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Stanley Fish e la teoria letteraria del lettore

Stanley Fish e la teoria  letteraria del lettore


Dopo il lettore implicito di Iser, che era ancora un compromesso tra il senso comune e la teoria letteraria, le teorie della lettura hanno finito per radicalizzarsi progressivamente, in due tappe successive e in contraddizione tra loro. Dopo avere dato al lettore tutta la libertà che voleva, gliel'hanno di fatto ripresa, come se quella libertà fosse un'ultima illusione idealista e umanista di cui bisognava disfarsi.
Prima si localizzava il significato letterario interamente nell'esperienza del lettore, e sempre meno, o addirittura quasi per niente, nell'esperienza del testo. Poi è stata contestata la dicotomia tra testo e lettore, amalgamando i due termini nella nozione conglobante di “comunità interpretativa”, che designa i sistemi e le autorità istituzionali che generano sia testi sia lettori. Il lettore ha dunque preso il sopravvento sul testo, e poi entrambi si sono annullati di fronte ad una entità senza la quale nessuno dei due esisterebbe e da cui emanano parallelamente.
Stanley Fish e la sua esperienza critica sono la testimonianza perfetta del processo autodistruttivo che ha intrapreso la teoria letteraria nel campo del lettore.
Fish aveva cominciato sulla scia di Booth, attaccando il testo inteso come oggetto autonomo, spaziale e formale, mentre esso esiste solo con il favore di una esperienza temporale. Al pari di Iser e Jauss, anche Fish ha dunque denunciato l'illusione dell'oggettività e dell'autonomia del testo.
Ma, piantando ben presto in asso i due colleghi, Fish è andato oltre, facendo saltare per aria le barriere protettive con le quali si voleva difendere il lettore, arrivando a rivendicare per la lettura il diritto ad una soggettività e a una contingenza assolute. Ha dunque portato tutto il significato dalla parte del lettore, ridefinendo la letteratura non più come un oggetto, sia pure virtuale, ma come ciò che succede quando leggiamo. La letteratura, secondo Fish, è diventata ciò che succede quando leggiamo. Egli metteva dunque l'accento sulla temporalità della comprensione, chiamando questa nuova disciplina letteraria con il nome di stilistica affettiva, che voleva essere una analisi delle risposte del lettore nel loro svilupparsi in rapporto alle parole così come esse si succedono l'una all'altra nel tempo.
Fish però cambia idea: anche questo atteggiamento gli sembra concedere troppo al vecchio intenzionalismo. Sa, infatti, che insistere sulla lettura come esperienza letteraria fondamentale può essere concepito in due sensi, ed entrambi implicano un colpevole residuo di intenzionalismo: o la lettura viene vista come il risultato dell'intenzione dell'autore che l'ha programmata, e in quel caso l'autorità del lettore diventa artificiale (questa era la critica rivolta spesso ad Iser); o la lettura è descritta come l'effetto dell'affettività del lettore, e in quel caso questo rimane chiuso nel solipsismo, non facendo altro che sostituire la sua intenzione a quella dell'autore (critica spesso rivolta ad Eco).
La terza via, quella dell'intenzione d'opera, abbiamo già dimostrato quanto sia sofistica e inadatta a spiegare il discorso. Fish dunque, dopo avere sostituito l'autorità dell'autore all'autorità del testo, ha ritenuto necessario ridurle tutte e tre (c'è anche quella dell'opera) all'autorità delle comunità intepretative. Ne parla nel suo libro del 1980 C'è un testo in questa classe?, una raccolta di saggi scritti nel decennio precedente. Qui testo e lettore sono prigionieri della comunità interpretativa a cui appartengono. Come giustifica Fish questa triplice eliminazione simultanea di testo, autore e lettore?
Intenzione e comprensione sono [...] i due estremi di un atto convenzionale, e l'una [l'intenzione] include l'altra [la comprensione]. Delineare il profilo del lettore informato o al corrente equivale a descrivere l'intenzione dell'autore e viceversa, perché fare l'uno o l'altro significa specificare le condizioni contemporanee dell'enunciato, identificare, diventandone membro, una comunità composta da quanti condividono certe strategie interpretative.

Tratto da TEORIA DELLA LETTERATURA di Gherardo Fabretti
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