Appunti che ripercorrono gli autori e i temi principali del pensiero filosofico da Parmenide a Husserl.
Sono schematizzati i percorsi filosofici di Protagora, Socrate, Platone, Aristotele. I cattolici Sant'Agostino, Tommaso D'Acquino. I razionali Galilei e Cartesio. Le riflessioni di Hobbes, Pascal, Spinoza, Leibniz, Locke, Hume, Rousseau, Kant. I romantici Fichte, Schelling, Hegel Schopenhauer. Marx, l'esistenzialismo e Heiddeger. Nietzche e Husserl.
Principali autori e temi dell'indagine filosofica
di Domenico Valenza
Un testo fondamentale della storia delal filosofia 'Protagonisti e testi della
filosofia' di Abbagnano qui riassunto ottimamente.
Si ripercorrono gli autori e i temi principali del pensiero filosofico da Parmenide
a Husserl.
Sono schematizzati i percorsi filosofici di Protagora, Socrate, Platone,
Aristotele. I cattolici Sant'Agostino, Tommaso D'Acquino. I razionali Galilei e
Cartesio. Le riflessioni di Hobbes, Pascal, Spinoza, Leibniz, Locke, Hume,
Rousseau, Kant. I romantici Fichte, Schelling, Hegel Schopenhauer. Marx,
l'esistenzialismo e Heiddeger. Nietzche e Husserl.
Università: Università degli Studi di Catania
Esame: Storia della Filosofia - a.a. 2007/08
Titolo del libro: Protagonisti e testi della filosofia
Autore del libro: N. Abbagnano, G. Fornero
Editore: Paravia - Torino
Anno pubblicazione: 20001. L'indagine filosofica di Parmenide
L’Eleatismo fiorisce nelle colonie greche dell’Italia meridionale e differisce dalla filosofia ionica: mentre
essa aveva ricercato il principio e la sostanza fisica delle cose, l’Eleatismo vuole giungere ad un Essere
unico e immutabile, di fronte a cui il nostro mondo è solo esperienza ingannatrice.
Il fondatore della scuola eleatica è Parmenide di Elea, colonia greca situata in Campania a sud di Paestum.
Visse in un periodo compreso fra il 550 e il 450 ed espose il suo pensiero in un’opera in versi che fu poi
indicata col titolo Intorno alla natura, di cui ci restano soltanto 154 versi.
Secondo Parmenide di fronte all’uomo si aprono due vie: il sentiero della verità (alétheia) basato sulla
ragione, che ci porta a conoscere l’Essere vero, e il sentiero dell’opinione, basato sui sensi, che ci porta a
conoscere l’Essere apparente. Il filosofo deve imboccare la strada della ragione.
Parmenide, fondandosi sui principi di identità e di non-contraddizione sostiene che la ragione ci dice una
cosa: l’essere è e non può non essere, mentre il non essere non è e non può essere. Con questa tesi
Parmenide intende affermare che solo l’essere esiste, mentre il non-essere, per definizione, non esiste e non
può venir pensato. Il non essere risulta impensabile e inesprimibile.
L’essere vero è caratterizzato da alcuni attributi basilari. L’essere è ingenerato, perché se nascesse o perisse
implicherebbe in qualche modo il non-essere (in quanto nascendo verrebbe dal nulla e morendo ritornerebbe
nulla). Di conseguenza, esso è eterno, perché se fosse nel tempo implicherebbe il non essere del passato o
del futuro. L’essere vero è inoltre immutabile ed immobile perché se mutasse o si muovesse implicherebbe
di nuovo il non-essere, in quanto si troverebbe in una serie di stati o di situazioni in cui prima non era.
L’’essere è unico ed omogeneo, perché se fosse molteplice o in sé differenziato implicherebbe degli
intervalli di non essere. L’essere infine è finito, poiché, secondo la mentalità greca, la finitudine è sinonimo
di compiutezza e perfezione (per esprimerla usa l’immagine della sfera). Le vie prospettate da Parmenide
sono tre: a) la via dell’assoluta verità b) la via dell’opinione ingannevole c) la via dell’opinione plausibile.
Platone dice che l’intelligenza è vita, movimento, dinamismo. Poiché nell’essere c’è intelligenza, in esso c’è
movimento. Ma nell’essere vi è anche quiete, stasi. Per Platone, dunque, bisogna ammettere che il non-
essere è. Mentre il non-essere assoluto è l’assolutamente nulla, il non-essere relativo è la diversità, la
molteplicità. Platone ha così salvato i fenomeni, vale a dire la realtà sensibile, ma anche la filosofia, che ha
ritrovato la penombra dopo lo splendore dell’Essere.
Domenico Valenza Sezione Appunti
Principali autori e temi dell'indagine filosofica 2. L'indagine filosofica di Anassagora
I filosofi che vengono dopo l’Eleatismo tornano a interessarsi al problema della natura. Tali filosofi vengono
detti fisici pluralisti, in quanto ritengono che i principi della natura siano molteplici (ad esempio, le radici di
Empedocle, i semi di Anassagora e gli atomi di Democrito).
Anassagora di Clazomene, nato tra il 500 e il 496, introdusse la filosofia ad Atene e scrisse un’opera Sulla
natura di cui restano pochi frammenti. Anassagora ammette che nulla nasce e nulla perisce, ma nascita e
morte sono termini usati per identificare mescolanza e disgregazione. Gli elementi che si separano e si
uniscono sono i semi, particelle piccolissime e invisibili di materia.
Esse sono chiamate semi perché, come dal seme si genera la pianta, così da queste particelle si generano
tutte le cose corporee. Da Aristotele furono dette omeomerie, cioè parte simili perché hanno gli stessi
caratteri del tutto che vanno a costituire. Tali semi sono infinitamente divisibili: ogni quantità, per quanto
grande, può essere divisibile in parti minori.
