali ha, invece, un ruolo passivo (non è il cittadino che decide di acquisire questi
diritti ma è lo stato). Uno di questi autori è BARBALET, il quale si domanda se sia lecito includere i diritti
sociali nel complesso della cittadinanza. Mentre la fascia civile e politica riguardano le direzioni in cui può
esprimersi il potere estrinseco che l'acquisizione dello status di cittadino comporta, la fascia sociale rimanda
invece ad una serie di benefici di cui il soggetto può godere. Quindi, mentre i diritti politici e soprattutto i
diritti civili nascono come sfera di protezione per l'individuo dall'invadenza dello stato, i diritti sociali
riguardano prestazioni erogate direttamente dallo stato.
Concepire la cittadinanza in questo modo ci porta ad un ulteriore passo avanti: la forma migliore di welfare
state, insieme ai diritti sociali, deve garantire i diritti culturali per una CITTADINANZA CULTURALE.
Con questa espressione si vuole intendere che lo stato deve essere in grado di garantire l'espressione
dell'identità del singolo individuo, quindi di tutti i cittadini.
La funzione delle scienze sociali, dunque, sta sia nel concettualizzare queste categorie che fornire ai decisori
politici delle informazioni (funzione interna): indicare le aree di marginalità della società. Questa prima
funzione interna, quindi, consiste nel dare informazioni utili per far funzionare al meglio il sistema dei
diritti.
Angela Tiano Sezione Appunti
La spendibilità del sapere sociologico 7. L'analisi del discorso
Oltre alla funzione interna, c'è anche una FUNZIONE ESTERNA della sociologia. Mentre nella funzione
interna si costruiscono discorsi (es. che cos'è la povertà) che poi vengono opportunamente collocati, la
funzione esterna è di decostruire un discorso. Data una realtà la sociologia la decostruisce. Talvolta bisogna
cercare di enucleare la rappresentazione simbolica che stà dietro ad un modello di società (es. povertà =
capire se ci sono dei meccanismi perversi che creano povertà al di là delle aree fisiologiche). C'è una stretta
correlazione tra le istituzioni sociali e i sistemi di rappresentaione simbolica. Talvolta la povertà stessa è un
prodotto stesso delle istituzioni sociali (Foucault). Si tratta di immaginare le forme di discorso di cui stiamo
parlando come sorrette da una sorta di testo, che altro non è che un insieme più o meno rigido di regole. Il
compito di un osservatore di secondo livello riguarda appunto la decostruzione del rapporto che esiste tra
politica sociale e il testo su cui si basa. Mentre la funzione interna contribuisce alla costruzione del testo e
quindi alla rappresentazione della realtà che dal suo utilizzo fuoriesce, la funzione esterna tratta queste
rappresentazioni come contigenti e ne cerca di mettere in luce la semantica.
Prandini osserva che, mentre un tempo la distinzione tra inclusione ed esclusione era utilizzata con fini di
controllo sociale, cioè per difendere gli inclusi dagli esclusi, da un certo punto in poi la stessa distinzione è
stata usata per difendere l'individuo dalla società. Ecco un bell'esempio del tipo di dato a cui aspira la
funzione esterna: una chiarificazione della semantica sottesa dalle autodescrizioni operate dalla scoietà.
HIRST e WACQUANT si pongono il problema di comprendere quale sia la forma di discorso prodotta dai
sistemi di welfare delle democrazie occidentali. Per entrambi è in atto un processo che tende a sostituire lo
stato assistenziale con uno penale, in cui la criminalizzazione della marginalità ed il contenimento punitivo
delle minoranze indigenti fanno le veci degli interventi sociali. E' in atto un estremo e disperato tentativo di
utilizzare le forze di polizia e le regolamentazioni legali come mezzi di controllo sociale. Secondo
WACQUANT, alla narrazione classica che intendeva il welfare come quella componente in grado di
costruire e mantenere una concreta eguaglianza di status, ne sopraggiunge un'altra che descrive il welfare
come un'agenzia di controllo delle classi subalterne o di quelle che egli chiama "classi pericolose".
La funzione esterna è, quindi, quella di smascherare intervnti statali che se da un lato sono volti a garantire
un diritto, dall'altro lato ne toglie più di uno, soprattutto nelle classi più deboli. La risorsa esterna della
sociologia è fare questo tipo di decostruzione: quando il welfare non svolge la funzione di garanzia ma ne
svolge un'altra: quella di controllo sociale per quanto riguarda le classi pericolose.
L'obiettivo della sociologia come risorsa esterna è quello di chiarire i discorsi che le istituzioni, che stanno a
capo dello stato sociale, elaborano sul mondo. Decostruire il discorso del welfare significa decostruire
un'autorappresentazione della società e quindi evidenziare il punto del percorso in cui ci si trova, rendendo
manifesti problemi nascosti e demistificandone altri con tutte le conseguenze che ciò comporta nella
ridefinizione degli obiettivi e dei ruoli ad essi connessi.
