Riassunto del manuale relativo ai caratterri essenziali e alle discipline vigenti del diritto commerciale italiano, tra cui l'analisi del diritto societario, azionario e contrattualistico.
Diritto Commerciale
di Alexandra Bozzanca
Riassunto del manuale relativo ai caratterri essenziali e alle discipline vigenti
del diritto commerciale italiano, tra cui l'analisi del diritto societario, azionario e
contrattualistico.
Università: Università degli Studi di Bologna
Facoltà: Giurisprudenza
Corso: Giurisprudenza
Esame: Diritto Commerciale
Titolo del libro: Manuale di diritto commerciale
Autore del libro: Gianfranco Campobasso
Editore: Utet Giuridica
Anno pubblicazione: 20101. Il sistema legislativo in materia di imprese
Il Codice Civile distingue diversi tipi di imprese e di imprenditori in base a tre criteri:
L'oggetto dell'impresa (imprenditore agricolo e imprenditore commerciale);
La dimensione dell'impresa (piccolo imprenditore e imprenditore medio-grande);
La natura del soggetto (impresa individuale, società e impresa pubblica).
Tutti gli imprenditori sono assoggettati a una disciplina di base comune (statuto generale dell'imprenditore).
Gli imprenditori commerciali non piccoli sono assoggettati allo statuto tipico dell'imprenditore commerciale
(iscrizione nel registro delle imprese con effetti di pubblicità legale, la disciplina della rappresentanza
commerciale, le scritture contabili, il fallimento e le procedure concorsuali).
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Diritto Commerciale 2. La nozione generale di imprenditore
È imprenditore chi esercita professionalmente un'attività economica organizzata al fine della produzione o
dello scambio di beni e servizi. L'art.2082 fissa i requisiti minimi che devono ricorrere perché un dato
soggetto sia esposto all'applicazione delle norme del codice civile dettate per l'impresa e per l'imprenditore.
Dallo stesso articolo si ricava che l'impresa è attività caratterizzata da uno specifico scopo e da specifiche
modalità di svolgimento.
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Diritto Commerciale 3. Concetto di attività produttiva
L'impresa è attività produttiva di nuova ricchezza. Questa definizione esclude dalla categoria di impresa le
attività di mero godimento (attività che non dà luogo alla produzione di nuovi beni e servizi; ad es. il
proprietario di immobili che ne gode i frutti concedendoli in locazione). Un'attività può costituire allo stesso
tempo godimento di beni preesistenti e produzione di nuovi beni o servizi (es. albergatore).
Gli atti di investimento, speculazione e finanziamento, quando siano coordinati in modo da configurare
un'attività, possono dar vita ad impresa se ricorrono i requisiti dell'organizzazione e della professionalità (es.
società finanziarie che erogano crediti con mezzi propri –s. di leasing-).
È ormai opinione diffusa che la qualità di imprenditore deve essere riconosciuta anche quando l'attività
produttiva svolta è illecita. Vi possono essere due tipi diversi di impresa illecita:
Impresa illegale: attività svolta in violazione di norme che disciplinano concessioni, licenze, autorizzazioni
(es. attività bancaria senza la prescritta autorizzazione governativa);
Impresa immorale: è illecito l'oggetto stesso dell'attività (es. contrabbando di sigarette, fabbricazione o
commercio di droga). L'illecito compiuto dall'imprenditore immorale è più grave rispetto a quello
dell'imprenditore illegale.
Questo riconoscimento dell'attività d'impresa estesa anche alle imprese illecite risponde all'esigenza di
tutelare eventuali creditori di queste e di sottoporle alla disciplina fallimentare.
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Diritto Commerciale 4. L'organizzazione. Impresa e lavoro autonomo
L'imprenditore crea un complesso produttivo, formato da persone e da beni strumentali (è quindi un'attività
organizzata). È imprenditore anche chi opera senza utilizzare altrui prestazioni lavorative autonome o
subordinate (es. lavanderia a gettoni); infatti la sempre più alta fungibilità tra capitale e lavoro ha
determinato che l'organizzazione imprenditoriale può essere costituita di soli capitali e del proprio lavoro
intellettuale e/o manuale.
La qualità di imprenditore non può essere negata quando il coordinamento di capitale e lavoro proprio non si
concretizza in un complesso aziendale materialmente percepibile.
La semplice organizzazione ai fini produttivi del proprio lavoro non può essere considerata un
organizzazione imprenditoriale in quanto viene a mancare un minimo di eteroorganizzazione (presenza di un
minimo di organizzazione di lavoro altrui o di capitale). Ad esempio la borsa degli attrezzi di un idraulico
non può essere considerata una forma di capitale poiché sono solo beni strumentali al lavoro.
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Diritto Commerciale 5. Economicità dell'attività e scopo di lucro
È essenziale che l'attività produttiva sia svolta con metodo economico (coprendo i costi con i ricavi,
assicurando l'autosufficienza economica). In caso contrario si avrebbe consumo e non produzione di
ricchezza.
Non è quindi essenziale il perseguimento di uno scopo di lucro. Se si assumesse questo scopo come
requisito essenziale dell'impresa sarebbero automaticamente escluse dalla categoria le imprese pubbliche
(che non perseguono uno scopo di lucro).
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Diritto Commerciale 6. Definizione di professionalità
È l'esercizio abituale e non occasionale di una data attività produttiva (es. non è imprenditore chi compie
un'isolata operazione di acquisto e di rivendita di merci). Non è richiesto che l'attività sia svolta senza
interruzioni, poiché sarebbero escluse attività stagionali come alberghi e stabilimenti balneari, ma è
sufficiente il costante ripetersi di atti di impresa secondo le cadenze proprie di quel dato tipo di attività. Non
è richiesto che l'attività d'impresa sia unica o principale. Può costituire impresa anche un unico affare se
questo comporta il compimento di operazioni molteplici e l'utilizzo di un apparato produttivo complesso.
Può essere qualificato imprenditore anche chi produce beni o servizi destinati ad uso o consumo personale
(imprese per conto proprio).
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Diritto Commerciale 7. Imprese e professioni intellettuali
I liberi professionisti (avvocati, dottori commercialisti, notai…) non sono mai in quanto tali imprenditori. Le
disposizioni in tema d'impresa si applicano alle professioni intellettuali solo se l'esercizio della professione
costituisce elemento di una attività organizzata in forma di impresa (es. il medico che gestisce la clinica
privata nella quale opera o professore titolare di una scuola privata nella quale insegna). Il professionista
intellettuale che si limita a svolgere la propria attività non diventa mai imprenditore. Motivo di questa
esclusione è l'esistenza di specifici statuti per le diverse categorie professionali che sono già una forma di
tutela per il professionista. L'esonero dei professionisti intellettuali dello statuto dell'imprenditore ha
vantaggi (sottrazione al fallimento) e svantaggi (inapplicabilità della disciplina dell'azienda, dei segni
distintivi e della concorrenza sleale).
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Diritto Commerciale 8. Distinzione tra imprenditore agricolo e imprenditore
commerciale
La distinzione è fatta in base all'oggetto dell'attività. Questa distinzione è necessaria al fine di applicare la
specifica normativa.
Chi è imprenditore agricolo è sottoposto solo alla disciplina prevista per l'imprenditore in generale. È iscritto
in una sezione speciale del registro delle imprese. È esonerato dalla applicazione della disciplina propria
dell'imprenditore commerciale: tenute delle scritture contabili, assoggettamento al fallimento e alle altre
procedure concorsuali. L'imprenditore commerciale è obbligato all'iscrizione nel registro delle imprese con
funzione di pubblicità legale.
L'imprenditore agricolo gode di un trattamento di favore rispetto all'imprenditore commerciale, anche grazie
a incentivi e agevolazioni.
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Diritto Commerciale 9. L'imprenditore agricolo. Le attività agricole essenziali
L'attuale formulazione dell'art.2135 stabilisce che è imprenditore agricolo chi esercita una delle seguenti
attività: coltivazione del fondo, selvicoltura, allevamento di animali e attività connesse; intendendosi attività
dirette alla cura e allo sviluppo di un ciclo biologico o di una fase necessaria del ciclo stesso, che utilizzano
o che possono utilizzare il fondo, il bosco o le acque dolci, salmastre o marine.
Rispetto alle attività agricole tradizionali regolate nel Codice del 1942, si sono aggiunte attività quali:
allevamenti in batteria (bovini e pollame), agricoltura industrializzata (utilizzo di prodotti chimici per
accrescere la produttività) e coltivazioni artificiali o fuori terra (funghi e ortaggi). Queste attività possono
prescindere dall'utilizzo del fondo e quindi non potevano essere considerate attività agricole dal vecchio
Codice.
Si può essere imprenditori agricoli anche per connessione, cioè quando l'attività riguarda la manipolazione,
conservazione, trasformazione, commercializzazione dei prodotti delle attività agricole di base. Le due
attività devono essere omogenee e i prodotti utilizzati nell'attività connessa devono provenire
prevalentemente dall'attività agricola di base. Sono attività agricole connesse anche i servizi svolti a terzi
utilizzando prevalentemente il capitale dell'attività agricola di base (es. trebbiatura conto terzi). È impresa
agricola anche l'attività di valorizzazione rurale (es. agriturismo).
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Diritto Commerciale 10. Caratteristiche dell'imprenditore commerciale
È imprenditore commerciale colui che esercita una o più delle seguenti categorie di attività, elencate dall'art.
2195:
- Attività industriale diretta alla produzione di beni o servizi (imprese industriali);
- Attività intermediarie nella circolazione dei beni (commercio);
- Attività di trasporto;
- Attività bancarie o assicurative.
Dovrà essere considerata commerciale ogni impresa che non sia qualificabile come agricola.
B) Piccolo imprenditore
È sottoposto allo statuto generale dell'imprenditore, ma è esonerato, anche se esercita attività commerciale,
dalla tenuta delle scritture contabili e dall'assoggettamento al fallimento. Sono piccoli imprenditori i
coltivatori diretti del fondo, gli artigiani, i piccoli commercianti e coloro che esercitano un'attività
professionale in cui sia prevalente il lavoro proprio e/o dei componenti della propria famiglia rispetto al
lavoro altrui e ai capitali utilizzati (art. 2083). In base all'attuale disciplina non è soggetto al fallimento
l'imprenditore commerciale che dimostri il possesso congiunto dei seguenti requisiti:
Investimenti per trecentomila euro;
Ricavi lordi per duecentomila euro;
Debiti (anche non scaduti) non superiori a cinquecentomila.
Queste cifre vengono calcolate nella media di tre anni (per adeguarle alla svalutazione monetaria). Basta il
superamento di un solo parametro per essere esposti al fallimento.
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Diritto Commerciale 11. La definizione dell'impresa artigiana
La definizione dell'impresa artigiana è basata:
Sull'oggetto dell'impresa, che può essere costituito da qualsiasi attività di produzione di beni (anche
semilavorati) o di prestazioni di servizi;
Sul ruolo dell'artigiano nell'impresa, si richiede in particolare che egli svolga in misura prevalente il proprio
lavoro, anche manuale, nel processo produttivo, ma non che il suo lavoro prevalga sui fattori produttivi.