Dai semi Anassagora distingue la forza che li fa muovere e li ordina. Egli si domanda come avvenga
l’aggregazione degli elementi, non meccanicisticamente (per urto) ma per una intelligenza che ha un
progetto: non è possibile passare dal caos al cosmo in assenza di una intelligenza divina o Nous, che scevera
i semi originariamente confusi e determina l’ordine del mondo.
Per Anassagora, l’intelligenza non è un elemento materiale: se essa fosse una cosa, sarebbe parte del tutto e
non principio del tutto. L’intelligenza non è cemento delle cose.
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Principali autori e temi dell'indagine filosofica 3. Caratteristiche generali dei sofisti
Nel V secolo furono chiamati Sofisti gli intellettuali ce facevano professione di sapienza e la insegnavano
dietro compenso. Ciò appariva scandaloso: Senefonte li bollò come prostituti della cultura. Essi erano infatti
considerati dei falsi sapienti, negozianti di merce spirituale. In realtà i sofisti non potevano fare a meno del
denaro: essendo stranieri, non potevano acquisire diritti civili e non erano tutelati dal punto di vista
economico e giuridico.
Essi hanno operato una vera rivoluzione filosofica, spostando l’asse della speculazione dalla natura
all’uomo. Invece di ricercare il principio del cosmo, i Sofisti si concentrano sulla politica, sulle leggi, la
religione, la lingua, l’educazione divenendo in tal modo filosofi dell’uomo e della città.
La democrazia rappresenta lo spazio entro cui si è mossa la corrente dei Sofisti. Vivere in democrazia
significa partecipare ad assemblee, prendere la parola, far valere la propria opinione sulle altre, e perciò
possedere l’arte dell’eloquenza.
I Sofisti non costituiscono una scuola compatta di pensatori perché presentano dottrine distinte e talora
opposte. Per orientasi, è bene distinguere tra i celebri della prima generazione (Protagora, Gorgia, Prodico) e
quelli meno noti della seconda generazione (soprattutto i cosiddetti eristi, che segnano la fase di crisi e di
dissoluzione della Sofistica).
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Principali autori e temi dell'indagine filosofica 4. L'indagine filosofica di Protagora
Il primo e più importante esponente della Sofistica fu Protagora, nato ad Abdera intorno al 490 a. C. Fra le
opere di sicura attribuzione ricordiamo Ragionamenti demolitori (o Sulla verità) e Le Antilogie. La sua tesi
fondamentale risiede nel principio: “L’uomo è misura di tutte le cose, delle cose che sono in quanto sono,
delle cose che non sono in quanto sono”. L’uomo è dunque il metro, cioè il soggetto di giudizio, della realtà
o irrealtà delle cose.
Sul preciso senso della tesi esistono varie interpretazioni. Una prima, risalente a Platone intende per uomo
l’individuo singolo e per cose gli oggetti percepiti attraverso i sensi. La tesi alluderebbe al fatto che le cose
appaiono diversamente a seconda degli individui e dei loro stati fisici e psichici.
Una seconda interpretazione attribuisce alla parola uomo un significato universale e alla parola cose quello
di realtà in generale. Protagora vorrebbe dire che gli individui indicano la realtà tramite parametri comuni (e
perciò è stato accostato a Kant). Per una terza interpretazione Protagora intende dire che ognuno valuta le
cose secondo la mentalità del gruppo sociale cui appartiene.
Tali tipi di lettura, pur contenendo ognuno una parte di verità, singolarmente presi sono insufficienti e
risultano veri solo se combinati insieme, perché l’uomo protagoreo è misura delle cose ai vari livelli della
sua umanità: in primo luogo come singolo, poi come civiltà e poi come specie.
La posizione di Protagora è dunque una forma di umanismo (in quanto ciò che si afferma o si nega intorno
alla realtà presuppone sempre l’uomo come soggetto del discorso), di fenomenismo (in quanto non abbia
mai a che fare con la realtà in se stessa, ma con il fenomeno, ossia la realtà che appare a noi), di relativismo
conoscitivo e morale (in quanto non esiste una verità assoluta ma ogni verità è relativa a chi giudica
nell’ambito di una certa situazione).
Uno scritto anonimo, Ragionamenti doppi, vuole dimostrare che le stesse cose possono essere buone o
cattive, giuste o ingiuste. Ad esempio che le navi si scontrino, per l’armatore è male, ma per i costruttori è
bene. Attraverso questa tesi, Protagora cercava di allenare i discepoli alla discussione. Una risposta
filosofica a tale dimostrazione si trova nel Teeteto di Platone. A chi è malato i cibi sembrano amari. Se il
malato ha tale opinione non è certo ignorante. Occorre dunque fare in modo che il gusto del malato si
modifichi e diventi sano.
La seconda parte dello scritto contiene l’esposizione del relativismo culturale, il riconoscimento della
disparità di valori nelle diverse civiltà umane. Se infatti si proponesse a tutti gli uomini di scegliere la
migliore tra le varie leggi, ognuno sceglierebbe quella del proprio paese.
Tale relativismo conoscitivo e morale poteva condurre alla tesi della equivalenza ideale delle opinioni. Ma
lo sbocco della meditazione protagorea non è una forma di soggettivismo anarchico pronto a legittimare
ogni comportamento: Protagora credeva infatti a un principio di scelta.
Nel vuoto di verità forti, l’unico criterio cui l’uomo può attenersi è il principio debole della utilità privata e
pubblica. L’utile diviene strumento di verifica delle teorie stesse. Il vero non è qualcosa di dato, ma il
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Principali autori e temi dell'indagine filosofica verificato come giovevole. Il sofista si presenta come un propagandista dell’utile, un intellettuale che
mediante l’arte della parola tenta di modificare le opinioni nel senso dell’utilità.