Angela Tiano Sezione Appunti
La spendibilità del sapere sociologico 8. Verso il superamento della teoria dei bisogni
La progettazione di interventi è uno degli aspetti più pratici della sociologia. In quest'ambito il quadro di
riferimento si ri fà ad un ruolo attivo del cittadino. I servizi alla persona devono essere inquadrati all'interno
di un sistema che tiene conto di tutti e tre gli aspetti: biologici, psicologici e sociali. I servizi alla persona
hanno come tratto caratteristico e distintivo quello di essere rivolti alla singola persona, in ragione di alcune
sue peculiarità o condizioni anche momentanee, e di prevedere altresì forme di contatto diretto tra il
fornitore di servizi ed il destinatario.
Qual'è il ruolo del cittadino? Come abbiamo già detto, il suo ruolo non è passivo, egli si avvale dell'
EMPOWERMENT: il cittadino gestisce attivamente la propria salute. Si deve tener conto della capacità non
solo di gestire il servizio ma di apportare cambiamenti anche.
Angela Tiano Sezione Appunti
La spendibilità del sapere sociologico 9. Nuovi scenari della funzione pubblica
Questa domanda consapevole del cittadino trova risposta, nel nostro paese, in un disegno normativo giunto
ad un'importante definizione con la LEGGE n. 328/2000 per quanto concerne l'area sociale e, sul versante
sanitario, con il DECRETO LEGISLATIVO 299/99. Queste leggi hanno delineato uno scenario in cui sono
riconosciute e garantite, attraverso "livelli essenziali di assistenza" soglie di "care" e di "cure" omogenee per
tutto il territorio nazionale.
In particolare la Legge Turco assume come socialmente rilevante un'ampia ed articolata gamma di
prestazioni e servizi sociali che, attraverso il principio dell' "UNIVERSALISMO SELETTIVO", devono
fornire risposte generalizzate ma, al tempo stesso, assicurare priorità di accesso e di fruizione ai soggetti più
deboli, quegli stessi che, frequentemente privi di voce e di rappresentanza, rischiano invece di rimanere
esclusi.
Il contributo della sociologia si rivela prezioso, non solo perchè ci sollecita a riflettere su quali modelli
societari siano compatibili con servizi tendenzialmente universalistici, ma anche perchè ci rende consapevoli
che le scelte compiute a livello macro esercitano azioni e retroazioni sui livelli micro, cioè sulle singole
famiglie, sui singoli cittadini e sulle singole vite.
Angela Tiano Sezione Appunti
La spendibilità del sapere sociologico 10. Requisiti per la progettazione
Come deve essere correttamente progettatato un servizio alla persona? Gli autori individuano 3 requisiti
fondamentali:
1) Considerare la centralità ed unitarietà della persona rispetto ai percorsi di "care" e di "cure";
2) Valorizzare e salvaguardare la dimensione comunitaria;
3) L'ente pubblico deve essere garante della qualità e correttezza delle prestazioni.
1) Affermare la centralità del cittadino-utente significa fare circolare un'informazione che sia veritiera,
diffusa e comprensibile: tutti i cittadini devono essere a conoscenza delle opportunità offerte dal sistema di
cure.
Un'altra esemplificazione del concetto di centralità è rappresentata dalle modalità di accesso alle cure. La
difficoltà di accesso al sistema seleziona rigorosamente l'utenza e tende ad escludere proprio i soggetti più
deboli e marginali. Ancora una volta assistiamo ad una sorta di "selezione socio-culturale" che avvantaggia,
anche all'interno del sistema pubblico, quanti ne conoscono meglio opportunità e meccanismi di
funzionamento.
In questa direzione, un importante tentativo di facilitazione dell'accesso e dei percorsi è certamente
rappresentato dall'avvio, in alcune aziende usl della regione Emilia romagna, di un "punto unico di accesso"
alle cure. Questi ultimo dovrebbe ricomprendere, per ambiti problematici o per categorie sociali, tutti i
servizi che il welfare è in grado di offrire.
Persona centrale: persona attiva che conosce il sistema di cure.
Persona unitaria: gli interventi che il sistema socio-sanitario eroga devono considerare la persona nella sua
unità. Ci devono essere interventi personalizzati dove la famiglia assume un ruolo centrale. Le cure devono
essere il meno possibile frammentate (unico intervento).
Bisogna curare non solo l'aspetto biologico ma anche quello psicologico e sociale. Per questo l'intervento
deve essere personalizzato: il ruolo centrale deve essere dato alle famiglie e agli operatori. Presentare una
malattia ha delle ripercussioni anche sul piano sociale, ecco perchè la famiglia è importante e perchè c'è
bisogno di un lavoro di rete.
