Riassunto del testo "Il demone della teoria". Nel riassunto viene stilato un bilancio della teoria letteraria, se questo può essere possibile. La teoria letteraria viene proposta come l’epistemologia delle lettere e degli studi letterari, viene generalmente intesa come un ramo della letteratura generale e comparata: designa la riflessione sulle condizioni della letteratura, della critica letteraria e della storia letteraria.
Teoria della letteratura
di Gherardo Fabretti
Riassunto del testo "Il demone della teoria". Nel riassunto viene stilato un
bilancio della teoria letteraria, se questo può essere possibile. La teoria
letteraria viene proposta come l’epistemologia delle lettere e degli studi
letterari, viene generalmente intesa come un ramo della letteratura generale e
comparata: designa la riflessione sulle condizioni della letteratura, della critica
letteraria e della storia letteraria.
Università: Università degli Studi di Catania
Facoltà: Lettere e Filosofia
Esame: Teoria della letteratura
Docente: Prof.ssa Rosalba Galvagno
Titolo del libro: Il demone della teoria
Autore del libro: Antoine Compagnon
Editore: Einaudi
Anno pubblicazione: 20001. Un bilancio della teoria letteraria
È possibile oggi stilare un bilancio della teoria letteraria? In Francia sono gli anni sessanta e settanta a fare la
parte del leone, pur essa non conoscendo la mole di illustri studiosi e studi, come invece era accaduto in
Russia (formalismo), in Repubblica Ceca (Circolo di Praga), Usa e Inghilterra (New Criticism), Germania
(Spitzer e Curtius) e Italia (Croce e il suo antipositivismo, Contini e la critica delle varianti).
In Francia citeremmo solo il corso di poetica di Paul Valery invece, un’ effimera disciplina che scomparirà
col suo pigmalione. Perché questo ritardo? Spitzer lo identifica in tre fattori: il vecchio senso di superiorità
dovuto ad una tradizione letteraria sempre ai vertici; il carattere degli studi letterari francesi in generale,
sempre caratterizzati dal positivismo scientifico del XIX secolo, con la sua ricerca delle cause; il predominio
della pratica scolastica dell’analisi testuale, vale a dire la descrizione ancillare delle forme letterarie che
ostacola lo sviluppo di metodi formali più sofisticati.
Compagnon aggiunge un quarto motivo: l’assenza di una linguistica e di una filosofia del linguaggio
paragonabile a quella delle università tedesche e inglesi (quelle di Frege, Russell, Wittgenstein e Carnap) e
la debole incidenza della rivoluzione ermeneutica che pur qualche buon frutto dava in Germania, con le
rivoluzioni di Heidegger e Husserl.
Ai tempi di Spitzer le cose in Francia sono cambiate, quasi come se quel ritardo non fosse altro che una
profonda rincorsa per meglio saltare dopo. La Francia, come si diceva, tra i sessanta e i settanta si è vista
provvisoriamente all’avanguardia degli studi letterari nel mondo. Negli anni Settanta essa era al culmine
della sua attrattiva e calamitava tantissimi giovani studiosi. Quarant’anni fa, dunque, l’immagine dello
studio letterario sostenuto dalla teoria era seducente, persuasivo e trionfante.
Ma un altro capovolgimento era destinato ad arrivare; oggi le cose non stanno più esattamente così. La
teoria letteraria ha finito per istituzionalizzarsi, trasformandosi da metodo in tecnica pedagogica spicciola e
pedante, tanto simile ai metodi di spiegazione del testo contro cui prima si scagliava. Perché?
Che la storia letteraria abbia messo così prepotentemente radici in Francia da non permettere alla “nuova
critica” di scuoterla a fondo, come sostiene Genette? È una spiegazione alquanto insufficiente: la nuova
critica ha messo radici robuste in Francia almeno quanto la storia letteraria, ma è proprio questo il problema.
Oggi in Francia è praticamente impossibile essere promossi ad un concorso senza padroneggiare i sottili
distinguo della “nuova critica”, così come un tempo bisognava conoscere la terminologia retorica. C’è,
infatti, una fortissima dipendenza dall’università per i concorsi di reclutamento dei professori di scuola
secondaria e ciò ha ridotto la teoria letteraria ad un pugno di ricette, trucchi e astuzie per brillare nei
concorsi. L’iniziale slancio teorico si è sclerotizzato dal momento in cui è diventato semplice scienze
d’appoggio alla spiegazione di un testo.
