Skip to content

La critica della coscienza e la scuola di Ginevra


C'è poi la critica della coscienza, la scuola di Ginevra, associata in particolare a Georges Poulet. La sua scuola professava un approccio che richiedesse al critico empatia e identificazione per comprendere l'opera, vale a dire per andare incontro all'altro, all'autore, attraverso la sua opera, intesa come coscienza profonda. Per loro si tratta di riprodurre l'impulso dell'ispirazione, di rivivere il progetto creativo, di ricostruire il “progetto originario” che fa di ogni vita un tutto unico, un complesso coerente e orientato, del tipo di quelli che avrebbe rintracciato in Baudelaire e in Flaubert. Ora, dal punto di vista di chi vuole cogliere l'atto di coscienza, rappresentato dalla scrittura in quanto espressione di un voler dire, qualunque documento – che sia una lettera, un appunto – può essere importante tanto quanto una poesia o un romanzo. È anche vero, però, che questo genere di critica ignora di solito il contesto storico, a vantaggio di una lettura immanente, che vede nel testo la coscienza dell'autore che si traduce in atto, ma tale coscienza non ha niente a che vedere con una biografia o con una intenzione riflessiva o premeditata, corrispondendo invece alle strutture profonde di una visione del mondo, ad una coscienza di sé o ad una intenzione in atto. Poulet definisce questo nuovo tipo di pensiero fenomenologico, pensiero indeterminato; il pensiero indeterminato è caratterizzato da alcuni grandi temi quali lo spazio, il tempo, l'altro. L'autore dunque è rimasto, anche se nella forma del pensiero indeterminato.
Anche la nuova critica, che ha spesso invocato il ritorno al testo, in realtà non ha fatto che invocare il ritorno dell'autore sotto le spoglie del pensiero indeterminato. La polemica degli anni Sessanta tra Barthes e Raymond Picard lo dimostra ampiamente.
Barthes pubblicò nel 1963 L'uomo raciniano, dove cercava di trattare l'opera di Racine come un tutto unico, allo scopo di cogliere una struttura unificatrice profonda in quello che egli chiamava l'uomo raciniano, una espressione ambigua che disegna la creatura raciniana ma allo stesso tempo designa, proprio attraverso le sue creature, il creatore stesso, inteso come coscienza profonda o come intenzionalità.
Picard lo attaccò nel 1965 con Nouvelle critique ou nouvelle imposture, dove rilevava la contraddizione barthesiana. Lo strutturalismo era un misto di antropologia e di psicanalisi, e rimaneva una ermeneutica fenomenologica. La nouvelle critique, dice Picard, “invoca il ritorno all'opera, che però non è più l'opera letteraria [...], ma l'esperienza complessiva di uno scrittore. Nello stesso tempo si vuole strutturalista; ciò nondimeno non si tratta di strutture letterarie [...] ma di strutture psicologiche, sociologiche, metafisiche”.
Picard la pensava diversamente da Barthes. Con l'aggettivo letterario intendeva cosciente, concertato, intenzionale. Così riassume la posizione di Barthes: all'intenzione volontaria e lucida, Barthes avrebbe opposto un subconscio, o un inconscio dell'opera raciniana che agisce come un'intenzione immanente. In questa forma rinnovata ha preservato la figura dell'autore, in spregio a quel ritorno al testo che proclamava.
Barthes, nel suo La morte dell'autore, ammetterà che molto spesso la nouvelle critique non ha fatto altro che consolidare l'impero dell'autore, ma per rispondere a Picard nel 1966, con Critica e verità, non prenderà la strada della difesa del suo precedente libro, preferendo radicalizzare la sua posizione sostituendo all'uomo il linguaggio.

Tratto da TEORIA DELLA LETTERATURA di Gherardo Fabretti
Valuta questi appunti:

Continua a leggere:

Dettagli appunto:

Altri appunti correlati:

Per approfondire questo argomento, consulta le Tesi:

Puoi scaricare gratuitamente questo riassunto in versione integrale.