2) Il secondo dei tre requisiti riguarda la salvaguardia, la valorizzazione e l'arricchimento della dimensione
comunitaria dei contesti in cui i singoli progetti di intervento si calano: da quella "micro" rappresentata dal
singolo nucleo familiare e dal "mondo vitale" dell'utente, fino a quella più allargata della realtà del quartiere
in tutte le sue espressioni o della città. Tutti gli interventi e le decisioni devono essere fatti insieme a tutte le
forze presenti sul campo. Devono progettare un sistema di servizi ottimali attraverso una serie di strumenti e
di luoghi. Occorre che gli operatori abbiano la consapevolezza dei delicati equilibri da salvaguardare, ma
anche delle opportunità che loro si presenta di valorizzare e rafforzare le competenze, le esperienze e le
relazioni già presenti in ambito micro-comunitario.
Pensiamo al ruolo delle organizzazioni non-profit che svolgono funzioni che i servizi pubblici non riescono
ad affrontare a pieno. C'è bisogno di un welfare capace di interagire a pieno con tutte le forze presenti nella
comunità: reti non profit e reti sociali.
3) Occorre soffermarsi sul ruolo di "regolatore" e "garante" che l'ente pibblico locale deve svolgere rispetto
alla promozione del benessere della comunità che rappresenta. Il ruolo di regolatore è reso concretamente
praticabile attraverso una capacità di elaborazione del programmatoria forte all'interno di veri e propri
"patti" con i cittadini, di reciproco ascolto e collaborazione. In assenza di queste competenze e responsabilità
Angela Tiano Sezione Appunti
La spendibilità del sapere sociologico progettuali, il ruolo dell'ente pubblico rischia di ridursi a quello di mero erogatore di risorse.
C'è bsogno di una gestione pubblica delle politiche sociali: lo stato deve mantenere in termini di equità
garantendo un livello minimo per tutti. E' una responsabilità dell'ente pubblico: la qualità delle prestazioni,
l'accesso, ecc.
Angela Tiano Sezione Appunti
La spendibilità del sapere sociologico 11. Dal mercato del lavoro ai mercati dei lavori
Per Marx e Weber il mercato del lavoro è il luogo in cui si formano le classi sociali, il meccanismo centrale
della distribuzione sociale poichè, oltre a redditi e funzioni lavorative, distribuisce anche posizioni sociali
(classi e ceti). Questo approccio, che vede spiegare la società partendo proprio dal mercato del lavoro, è un
approccio squisitamente economicista.
Secondo l'ottica socioantropologica di Polanyi, invece, il mercato del lavoro diventa un prodotto della
società.
Il percorso della modernizzazione si sarebbe dovuto svolgere lungo la duplice linea della differenziazione e
specializzazione dei vari sistemi (economico, sociale e politico) e del prevalere nel sistema economico di
orientamenti razionali, strumentali, elettivi contro quelli affettivi, particolaristici e prescrittivi propri della
tradizionale vita comunitaria. Quella contemporanea invece è una società eterogenea, discontinua, pluralista,
al cui interno convivono strettamente intrecciati comportamenti, strutture sociali, relazioni, valori e modi di
produzione che i classici canoni della teleologia sociologica, da cui rifugge solo Weber, avrebbero voluto
appartenenti a ben diverse e successive formazioni economico-sociali.
Angela Tiano Sezione Appunti
La spendibilità del sapere sociologico 12. Il mutamento del paradigma lavorativo e le politiche del lavoro
per i giovani
Il tema del lavoro è uno degli aspetti della vita sociale che ha subito, negli ultimi tempi, dei cambiamenti
strutturali.
Negli anni 70 un autore ha studiato il cambiamento dell'idea del lavoro. Egli vide come alla distanza di un
solo scarto generazionale l'idea del lavoro era completamente mutata: i padri vivevano il lavoro come una
soddisfazione poichè era il mezzo per il sustentamento della famiglia; i figli dei padri, invece, hanno
tutt'altra idea del lavoro. Infatti, la trasformazione della variabile lavoro ha interessato trasversalmente ogni
gruppo sociale, ma è soprattutto nella popolazione giovanile che si sono rilevati i fenomeni di mutamento
maggiore.