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Principali autori e temi dell'indagine filosofica 5. L'indagine filosofica di Gorgia di Lentini
L’altra grande figura della Sofistica, Gorgia di Lentini, presenta una dottrina più negativa circa le possibilità
conoscitive e pratiche dell’uomo. Tra le sue opere ricordiamo Sul non essere o sulla natura e l’Encomio di
Elena. Nella prima opera troviamo le sue tesi: 1. Nulla è, 2. Se anche qualcosa è, non è conoscibile
dall’uomo. 3. Se anche è conoscibile, è incomunicabile agli altri.
Ipotizziamo che qualcosa esista. Esso sarà essere, non essere o essere e non essere insieme. Ora, il non
essere non è, ma anche l’essere non è, in quanto se fosse dovrebbe essere eterno, generato, ed eterno e
generato insieme. L’essere, se è eterno, non ha principio, se non ha principio è infinito, se è infinito non è in
alcun luogo e se non è in alcun luogo non esiste. Se ipotizziamo che l’essere sia generato, esso non è
generato dall’essere stesso, perché in quel caso esisterebbe già, e nemmeno dal non essere, poiché non è. Ne
segue che l’essere non esiste.
Sulla tesi 2, osserviamo che se il pensiero non esiste, l’essere non è pensato. E che le cose pensate non
esistano è chiaro: se il pensato esiste, tutte le cose pensate esistono. Sulla tesi 3, il mezzo con cui ci
esprimiamo è la parola, e la parola non è l’oggetto, non è realtà esistente.. E non essendo parola, l’oggetto
non potrà essere manifestato da altri.
Gorgia colpisce così al cuore l’equazione eleatica pensiero-essere, introducendo un divorzio o una frattura
radicale tra la mente e le cose. Il risultato conclusivo è dunque la distruzione di ogni possibile metafisica e la
sfiducia completa nelle possibilità conoscitive della nostra mente. Con Gorgia troviamo la prima messa in
discussione occidentale della metafisica e l’anticipazione di schemi di pensiero che vanno dagli empiristi a
Kant e a parte del pensiero contemporaneo.
Mentre infine in Protagora abbiamo ancora un criterio di verità, l’utile, con Gorgia manca e l’unica cosa che
conta è la potenza del linguaggio. Infine, per Gorgia l’attività estetica ha una finalità intrinseca a se, l’arte
non è conoscenza e mira ai sentimenti, serve a dare espressione al proprio sentire. Essa non ha fini
utilitaristici. Solo nell’arte è saggio chi inganna o si lascia ingannare.
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Principali autori e temi dell'indagine filosofica 6. L'indagine filosofica di Socrate: l'ignoranza, l'ironia e
l'interrogatorio
Socrate nacque ad Atene nel 470 o 469 e si tenne lontano dalla vita politica attiva. Al contrario, la sua
vocazione fu la filosofia: egli gettava il dubbio e l’inquietudine nell’animo di chi lo avvicinava.
Eppure quest’uomo, che dedicò alla filosofia l’esistenza e morì per essa, non ha scritto nulla. Socrate
riteneva che la ricerca filosofica non poteva essere condotta dopo di lui da uno scritto. Per Socrate, che
intende il filosofare come l’esame incessante di sé e degli altri, nessuno scritto può dirigere il filosofare. Lo
scritto può comunicare una dottrina, non stimolare la ricerca.
Socrate è legato alla Sofistica da una rete di rapporti: 1) l’attenzione per l’uomo e il disinteresse per le
indagini sul cosmo; 2) la tendenza a cercare nell’uomo e non fuori i criteri del pensiero; 3) la mentalità
razionalistica, anticonformista che mette tutto in discussione e non accetta nulla se non attraverso il vaglio
critico e la discussione; 4) l’inclinazione verso la dialettica e il paradosso.
Ciò che lo allontana dai Sofisti è invece l’amore per la verità e il rifiuto di ridurre la filosofia a retorica fine
a se stessa, e il tentativo di andare oltre lo sterile relativismo conoscitivo e morale.
Sebbene in un primo periodo della sua vita Socrate seguì con interesse le ricerche degli ultimi naturalisti,
egli poi, deluso, si convinse che alla mente umana sfuggono i perché ultimi delle cose e che ad essa non è
dato conoscere con certezza l’Essere e i principi del mondo. Abbandonati gli studi cosmologici, Socrate
cominciò a intendere la filosofia come un’indagine in cui l’uomo, facendosi problema, tenta con la ragione
di chiarire sé a se stesso.
Per questo Socrate fece suo il motto dell’oracolo delfico Conosci te stesso, vedendo in esso la motivazione
ultima del filosofare e la missione stessa del filosofo. E poiché secondo Socrate non si è uomini se non fra
uomini, la sua filosofia assunse i caratteri di un dialogo interpersonale.
Per Socrate la prima condizione della ricerca e del dialogo filosofico è la coscienza della propria ignoranza:
sapiente è soltanto chi sa di non sapere. Tale tesi socratica da un lato funge da richiamo ai limiti della
ricerca, per gli individui che credono di possedere salde certezze sulla vita, dall’altro funziona come un
invito a indagare, incoraggiando la possibilità di una ricerca sull’uomo.
Per rendere consapevoli gli individui della loro ignoranza, Socrate si avvale dell’ironia (eironéia =
dissimulazione). L’ironia socratica è il gioco di parole attraverso cui il filosofo giunge a mostrare il
sostanziale non-sapere in cui si trovano. Facendo finta di non sapere, Socrate chiede al suo interlocutore di
renderlo edotto circa il settore cui è competente. Utilizzando l’arma del dubbio e confutando, Socrate mostra
alla persona l’inconsistenza delle sue persuasioni.