La teoria in Francia fu un fuoco di paglia e i teorici degli anni Sessanta e Settanta non hanno trovato
successori; Barthes stesso è stato canonizzato, che non è la soluzione ideale per mantenere viva la vitalità e
l’efficacia di un’opera. Altri autori si sono dedicati ad altre branche, altri ancora sono tornati alla storia
letteraria.
La teoria è fiacca, inoffensiva; aspetta gli studenti all’ora prefissata, senza scambiarsi con altre discipline e
senza contatti col mondo esterno. Non è più la teoria a dire perché e come bisognerebbe studiare la
letteratura, quale sia la posta in gioco dello studio di essa oggi.
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Teoria della letteratura 2. L'interesse teorico della teoria letteraria
Teoria e senso comune.
Possiamo dunque stilare una mappa della teoria letteraria? A sentire Paul Deman, sembrerebbe pura utopia:
il principale interesse teorico della teoria letteraria consiste nell’impossibilità di darne una definizione. Sta
bene. Possiamo dunque definire le teoria letteraria solo in base ad una teoria negativa, dicendo ciò che essa
non è. La teoria non può essere ridotta ad una tecnica, né ad una pedagogia, ma nemmeno ad una mistica o
ad una metafisica. Non è nemmeno una religione. Essa non ha solo un interesse teorico, e si pone
essenzialmente come atto critico, di opposizione o di polemica.
È questa infatti la cifra più importante della teoria: la sua lotta accanita e vivificante contro le idee acquisite
negli studi letterari. A caratterizzare davvero la teoria non è certo l’eclettismo che si vede tanto spesso nei
manuali, quanto il suo impegno, la sua vis polemica e le strade senza uscita in cui quest’ultima la lancia a
testa bassa.
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Teoria della letteratura 3. Teoria e pratica della letteratura
Sono indispensabili alcune nozioni preliminari. Chi dice teoria presuppone sempre una pratica, o una prassi,
di fronte alla quale la teoria si trova o di cui fa la teoria. Per capire il ragionamento basta pensare che per le
vie di Ginevra si trovano negozi con l’insegna “sala di teoria”; non vi si fa teoria della letteratura ma scuola
guida.
Dunque la teoria è il codice che si contrappone alla guida, il codice della guida. Qual è quindi la guida, la
pratica che la teoria codifica, che cioè organizza piuttosto che regolamentare? Non è la letteratura stessa, e
nemmeno l’attività letteraria (infatti la teoria non insegna a scrivere romanzi) bensì la storia letteraria, la
critica letteraria, la ricerca letteraria.
Se interpretiamo la teoria come deontologia, come didattica della ricerca letteraria, potremmo pensare che
essa è disciplina nuova, se non altro posteriore alla fondazione delle moderna ricerca letteraria nel XIX
secolo. In realtà i concetti esposti sono molto antichi: già Aristotele e Platone, nella Poetica e nella
Repubblica, facevano teoria letteraria. Essi infatti si interessavano delle categorie generali o universali delle
costanti letterarie, al di là delle singole opere.
Fare teoria della letteratura significa sicuramente interessarsi della letteratura in generale, da un punto di
vista tendente all’universale. Ma i due filosofi da un altro punto di vista non facevano esattamente teoria
letteraria, poiché la pratica che intendevano codificare non era lo studio letterario o la ricerca letteraria, ma
la letteratura in sé. I due si sforzavano di redigere grammatiche normative sul fare letteratura, mentre la
teoria letteraria non è in linea di principio normativa, ma descrittiva.
La teoria è attinente anche alla filosofia della letteratura come branca dell’estetica perché riflette sulla
funzione dell’arte e sulla definizione del bello e del valore, ma non coincide con essa poiché non è né
speculativa né astratta, bensì analitica. Essa è l’epistemologia delle lettere e degli studi letterari.
Ricapitolando: la teoria
- contrasta la pratica degli studi letterari, ossia la critica e la storia letterarie
- analizza tale pratica, le descrive, ne rende espliciti i presupposti, quindi le critica (ossia le discrimina, le
separa)
- la teoria è dunque una critica della critica dunque una metacritica
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Teoria della letteratura 4. Definizione di critica letteraria e storia letteraria
A questo punto sarebbe utile definire la critica letteraria e la storia letteraria.