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Diritto Commerciale 12. L'impresa familiare
È l'impresa nella quale collaborano il coniuge, i parenti (fino ai nipoti) e gli affini (fino ai cognati)
dell'imprenditore: la c.d. famiglia nucleare (art. 230). Non necessariamente l'impresa familiare è una piccola
impresa. Il legislatore ha predisposto una tutela minima del lavoro familiare nell'impresa al fine di evitare
abusi e ingiustizie largamente diffuse nel passato: sono quindi riconosciuti diritti sia sul piano patrimoniale
(diritto al mantenimento, diritto alla partecipazione agli utili dell'impresa, diritto sui beni acquistati con gli
utili, diritto di prelazione in caso di trasferimento dell'azienda) sia sul piano amministrativo (decisioni di
particolare rilievo -impiego degli utili e degli incrementi, cessazione dell'impresa,…- prese a maggioranza
dai familiari). Il diritto di partecipazione è trasferibile solo a favore degli altri membri della famiglia
nucleare e con il consenso unanime dei familiari già partecipanti. L'imprenditore ha la proprietà esclusiva
dei beni aziendali e il compito di provvedere alla gestione ordinaria. L'imprenditore agisce nei confronti di
terzi in proprio e solo lui sarà responsabile verso questi delle relative obbligazioni di contratto. Se l'impresa
è commerciale sarà esposto al fallimento.
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Diritto Commerciale 13. L'impresa societaria
La società semplice è utilizzabile solo per l'esercizio di attività non commerciale. Le società commerciali
possono essere imprenditori agricoli o imprenditori commerciali a seconda dell'attività esercitata.
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Diritto Commerciale 14. Le imprese pubbliche
Attività d'impresa può essere svolta anche dallo Stato e dagli altri enti pubblici. Ciò è possibile in tre diverse
forme:
Servendosi di strutture di diritto privato (società, generalmente per azioni: è il caso delle società a
partecipazione statale);
Enti di diritto pubblico che svolgono attività d'impresa (sono sottoposti allo statuto generale
dell'imprenditore, con una solo eccezione: l'esonero dal fallimento);
Svolgendo direttamente attività d'impresa avvalendosi di proprie strutture organizzative (es. le aziende
municipalizzate che erogano pubblici servizi come acqua, gas e trasporti).
Dal 1990 quasi tutti gli enti pubblici economici sono stati trasformati in società per azioni a partecipazione
statale (privatizzazione formale); in tempi più recenti è stata avviata la dismissione delle partecipazione
pubbliche di controllo (privatizzazione sostanziale).
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Diritto Commerciale 15. Attività commerciale delle associazioni e delle fondazioni
Le associazioni e le fondazioni possono svolgere attività d'impresa. Infatti per aversi impresa è sufficiente
che l'attività sia svolta con metodo economico e non necessariamente perseguendo un lucro. Questo
presupposto è in linea anche se si tratta di un ente con finalità ideale. L'ente resta sottoposto a tutte le
conseguenze dell'impresa commerciale, fallimento compreso. Può essere svolta in modo esclusivo (es.
fondazione costituita per lo svolgimento di attività editoriale) o accessorio (es. sindacato che gestisce una
casa editrice con la quale pubblica il materiale relativo all'attività del sindacato). Gli eventuali guadagni
devono essere necessariamente reinvestiti e l'attività d'impresa deve essere compatibile con la finalità ideale
dell'ente.
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Diritto Commerciale 16. L'impresa sociale
Possono acquisire la qualifica di impresa sociale tutte le organizzazioni private che esercitano in via stabile e
principale un'attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o servizi di
utilità sociale. È necessaria l'assenza dello scopo di lucro (gli utili devono essere impiegati per lo
svolgimento dell'attività statutaria o all'incremento del patrimonio dell'ente). Non è possibile disporre del
patrimonio del patrimonio dell'impresa e distribuire fondi o riserve a vantaggio di coloro che fanno parte
dell'organizzazione. In caso di cessazione dell'impresa, il patrimonio residuo è devoluto ad altre
organizzazioni secondo quanto previsto dallo statuto.
La responsabilità patrimoniale dei partecipanti è limitata.
Le imprese sociali sono assoggettate allo statuto dell'imprenditore commerciale ad eccezione del fallimento
(sostituito dalla liquidazione coatta amministrativa). Le imprese sociali si costituiscono per atto pubblico e
sono soggette alla vigilanza del Ministero del lavoro, che effettua periodiche ispezioni al fine di verificare la
presenza delle condizioni di riconoscimento.
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Diritto Commerciale 17. Esercizio diretto dell'attività d'impresa
Il criterio della spendita del nome stabilisce che è imprenditore il soggetto il cui nome è validamente speso
nell'attività d'impresa.
Il mandatario è un soggetto che agisce nell'interesse di un altro soggetto e può porre in essere i relativi atti
giuridici sia spendendo il proprio nome (mandato senza rappresentanza) sia spendendo il nome del
mandante, se questi gli ha conferito il potere di rappresentanza (mandato con rappresentanza). Mentre nel
mandato con rappresentanza gli atti posti in essere dal mandatario si producono direttamente nella sfera
giuridica del mandante, nel mandato senza rappresentanza il mandatario che agisce in proprio nome acquista
i diritti e assume gli obblighi derivanti dagli atti compiuti con i terzi. Quando gli atti d'impresa sono
compiuti tramite rappresentante (volontario o legale) l'imprenditore diventa il rappresentato e non il
rappresentante (anche nel caso in cui quest'ultimo abbia grandi poteri decisionali).
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Diritto Commerciale 18. Esercizio indiretto dell'attività d'impresa. L'imprenditore
occulto
È largamente diffuso l'esercizio dell'impresa tramite interposta persona. Uno è il soggetto che compie in
proprio nome i singoli atti d'impresa (il c.d. imprenditore palese o prestanome). Altro è il soggetto che
somministra al primo i necessari mezzi finanziari, dirige di fatto l'impresa e fa propri tutti i guadagni, pur
non palesandosi come imprenditore di fronte ai terzi (il c.d. imprenditore diretto o occulto). Poiché il
prestanome ha agito in proprio nome, ha acquistato la qualità di imprenditore commerciale: i creditori
potranno provocarne dunque il fallimento. È altrettanto vero che, data l'insufficienza del relativo patrimonio,
i creditori potranno ricavare ben poco dal fallimento del prestanome, con la conseguenza che il rischio
d'impresa non sarà sopportato dal reale dominus ma da questi è trasferito sui creditori (soprattutto su quelli
che non sono in grado di premunirsi contro il dissesto del prestanome, costringendo il reale interessato a
garantire personalmente i debiti contratti in proprio nome dal primo.
Esistono due modi per coinvolgere nel fallimento:
Con il potere gestorio chi esercita il potere deve rispondere degli atti compiuti (in alcuni casi anche con il
proprio patrimonio);
Teoria dell'imprenditore occulto: il comma 4 dell'art. 147 prevede che chi esercita il potere di direzione di
un'impresa se ne assume necessariamente anche il rischio e risponde delle relative obbligazioni con la
conseguenza che è responsabile verso i creditori assieme al prestanome e in caso di fallimento dell'impresa,
fallirebbe con lui.
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Diritto Commerciale 19. L'inizio dell'impresa
La qualità di imprenditore si acquista con l'effettivo inizio dell'esercizio dell'attività d'impresa. In
precedenza si riteneva che l'attività iniziasse con l'iscrizione nel registro delle imprese: questa regola è stata
abbandonata, in quanto avrebbe portato al fallimento le società cosiddette “dormienti” (società già costituite
ma che non hanno ancora iniziato la propria attività). Si è imprenditore anche durante la fase preliminare di
organizzazione in quanto è costituita da un insieme di atti di gestione indirizzati a un fine produttivo. Può
essere sufficiente anche un solo atto di organizzazione imprenditoriale (particolarmente qualificato) per
affermare che l'attività d'impresa è iniziata (es. società alberghiera che acquista un'area fabbricabile).
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Diritto Commerciale 20. La fine dell'impresa
La fine dell'impresa è di regola preceduta da una fase di liquidazione più o meno lunga, durante la quale
l'imprenditore completa i cicli produttivi iniziati, vende le giacenze di magazzino e gli impianti, licenzia i
dipendenti, definisce i rapporti pendenti. La fase liquidativa può ritenersi chiusa solo con la definitiva
disgregazione del complesso aziendale, che rende definitiva e irrevocabile la cessazione.
L'art.10 della legge fallimentare dispone che gli imprenditori possono essere dichiarati falliti entro un anno
dalla cancellazione dal registro delle imprese, se l'insolvenza si è manifestata anteriormente alla medesima o
entro l'anno successivo. Per ragioni di certezza del diritto, si presume che al momento della cancellazione
l'attività d'impresa sia già terminata, ma il creditore o il pubblico ministero possono provare il contrario per
ottenere la cancellazione di fallimento del debitore dopo l'anno dalla cancellazione della stessa.
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Diritto Commerciale 21. Incapacità e incompatibilità nell'attività di impresa
La capacità all'esercizio di attività d'impresa si acquista con la piena capacità di agire e quindi al
compimento del diciottesimo anno di età. Si perde in seguito a interdizione o a inabilitazione. Il minore o
l'incapace che esercita attività di impresa non acquista la qualità di imprenditore.
L'incompatibilità si ha con il divieto di esercizio di impresa commerciale posto a carico di coloro che
esercitano determinati uffici o professioni (ad es. impiegati dello Stato, avvocati, notai). La violazione di tali
divieti non impedisce l'acquisto della qualità di imprenditore commerciale, ma espone solo a sanzioni
amministrative e ad un aggravamento delle sanzioni penali per bancarotta in caso di fallimento.
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Diritto Commerciale 22. L'impresa commerciale degli incapaci
È possibile l'esercizio di attività d'impresa per conto di un incapace da parte di rispettivi rappresentanti legali
(osservando delle disposizioni dettate al riguardo). Non è possibile iniziare una nuova impresa commerciale
in nome e nell'interesse dell'incapace, ma è consentita solo la continuazione dell'esercizio di un'impresa
commerciale preesistente (salvo che per il minore emancipato). La continuazione dell'attività di impresa
deve essere utile per l'incapace e autorizzata dal tribunale. Chi ha la rappresentanza legale del minore o
dell'interdetto, può compiere tutti gli atti che rientrano nell'esercizio dell'impresa. L'inabilitato, in seguito
all'autorizzazione, può esercitare personalmente l'impresa assistito dal curatore.
Il minore emancipato può essere autorizzato dal tribunale ad iniziare una nuova impresa commerciale,
acquistando la piena capacità di agire.
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Diritto Commerciale 23. La pubblicità delle imprese commerciali
Il mercato richiede informazioni veritiere e non contestabili su fatti e situazioni delle imprese con cui entra
in contatto. Per le imprese commerciali questa esigenza è soddisfatta con l'introduzione di un sistema di
pubblicità legale. È cioè previsto l'obbligo di rendere di pubblico dominio determinati atti o fatti relativi alla
vita dell'impresa, così da rendere le informazioni accessibili ai terzi interessati (pubblicità notizia) ed
opponibili a chiunque (conoscibilità legale). Il registro delle imprese è lo strumento di pubblicità legale
previsto dal codice del 1942. Il nuovo registro delle imprese è stato istituito nel 1993 (operativo dal ‘97) ed è
l'unico strumento di pubblicità legale delle imprese commerciali. Inoltre è anche strumento di informazione
sui dati organizzativi di tutte le altre imprese (imprese agricole, piccole, società semplici). Il registro delle
imprese è tenuto con tecniche informatiche.