Ciò non significa però che Socrate, dopo aver vuotato la mente del discepolo, si proponga di riempirla con
una sua verità. Socrate non vuole comunicare dall’esterno una propria dottrina, ma stimolare l’ascoltatore a
ricercarne dall’interno una propria. Da ciò la celebre maieutica o arte di far partorire: come la madre di
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Principali autori e temi dell'indagine filosofica Socrate, levatrice, aiutava le donne a partorire i bambini, così Socrate, ostetrico di anime, aiuta gli intelletti a
partorire il loro genuino punto di vista sulle cose.
Ci domandiamo cosa facesse partorire Socrate ai propri interlocutori. L’interrogatorio definitivo è in realtà il
tì ésti (che cos’è?), ossia la richiesta di una definizione precisa di ciò di cui si sta parlando. Ai lunghi
discorsi ammaliatori dei Sofisti (le macrologie), Socrate contrappone i discorsi brevi (le brachilogie). La
domanda conduce così verso una definizione soddisfacente dell’argomento.
Mentre per virtù i Greci intendevano il modo migliore di comportarsi nella vita, Socrate concepisce la virtù
come scienza e ricerca. Egli sostiene inoltre che la virtù non è un dono gratuito ma una faticosa conquista, in
quanto l’essere-uomini è il frutto di un’arte difficile.
Per essere uomini è indispensabile riflettere criticamente sull’esistenza. Secondo Socrate non esistono il
Bene e la Giustizia come entità metafisiche e metri cui commisurare le azioni: non si tratta del Bene, ma di
un bene concreto, che diviene di volta in volta ma che domani può essere non bene. Da questa concezione,
Socrate ricava che la virtù è unica in quanto ciò che gli uomini chiamano virtù sono modi di essere al plurale
dell’unica virtù al singolare, la scienza del bene.
La virtù socratica non è una negazione ascetica all’esistenza, ma un suo potenziamento tramite la ragione,
un calcolo intelligente finalizzato a rendere migliore e più felice la nostra vita. Di conseguenza Socrate non
ha voluto uccidere la vita, come sostenuto da Nietzsche: di fronte al caos degli istinti ha semplicemente
voluto proporre all’uomo l’ordine della ragione.
L’influenza di Socrate si era già esercitata su una generazione, quando tre democratici – Meleto, Anito e
Licone, lo denunciarono alla città, accusandolo di non riconoscerne i dei tradizionali e corrompere i giovani.
Riconosciuto colpevole, Socrate avrebbe potuto andare in esilio o proporre una pena adeguata al verdetto:
piuttosto, dichiarò di sentirsi meritevole di essere nutrito a spese pubbliche. Ne seguì la condanna a morte. Il
lealismo di Socrate verso la Città e le leggi è dato dall’idea che l’uomo sia tale solo in quanto rapportato alla
società. L’uomo è figlio delle leggi.
Fu la democrazia restaurata che volle nel 399 il processo del filosofo. Dopo la sconfitta subita ad opera degli
spartani, Atene guardava al passato glorioso come un patrimonio da conservare e tendeva a chiudersi alle
novità rivoluzionarie. Di conseguenza, un uomo come Socrate, indipendente in fatto di religione e
spregiudicato in filosofia, appariva pericoloso.
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Principali autori e temi dell'indagine filosofica 7. L'indagine filosofica di Platone
Platone nacque ad Atene da famiglia aristocratica nel 428 a.C. A vent’anni cominciò a frequentare Socrate e
fu tra i discepoli sino alla morte del maestro. La sua morte segna l’orientamento decisivo della sua vita. Da
allora, la filosofia gli apparve come la sola via che potesse condurre l’uomo singolo e la comunità verso la
giustizia. Dopo una serie di viaggi, Platone ritornò poi ad Atene, dove morì a 81 anni, nel 347. Platone è il
primo filosofo dell’antichità di cui ci siano rimaste tutte le opere. Abbiamo di lui un’Apologia di Socrate, 34
dialoghi e 13 lettere.
La fedeltà all’insegnamento e lo sforzo di interpretazione della personalità di Socrate domina l’attività
filosofica di Platone. La stessa forma dell’attività letteraria di Platone, il dialogo, è un atto di fedeltà al
silenzio letterario di Socrate: l’uno e l’altro hanno lo stesso fondamento, cioè la convinzione che la filosofia
è un sapere aperto.
La concezione del filosofare come dialogo ha fatto sì che egli, nonostante una forte tendenza assolutistica a
voler trovare certezze di pensiero e di vita fondate su realtà eterne e immutabili, abbia di fatto praticato la
filosofia come una ricerca inesauribile e mai conclusa.
Accanto al dialogo troviamo il mito, che ha due significati fondamentali. In un primo senso il mito è uno
strumento che comunica in maniera più accessibile ed intuitiva le dottrine all’interlocutore. In un secondo, il
mito è un mezzo per parlare di realtà che vanno al di là dei limiti cui l’indagine può spingersi. L’uso dei
miti, se da un lato rende difficile l’interpretazione poiché non si capisce bene dove finisca il mito e cominci
la filosofia, dall’altro conferisce al platonismo un aspetto suggestivo.
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Principali autori e temi dell'indagine filosofica 8. Primo periodo della filosofia di Platone: la difesa di Socrate e la
polemica contro i Sofisti
Il primo periodo dell’attività filosofica di Platone è dedicato alla difesa dell’insegnamento di Socrate e alla
polemica contro i Sofisti. L’Apologia è un’esaltazione del compito di Socrate e della vita consacrata alla
ricerca filosofica. L’intero significato dello scritto è nella frase: “Una vita senza ricerca non è degna di
essere vissuta dall’uomo”. Il Critone presenta Socrate di fronte al dilemma: accettare la morte per il rispetto
che l’uomo giusto deve alle leggi o fuggire dal carcere.