La critica letteraria è un discorso sulle opere letterarie che mette l’accento sull’esperienza della lettura, che
descrive, interpreta, valuta in senso e l’effetto che le opere hanno sui (buoni) lettori, ma non tali da essere
necessariamente competenti o professionisti. Essa apprezza, giudica; va per simpatia e antipatia; per
identificazione e proiezione. L’ambiente ideale della critica, dice Compagnon, è il salotto, non l’università.
La storia letteraria è un discorso che insiste su fattori esterni all’esperienza della lettura, come ad esempio la
concezione o la trasmissione delle opere; fattori che comunque di solito interessano solo chi è professionista.
La storia letteraria è quella disciplina accademica comparsa nel XIX secolo è più conosciuta all’epoca col
nome di filologia o recherche.
La critica si applica al testo e lo valuta; enuncia proposizioni del tipo: “A è più bello di B”. La storia si
applica al contesto e spiega il testo; enuncia proposizioni del tipo “C deriva da D”.
E la teoria della letteratura? La teoria esige che i presupposti di tali affermazioni vengano esplicitate. Ad
esempio dirà alla critica: che cosa chiamate letteratura? E i vostri criteri di valore quali sono? Questo perché
tutto certamente funziona tra lettori che condividono le stesse regole e che si intendono al volo ma, se così
non accade, la critica (la conversazione) diventa un dialogo tra sordi.
E alla storia della letteratura: che cosa chiamate letteratura? Come tenete conto delle sue speciali proprietà o
del suo speciale valore?
Per usare un paragone calzante, Proust diceva che “un’opera che contenga teorie è come un oggetto su cui si
sia lasciato il cartellino del prezzo”. La teoria vuole conoscere il prezzo. Vuole esplicitate le risposte che
storici e critici danno per scontate, ricordando come esse siano invece relative.
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Teoria della letteratura 5. Definizione di teoria della letteratura e teoria letteraria
La teoria della letteratura viene generalmente intesa come un ramo della letteratura generale e comparata:
designa la riflessione sulle condizioni della letteratura, della critica letteraria e della storia letteraria. È la
critica della critica, la metacritica.
La teoria letteraria è più d’opposizione e si presenta come una critica dell’ideologia, ivi compresa quella
della teoria della letteratura. La teoria letteraria nasce quando l’approccio ai testi letterari non si fonda più su
considerazioni non linguistiche, ad esempio storiche o estetiche; quando l’oggetto della discussione non è
più il senso o il valore, ma le modalità di produzione del senso e del valore.
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Teoria della letteratura 6. Definizione di letteratura
Gli studi letterari parlano di letteratura nei modi più diversi, bisogna dunque mettersi d’accordo sulla
definizione che ogni studio letterario dà del proprio oggetto, cioè il testo letterario. Cosa è che rende questo
studio letterario? Come definisce le qualità letterarie del testo letterario? Si, insomma, cosa intende per
letteratura?
Il più delle volte si utilizza il termine letteratura e l’aggettivo letterario come un qualcosa di assiomatico, un
oggetto di cui possediamo una definizione solida e incontrovertibile, un discrimine infallibile che ci porta
senza ombra di sbagli a definire ciò che è letterario e ciò che non lo è. La cosa non deve essere poi così
semplice se già Aristotele sanciva l’impossibilità di indicare con un termine onnicomprensivo i dialoghi
socratici, la composizione in versi e i testi in prosa.
Lo stesso termine letteratura è più o meno recente; è infatti nato all’inizio del XIX secolo. Prima la
letteratura era un qualcosa di etimologicamente conforme a quanto letteralmente esprimeva: le iscrizioni, la
lettura, l’erudizione, la conoscenza delle lettere.
Che fare dunque? Descriveremo la letteratura per gradi successivi, a partire da diversi punti di vista:
- estensione
- comprensione
- funzione
- forma,
- forma del contenuto
- forma dell’espressione.
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Teoria della letteratura 7. L’estensione della letteratura nei secoli
Nel senso più ampio dell’insiemistica, diremo che la letteratura è tutto ciò che è stampato o generalmente
scritto. Questa accezione corrisponde alla nozione classica delle belle lettere, con tutto ciò che la retorica e
la poetica potevano produrre, ivi comprese la narrativa, la storia, la filosofia, le scienze e l’eloquenza.
