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Cucina: alimentazione popolare = parole: langue


L'importanza del cibo come linguaggio è dimostrata dal successo ormai centenario del libro di cucina di ARTUSI, la scienza in cucina e l'arte del mangiar bene: rispecchiava la morale di gruppo, in un rituale gastronomico in cui la classe media del tempo si riconosceva e cui le classi popolari potevano aspirare. Il suo successo non può dunque essere unicamente ricercato nel tipo di cucina che l'Artusi proponeva, ma in ciò che il suo linguaggio e la sua scrittura offrivano in più: cibarsi dei piatti proposti nel libro significava appropriarsi o comunque possedere l'illusione di appartenere ad un mondo privilegiato.
Esiste per il cibo un primo livello, definibile “funzione-segno”, che connota l'origine utilitaria e funzionale degli alimenti, ed un secondo livello, contrapposto a quello d'uso, che appartiene ad un sistema di significazione, il cui senso sopravanza quello di funzione.
Gli attributi costruiti del cibo si trasformano in caratteristiche del soggetto che consuma: si verifica una sorta di osmosi che consente questa identità, ovvero la rappresentazione sociale del cibo consente al soggetto di ritrovare una sua personalità latente.
Il cibo, come linguaggio, può cambiare in relazione all'ambiente e riflettere determinate situazioni sociali, economiche e religiose.
In ogni società il mondo dell'alimentazione è anche una forma di comunicazione, l'occasione di scambi e di atti ostentatori, un insieme di simboli che costituiscono un criterio di identità per il gruppo.
L'alimentazione deve essere considerata come un insieme di culturale organico, in cui il cibo ha grande importanza per stabilire e rafforzare i legami di solidarietà all'interno di una comunità e per distinguere un insieme di individui da un altro. Il cibo è un sistema di comunicazione, in cui i significanti sono in parte limitati ad una cultura particolare, che ne segnala la specificità, e in parte interculturali, assicurando così la comunicazione tra individui appartenenti a società diverse.
In ogni cultura esistono regole di grande complessità che governano il consumo degli alimenti e il comportamento del mangiatore. Proprio la loro esistenza rende inequivocabilmente individuabili le trasgressioni. A sostegno di questa tesi, FISCHLER propone un'esperienza immaginaria in un ristorante che proponga una tipologia di menù particolare. Questa esperienza immaginaria consente di mettere in evidenza l'esistenza di regole di programmazione, di composizione e di compatibilità complesse e specifiche di una cultura. I piatti, i pasti, gli alimenti preparati sono scelti e serviti in base ad un ordine contestuale.
La mente umana presenta la caratteristica di produrre categorie, tassonomie, norme, regole; a tutt'oggi non esiste una cultura che sia completamente sprovvista di un apparato di categorie e regole alimentari, che non conosca prescrizioni e divieti relativi a ciò che si può e non si può mangiare, a come si deve mangiare e con chi.
A partire dagli anni 80 l'Italia ha assistito ad una grande diffusione di supermercati, ipermercati e centri commerciali. Con queste strutture vengono modificati anche i livelli comportamentali usati nelle strategie di acquisto: le commissioni quotidiane, ad esempio, tendono a sparire a favore delle  spedizioni settimanali; i rapporti tra compratore e venditore si fanno sempre più tenui e sono comunque soverchiati dalla merce e dal diritto al consumo.
Le conseguenze dei consumi sono notevoli: i nuovi alimenti industriali tendono a standardizzarsi, ad omogeneizzarsi. Le principali qualità richieste alla merce sono la regolarità di reperimento, il periodo di conservazione e l'attrattiva.
Di pari passo alla standardizzazione, si può notare anche un processo di diversificazione dei prodotti consumati: in 30 anni si sono imposte nei rifornimenti alimentari innumerevoli novità, che hanno trovato sviluppo e successo proprio a partire dai banchi dei supermercati. Gli yogurt, i surgelati, le bottiglie di plastica e in generale cibi stranieri ed “esotici”, si sono diffusi e “banalizzati”.
Cosmopolitismo e bisogno di radicazione esprimono valori in forte espansione: anche se apparentemente contraddittori – da un lato il desidero di ampliare le prospettive di riferimento, dall'altro il bisogno di recuperare le proprie radici e la propria identità – in realtà queste due istanze convivono sia a livello sociale che individuale. In questo stato di cose, i consumi (anche quelli alimentari) si fanno progressivamente cosmopoliti, una sorta di melting pot mondiale, ma recuperano anche selettivamente il “vecchio” (la tradizione, nel caso del cibo).
Non esiste l'assoluta perennità delle scelte alimentari, poiché se così fosse i sistemi alimentari si auto-distruggerebbero al mutare di quella struttura che li lega indissolubilmente: la società. Bisogna però ricordare che la cucina, come tratto culturale, si riferisce all'identità individuale e collettiva e ne segna la specificità, per cui alcuni cibi rimangono immutati, se non materialmente, almeno simbolicamente, nel pensiero dell'uomo.

Tratto da LA SPENDIBILITÀ DEL SAPERE SOCIOLOGICO di Angela Tiano
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