Nel Protagora, Socrate oppone che la virtù di cui parla Protagora non è scienza, ma un insieme di abilità
acquisite per esperienza, ed è perciò un patrimonio privato, che non può essere trasmesso ad altri. Il
Protagora nega dunque all’insegnamento sofistico ogni valore educativo e formativo.
L’Eutidemo è anzitutto una rappresentazione del metodo eristico dei Sofisti. L’eristica è l’arte di battagliare
a parole e di confutare tutto quel che si dice. Il dialogo si trasforma poi da critica del procedimento sofistico
in esortazione alla filosofia, l’unica scienza che non solo produce conoscenze ma insegna a utilizzare per la
felicità dell’uomo le conoscenze stesse.
Nel Gorgia infine Platone attacca la retorica, che non ha un oggetto proprio: consente di parlare di tutto ma
non riesce a persuadere se non quelli che hanno una conoscenza inadeguata e sommaria delle cose e cioè gli
ignoranti. Essa non è dunque un’arte ma soltanto una pratica adulatoria. Ogni arte o scienza riesce
veramente persuasiva solo intorno all’oggetto che le è proprio.
All’eristica si ricollega il verbalismo, contro il quale è diretto il Cratilo, che contiene l’enunciazione di tre
alternative sull’origine del linguaggio: 1. il linguaggio è pura convenzione (Eleati e Sofisti) 2, il linguaggio è
naturalmente prodotto dall’azione causale delle cose (Cratilo); 3. il linguaggio è la scelta dello strumento
che serve ad avvicinare l’uomo alla conoscenza delle cose, tesi di Platone.
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Principali autori e temi dell'indagine filosofica 9. Secondo periodo della filosofia di Platone: la dottrina delle idee
Nel secondo periodo, la dottrina delle idee è il cuore del platonismo maturo. In antitesi ai Sofisti, Platone
ritiene che la scienza ha i caratteri della stabilità e dell’immutabilità e si chiede quale sia il suo oggetto
proprio, di certo non le cose del mondo apprese dai sensi, mutevoli e imperfette. Secondo Platone, tale
oggetto sono le idee. L’idea è un’entità immutabile e perfetta, che esiste per suo conto e che costituisce, con
altre idee, una zona d’essere diversa dalla nostra, l’iperuranio.
Il fatto che le idee presentino caratteristiche strutturali diverse dalle cose non esclude un loro stretto rapporto
con gli oggetti. Per Platone le cose sono copie o imitazioni imperfette delle idee. L’idea platonica è dunque
il modello unico e perfetto delle cose molteplici e imperfette del mondo.
In Platone esistono due grandi fondamentali di conoscenza, che sono l’opinione e la scienza (dualismo
gnoseologico) cui fanno riscontro due tipi di essere distinti, che sono le cose e le idee (dualismo ontologico).
Da Eraclito Platone accetta la teoria secondo cui il nostro mondo è il regno della mutevolezza, mentre da
Parmenide il concetto secondo cui l’Essere autentico è immutabile.
Dopo aver spiegato cosa sono le idee, vediamo quali sono. Distinguiamo le idee valori, corrispon-denti ai
supremi principi etici, estetici e politici (il Bene, la Bellezza, la Giustizia), e le idee matema-tiche,
corrispondenti alle entità dell’aritmetica e della geometria. Platone parla talora idee di cose naturali e
artificiali. Solo negli ultimi dialoghi, Platone lasciare cadere la nozione matematico-etica di idea, finendo
per configurarsi come la forma unica e perfetta di qualsiasi classe di cose.
Le cose partecipano alle idee, e le idee partecipano a loro volta del bene, che è l’idea delle idee. Tale idea è
stata talora assimilata a Dio: questa lettera non trova tuttavia verifica nei testi, dove risulta tra l’altro assente
l’idea di un Dio creatore.
Pur affermando la distinzione idee-cose, egli ne sostiene pure il legame. Le idee sono infatti criteri di
giudizio delle cose (diciamo che due cose sono uguali sulla base dell’idea di Uguaglianza) e causa delle cose
(le realtà dette belle sono tali in quanto partecipano alla Bellezza).
Tuttavia, il rapporto idee-cose non è stato ben definito dal Platone della maturità, in quanto egli, pur
parlando di mimesi (le cose imitano le idee), di metessi (partecipano alle idee), di parusìa (presenza delle
idee alle cose), è rimasto sulla questione piuttosto incerto.
Ci domandiamo come e dove esistano le idee. La tradizione, prendendo alla lettera l’espressione platonica di
iperuranio ha considerato il mondo platonico delle idee come qualcosa di analogo all’Empireo dantesco e al
Paradiso cristiano; altri le hanno considerate come modelli di classificazione delle cose, dei criteri mentali
attraverso cui pensiamo gli oggetti.
Se la prima interpretazione è stata considerata troppo legata al mito, la seconda è stata invece ritenuta
un’eccessiva modernizzazione di Platone. In realtà, il modello platonico deve essere interpretato come un
ordine eterno di forme e valori ideali. Un esempio ci è offerto dagli enti matematici; infatti le idee di
Triangolo o Numero, pur esistendo al di fuori dello spazio e del tempo e indipendentemente dagli intelletti
umani, non si trovano in un ipotetico mondo dell’aldilà.
Platone si domanda come l’uomo possa accedere alle idee e ricorre alla dottrina-mito della reminiscenza
affermando che la nostra anima, prima di calarsi nel corpo, è vissuta nel mondo delle idee, di cui conserva
un sopito ricordo. Grazie all’esperienza delle cose, che fanno da pungolo per la memoria, l’anima ricorda ciò
che ha visto nell’Iperuranio. Platone dirà: “Conoscere è ricordare”.