Questa accezione equivale, insomma, a quella di cultura, così come l’avevano formulata i filologi nel XIX
secolo. Perché letteratura e cultura coincidevano per loro? Perché la letteratura era inequivocabilmente la
testimonianza più accessibile di una cultura, quell’insieme organico costituito dalla lingua, dalla letteratura e
dalla cultura necessario a comprende l’unità di una nazione. Lo studio della letteratura era la via maestra per
comprendere una nazione, poiché essa per mano di alcuni geniali scrittori aveva forgiato massimamente quel
determinato paese.
In senso più ristretto il confine tra letterario e non letterario varia notevolmente a seconda delle epoche e
delle culture. Aristotele inseriva all’interno dell’arte poetica il genere epico e il genere drammatico, e ne
escludeva il genere lirico, in quanto il poeta vi si esprimeva in prima persona, e per questo motivo veniva
considerato un genere minore. Epopea e dramma, cioè narrazione e rappresentazione erano la letteratura, la
letteratura era il verso (epopea e dramma erano in versi). Il discorso cambia radicalmente nel corso del XIX
secolo. Epopea e dramma abbandonano sempre maggiormente il verso, per adottare la prosa, e con il nome
di poesia si finì per identificare proprio l’unico genere che Aristotele aveva escluso: la poesia lirica.
Da quel momento la letteratura fu romanzo, teatro e poesia. Questo procedimento intensivo è inscindibile
dal movimento romantico, lo stesso che sancì la relatività storica e geografica del gusto, contrapponendosi
alla nozione classica di universalità del canone estetico. Sempre dal Romanticismo la letteratura venne
concepita nei suoi rapporti con la nazione e con la storia. La letteratura, o meglio, le letterature, sono prima
di tutto nazionali. Ma ecco il paradosso: il criterio romantico della relatività storica viene immediatamente
contrastato dalla volontà, ugualmente romantica, di unità nazionale.
In senso ancora più stretto la letteratura sono i grandi scrittori. È una nozione di gusto ancora una volta
romantico. Thomas Carlyle, uno dei più importanti critici letterari della prima età vittoriana, vedeva in loro i
grandi eroi del mondo moderno, arbitri unici della bontà e della giustizia umana. Il canone classico era
formato da opere modello; esse dovevano essere imitate in maniera feconda. Il canone moderno è formato
da scrittori modello; essi incarnano lo spirito di una nazione. Passiamo dunque da una definizione della
letteratura dal punto di vista degli scrittori (che indicano le opere da imitare) a una definizione dal punto di
vista dei professori (che indicano gli scrittori degni di ammirazione). È indiscutibile la tesi secondo la quale
alcuni romanzi, drammi o poesie appartengono alla letteratura perché scritti da grandi scrittori; ma da qui
nasce un ironico corollario: tutto ciò che è scritto da un grande scrittore è letteratura, compresa la lista della
spesa o la corrispondenza privata; e una ironica tautologia: la letteratura è tutto ciò che gli scrittori scrivono.
Naturalmente identificare la letteratura con i grandi scrittori vuol dire nello stesso tempo negare il valore di
altri romanzi, drammi e poesie. Del resto anche il canone degli scrittori non è stabile, e conosce spesso
entrate e uscite, e ogni nuova opera determina un riassetto della tradizione come totalità, modificando allo
stesso tempo il senso e il valore di ogni opera che appartiene alla tradizione. Il romanticismo, insomma, non
possiede la chiave giusta. Il restringimento istituzionale della letteratura nel XIX secolo non tiene conto,
infatti, che per chi legge, ciò che legge è sempre letteratura, si tratti di Proust o di un fotoromanzo; trascura
inoltre la complessità dei livelli della letteratura nell’ambito di una società: per i romantici sarebbe
letteratura solo quella colta e non, ad esempio, la narrativa così come la si intende nelle librerie britanniche.
Oggi non esiste solo il romanzo, il dramma e la poesia lirica, ma anche il poema in prosa, l’autobiografia, il
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Teoria della letteratura racconto di viaggio, il fumetto, i libri per bambini, i gialli.
Per riassumere: il termine letteratura ha una estensione più ampia o meno ampia a seconda degli autori e il
criterio di valore che include un dato testo, e ne esclude automaticamente un altro, si basa su discrimini non
letterari ma etici, sociali e ideologici.