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Diritto Commerciale 24. Il registro delle imprese
Il registro delle imprese è istituito in ciascuna provincia presso la camera di commercio. L'attività è svolta
sotto la vigilanza di un giudice.
Il registro è articolato in una sezione ordinaria e in tre sezioni speciali.
Nella sezione ordinaria sono iscritti gli imprenditori (non agricoli) per i quali l'iscrizione produce effetti di
pubblicità legale (imprenditori commerciali).
Le sezioni speciali sono tre:
In una sono iscritti gli imprenditori che secondo il codice civile ne erano esonerati (imprenditori agricoli
individuali, piccoli imprenditori, società semplici).
La seconda sezione accoglie le società tra professionisti, la cui iscrizione assolve la funzione di pubblicità
notizia.
La terza è dedicata alla pubblicità dei legami di gruppo. Vi si indicano le società o gli enti che esercitano
attività di direzione e coordinamento e quelle che vi sono soggette.
I fatti e gli atti da registrare riguardano gli elementi di individuazione dell'imprenditore e dell'impresa (dati
anagrafici dell'imprenditore, ditta, oggetto, sede, inizio e fine dell'attività, …) e la struttura organizzativa
della società (atto costitutivo e sue modificazioni, nomina e revoca degli amministratori, …).
L'iscrizione è eseguita su domanda dell'interessato, ma può avvenire anche di ufficio se l'iscrizione è
obbligatoria e l'interessato non vi provvede.
Prima di procedere all'iscrizione, l'ufficio del registro deve controllare che la documentazione è formalmente
regolare, nonché l'esistenza e la veridicità dell'atto o del fatto.
L'inosservanza dell'obbligo di registrazione è punita con sanzioni pecuniarie amministrative.
L'iscrizione nella sezione ordinaria ha funzione di pubblicità legale. Di regola l'iscrizione ha efficacia
semplicemente dichiarativa. I fatti e gli atti soggetti a iscrizione e iscritti sono opponibili a chiunque dal
momento della loro registrazione (efficacia positiva immediata). L'omessa iscrizione impedisce che il fatto
possa essere opposto a terzi (efficacia negativa).
In alcune ipotesi l'iscrizione è presupposto affinché l'atto sia produttivo di effetti, sia fra le parti che per i
terzi, o solo nei confronti dei terzi.
In altri casi l'iscrizione è presupposto per la piena applicazione di un determinato regime giuridico (efficacia
normativa).
L'iscrizione nella sezione speciale ha di regola solo funzione di pubblicità notizia (non è di per sé opponibile
ai terzi). È stato stabilito con un decreto del 2001 che l'iscrizione degli imprenditori agricoli e delle società
semplici nella sezione speciale ha efficacia di pubblicità legale.
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Diritto Commerciale 25. L'obbligo di tenuta delle scritture contabili
Le scritture contabili sono i documenti che contengono la rappresentazione, in termini quantitativi e/o
monetari, dei singoli atti d'impresa, della situazione del patrimonio dell'imprenditore e del risultato
economico dell'attività. Di regola sono tenute spontaneamente dall'imprenditore (è un obbligo per
l'imprenditore che esercita attività commerciale, con l'esclusione dei piccoli imprenditori). Nella legislazione
tributaria quest'obbligo è esteso anche ai liberi professionisti.
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Diritto Commerciale 26. Le scritture contabili obbligatorie
La norma pone il principio generale che l'imprenditore deve tenere tutte le scritture contabili che siano
richieste dalla natura e dalle dimensioni dell'impresa. In ogni caso devono essere tenuti determinati libri
contabili: il libro giornale (registro cronologico-analitico in cui vengono indicate giorno per giorno le
operazioni relative all'esercizio dell'impresa) e libro degli inventari (registro periodico-sistematico redatto
all'inizio dell'esercizio dell'impresa e successivamente ogni anno; fornisce il quadro della situazione
patrimoniale dell'imprenditore e si chiude con il bilancio e il conto dei profitti e delle perdite). Dal bilancio
devono risultare con evidenza e verità la situazione complessiva del patrimonio (stato patrimoniale) alla fine
di ciascun anno, nonché gli utili conseguiti o le perdite sofferte (conto economico) nel medesimo arco di
tempo.
Altre scritture sono: libro mastro (operazioni registrate sistematicamente), libro cassa (entrate e uscite di
denaro), libro magazzino (entrate e uscite di merci).
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Diritto Commerciale 27. Regolarità delle scritture contabili. Efficacia probatoria
Per garantire la veridicità delle scritture contabili è imposta l'osservanza di determinate regole formali e
sostanziali nella loro tenuta. Tutte le scritture contabili devono essere poi tenute secondo le norme di
un'ordinata contabilità (senza spazi in bianco, senza interlinee, senza abrasioni e in modo che le parole
cancellate restino leggibili). L'inosservanza di tali regole rende le scritture irregolari e quindi giuridicamente
irrilevanti. L'imprenditore che non tiene regolarmente le scritture contabili non può utilizzarle come mezzo
di prova a suo favore.
Le scritture contabili, siano o meno regolarmente tenute, possono sempre essere utilizzate dai terzi come
mezzo processuale di prova contro l'imprenditore che le tiene (il terzo non può avvalersi solo della parte a
lui favorevole).
L'imprenditore può utilizzare le proprie scritture contabili come mezzo processuale di prova contro i terzi.
Sono necessarie tre condizioni (1- scritture regolarmente tenute; 2- la controparte deve essere un
imprenditore obbligato alla tenuta delle scritture contabili; 3- la controversia è relativa a rapporti inerenti
all'esercizio dell'impresa).
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Diritto Commerciale 28. Ausiliari dell'imprenditore commerciale e rappresentanza
Di regola l'imprenditore si avvale della collaborazione di altri soggetti. Possono essere collaboratori interni,
cioè soggetti stabilmente inseriti all'interno della struttura aziendale per effetto di un rapporto di lavoro
subordinato che li lega all'imprenditore. Oppure possono essere soggetti esterni all'organizzazione
imprenditoriale che collaborano con l'imprenditore in modo occasionale o stabile attraverso mandato,
commissione, spedizione, agenzia,… (collaboratori esterni). Per la posizione rivestita nell'organizzazione
aziendale, institori, procuratori e commessi sono automaticamente investiti del potere di rappresentanza
dell'imprenditore (il loro potere costituisce un effetto naturale di quella determinata collocazione
nell'impresa ad opera dell'imprenditore). Chi conclude affari con uno di questi ausiliari dell'imprenditore
commerciale dovrà solo verificare se l'imprenditore ha modificato (con atto espresso e reso pubblico) i loro
naturali poteri amministrativi.
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Diritto Commerciale 29. La figura dell'instintore
È institore colui che è preposto dal titolare all'esercizio dell'impresa o di una sede secondaria o di un ramo
particolare della stessa (è il direttore generale dell'impresa o di una filiale o di un settore produttivo). È un
lavoratore subordinato con la qualifica di dirigente, posto al vertice della gerarchia del personale (vertice
assoluto se è preposto all'intera impresa: in tal caso dipenderà solo dall'imprenditore, solo da lui riceverà
direttive e solo a lui dovrà rendere conto del suo operato).
L'institore è tenuto, congiuntamente con l'imprenditore, all'adempimento degli obblighi di iscrizione al
registro delle imprese e di tenuta delle scritture contabili. In caso di fallimento dell'imprenditore troveranno
applicazione anche nei confronti dell'institore le sanzioni penali a carico del fallito.
Ha anche un generale potere di rappresentanza, sia sostanziale che processuale. Per quanto riguarda quella
sostanziale, l'institore può compiere in nome dell'imprenditore, anche in mancanza di espressa procura, tutti
gli atti pertinenti all'esercizio dell'impresa (gli è espressamente vietato di alienare i beni immobili del
preponente).
Per quanto riguarda poi la rappresentanza processuale, l'institore può stare in giudizio, sia come attore
(rappresentanza processuale attiva), sia come convenuto (rappresentanza processuale passiva) per le
obbligazioni dipendenti da atti compiuti nell'esercizio dell'impresa a cui è preposto.
I poteri rappresentativi dell'institore possono essere ampliati o limitati dall'imprenditore (le limitazioni
saranno opponibili ai terzi solo se la procura originaria o il successivo atto di limitazione siano stati
pubblicati nel registro delle imprese). Anche la revoca della procura è opponibile ai terzi solo se pubblicata.
Come ogni rappresentante, l'institore deve rendere palese (spendendo il nome del rappresentato) al terzo con
cui contratta, tale sua veste, affinché l'atto compiuto e i relativi effetti ricadano direttamente sul
rappresentato.
In caso di danno del terzo, risponderanno nei suoi confronti solidalmente sia l'institore sia il preponente.
Sarà poi questione interna a costoro stabilire su chi debba realmente ricadere il peso del debito e il
regolamento dei reciproci rapporti.
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Diritto Commerciale 30. Ruolo dei procuratori
I procuratori sono coloro che, in base ad un rapporto continuativo, abbiano il potere di compiere per
l'imprenditore gli atti pertinenti all'esercizio dell'impresa pur non essendo preposti ad esso. Sono ausiliari
subordinati di grado inferiore rispetto all'institore, poiché non sono posti a capo dell'impresa o di sedi
secondarie e il loro potere decisionale è circoscritto ad un determinato settore operativo dell'impresa (es.
direttore del settore acquisti, dirigente del personale,…). Il procuratore non ha la rappresentanza processuale
dell'imprenditore. L'imprenditore non risponde degli atti compiuti dal procuratore senza spendita del nome
dell'imprenditore stesso, anche se pertinenti all'esercizio dell'impresa.
Alexandra Bozzanca Sezione Appunti
Diritto Commerciale 31. Definizione di commessi
Sono ausiliari subordinati cui sono affidate mansioni esecutive o materiali che le pongono in contatto con i
terzi (es. commesso di negozio, impiegato di banca addetto agli sportelli, cameriere,…). Il loro potere è più
limitato rispetto a quello di institori e procuratori: possono compiere gli atti che ordinariamente comporta la
specie di operazioni di cui sono incaricati. Non possono modificare le condizioni generali di vendita, non
possono concedere sconti. L'imprenditore può limitare o ampliare tali poteri.
Alexandra Bozzanca Sezione Appunti
Diritto Commerciale 32. La nozione di azienda. Organizzazione ed avviamento
L'azienda è il complesso dei beni organizzati dall'imprenditore per l'esercizio dell'impresa (art. 2555). È
quindi l'apparato strumentale (locali, macchinari, merci,…) di cui si avvale l'imprenditore per lo
svolgimento e nello svolgimento della propria attività. Non possono essere perciò considerati beni aziendali
i beni di proprietà dell'imprenditore che non siano da questi effettivamente destinati allo svolgimento
dell'attività d'impresa. Viceversa la qualifica di bene aziendale compete anche ai beni di proprietà di terzi di
cui l'imprenditore può disporre purché attualmente impiegati nell'attività d'impresa (locali in affitto o
macchinario in leasing).