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Principali autori e temi dell'indagine filosofica La gnoseologia di Platone rappresenta quindi una forma di innatismo, in quanto ritiene che la conoscenza
non derivi dall’esperienza sensibile (che funge solo da meccanismo sollecitare del ricordo) bensì da metri di
giudizi preesistenti e connaturati con il nostro intelletto. Noi non partiamo dunque né dalla verità dispiegata
ne dall’ignoranza, bensì da una sorta di pre-conoscenza da cui dobbiamo socraticamente tirar fuori la
conoscenza vera e propria.
La reminiscenza postula di per sé l’immortalità dell’anima. Nel Fedone, Platone elenca delle prove
dell’immortalità dell’anima. Una prima detta dei contrari: la morte si genera dalla vita, e la vita si genera
dalla morte, nel senso che l’anima rivive dopo la morte del corpo. Una seconda, della somiglianza, sostiene
che l’anima, essendo simile alle idee, eterne, sarà anch’essa tale. Una terza, della vitalità, afferma che
l’anima, in quanto soffio vitale, è vita e partecipa dell’idea di vita.
Nel Fedone troviamo inoltre la dottrina platonica della filosofia come preparazione della morte. Se filosofare
significa morire ai sensi e al corpo, la vita del filosofo risulta tutta una preparazione alla morte, cioè al
momento in cui l’anima libera, possa unirsi alle idee e contemplarle. Platone ritiene inoltre che la nostre
sorte attuale dipenda da una scelta compiuta nel mondo delle idee, tesi illustrata nel mito di Er, dove si dice
che ogni anima sceglie il modello di vita che poi incarnerà.
Mentre con il relativismo sofistico, l’uomo è misura delle cose, nell’antirelativismo platonico la conoscenza
torna ad avere un valore assoluto e cessa di essere relativa all’uomo e al soggetto giudicante: l’idea è misura
delle cose, la verità misura dell’uomo. Anche la morale torna ad avere validità assoluta in quanto Platone
ritiene che esistano idee-valori, quali il Bene, la Giustizia, ecc.
Il sapere stabilisce tra l’uomo e le idee un sapere che non è puramente intellettuale, perché impegna la
totalità dell’uomo e quindi anche la volontà. Questo rapporto da Platone è definito amore (eros). Alla teoria
dell’amore sono dedicati due dialoghi, il Convito e il Fedro.
Nel Convito, gli interlocutori esprimono i caratteri dell’amore. Pausania distingue dall’eros volgare, che si
rivolge ai corpi, l’eros celeste che si rivolge all’anima. Aristofane, col mito degli esseri primitivi composti
d’uomo e donna (androgini), divisi dagli dei per punizione in due metà in cui una va in cerca dell’altra,
esprime ciò che l’amore rivela nell’uomo: l’insufficienza. Socrate osservò che l’amore desidera qualcosa
che non ha, ma di cui ha bisogno ed è quindi mancanza.
L’amore è desiderio di bellezza, e la bellezza si desidera perché rende felice. Essa ha gradi diversi a cui
l’uomo può sollevarsi attraverso un cammino. In primo luogo, è la bellezza di un bel corpo che attrae un
uomo, poi egli si accorge che la bellezza è uguale in tutti i corpi e così passa a desi-derare tutta la bellezza
corporea. Ma al di sopra di essa ci sono la bellezza dell’anima, la bellezza delle istituzioni e delle leggi, poi
la bellezza delle scienze. E infine, la bellezza in sé, che è eterna.
Nel Fedro, Platone si domanda come l’anima può percorrere i diversi gradi di questa gerarchia. L’anima è
simile ad una coppia di cavalli alati, guidati da un auriga: uno dei cavalli, quello bianco, è eccellente, l’altro,
quello nero, è pessimo, sicchè l’opera dell’auriga è difficile. In ogni anima, caduta e incarnata, il ricordo
delle sostanze ideali è risvegliato proprio dalla bellezza.
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Principali autori e temi dell'indagine filosofica 10. La Repubblica e lo Stato nella filosofia di Platone
Ne La Repubblica, Platone connette i risultati dei dialoghi precedenti intorno al motivo di una comunità
perfetta. Il fondamento di tale comunità è la giustizia, che si realizza quando ciascun cittadino attende al suo
compito proprio ed ha ciò che gli spetta. Lo Stato deve essere costituito da tre classi: governanti, guerrieri e
cittadini. Ai primi deve appartenere la saggezza, ai secondi il coraggio. La temperanza è virtù comune, ma la
giustizia comprende tutte queste virtù.
Come nello Stato, nell’anima individuale Platone distingue tre parti: la parte razionale, che è quella per cui
l’anima ragiona e domina gli impulsi, la parte irascibile che lotta per ciò che la ragione ritiene giusto, la
parte concupiscibile che è il principio degli impulsi corporei.
Per Platone, la divisione degli individui in classi-funzioni non dipende da un fatto ereditario, ma da un fatto
antropologico e psicologico, ossia da come si è uomini. Nell’ideale città di Platone, gli uomini si
distinguono non per diritti di nascita ma per differenti attitudini naturali.
Affinché lo Stato funzioni bene e la giustizia sia realizzata, Platone suggerisce anche l’eliminazione della
proprietà privata e la comunanza dei beni per le classi superiori. Ancora, le donne dovranno godere di una
completa uguaglianza con gli uomini e parteciperanno parimenti alla vita dello Stato.