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Teoria della letteratura 8. La comprensione della letteratura: la funzione
Sempre sulla scia di Platone distinguiamo funzione e forma della letteratura. La prima è quella che
domanda: che cosa fa la letteratura? La seconda chiede: qual è il suo tratto distintivo?
Le definizioni della letteratura sulla base della funzione sembrano relativamente stabili. Aristotele parlava di
catarsi, di epurazione o di purificazione di emozioni quali la paura e la pietà. Il filosofo poneva il piacere di
imparare all’origine dell’arte poetica. Orazio parlava di istruire dilettando. È insomma questa la più comune
definizione umanista di letteratura, una conoscenza speciale che è però diversa da quella filosofica o
scientifica. Qual è dunque?
Secondo Aristotele è una conoscenza che ha per oggetto ciò che è generale, probabile o verosimile; la doxa,
le sentenze e le massime che permettono di comprendere e di regolare il comportamento umano e la vita
sociale. Secondo i romantici essa è una conoscenza che verte piuttosto su ciò che è individuale o singolare.
Nell’una o nell’altra opinione rimane invariato il carattere di apprendistato che alla letteratura si attribuisce.
Per il modello umanista esiste una conoscenza del mondo e degli uomini che ci deriva direttamente
dall’esperienza letteraria; una conoscenza che solo l’esperienza letteraria ci procura.
È un discorso massimalista, certo, ma non si può a ragione asserire, ad esempio, che il romanzo europeo, la
cui fortuna ha coinciso con quella del capitalismo, propone, a partire da Cervantes, un apprendistato
dell’individuo borghese? Non si può anche asserire che a partire dal Medioevo è stato il libro a permettere
l’acquisizione di una soggettività moderna?
Questa concezione umanista della letteratura è stata spesso denunciata per il suo idealismo, e soprattutto per
essere visione del mondo di una classe particolare, l’individuo borghese. La letteratura serve allora a
produrre un consenso sociale;essa accompagna e poi sostituisce la religione come oppio del popolo. Dopo la
decadenza della religione, e prima dell’apoteosi della scienza, spettava alla letteratura, sia pur
provvisoriamente, il ruolo di morale sociale. In un mondo sempre più materialista e anarchico, la letteratura
sembrava l’ultimo baluardo contro la barbarie. La letteratura è dunque un contributo all’ideologia
dominante? Non necessariamente. È una teoria facilmente smontabile se consideriamo, soprattutto, ciò che
di letterario è stato prodotto dal XIX secolo; parliamo naturalmente dei poeti maledetti. Baudelaire,
Rimbaud, Verlaine, Lautréamont non erano certo servi dell’ordine costituito! Erano produttori di dissenso,
rottura e novità. Secondo il modello militare dell’avanguardia, precedevano il progresso, illuminavano il
popolo, erano veggenti. I grandi scrittori vedevano prima dei filosofi dove andava il mondo. La letteratura è
quindi anche veggenza.
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Teoria della letteratura 9. La comprensione della letteratura: la forma del contenuto
La letteratura è imitazione o rappresentazione, dunque mimesis, di azioni umane tramite il linguaggio.
Questa è la definizione di letteratura normalmente data dall’antichità alla metà del XVIII secolo. In quanto
rappresentazione o imitazione di azioni umane, la letteratura è una favola, o un racconto, dunque un mythos.
Ma il termine mimesis finisce per assumere un significato leggermente diverso da quello di
rappresentazione, ossia quello di finzione o addirittura di menzogna né vera né falsa, ma verosimile; un
mentir vero insomma.
In nome di questa definizione Aristotele escludeva dalla poetica non soltanto la poesia didattica o satirica,
ma anche quella lirica, poiché metteva in scena l’io del poeta. La poesia, in quanto mimesis, diceva
Aristotele, ammette solo il genere epico e il genere tragico.
Similmente Genette parlava di una poetica tematicamente essenzialista o costitutivista.
Compagnon fa presente che il “tematico” non è riferito al tema come motivo di fondo di un’opera, ma come
status ontologico, o pragmatico, costitutivo dei contenuti letterari. La finzione (la mimesis) non è un tema
ma un concetto. Per l’antichità classica dunque la mimesi era: la finzione come forma del contenuto, ovvero
come concetto o modello.