I beni organizzati ad azienda consentono la produzione di utilità nuove, diverse e maggiori di quelle ricavate
dai singoli beni isolatamente considerati. Il rapporto di strumentalità e di complementarietà fra i singoli
elementi costitutivi dell'azienda fa si che il complesso unitario acquisti di regola un valore di scambio
maggiore della somma dei valori dei singoli beni che in dato momento la costituiscono. Tale maggior valore
si definisce avviamento:
L'avviamento oggettivo è quello ricollegabile a fattori che permangono anche se muta il titolare dell'azienda,
in quanto insiti nel coordinamento esistente dei diversi beni (capacità di un complesso industriale di
consentire una produzione a costi competitivi sul mercato);
L'avviamento soggettivo è quello dovuto all'abilità operativa dell'imprenditore sul mercato ed in particolare
alla sua abilità nel formarsi, conservare e accrescere la clientela.
Alexandra Bozzanca Sezione Appunti
Diritto Commerciale 33. La circolazione dell'azienda. Oggetto e forma
È importante stabilire in concreto se un determinato atto di disposizione dell'imprenditore sia da qualificare
come trasferimento di azienda o come trasferimento dei singoli beni aziendali. La distinzione non è sempre
agevole, soprattutto quando l'atto di disposizione comprende solo parte dei beni aziendali.
Per aversi trasferimento d'azienda non è necessario che l'atto di disposizione comprenda l'intero complesso
aziendale. È necessario, ma al tempo stesso sufficiente, che sia trasferito un insieme di beni potenzialmente
idoneo a essere utilizzato per l'esercizio di una determinata attività d'impresa.
I contratti che hanno per oggetto il trasferimento della proprietà o la concessione in godimento dell'azienda
sono validi se stipulati con l'osservanza delle forme stabilite dalla legge per il trasferimento dei singoli beni
che compongono l'azienda o per la particolare natura del contratto.
Alexandra Bozzanca Sezione Appunti
Diritto Commerciale 34. La vendita dell'azienda. Il divieto di concorrenza dell'alienante
Chi aliena un'azienda commerciale deve astenersi, per un periodo massimo di cinque anni dal trasferimento,
dall'iniziare una nuova impresa che possa comunque, per l'oggetto, l'ubicazione o altre circostanza, sviare la
clientela dall'azienda ceduta (se viene pattuito un termine superiore, tale termine viene ricondotto ai cinque
anni). La norma tutela due opposte esigenze. Quella dell'acquirente dell'azienda di trattenere la clientela
dell'impresa e quindi di godere dell'avviamento (soggettivo), del quale di regola si è tenuto conto nella
pattuizione del prezzo di vendita. Quella dell'alienante a non vedere compromessa la propria libertà di
iniziativa economica oltre un determinato arco di tempo (legislativamente ritenuto) sufficiente per
consentire all'acquirente di consolidare la propria clientela.
Il divieto di concorrenza è derogabile e ha carattere relativo: sussiste nei limiti in cui la nuova attività
d'impresa dell'alienante sia potenzialmente idonea a sottrarre clientela all'azienda ceduta.
Alexandra Bozzanca Sezione Appunti
Diritto Commerciale 35. La successione nei contratti aziendali
La disciplina del trasferimento dell'azienda si preoccupa di favorire il mantenimento dell'unità economica
della stessa. A tal fine è agevolato il subingresso dell'acquirente nei rapporti contrattuali in corso di
esecuzione che l'alienante ha stipulato con fornitori, finanziatori, lavoratori e clienti, per assicurarsi i fattori
produttivi necessari allo svolgimento dell'attività d'impresa, nonché per dare sbocco ai suoi prodotti.
È infatti previsto che, se non è pattuito diversamente, l'acquirente dell'azienda subentra nei contratti stipulati
per l'esercizio dell'azienda stessa che non abbiano carattere personale. Al terzo contraente è riconosciuto il
diritto di recedere dal contratto entro tre mesi dalla notizia del trasferimento, se sussiste una giusta causa.
Nella cessione dei contratti inerenti all'esercizio dell'impresa, il consenso del terzo contraente non è più
necessario per il trasferimento del contratto. Se il terzo decide di avvalersi del diritto di recesso può
richiedere un risarcimento danni all'alienante dimostrando che questi non ha osservato la normale cautela
nella scelta dell'acquirente dell'azienda.
Nei contratti che hanno carattere personale sono necessari sia un'espressa pattuizione contrattuale fra
alienante e acquirente dell'azienda, sia il consenso del contraente ceduto ai fini del trasferimento.
Alexandra Bozzanca Sezione Appunti
Diritto Commerciale 36. I crediti e i debiti aziendali
Nella successione dei crediti aziendali, la notifica al debitore ceduto o l'accettazione da parte di questi è
sostituita da una sorta di notifica collettiva: l'iscrizione del trasferimento dell'azienda nel registro delle
imprese. Da tale momento la cessione dei crediti relativi all'azienda ceduta ha effetto nei confronti dei terzi.
Tuttavia se il debitore ceduto paga in buona fede l'alienante è liberato.
Per quanto riguarda i debiti è invece necessario il consenso del creditore: l'alienante non è infatti liberato se
non risulta che i creditori vi hanno consentito.
Nel trasferimento di un'azienda commerciale risponde dei debiti suddetti anche l'acquirente dell'azienda, se
essi risultano dai libri contabili obbligatori.
Per quanto riguarda i debiti di lavoro, risponde l'acquirente dell'azienda, in solido con l'alienante, anche se
non risultano dalle scritture contabili.
Secondo gli orientamenti più recenti, crediti e debiti non passano automaticamente in testa all'acquirente, ma
è necessaria a tal fine un'espressa pattuizione.
Alexandra Bozzanca Sezione Appunti
Diritto Commerciale 37. Usufrutto e affitto dell'azienda
La costituzione in usufrutto di un complesso di beni destinati allo svolgimento di attività d'impresa comporta
il riconoscimento in testa all'usufruttario di particolari poteri-doveri. E ciò sia per consentire all'usufruttuario
di operare liberamente nella gestione dell'impresa, sia per tutelare l'interesse del concedente a che non sia
menomata l'efficienza del complesso aziendale. L'usufruttuario può godere dei beni aziendali e ha il potere
di disporne nei limiti segnati dalle esigenze della gestione; può inoltre acquistare e immettere nell'azienda
nuovi beni.
Al termine dell'usufrutto, l'azienda sarà composta in tutto o in parte da beni diversi da quelli originari; è
pertanto prevista la redazione di un inventario all'inizio e alla fine dell'usufrutto, in modo da regolare la
differenza fra le due consistenze in denaro.
L'affitto di azienda è un contratto che ha ad oggetto un complesso di beni organizzati, eventualmente
comprensivo dell'immobile (e quindi diverso dalla locazione di un immobile destinato all'esercizio di attività
d'impresa).
Il nudo proprietario e il locatore sono tenuti a non iniziare una nuova impresa idonea a sviare la clientela per
la durata dell'usufrutto e dell'affitto. Inoltre nei debiti aziendali anteriori alla costituzione dell'usufrutto o
dell'affitto risponderanno esclusivamente il nudo proprietario o il locatore.
Alexandra Bozzanca Sezione Appunti
Diritto Commerciale 38. Il sistema dei segni distintivi: la ditta, l'insegna e il marchio
In un mercato che vede la coesistenza di più imprenditori, i quali producono beni o servizi identici o
similari, ricopre una grande importanza il sistema dei segni distintivi (la ditta, l'insegna e il marchio). Questi
permettono ai consumatori di identificare con precisione l'imprenditore e quindi di operare scelte
consapevoli.
Gli imprenditori sono tutelati dal divieto di precludere ai concorrenti l'uso di segni similari idonei a sviare la
propria clientela. Inoltre possono cedere ad altri i propri segni distintivi, monetizzando l'autonomo valore
economico.
I segni distintivi rispondono anche all'interesse dei terzi che entrano in contatto con l'azienda a non essere
tratti in inganno sull'identità dell'imprenditore. In questo modo si garantisce uno svolgimento ordinato e
leale della competizione concorrenziale.
In generale l'imprenditore:
gode di ampia libertà nella formazione dei propri segni distintivi;
ha diritto all'uso esclusivo dei propri segni distintivi;
può trasferire ad altri i propri segni distintivi.
Alexandra Bozzanca Sezione Appunti
Diritto Commerciale 39. Formazione e contenuto del diritto sulla ditta
La ditta è il nome commerciale dell'imprenditore; in mancanza di diversa scelta corrisponde col nome e
cognome civile dell'imprenditore, ma può essere liberamente stabilita.
La ditta originaria è quella formata dall'imprenditore che la utilizza. Deve contenere il cognome o la sigla
dell'imprenditore.
La ditta derivata è quella formata da un imprenditore e successivamente trasferita ad altro imprenditore
insieme all'azienda.
Il principio della novità stabilisce che la ditta non deve essere uguale o simile a quella usata da altro
imprenditore e tale da creare confusione per l'oggetto dell'impresa o per il luogo in cui questa è esercitata
(chi successivamente adotti ditta uguale o simile può essere costretto a modificarla con indicazioni idonee a
differenziarla).
L'obbligo di differenziazione esiste soltanto tra imprenditori che si trovano in un rapporto concorrenziale.
La ditta si può trasferire solo insieme all'azienda.
Alexandra Bozzanca Sezione Appunti
Diritto Commerciale 40. Nozione e funzioni del marchio
Il marchio è il segno distintivo dei prodotti o dei servizi dell'impresa. Alcuni marchi producono effetti
soltanto a livello nazionale (marchio nazionale), altri a livello europeo (marchio comunitario).
Il marchio non è un segno distintivo essenziale; ha la importante funzione di riconoscere con facilità i
prodotti provenienti da una determinata fonte di produzione e svolge un'importante funzione nella
formazione e nel mantenimento della clientela.
Alcuni marchi celebri godono di una tutela speciale: ad es. non possono essere riportati nemmeno su
prodotti differenti da quelli cui il marchio si riferisce.
Alexandra Bozzanca Sezione Appunti
Diritto Commerciale 41. I tipi di marchio
È possibile che alcuni beni possono riportare più marchi di fabbrica in quanto subiscono successive fasi di
lavorazione o risultano dall'assemblaggio di parti distintamente prodotte. Il marchio può anche essere
apposto dal commerciante.
Il marchio può essere utilizzato anche da imprese che producono servizi (ad es. a scopo pubblicitario).
L'imprenditore può utilizzare un solo marchio per tutti i prodotti (marchio generale), ma può anche servirsi
di più marchi. È possibile l'uso contemporaneo di un marchio generale e di più marchi speciali (ad es. Fiat
500, Fiat Punto, ecc…).
Il marchio può essere costituito solo da parole, da figure o da suoni.
Può anche essere costituito dalla forma del prodotto.
Un tipo particolare di marchio è quello collettivo che svolge la funzione di garantire l'origine, la natura o la
qualità di determinati prodotti o servizi, il titolare del marchio non usa il marchio, ma concede l'utilizzo del
marchio.