Le degenerazioni dello Stato sono varie. La timocrazia è il governo fondato sull’onore, ad esso corrisponde
l’uomo timocratico, ambizioso e amante del comando e degli onori. Un’altra forma è l’oligarchia, governo
fondato sul censo, in cui comandano i ricchi. Ulteriore forma è la democrazia, in cui i cittadini sono liberi,
ad essa corrisponde l’uomo democratico che tende ad abbandonarsi a desideri smodati. Infine la tirannide,
che spesso nasce dall’eccessiva libertà della democrazia.
Secondo la concezione aristocratica a reggere le sorti della cosa pubblica devono essere i migliori. Invece,
secondo quella democratica, il governo della polis deve essere appannaggio di tutti, ossia un affare del
popolo. Di queste due concezioni la più vicina a Platone è senz’altro la prima.
La giustizia platonica comporta, in concreto, una situazione nella quale i governanti sono tenuti a governare
e i lavoratori a lavorare, senza interferenze. Uno Stato è sano quando ciò avviene; malato quando le classi
non sono al loro posto. Per Platone, i governanti non devono adattarsi al punto di vista dei governati; egli
arriva persino a teorizzare la bugia e l’omicidio di Stato.
Pur non essendo democratico, lo Stato Platonico non deve confondersi con quello aristocratico tradizionale.
Tale stato è sì aristocratico in quanto governano i migliori, ma questi non sono tali per casato ricchezza, ma
per il possesso del sapere. La ragione al potere e i filosofi al governo.
Di fronte alla domanda “Chi custodirà i custodi?”, Platone osserva che i custodi, prima di saper custodire gli
altri devono essere in grado di custodire se medesimi. Da ciò l’importanza fondamentale che riveste il
sistema educativo per Platone, nella parte centrale della Repubblica.
All’essere, e quindi alle idee, corrisponde la scienza, che è la conoscenza vera; al non-essere, l’ignoranza; e
al divenire, che sta in mezzo tra l’essere e il non-essere, corrisponde l’opinione, a metà strada tra conoscenza
e ignoranza. In particolare, Platone paragona la conoscenza ad una linea divisa in due segmenti (sensibile e
razionale), a loro volta divisi in altri due. Abbiamo così quattro gradi del sapere cui corrispondono quattro
gradi della realtà.
La conoscenza sensibile (doxa) comprende: a) la congettura o immaginazione che per oggetto le ombre; b)
la credenza che ha come oggetto le cose sensibili. La conoscenza razionale (episteme) comprende a) la
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Principali autori e temi dell'indagine filosofica ragione matematica che ha per oggetto le idee matematiche; b) l’intelligenza filosofica o poetica che ha per
oggetto le idee-valori. La superiorità della filosofia consiste nell’occuparsi dei problemi dell’uomo e della
città.
Platone enumera nella Repubblica cinque discipline matematiche: l’aritmetica, cioè l’arte del calcolo, la
geometria come scienza degli enti immutabili; l’astronomia come scienza del movimento dei cieli; la musica
come scienza dell’armonia. Queste discipline costituiscono la propedeutica della filosofia: esse preparano il
filosofo alla scienza suprema, la dialettica, la scienza delle idee.
La teoria della conoscenza e dell’educazione trova un’esemplificazione allegorica nel mito della caverna.
Immaginiamo che vi siano schiavi incatenati in una caverna sotterranea e costretti a guardare solo davanti a
sé. Sul fondo della caverna si riflettono immagini di statuette, che sporgono al di sopra di un muro, dietro
cui si muovono i portatori di statuette. Più in là brilla un fuoco che rende possibile il proiettarsi delle
immagini sul fondo.
Se uno di essi si liberasse dalle catene, voltandosi si accorgerebbe delle statuette e capirebbe che esse sono
la realtà. Se riuscisse poi a risalire all’apertura della caverna scoprirebbe che la vera realtà non sono
nemmeno le statuette, poiché queste sono a loro volta imitazione di cose reali.
Dapprima abbagliato da tanta luce non riuscirà a distinguere bene gli oggetti, incapace poi di volgere gli
occhi verso il sole, guarderà le costellazioni e il firmamento di notte. Lo schiavo vorrebbe restare là, ma se
egli tornasse nella caverna, i suoi occhi sarebbero offuscati dall’oscurità e non saprebbero più discernere le
ombre: perciò sarebbe deriso dai compagni che, accusandolo di avere gli occhi guasti, continuerebbero ad
attribuire i massimi onori a coloro che sanno più acutamente vedere le ombre. Infine, infastiditi dal suo
tentativo di scioglierli, lo ucciderebbero.
Notevole è la simbologia filosofica di questo mito: la caverna oscura = il nostro mondo, gli schiavi
incatenati = gli uomini, le catene = l’ignoranza e le passioni, le ombre delle statuette = l’immagine
superficiale delle cose, le statuette = le cose del mondo sensibile corrispondenti al grado della credenza, la
liberazione dello schiavo = l’azione della conoscenza e della filosofia, il mondo fuori dalla caverna = le
idee, lo schiavo che vorrebbe starsene là = la tentazione del filosofo di chiudersi in una torre d’avorio, lo
schiavo deriso = la sorte dell’uomo di pensiero scambiato per pazzo.
Platone ritiene che l’arte sia imitazione di una imitazione, di tre gradi lontana dal vero, in quanto essa si
limita a riprodurre l’immagine di cose. Anziché pungolare l’anima verso le idee, l’arte la rinserra nel mondo.
Inoltre l’arte, nutrendosi di immagini, possiede il valore conoscitivo più basso; per il suo potere corruttore
degli animi, essa è psicologicamente e pedagogicamente negativa.
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Principali autori e temi dell'indagine filosofica 11. Terzo periodo della filosofia di Platone: il Sofista, il Filebo, il
Timeo
Nei dialoghi della vecchiaia, Platone, rivedendo le proprie dottrine, perviene ad esiti in parte nuovi. I
problemi sono due: 1) come dev’essere pensato il mondo delle idee 2) Come va concepito il rapporto fra
idee e realtà naturali. Alla prima questione risponde il Sofista, alla seconda il Timeo.