Le trasformazioni significative sono in atto soprattutto per quello che concerne l'ambito valoriale, dove si
rileva un processo di progressiva deideologizzazione del lavoro (si registra una diminuzione
dell'attaccamento al lavoro come valore). Questo non significa che il lavoro venga valutato negativamente:
significa che esso viene posto sullo stesso livello di altre variabili. Si evidenzia il carattere
multidimensionale dell'atteggiamento giovanile nei confronti del lavoro, si rafforza l'ipotesi della presenza
di un calcolo razionale operato da essi in riferimento al peso da attribuire a diverse componenti della
dimensione lavorativa. Si passa da una valutazione strumentale del lavoro, visto come luogo privilegiato ove
trovare le risorse economiche per poi garantirsi un'autonomia sociale (i padri), ad una valutazione espressiva
del lavoro, inteso come luogo proprio di autonomia e flessibilità, nel quale la dimensione realizzativa e
relazionale vengono privilegiate. Dunque, il lavoro perde posizioni nella scala dei valori esistenziali, ma
guadagna un posto di rilievo nel percorso di realizzazione individuale.
Angela Tiano Sezione Appunti
La spendibilità del sapere sociologico 13. Cambiamenti nel mondo del lavoro
Inoltre, i cambiamenti strutturali si riferiscono soprattutto alla tipologia di lavoro. All'inizio della modernità
troviamo un mercato del lavoro che era incentrato sull'industrializzazione (lavoro operaio). Con il XX
secolo si assiste ad un cambiamento dei settori occupazionali: lavori impiegatizi più che occupazionali.
All'inizio del XXI secolo questo processo si accentua sempre di più. La diffusione delle tecnologie ha
mutato i processi produttivi industriali. Alcuni autori sostengono che ci troviamo difronte ad un nuovo
ordine economico (livello macro-strutturale). Qual'è la percezione di questo nuovo cambiamento? Se da un
lato la società industriale ha messo in atto un meccanismo di identificazione con il lavoro, dall'altro i
cambiamenti macro-strutturali hanno agito su questo meccanismo di identificazione. Il lavoro racchiude una
serie di informazioni chiare su chi siamo e, inoltre, garantisce una serie di esperienze sociali.
Negli anni 60 il lavoro costituiva un elemento stabile per l'identità individuale insieme alla famiglia. Oggi è
ancora così? A tal proposito c'è qualche dubbio.
Negli anni 70-80 il sistema industriale pare arrancare in una situazione di stallo e questo porta all'aumento
della disoccupazione. Alcuni sostengono che è solo un momento congiunturale: il sistema capitalistico ha in
sè gli strumenti per riassorbire la manodopera in altri settori (la tecnologia ha portato ad un esubero di
manodopera). Ma nella realtà le cose non sono andate proprio così: anche se ci sono stati settori emergenti,
non tutta la manodopera è stata riassorbita.
La soluzione a tutto questo è data dalla flessibilità del lavoro: buona parte della disoccupazione viene
trasformata in un altro tipo di disoccupazione: la sotto-occupazione. Viene a cambiare il modello standard di
lavoro basato su tre aspetti: orari, reddito e contratto.
Lo spazio fisico del lavoro, oggi, non ha più confini: da un lato rende vantaggi dal punto di vista del
produttore, mentre il cittadino è meno facilitato (implica una forte mobilità spaziale al lavoratore).
Gli orari di lavoro sono anch'essi soggetti a flessibilità: gli orari classici vengono stravolti. Una diversa
distribuzione degli orari di lavoro implica anche una diversa redistribuzione del reddito e una riduzione del
livello di crescita professionale.
Sul tema del contratto di lavoro, oggi, il dibattito è molto ampio; non esiste più il contratto a vita come un
tempo. I vari paesi stanno adottando soluzioni diverse per fronteggiare questa tematica (Zapatero: stabilire
un max per i contratti a termine con il diritto ad un contratto indeterminato).
Ciò che appare oggi è la compresenza di due modelli del lavoro: da un lato un modello standardizzato (con i
tre fattori), dall'altro un modello de-standardizzato. La sotto-ccupazione non è altro che la sintesi tra impiego
e non impiego (part-time). Assistiamo ad una normalizzazione di quest'ultima categoria sia a livello
istituzionale che biografico. Per quanto riguarda il primo livello, gli stati riconoscono questo nuovo modo di
lavorare e promuovono dei mezzi per permettere questo tipo di lavoro. Per il livello biografico, gli individui
hanno acquisito questo modello de-standardizzato del lavoro.
Secono Beck la redistribuzione del reddito e queste nuove forme contrattuali hanno depotenziato le garanzie
sociali e vede tutto ciò come una minaccia per il futuro.
Altri autori sostengono che questo nuovo modello di lavoro permette al soggetto di avere più tempo libero;
ma in realtà non è così: si ha più tempo libero per coltivare le proprie passioni ma poi non si hanno i mezzi
per portarle avanti.
Questo processo si riflette soprattutto sulle nuove generazioni, per questo parliamo di de-ideologizzazione
del lavoro: viene smarcato da una cognizione positiva, non è più considerato un fattore protettivo per
l'identità. Le nuove generazioni considerano il lavoro un fattore importante ma accanto ad altri valori (c'è un
Angela Tiano Sezione Appunti
La spendibilità del sapere sociologico