Alexandra Bozzanca Sezione Appunti
Diritto Commerciale 42. I requisiti di validità del marchio
Il marchio deve rispondere ai requisiti di liceità, verità, originalità, novità.
Liceità: non può contenere segni contrari alla legge, all'ordine pubblico o al buon costume, stemmi o altri
segni protetti da convenzioni internazionali.
Verità: non è possibile inserire nel marchio segni idonei ad ingannare il pubblico, in particolare sulla
provenienza geografica, sulla natura o sulla qualità dei prodotti o servizi.
Originalità: il marchio deve essere originale. Non possono essere utilizzate le denominazioni generiche, le
indicazioni descrittive dei caratteri essenziali e della provenienza geografica del prodotto, i segni divenuti di
uso comune.
Novità: non deve essere già stato utilizzato da un imprenditore dello stesso settore produttivo.
Il difetto di questi requisiti comporta la nullità del marchio, ma sono previste due eccezioni:
la nullità del marchio per difetto di nullità non può essere dichiarata quando chi ha richiesto la registrazione
non era in mala fede ed il titolare del marchio abbia tollerato l'uso per 5 anni, questo è l'istituto della
convalida del marchio;
la nullità del marchio per difetto di originalità non può essere dichiarata quando a seguito dell'uso che ne è
stato fatto ha acquistato capacità distintiva prima della proposizione della domanda.
Alexandra Bozzanca Sezione Appunti
Diritto Commerciale 43. Il marchio registrato
La registrazione attribuisce al titolare del marchio il diritto all'uso esclusivo dello stesso su tutto il territorio
nazionale.
Il diritto di esclusiva sul marchio copre tutti i prodotti di fatto destinati alla stessa clientela (non impedisce
però che altro imprenditore registri o usi lo stesso marchio per prodotti del tutto diversi).
L'uso di marchi celebri, dotati di forte capacità attrattiva e suggestiva (es. Coca-Cola), da parte di altri
imprenditori, anche per merci del tutto diverse, oltre a costituire usurpazione dell'altrui fama, può facilmente
determinare equivoci sulla reale fonte di produzione: seguono conseguenze particolarmente gravi per il
titolare del marchio e per il pubblico.
Il diritto di esclusiva sul marchio registrato decorre dalla data di presentazione della relativa domanda
all'ufficio brevetti (il titolare è perciò tutelato ancor prima di utilizzarlo, ad es. nella fase di lancio
pubblicitario). La registrazione nazionale dura dieci anni ed è rinnovabile per un numero illimitato di volte,
sempre con efficienza decennale.
Costituisce causa di decadenza:
- la volgarizzazione del marchio (è divenuto nel commercio denominazione generica di quel dato prodotto).
- sopravvenuta ingannevolezza del marchio;
- mancata utilizzazione entro 5 anni dalla registrazione;
- se il titolare del marchio collettivo omette i controlli previsti dalle disposizioni che ne regolano l'uso.
Il marchio registrato è tutelato civilmente e penalmente: il titolare del marchio, il cui diritto di esclusiva sia
stato leso da un concorrente, può promuovere contro questi l'azione di contraffazione, volta ad ottenere
l'inibitoria alla continuazione degli atti lesivi del proprio diritto e la rimozione degli effetti stessi, attraverso
la distruzione delle cose materiali per mezzo delle quali è stata attuata la contraffazione. Può essere richiesto
dal titolare del marchio il risarcimento dei danni.
Il marchio è trasferibile e può essere trasferito sia a titolo definitivo, sia a titolo temporaneo la cd licenza di
marchio.
Alexandra Bozzanca Sezione Appunti
Diritto Commerciale 44. Caratteristiche dell'insegna
L'insegna contraddistingue i locali dell'impresa o l'intero complesso aziendale. L'insegna:
-non potrà essere uguale o simile a quella già utilizzata da un altro imprenditore concorrente (novità);
-dovrà essere lecita;
-non dovrà contenere indicazioni idonee a trarre in inganno il pubblico circa l'attività o i prodotti
(veridicità);
-dovrà avere sufficiente capacità distintiva (originalità).
Alexandra Bozzanca Sezione Appunti
Diritto Commerciale 45. Concorrenza perfetta e monopolio
Contemporanea presenza sul mercato di numerose imprese in competizione tra loro, nessuna delle quali sia
singolarmente in grado di condizionare il prezzo delle merci vendute. Questo è il modello ideale di
funzionamento del mercato: la concorrenza perfetta (ideale perché spinge verso una riduzione dei costi e dei
prezzi di vendita; assicura la naturale eliminazione dal mercato delle imprese meno competitive; stimola il
progresso tecnologico e l'accrescimento dell'efficienza produttiva).
La concorrenza perfetta è appunto solo un modello ideale e teorico. Nei settori strategici della produzione la
tendenza è verso un regime di mercato sempre più lontano dalla concorrenza perfetta. Si vengono così
spesso a creare situazioni di oligopolio (mercato caratterizzato dal controllo dell'offerta da parte di poche
grandi imprese). Gli imprenditori riescono a sfruttare questa situazione stipulando intese volte a limitare la
reciproca concorrenza, arrivando anche al punto da controllare l'intera offerta di un dato prodotto
(monopolio di fatto).
La salvaguardia del regime di concorrenza non può prescindere da una preclusione delle situazioni limitative
della concorrenza, che vanno tenute sotto controllo per evitare che degenerino in situazioni monopolistiche.
La legge italiana:
consente limitazioni legali della libertà di concorrenza per fini di utilità sociale ed anche la creazione di
monopoli legali in specifici settori di interesse generale;
consente limitazioni negoziali della concorrenza;
assicura l'ordinato e corretto svolgimento della concorrenza attraverso la repressione degli atti di
concorrenza sleale.
Per lungo tempo il sistema italiano della concorrenza è stato sprovvisto di una normativa antimonopolistica.
Questo vuoto è stato colmato dalla legge 287/1990, recante norme per la tutela della concorrenza del
mercato.
Alexandra Bozzanca Sezione Appunti
Diritto Commerciale 46. La legislazione antimonopolistica
Contemporanea presenza sul mercato di numerose imprese in competizione tra loro, nessuna delle quali sia
singolarmente in grado di condizionare il prezzo delle merci vendute. Questo è il modello ideale di
funzionamento del mercato: la concorrenza perfetta (ideale perché spinge verso una riduzione dei costi e dei
prezzi di vendita; assicura la naturale eliminazione dal mercato delle imprese meno competitive; stimola il
progresso tecnologico e l'accrescimento dell'efficienza produttiva).
La concorrenza perfetta è appunto solo un modello ideale e teorico. Nei settori strategici della produzione la
tendenza è verso un regime di mercato sempre più lontano dalla concorrenza perfetta. Si vengono così
spesso a creare situazioni di oligopolio (mercato caratterizzato dal controllo dell'offerta da parte di poche
grandi imprese). Gli imprenditori riescono a sfruttare questa situazione stipulando intese volte a limitare la
reciproca concorrenza, arrivando anche al punto da controllare l'intera offerta di un dato prodotto
(monopolio di fatto).
La salvaguardia del regime di concorrenza non può prescindere da una preclusione delle situazioni limitative
della concorrenza, che vanno tenute sotto controllo per evitare che degenerino in situazioni monopolistiche.
La legge italiana:
consente limitazioni legali della libertà di concorrenza per fini di utilità sociale ed anche la creazione di
monopoli legali in specifici settori di interesse generale;
consente limitazioni negoziali della concorrenza;
assicura l'ordinato e corretto svolgimento della concorrenza attraverso la repressione degli atti di
concorrenza sleale.
Per lungo tempo il sistema italiano della concorrenza è stato sprovvisto di una normativa antimonopolistica.
Questo vuoto è stato colmato dalla legge 287/1990, recante norme per la tutela della concorrenza del
mercato.
La disciplina comunitaria è volta a preservare il regime concorrenziale del mercato comunitario e reprimere
le pratiche anticoncorrenziali che pregiudicano il commercio fra stati membri.
Questo principio è recepito anche dalla legislazione antimonopolistica italiana, volta a preservare il regime
concorrenziale del mercato nazionale e a reprimere i comportamenti anticoncorrenziali che incidono sul
mercato italiano.
Con la legge 287/1990 è stato istituita l'Autorità garante della concorrenza del mercato, che vigila sul
rispetto della normativa antimonopolistica generale, adotta i provvedimenti antimonopolistici necessari ed
irroga le sanzioni amministrative e pecuniarie previste dalla legge.
Alexandra Bozzanca Sezione Appunti
Diritto Commerciale 47. I fenomeni rilevanti per la disciplina antimonopolistica
Tre sono i fenomeni rilevanti per la disciplina antimonopolistica nazionale e comunitaria:
intese: comportamenti concordati tre imprese, anche attraverso organismi comuni, volti a limitare la propria
libertà di azione sul mercato. Sono vietate le intese che hanno per oggetto o per effetto di impedire,
restringere o falsare, in maniera consistente, il gioco della concorrenza all'interno del mercato (le intese
vietate sono nulle ad ogni effetto).
Abuso di posizione dominante: vietato è solo lo sfruttamento abusivo di tale posizione con comportamenti
capaci di pregiudicare la concorrenza effettiva. Ad un'impresa in posizione dominante è vietato di: imporre
prezzi o altre condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose; impedire o limitare la produzione, gli
sbocchi o gli accessi al mercato; applicare condizioni oggettivamente diverse per prestazioni equivalenti.
Oggi è vietato nell'ordinamento nazionale anche l'abuso dello stato di dipendenza economica nel quale si
trova un'impresa cliente o fornitrice rispetto ad un'altra anche in posizione non dominante sul mercato. Per
dipendenza economica s'intende la situazione in cui un'impresa sia in grado di determinare, nei rapporti
commerciali con un'altra impresa, un eccessivo squilibrio di diritti e di obblighi (valutata tenendo conto
anche delle reali possibilità per la parte che ha subito l'abuso di reperire sul mercato alternative
soddisfacenti);
Concentrazioni: si ha quando: due o più imprese si fondono dando così luogo ad un'unica impresa; due o più
imprese, pur restando giuridicamente distinte, diventano un'unica entità economica; due o più imprese
indipendenti costituiscono un'impresa societaria comune. Le concentrazioni diventano però illecite e vietate
quando danno luogo a gravi alterazioni del regime concorrenziale del mercato (solo per le concentrazioni di
grandi dimensioni). Se la concentrazione vietata viene ugualmente eseguita o se le imprese non si adeguano,
sono previste pesanti sanzioni pecuniarie inflitte dall'Autorità.
Alexandra Bozzanca Sezione Appunti
Diritto Commerciale 48. Limitazioni pubblicistiche delle concorrenza e monopoli legali
La libertà di iniziativa economica privata e la conseguente libertà di concorrenza sono libertà disposte
nell'interesse generale e non possono svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno
alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana.
L'interesse generale può legittimare la soppressione della libertà di concorrenza attraverso la costituzione di
monopoli pubblici (in settori predeterminati dalla stessa Costituzione: servizi pubblici, fonti di energia,…).
Quando la produzione di determinati beni o servizi è attuata in regime di monopolio legale, il legislatore si
preoccupa di tutelare gli utenti contro possibili comportamenti arbitrari del monopolista.