Cosa vuol dire? Che la mimesis è la definizione di letteratura, o che ne costituisce una proprietà?
Sicuramente non possiamo elevare la mimesis a base di fondo della letteratura. La poesia lirica, ad esempio,
è entrata da molto tempo nel mondo della letteratura, quindi la finzione non è più condizione sufficiente e
necessaria per la fondazione di essa. Che la letteratura venga percepita dai più, anche oggi, come finzione, è
un altro paio di maniche
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Teoria della letteratura 10. La comprensione della letteratura: la forma dell’espressione
Caduto il carattere fondante della finzione, cosa succede? Succede che dalla seconda parte del XVIII secolo
subentra una definizione di letteratura che mette l’accento non più sulla finzione ma sul bello. Il bello, come
spiega Kant nella Critica della facoltà di giudizio (1790) ha il proprio fine in se stesso; un opinione
condivisa da tutta la nascente tradizione romantica.
Da questo momento la letteratura rinvia solo a se stessa. Il linguaggio comune è utilitaristico e strumentale;
la letteratura trova, invece, il proprio fine in se stessa. La letteratura, scrive il Tesoro della lingua francese, è
l’uso estetico del linguaggio scritto. Per molto tempo il versante romantico di questa idea è stato il più
valorizzato; era un versante che separava nettamente la letteratura dalla vita, e considerava la letteratura una
redenzione della vita (Proust diceva che la vita veramente vissuta è solo la letteratura), oppure, a partire
dalla fine del XIX secolo, la sola esperienza autentica dell’assoluto e del nulla (Sartre che nella Nausea fa
fuggire il suo Roquentin con l’ascolto di un’aria jazz, evitandogli la tragedia della vita contingente).
È una idea che ha però anche un suo versante formalista, un versante con cui oggi si ha maggiore
confidenza; esso distingue il linguaggio letterario dal linguaggio comune, o individualizza l’uso letterario
del linguaggio comune. Si dice che ogni segno, ogni linguaggio, sia fatalmente sia trasparenza sia ostacolo.
L’uso comune del linguaggio tende a farsi dimenticare appena inteso (è cioè un linguaggio transitivo,
impercettibile) mentre l’uso letterario coltiva la propria opacità (è cioè intransitivo, percettibile). Questa
polarità può essere esplicitata in molti modi:
- Il linguaggio comune è: più denotativo (parla per segni esteriori), più trascurato, più referenziale e
pragmatico.
- Il linguaggio letterario è: più connotativo (parla identificando il contenuto); è più ambiguo, espressivo,
perlocutorio; più sistematico, coerente, organizzato; più immaginativo ed estetico.
La letteratura, dunque, sfrutta le proprietà del mezzo linguistico senza scopo pratico. Nasce così la
definizione formalista di letteratura. Dal Romanticismo a Mallarmè la letteratura, come diceva Foucault, è
pura e semplice manifestazione di un linguaggio che non ha per legge che di affermare la propria esistenza
scoscesa.
La letteratura viene dunque definita adesso sulla base della forma dell’espressione, NON del contenuto.
Siamo passati da una definizione della letteratura sulla base del contenuto ad una definizione della
letteratura che va connotata sulla base dell’espressione (quella che Genette chiamava dizione).
I formalisti russi hanno dato all’uso propriamente letterario della lingua il nome di letterarietà. La letterarietà
diventa dunque la proprietà distintiva del testo letterario.
Qui sembra che teoria della letteratura (la critica della critica) e la teoria letteraria (in questo caso il
formalismo) sembrano coincidere in questo concetto. I formalisti tentavano con esso di rendere lo studio
letterario autonomo definendone in modo specifico l’oggetto. Essi ponevano l’accento sugli aspetti giudicati
specificamente letterari dell’opera, distinguendo il linguaggio letterario da quello comune, o non letterario.
Per i formalisti il linguaggio letterario è motivato (dunque non arbitrario), autotelico (e non lineare) e
autoreferenziale (non utilitaristico).
Ma dunque? In che cosa consiste la proprietà, l’essenza dei testi letterari? Per i formalisti è lo straniamento il
criterio di letterarietà, e l’oscurità. La letteratura, e l’arte in generale, aggiorna la sensibilità linguistica dei
lettori con procedimenti che disturbano le forme abituali e automatiche della loro percezione. Ma certi
procedimenti finiscono per essere assimilati e diventare comuni, così il formalismo approda ad una storia
della letterarietà come rinnovarsi dello straniamento attraverso il ridistribuirsi dei procedimenti letterari.
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Teoria della letteratura
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Teoria della letteratura 11. Letterarietà e pregiudizio
Dato che non esistono elementi linguistici esclusivamente letterari, la letteratura non può distinguere un uso
letterario da un uso non letterario del linguaggio. Questo malinteso deriva in buona parte dal nuovo nome
che Jakobson ha dato alla letterarietà nel fortunatissimo articolo Linguistica e poetica. Per Jakobson la
poetica era, in quell’articolo, una delle sei funzioni, da lui stesso distinte, dell’atto comunicativo (oltre
all’espressiva, conativa, referenziale, metalinguistica e fatica), come se la letteratura (cioè il testo poetico)
abolisse le altre cinque funzioni per insistere solo sul messaggio in sé.
In realtà il russo precisava che le altre funzioni non venivano proprio eliminate, solo, erano di minore rilievo
rispetto a quella poetica. A partire dal 1919, scriveva però che
- in poesia la funzione comunicativa è ridotta al minimo.
- la poesia è il linguaggio nella sua funzione estetica.
In realtà la letterarietà (dunque lo straniamento) non dipende dall’uso di elementi linguistici appropriati, ma
da una diversa organizzazione dei materiali linguistici di uso comune. Non è, ad esempio, la metafora in sé a
costruire la letterarietà di un testo, ma un reticolo metaforico più fitto, che fa passare in secondo piano le
altre funzioni linguistiche. In breve, la letterarietà non è questione di presenza o di assenza, né di tutto o di
niente, ma di più e di meno: per il lettore è il dosaggio a produrre interesse.
Allora siamo giunti alla conclusione? No, sfortunatamente no. Anche questo assunto è confutabile. Certi
testi letterari, ad esempio, non si allontanano dal linguaggio comune (vedi la prosa di Hemingway o di
Camus). Bene, si dirà, possiamo però affermare che la mancanza di contrassegno è di per sé un
contrassegno; che il massimo della familiarità corrisponde al massimo dello straniamento. Non vale. Ciò
perché la definizione di letterarietà in senso stretto (i suoi tratti specifici) o ampio (la sua organizzazione
specifica) vengono comunque contraddetti. Del resto i tratti considerati più letterari si incontrano anche in
un linguaggio non letterario, ed è spesso lì che divengono più visibili, più densi, come accade nella
pubblicità.
Allora possiamo dire che è la pubblicità l’apice della letterarietà? Non è accettabile nemmeno questo.
l problema è che i formalisti russi hanno analizzato solo un tipo di letteratura, quella che consideravano
d’avanguardia, oscura, straniante. Allora la letterarietà come tentativo di definizione della letteratura non è
altro che la definizione di quella che una volta si chiamava licenza poetica!
Certo, non possiamo escludere che Jakobson, quando descriveva la funzione poetica come accento sul
messaggio, non avesse pensato solo alla forma del messaggio ma anche al suo contenuto. E a pensarci bene,
deve essere necessariamente così, altrimenti la letteratura si ridurrebbe ad un gioco decorativo.
Il problema è che anche la trovata della letterarietà, come ogni definizione di letteratura, implica una
preferenza extraletteraria. Un giudizio è inevitabilmente insito in qualsiasi definizione di letteratura.
Nel caso dei formalisti russi, si preferivano i testi che la loro nozione di letterarietà descriveva meglio. Non
dimentichiamo che una definizione di letteratura è sempre un pregiudizio eretto a validità universale (nel
nostro caso, lo straniamento). Succederà anche dopo, con lo strutturalismo in generale, la poetica, la
narratologia, tutte ispirate dal formalismo, che porranno l’accento sulla deviazione e l’autocoscienza
letteraria, contrapponendole alla convenzione e al realismo.
Genette infine riconoscerà che la letterarietà, secondo l’accezione di Jakobson, non copriva che una parte
della letteratura, il suo regime costitutivo, ma non quello condizionale, e da lato della letteratura costitutiva,
soltanto la dizione (la poesia) e non la finzione (narrativa o drammatica).l Rinunciando alla pretese del
formalismo e dello strutturalismo, ne deduceva che la letterarietà poiché è un fatto plurale, esige una teoria
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