Per chi opera in regime di monopolio sono previsti due obblighi:
l'obbligo di contrarre con chiunque richieda le prestazioni;
obbligo di rispettare la parità di trattamento tra i diversi richiedenti.
Alexandra Bozzanca Sezione Appunti
Diritto Commerciale 49. Limitazioni convenzionali della concorrenza
La libertà individuale di iniziativa economica e di concorrenza è libertà parzialmente disponibile. Il patto
che limita la concorrenza deve essere approvato per iscritto, ed è valido solo se circoscritto ad un
determinato ambito territoriale o ad un determinato tipo di attività e ha una durata massima di cinque anni.
Costituiscono esempi classici di questo fenomeno i cartelli, i consorzi anticoncorrenziali, i contratti con i
quali più imprenditori possono prevedere impegni reciproci di vario tipo.
Alexandra Bozzanca Sezione Appunti
Diritto Commerciale 50. Libertà di concorrenza e disciplina della concorrenza
Nel perseguimento di questi obiettivi ciascun imprenditore gode di ampia libertà di azione e può porre in
essere le strategie che ritiene più proficue, non solo per attirare clienti ma anche per sottrarli alla
concorrenza. Infatti il danno che un imprenditore subisce a causa della sottrazione della clientela non è un
danno ingiusto e quindi non è risarcibile.
È necessario distinguere fra comportamenti concorrenziali leali e comportamenti sleali. Nello svolgimento
della competizione fra imprenditori concorrenti è vietato servirsi di mezzi e tecniche non conformi ai
principi della correttezza professionale; gli atti che non soddisfano questo requisito vengono considerati di
concorrenza sleale. La repressione e la sanzionabilità di questi atti dipende solamente dal fatto che l'atto sia
idoneo a danneggiare l'altrui azienda.
È tutelato anche l'interesse generale a che non vengano falsati gli elementi di valutazione e di giudizio del
pubblico e non siano tratti in inganno i destinatari finali della produzione: i consumatori. Per tutelare le
esigenze di questi è stata introdotta nel Codice del consumo una disciplina contro tutte le pratiche
commerciali scorrette (che possono indurre il consumatore medio ad assumere le decisioni commerciali che
altrimenti non avrebbe preso). Anche a questo scopo è stata introdotta una disciplina statale della pubblicità
ingannevole o comparativa.
Alexandra Bozzanca Sezione Appunti
Diritto Commerciale 51. Gli atti di concorrenza sleale
È atto di concorrenza sleale ogni atto idoneo a creare confusione con i prodotti o con l'attività di un
concorrente (art. 2598). Molteplici sono le tecniche o le pratiche che l'imprenditore può porre in atto per
realizzare la confondibilità dei propri prodotti e della propria attività con i prodotti e con l'attività di un
concorrente:
uso di nomi o segni distintivi idonei a produrre confusione con i nomi o con i segni distintivi legittimamente
usati da altri imprenditori concorrenti;
imitazione servile dei prodotti di un concorrente (riproduzione delle forme esteriori dei prodotti altrui).
La seconda vasta categoria di atti di concorrenza sleale comprende:
gli atti di denigrazione: diffondere notizie e apprezzamenti sui prodotti e sulle attività di un concorrente
idonei a determinarne il discredito;
appropriazione di pregi dei prodotti o delle imprese di un concorrente.
Esempio di concorrenza sleale per denigrazione è la pubblicità iperbolica con cui si tende ad accreditare
l'idea che il proprio prodotto sia il solo a possedere determinati pregi (non oggettivi) che invece vengono
implicitamente negati ai concorrenti.
Per quanto riguarda la pubblicità comparativa, la comparazione è lecita quando è fondata su dati veri e
oggettivamente verificabili, non genera confusione sul mercato e non comporta discredito o denigrazione del
concorrente.
La pubblicità menzognera è la falsa attribuzione ai propri prodotti di qualità o pregi non appartenenti ad
alcun concorrente (quindi non inquadrabile nella figura tipica dell'appropriazione di pregi).
Altre forme di concorrenza sleale sono:
concorrenza parassitaria (sistematica imitazione di prodotti, marchi, campagne pubblicitarie altrui, sia pure
con accorgimenti tali da evitare la piena confondibilità delle attività;
dumping (sistematica vendita sottocosto dei propri prodotti finalizzata alla eliminazione dei concorrenti);
storno di dipendenti (sottrazione ad un concorrente di dipendenti particolarmente qualificati attuata con
mezzi scorretti come ad esempio fornire false notizie sulla situazione economica del concorrente).
Alexandra Bozzanca Sezione Appunti
Diritto Commerciale 52. Il contratto di consorzio fra imprenditori
Con il contratto di consorzio più imprenditori istituiscono un'organizzazione comune per la disciplina o per
lo svolgimento di determinate fasi delle rispettive imprese (art. 2602).
Un consorzio può essere costituito al fine prevalente o esclusivo di disciplinare, limitandola, la reciproca
concorrenza fra imprenditori che svolgono la stessa attività o attività similari (consorzio con funzione anti-
concorrenziale, ad esempio contingentamento della produzione o degli scambi tra imprenditori concorrenti).
Sollecitano controlli volti ad impedire che per loro tramite si instaurino situazioni di monopolio di fatto
contrastanti con l'interesse generale.
Il consorzio può anche essere uno strumento di cooperazione interaziendale, finalizzato alla riduzione dei
costi di gestione delle singole imprese consorziate (consorzio con funzione di coordinamento, ad esempio
consorzio per acquisto in comune di determinate materie prime). Accrescono la competitività delle imprese
e sono quindi viste con favore dal legislatore che ne agevola l'attività con una serie di incentivi.
I consorzi con sola attività interna hanno il compito di regolare i rapporti reciproci fra consorziati e di
verificare che venga rispettato quanto convenuto. Nei consorzi con attività esterna invece le parti prevedono
l'istituzione di un ufficio comune destinato a svolgere attività con i terzi nell'interesse delle imprese
consorziate.
Alexandra Bozzanca Sezione Appunti
Diritto Commerciale 53. Il contratto di consorzio. L'organizzazione consortile
Il contratto di consorzio può essere stipulato solo tra imprenditori, ma questo principio è frequentemente
derogato dalla legislazione speciale che consente la partecipazione a determinati consorzi di enti pubblici o
enti privati di ricerca.
Il contratto di consorzio deve essere stipulato per iscritto a pena di nullità. È essenziale la determinazione
dell'oggetto del consorzio, degli obblighi assunti dai consorziati e degli (eventuali) contributi in denaro da
essi dovuti.
È un contratto di durata, che può essere liberamente fissata dalle parti. Nel silenzio il contratto è valido per
dieci anni.
Il contratto di consorzio è un contratto tendenzialmente aperto. È perciò possibile la partecipazione di nuovi
imprenditori senza che sia necessario il consenso di tutti gli attuali consorziati (le condizioni per
l'ammissione devono essere predeterminate nel contratto). Il trasferimento dell'azienda comporta
l'automatico subingresso dell'acquirente nel contratto di consorzio (con una giusta causa gli altri consorziati
possono deliberare l'esclusione dell'acquirente dal consorzio). Il contratto di consorzio può sciogliersi,
limitatamente al consorziato, per volontà di questi (recesso) o per decisione degli altri consorziati
(esclusione). Lo scioglimento dell'interno contratto di consorzio si può verificare con una delibera a
maggioranza dei consorziati quando sussiste una giusta causa (in mancanza di questa, lo scioglimento
anticipato dovrà essere deciso all'unanimità).
Carattere essenziale dei consorzi è la creazione di un'organizzazione comune che prevede la presenza di un
organo con funzioni deliberative composto da tutti i consorziati (assemblea) e di un organo con funzioni
gestorie (organo direttivo).
Alexandra Bozzanca Sezione Appunti
Diritto Commerciale 54. I consorzi con attività esterna
Per questi consorzi è previsto un regime di pubblicità legale per portare a conoscenza dei terzi i dati
essenziali della struttura consortile (attraverso il deposito di un estratto del contratto di consorzio presso
l'ufficio del registro delle imprese).
Nei consorzi con attività esterna sono previsti incarichi (presidenza, direzione e rappresentanza) all'interno
dell'organo direttivo. Coloro che hanno la direzione del consorzio devono redigere annualmente la
situazione patrimoniale e depositarla presso l'ufficio del registro delle imprese.
Nei consorzi con attività esterna è prevista la formazione di un fondo consortile (contributi dei consorziati e
beni acquistati con tali contributi), il quale costituisce patrimonio autonomo rispetto a quello dei singoli
consorziati (i creditori particolari dei consorziati non possono aggredire il fondo consortile).
Nelle obbligazioni assunte dal consorzio per conto dei singoli consorziati sono chiamati a rispondere
solidalmente sia il consorziato, sia il fondo consortile (in caso di insolvenza del consorziato, il debito viene
ripartito fra gli altri consorziati in proporzione alle quote).
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Diritto Commerciale 55. Distinzione tra il consorzio ad attività interna e la società
Esiste una netta diversità fra il consorzio ad attività interna e la società (nel primo caso manca del tutto
l'esercizio in comune di un'attività economica). La distinzione è più sottile nel caso in cui il consorzio svolge
anche attività con i terzi: questi condividono con le società il carattere imprenditoriale dell'attività esercitata
e il fine di realizzare un interesse economico dei partecipanti (scopo egoistico).
Funzione di un consorzio con attività esterna non è quello di ricavare un utile dall'attività di consorzio con i
terzi (scopo perseguito dalla società), ma quello di conseguire un vantaggio patrimoniale sotto forma di
minori costi sopportati o di maggiori ricavi conseguiti nella gestione delle proprie imprese (una società per
azioni acquista e rivende merci sul mercato e divide il guadagno fra i soci; un consorzio acquista merci che
servono alle imprese consorziate per rivenderle ai consorziati stessi ad un prezzo calcolato in modo da
coprire i costi di gestione). Lo scopo mutualistico delle cooperative è, per certi versi, affine allo scopo
consortile.
Con la modifica della disciplina dei consorzi del 1976 è stato consentito alle società di perseguire gli
obiettivi propri del contratto di consorzio, costituendo una società consortile. Gli imprenditori che danno
vita a questo tipo di società possono inserire nell'atto costitutivo specifiche pattuizioni volte ad adattare la
struttura societaria prescelta alla finalità consortile perseguita (ad es. esclusione della ripartizione degli utili
fra i soci, previsione di particolari condizioni per l'ammissione di nuovi soci, specifiche cause di recesso o di
esclusione).
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Diritto Commerciale 56. Definizione e tipi di società
Le società sono organizzazioni di risorse e di mezzi create dall'autonomia privata per l'esercizio in comune
di un'attività produttiva (costituiscono la categoria più numerosa di imprese collettive). Esistono otto tipi di
società: la società semplice, in nome collettivo e in accomandita semplice tradizionalmente definite come
società di persone; la società per azioni, in accomandita per azioni e a responsabilità limitata sono definite
invece società di capitali; società cooperative; mutue assicuratrici.
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Diritto Commerciale 57. Il contratto di società
Con il contratto di società due o più persone conferiscono beni o servizi per l'esercizio in comune
dell'attività economica allo scopo di dividerne gli utili (art. 2247). Oggi la S.r.L. e la S.p.A possono essere
costituite anche con atto unilaterale.
Le società sono quindi enti associativi a base contrattuale che si caratterizzano per la contemporanea
presenza di tre elementi: a) i conferimenti dei soci; b) l'esercizio in comune di un'attività economica (scopo
mezzo); c) lo scopo di divisione degli utili (scopo fine).
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Diritto Commerciale 58. I conferimenti di società
I conferimenti sono le prestazioni cui le parti del contratto di società si obbligano. Costituiscono i contributi
dei soci alla formazione del patrimonio iniziale della società. La loro funzione è dotare la società del capitale
di rischio iniziale per lo svolgimento dell'attività d'impresa: col conferimento ciascun socio destina
stabilmente parte della propria ricchezza personale all'attività comune e si espone al rischio d'impresa.
Diversi possono essere da socio a socio sia l'oggetto sia l'ammontare del conferimento. I conferimenti
possono essere costituiti da beni e da servizi: può costituire oggetto di conferimento ogni attività suscettibile
di valutazione economica che le parti ritengono utile o necessaria per lo svolgimento dell'attività d'impresa
(denaro, beni in natura, prestazione di attività lavorativa sia manuale sia intellettuale, …).
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Diritto Commerciale 59. Patrimonio sociale e capitale sociale
Il patrimonio sociale è inizialmente costituito dai conferimenti eseguiti o promessi dai soci; successivamente
subisce continua variazioni qualitative e quantitative in relazione alle vicende economiche della società. La
sua consistenza è accertata periodicamente e si definisce patrimonio netto la differenza positiva fra attività e
passività. Ha anche una funzione di garanzia verso i creditori della società: garanzia principale, se per le
obbligazioni sociali rispondono anche i soci col proprio patrimonio; garanzia esclusiva se si tratta di un tipo
di società nel quale per le obbligazioni sociali risponde solo la società con il proprio patrimonio.
Il capitale sociale nominale è una cifra che esprime il valore in denaro dei conferimenti come risulta dall'atto
costitutivo delle società. Il capitale sociale nominale rimane immutato fin quando con modifica dell'atto
costitutivo non se ne decide l'aumento o la riduzione: è quindi un valore storico.
La cifra del capitale sociale indica la frazione del patrimonio netto non distribuibile fra i soci e perciò è
assoggettata ad un vincolo di stabile destinazione fra i soci. La cifra del capitale sociale nominale è iscritta
in bilancio fra le passività (funzione vincolistica). La funzione vincolistica del capitale sociale si risolve per i
creditori in un margine di garanzia patrimoniale supplementare (potranno fare affidamento per soddisfare i
propri crediti su un attivo patrimoniale eccedente le passività per un valore corrispondente almeno
all'ammontare del capitale sociale).
È anche termine di riferimento per accertare periodicamente se la società ha conseguito utili o ha subito
perdite (funzione organizzativa). Vi è utile se dal bilancio risulta che le attività superano le passività
aumentate del capitale sociale nominale (solo attività per tale ammontare potranno essere distribuite ai soci a
titolo di utili). Vi è una perdita se le attività sono inferiori alle passività più il capitale sociale (nulla è
distribuibile ai soci). Il capitale sociale nominale funge anche da base di misurazione di alcune fondamentali
situazioni soggettive dei soci, sia di carattere amministrativo (diritto di voto), sia di carattere patrimoniale
(diritto agli utili e alla quota di liquidazione). Tali diritti spettano infatti a ciascun socio in misura
proporzionale alla parte di capitale sociale sottoscritto.
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Diritto Commerciale 60. L'esercizio in comune di attività economica
È il cosiddetto scopo-mezzo del contratto di società; si definisce oggetto sociale la specifica attività
economica che i soci si propongono di svolgere.
In tutte le società l'oggetto sociale deve consistere nello svolgimento di un'attività (serie coordinata di atti) e
di un'attività economica (normalmente un'attività produttiva, condotta cioè con metodo economico e
finalizzata alla produzione o allo scambio di beni o servizi).
Le società non possono essere costituite al solo scopo di consentire il godimento dei beni conferiti dai soci
(a differenza della comunione, l'autonomia patrimoniale è riconosciuta a tutte le società).
Illegittime sono le società immobiliari di comodo: società la cui attività si esaurisce nel concedere immobili
in locazione a terzi o agli stessi soci, senza produrre o fornire alcun servizio collaterale.
È possibile che dalla comunione si passi alla società: si verifica quando più figli ereditano l'azienda paterna
e proseguono in comune l'attività d'impresa.
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Diritto Commerciale 61. La società fra professionisti
Società fra avvocati: nel 2001 è stata ammessa la costituzione di società fra avvocati che ha per oggetto
esclusivo l'esercizio in comune dell'attività professionale di rappresentanza, assistenza e difesa in giudizio
svolta dai propri soci (è regolata dalle norme della società in nome collettivo).
La società fra avvocati è iscritta in una sezione speciale del registro delle imprese relativa alle società fra
professionisti e l'iscrizione ha solo funzione di certificazione anagrafica e pubblicità notizia. È inoltre iscritta
in una sezione speciale dell'albo degli avvocati.
La società fra avvocati non è soggetta a fallimento in quanto non svolge attività d'impresa.
Vi è una diretta responsabilità del professionista nei confronti del cliente. Infatti, non solo l'amministrazione
della società non può essere affidata a terzi, ma il cliente ha diritto di chiedere che l'esecuzione dell'incarico
conferito alla società sia affidata ad uno o più soci da lui scelti (solo quello o quelli incaricati sono
professionalmente e illimitatamente responsabili).
Nel 2006 è stata consentita la prestazione di servizi professionali interdisciplinari da parte di società di
persone oppure di associazioni tra professionisti (es. la medesima società potrà offrire congiuntamente ai
clienti consulenza legale e assistenza fiscale).
Società di mezzi: costituita da professionisti per l'acquisto e la gestione in comune di beni strumentali
all'esercizio individuale delle rispettive professioni (es. due medici, per dividersi le spese di studio,
costituiscono una società per la gestione di ogni aspetto non strettamente professionale della loro attività:
acquisto apparecchiature sanitarie, assunzione del personale, tenuta della contabilità,…).
Società di servizi imprenditoriali: società che offrono sul mercato un servizio complesso, per la cui
realizzazione sono necessarie anche prestazioni professionali dei soci o dei terzi. Prestazioni queste ultime
che hanno però carattere strumentale e servente rispetto al servizio unitario offerto dalla società.
Società di ingegneria: società la cui attività non si esaurisce nella semplice progettazione di opere di
ingegneria, ma comprende anche ulteriori prestazioni quali la realizzazione e la vendita di impianti e
attrezzature industriali.
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Diritto Commerciale 62. Lo scopo-fine delle società
Una società può essere costituita per svolgere attività d'impresa con terzi allo scopo di conseguire utili (lucro
oggettivo), destinati ad essere successivamente divisi fra i soci (lucro soggettivo). È questo appunto il
cosiddetto scopo di lucro o profitto (le società di persone e di capitali vengono definite lucrative).
Le società cooperative devono perseguire per legge uno scopo mutualistico (fornire direttamente ai soci
beni, servizi o occasioni di lavoro a condizioni più vantaggiose di quelle del mercato). Devono procurare ai
soci un vantaggio patrimoniale diretto che potrà consistere in un risparmio di spesa o in una maggiore
remunerazione del lavoro prestato dai soci nella cooperativa. La società cooperativa deve operare con
metodo economico e per la realizzazione di uno scopo economico dei soci.
Tutti i tipi di società possono essere utilizzati anche per la realizzazione di uno scopo consortile. Anche la
società consortile deve operare con metodo economico e per la realizzazione di uno scopo economico dei
soci (vantaggio patrimoniale degli imprenditori consorziati).
Sotto il profilo dello scopo perseguibile le società possono essere distinte in tre grandi categorie: lucrative,
mutualistiche e consortili.
In definitiva le società sono enti associativi che operano con metodo economico e per la realizzazione di un
risultato economico a favore esclusivo dei soci. La società è quindi un fenomeno essenzialmente egoistico
ed è caratterizzata dalla destinazione ai suoi membri (autodestinazione) dei benefici patrimoniali
conseguibili attraverso l'esercizio della comune attività d'impresa.
Si rinvengono anche casi di società senza scopo di lucro. In passato erano numerose infatti le società per
azioni a partecipazione prevalentemente o esclusivamente pubblica, che per legge dovevano perseguire
scopi esclusivamente pubblici e palesemente incompatibili con la causa lucrativa o economica.
Alexandra Bozzanca Sezione Appunti
Diritto Commerciale 63. Classificazione delle società
Le società formano un sistema composto da una pluralità di modelli organizzativi, ciascuno dei quali
costituisce una diversa combinazione di risposte legislative ai problemi di disciplina che solleva l'esercizio
in forma societaria dell'attività d'impresa.
Una prima classificazione è quella basata sullo scopo istituzionale perseguibile: le società cooperative e le
mutue assicuratrici (società mutualistiche) si contrappongono a tutti gli altri tipi di società, definiti come
società lucrative.
Una seconda distinzione (nell'ambito delle lucrative) è quella basata sulla natura dell'attività esercitabile: la
società semplice solo per l'esercizio di attività non commerciale; tutte le altre società lucrative possono
esercitare sia attività commerciale sia attività non commerciale.
Altra distinzione legislativa è quella fra società dotate di personalità giuridica (società di capitali e società
cooperative) e società prive di personalità giuridica (società di persone).
Nelle società di capitali: è prevista un'organizzazione di tipo corporativo (presenza di una pluralità di organi:
assemblea, organo di gestione, di controllo…); il funzionamento degli organi sociali è dominato dal
principio maggioritario (maggioranze assembleari calcolate in base alla partecipazione di ciascun socio al
capitale sociale); il singolo socio ha il solo diritto di concorrere, con il suo voto, dell'organo amministrativo
e/o di controllo (non ha alcun potere diretto); la partecipazione sociale è di regola liberamente trasferibile.
Nella società di persone: l'attività si fonda su un modello organizzativo che riconosce ad ogni socio a
responsabilità limitata di amministrare la società e richiede di regola il consenso di tutti i soci per le
modificazioni dell'atto costitutivo; il singolo socio è investito del potere di amministrazione e di
rappresentanza della società indipendentemente dall'ammontare del capitale conferito e dalla consistenza del
suo patrimonio personale. Ne consegue che la partecipazione sociale è di regola trasferibile solo col
consenso degli altri soci.
Ultimo criterio di distinzione è quello basato sul regime di responsabilità: società nelle quali per le
obbligazioni sociali rispondono sia il patrimonio sociale sia i singoli soci personalmente e illimitatamente;
società nelle quali coesistono istituzionalmente soci a responsabilità illimitata (accomandatari) e soci a
responsabilità limitata (accomandanti); società nelle quali per le obbligazioni sociali di regola risponde solo
la società con il proprio patrimonio.
Alexandra Bozzanca Sezione Appunti
Diritto Commerciale 64. Personalità giuridica ed autonomia patrimoniale delle società
Il legislatore del 1942 ha operato una netta distinzione: le società di capitali e le società cooperative sono
persone giuridiche; la personalità giuridica è invece negata alle società di persone (che godono però di
autonomia patrimoniale).
Con il riconoscimento della personalità giuridica, le società (di capitali e le cooperative) sono trattate, per
legge, come soggetti di diritto formalmente distinte dalle persone dei soci (piena e perfetta autonomia
patrimoniale). I beni conferiti dai soci diventano beni di proprietà della società: questa è titolare di un
proprio patrimonio, di propri diritti e di proprie obbligazioni distinti da quelli personali dei soci. I creditori
personali dei soci non possono soddisfarsi sul patrimonio sociale, né i creditori sociali possono soddisfarsi
sul patrimonio personale dei soci.
Le società di persone godono di autonomia patrimoniale: al creditore (insoddisfatto) personale del socio non
è permesso aggredire il patrimonio della società, ma è concesso di ottenere la liquidazione della quota del
proprio debitore; i creditori (insoddisfatti) della società non possono aggredire direttamente il patrimonio
personale dei soci (solo dopo aver infruttuosamente escusso il patrimonio sociale). Quindi, le obbligazioni
sociali sono obbligazioni della società, cui si aggiunge a titolo di garanzia la responsabilità di tutti o di
alcuni soci. Imprenditore è la società (anche se il fallimento della società determina il fallimento dei soci
illimitatamente responsabili).
Alexandra Bozzanca Sezione Appunti
Diritto Commerciale 65. Tipi di società ed autonomia privata
Chi costituisce una società può liberamente scegliere fra tutti i tipi di società previsti dalla legislazione
nazionale se l'attività non è commerciale (tutti tranne la società semplice se l'attività è commerciale). Se
l'attività non è commerciale la scelta del tipo è necessaria solo se le parti vogliono sottrarsi al regime della
società semplice. Anche quando l'attività è commerciale un'esplicita scelta del tipo non è tuttavia necessaria.
Infatti, il silenzio delle parti in merito è interpretato come implicita opzione per il regime della società in
nome collettivo.
I modelli organizzativi per i singoli tipi di società non sono rigidi e consentono un parziale adattamento alle
esigenze del caso concreto (clausole compatibili con la disciplina del tipo di società prescelto). È invece
inammissibile la creazione di un tipo di società del tutto inconsueto e stravagante, che non corrisponde ad
alcuno dei modelli legislativi previsti.
Alexandra Bozzanca Sezione Appunti
Diritto Commerciale 66. Società di persone
La società semplice può esercitare solo attività non commerciale.
La società in nome collettivo (anche per attività commerciale) è soggetta all'iscrizione nel registro delle
imprese con effetti di pubblicità legale. Tutti i soci rispondono solidalmente e illimitatamente per le
obbligazioni sociali.
La società in accomandita semplice si caratterizza per la presenza di due categorie di soci: i soci
accomandatari (rispondono solidalmente e illimitatamente per le obbligazioni sociali) e i soci accomandanti
(rispondono limitatamente alla quota conferita).
Alexandra Bozzanca Sezione Appunti
Diritto Commerciale 67. La costituzione delle società
Il contratto di società semplice non è soggetto a forme speciali, salvo quelle richieste dalla natura dei beni
conferiti. È prevista l'iscrizione nel registro delle imprese, che avviene nella sezione speciale ed ha efficacia
di pubblicità legale. Il contratto può essere concluso anche verbalmente o risultare da comportamenti
concludenti (società di fatto).
Per le società in nome collettivo, regole di forma e di contenuto per l'atto costitutivo sono prescritte solo ai
fini dell'iscrizione della società nel registro delle imprese. L'iscrizione è condizione di regolarità della
società (integralmente disciplinata dalle norme della società in nome collettivo). È irregolare la società non
iscritta nel registro delle imprese, perché le parti non hanno provveduto a redigere l'atto costitutivo (società
di fatto) o perché, pur avendolo redatto, non hanno provveduto alla registrazione dello stesso (società
irregolare in senso proprio): in entrambi i casi si applica la disciplina della collettiva irregolare.
Quindi l'atto costitutivo (solo ai fini della registrazione e della regolarità della società) deve essere redatto
per atto pubblico o per scrittura privata autenticata e deve contenere: le generalità dei soci; la ragione
sociale; i soci che hanno l'amministrazione e la rappresentanza della società; la sede; l'oggetto sociale; i
conferimenti; prestazioni dei soci d'opera; i criteri di ripartizione degli utili; la durata della società.
Alexandra Bozzanca Sezione Appunti
Diritto Commerciale 68. Società di fatto. Società occulta. Società apparente.
La società di fatto si perfeziona per fatti concludenti. È regolata dalle norme della società semplice se
l'attività esercitata non è commerciale. È regolata dalle norme della collettiva irregolare se l'attività è
commerciale. È esposta al fallimento al pari di ogni imprenditore commerciale. Il fallimento della società
determina automaticamente il fallimento di tutti i soci: dei soci noti e dei soci occulti (la cui esistenza venga
successivamente scoperta).
La società occulta è costituita con l'espressa e concorde volontà dei soci di non rivelarne l'esistenza
all'esterno: può essere una società di fatto ma può anche risultare da un atto scritto tenuto ovviamente
segreto dai soci. L'attività d'impresa è svolta per conto della società ma senza spenderne il nome. La società
esiste nei rapporti interni tra i soci ma non viene esteriorizzata (nei rapporti esterni si presenta come impresa
individuale di uno dei soci o anche di un terzo, che operano spendendo il proprio nome). Lo scopo è quello
di limitare la responsabilità nei confronti dei terzi al patrimonio (di regola modesto) del solo gestore; di
evitare cioè che la società e gli altri soci rispondano delle obbligazioni di impresa e siano esposti al
fallimento. La recente riforma del diritto fallimentare con il nuovo art. 147, 5° comma, dispone che qualora
dopo la dichiarazione di fallimento di un imprenditore individuale risulti che l'impresa è riferibile ad una
società di cui il fallito è socio illimitatamente responsabile, si applica agli altri soci illimitatamente
responsabili la regola del fallimento del socio occulto. Sono considerati indici probatori di una società
occulta: il sistematico finanziamento di un imprenditore individuale, la partecipazione a trattative di affari
con i fornitori, il compimento di atti di gestione,…
Nel caso di socio occulto di società palese l'attività d'impresa è svolta in nome della società e ad essa è
certamente imputabile in tutti i suoi effetti.
Nel caso di società occulta invece l'attività d'impresa non è svolta in nome della società; gli atti di impresa
non sono ad essa formalmente imputabili (chi opera nei confronti di terzi agisce in nome proprio, sia pure
nell'interesse e per conto di una società di cui è eventualmente socio; a lui sono imputabili gli atti di impresa
e i relativi effetti).
Società apparente: capita spesso che il giudice si convinca che dietro un imprenditore individuale, insolvente
o già fallito, ci sia una società. Se però il giudice si rende però conto che gli indici probatori sono fragili può
decretare (se è proprio convinto) la società apparente. Una società, ancorché non esistente nei rapporti tra i
presunti soci, deve tuttavia considerarsi esistente all'esterno quando due o più persone operino in modo da
ingenerare nei terzi la ragionevole opinione che essi agiscono come soci e quindi da determinare in essi
l'incolpevole affidamento circa l'esistenza della società (che è assoggettata a fallimento come una società
realmente esistente).
Alexandra Bozzanca Sezione Appunti
Diritto Commerciale 69. I conferimenti legati alla costituzione di una società
Con la costituzione della società il socio assume l'obbligo di effettuare i conferimenti determinati nel
contratto sociale (se questi non sono determinati, i soci devono conferire in parti uguali tra loro).
Il conferimento può consistere in qualsiasi prestazione di dare, fare o non fare.
Per il conferimento di beni in proprietà la garanzia dovuta dal socio e il passaggio dei rischi sono regolati
dalle norme sulla vendita. Finché la proprietà del bene non sia passata alla società il rischio del perimento
del bene grava ancora sul socio.
Per le cose conferite in godimento, il rischio grava sul socio che le ha conferite. Questi potrà essere escluso
dalla società qualora il godimento diventi impossibile per causa non imputabile agli amministratori. Essendo
un bene conferito in godimento, la società non ne può disporre (alienare) e il socio ha diritto alla restituzione
al termine della società nello stato in cui si trova.
Il socio che conferisce i crediti risponde verso la società dell'insolvenza del debitore ceduto.
Nel caso del socio d'opera, il conferimento consiste nell'obbligo del socio di prestare la propria attività
lavorativa (manuale o intellettuale) a favore dell'azienda.
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Diritto Commerciale 70. Patrimonio sociale e capitale sociale
I conferimenti dei soci formano il patrimonio iniziale della società. I soci non possono servirsi delle cose
appartenenti al patrimonio sociale per fini estranei a quello della società.
Il capitale sociale è del tutto assente nella società semplice, mentre per le società in nome collettivo è
obbligatorio indicare nell'atto costitutivo i conferimenti dei soci e il relativo valore.
È vietata la ripartizione tra i soci degli utili non realmente conseguiti (utili fittizi). Se si è verificata una
perdita del capitale sociale, gli utili non possono essere ripartiti finché il capitale non sia reintegrato o ridotto
in misura corrispondente.
Gli amministratori non possono rimborsare ai soci i conferimenti eseguiti o liberarli dall'obbligo di ulteriori
versamenti senza una riduzione del capitale sociale.
L'operazione (di riduzione) comporta una riduzione reale del patrimonio netto e può pregiudicare i creditori
sociali (che possono opporsi alla riduzione di capitale).
Alexandra Bozzanca Sezione Appunti
Diritto Commerciale 71. La partecipazione dei soci agli utili e alle perdite
Tutti i soci hanno diritto di partecipare agli utili e partecipano alle perdite della gestione aziendale. Non è
necessario che la ripartizione sia proporzionale ai conferimenti.
All'autonomia privata viene posto il limite rappresentato dal divieto di patto leonino: è nullo il patto con il
quale uno o più soci sono esclusi da ogni partecipazione agli utili o alle perdite.
Vi sono dei criteri legali di ripartizione:
se il contratto nulla dispone, le parti spettanti ai soci nei guadagni e nelle perdite si presumono proporzionali
ai conferimenti;
se il valore dei conferimenti non è stato determinato, le parti si presumono uguali;
se è determinata soltanto la parte di ciascuno nei guadagni, si presume la partecipazione alle perdite nella
stessa misura (o viceversa).
Nella società semplice il diritto del socio di percepire la sua parte di utili nasce con l'approvazione del
rendiconto; nella società in nome collettivo il documento che accerta l'esistenza di utili o perdite è il bilancio
d'esercizio. L'approvazione del rendiconto o del bilancio è condizione sufficiente perché ciascun socio possa
pretendere l'assegnazione della sua parte di utili (nelle società di persone in mancanza di specifica clausola
dell'atto costitutivo, la maggioranza dei soci non può deliberare la non distribuzione degli utili accertati e il
conseguente reinvestimento nella società: occorre l'unanimità).
Le perdite incidono direttamente sul valore della partecipazione sociale riducendolo proporzionalmente; in
questo modo, al momento della liquidazione della società, al socio verrà rimborsata una somma inferiore al
valore del conferimento.
Alexandra Bozzanca Sezione Appunti
Diritto Commerciale