Già nel Parmenide, e poi nel Sofista, emerge il confronto-scontro con la logica parmenidea. La tesi
fondamentale dell’eleatismo è il principio per cui solo l’essere è, mentre il non-essere non è. Questa
affermazione, presa alla lettera, rappresenterebbe un vero suicidio della teoria delle idee. Ogni idea, infatti,
non essendo l’altra, implicherebbe l’illogica ammissione del non-essere.
Platone manifesta di non voler rinunciare alla teoria delle forme ideali in quanto ribadisce che senza le idee,
ossia senza un punto fermo nella molteplicità delle cose, non si potrebbe neppure pensare e filosofare. E’ nel
Sofista che avviene lo scontro decisivo con l’antico maestro.
Per spiegare come possano esistere più idee e come esse possano comunicare fra di loro, Platone elabora la
teoria dei generi sommi, cioè degli attributi fondamentali delle idee, che per il filosofo sono cinque: l’essere,
l’identico, il diverso, la quiete e il movimento. Anzitutto ogni idea è o esiste. In secondo luogo, ogni idea è
identica a sé stessa. Essere ed essere identico sono dunque due generi differenti: infatti tutte le idee, pur
esistendo, non per questo sono identiche. Se ogni idea è identica a sé, ma distinta dalle altre, significa che
essa è diversa da loro.
Secondo Platone, l’errore di Parmenide è confondere il diverso con il nulla. Infatti, quando discorriamo della
molteplicità delle cose ed usiamo la parola non, sostenendo che A non è B, non intendiamo alludere al
niente assoluto, che non esiste, ma soltanto a ciò che è diverso dall’essere, al niente relativo. Il diverso non è
dunque il nulla assoluto, partecipando anch’esso all’essere. In tal modo, attribuendo una forma di essere al
non-essere, Platone si sbarazza del fantasma del nulla.
Platone aggiunge infine i due generi della quiete e del moto. Ogni idea infatti può starsene in sé (quiete)
oppure entrare in un rapporto di comunicazione con le altre (movimento).
Questa determinazione delle cinque forme dell’essere si accompagna al tentativo di ridefinire il concetto di
essere, che porterà Platone alla tesi secondo cui l’essere è possibilità: è qualunque cosa si trovi in possesso
di una qualsiasi possibilità o di agire o di subire, da parte di qualche altra cosa, anche insignificante,
un’azione anche minima e anche solo per una sola volta.
Se l’essere e il mondo delle idee costituiscono un tessuto di rapporti possibili, la suprema scienza delle idee,
la dialettica, consisterà nello stabilire la mappa di queste relazioni. Nel Fedro essa viene presentata come la
tecnica stessa del discorso filosofico (il termine allude appunto all’arte del dialogo). Ma è solo nel Sofista
che abbiamo ne abbiamo una messa a punto.
La dialettica si radica sulla tesi intermedia “alcune idee sono combinabili tra loro e altre non lo sono”. La
tecnica dialettica consisterà dunque nel definire un’idea mediante successive identificazioni e
diversificazioni, attraverso un processo di tipo dicotomico, che avanza dividendo per due un’idea, sino a
giungere ad un’idea indivisibile.
Nel Filebo, Platone intende stabilire che cosa è il bene per l’uomo. La vita umana come tale sarà una vita
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Principali autori e temi dell'indagine filosofica mista, di piacere e intelligenza; e tutto sta a rendersi conto della misura, della giusta proporzione in cui essi
devono mescolarsi insieme per costituire la vita propriamente umana.
Il piacere è un illimitato e bisogna imporre un ordine, di cui sarà causa l’intelligenza. Devono inoltre far
parte della vita solo i piaceri puri, dovuti alla contemplazione delle belle forme. La gerarchia dei valori viene
allora stabilita così: ordine, misura; ciò che è proporzionato, bello e compiuto; l’intelligenza come causa
della proporzione e della bellezza; la scienza e l’opinione; i piaceri puri.
Nel Timeo troviamo il tentativo di sciogliere il dualismo fra il mondo delle idee e delle cose alla luce di una
considerazione più unitaria della realtà. Per capire meglio tale rapporto, Platone introduce un terzo
mediatore: il Demiurgo, una sorta di divino Artefice, dotato di intelligenza e volontà, che si trova tra le idee
e le cose. Il Demiurgo, essendo buono ed amante del Bene, ha voluto ordinare le cose del mondo ad
immagine delle idee. Per rendere il mondo ancora più simile al suo modello ideale, il Demiurgo ha generato
il tempo, che Platone definisce immagine mobile dell’eternità.
L’opera del Demiurgo è limitata dalla resistenza della materia. Dunque, tutto ciò che esiste di positivo e di
armonico, è dovuto al Demiurgo, all’Intelligenza e alle idee, mentre ciò che esiste di negativo è dovuto alla
materia e alla necessità. Troviamo qui un primo abbozzo di soluzione del problema metafisico del male nel
mondo, poi ripreso dalla filosofia cristiana.
La novità più rilevante del Timeo consiste nell’avvicinamento al pitagorismo. Infatti, la struttura del cosmo
formato dal Demiurgo risulta di tipo matematico: le cose sono ridotte ai quattro elementi empedoclei, ridotti
a loro volta a poche figure geometriche essenziali, ridotte a loro volta a numeri, schemi strutturali delle cose.
Il Timeo fa della matematica la sintassi del mondo.
L’ultima attività di Platone è dedicata ancora al problema politico. Nel Politico, Platone rileva che l’arte
propria del reggitore dei popoli deve essere quella della misura. La cosa migliore sarebbe che l’uomo
politico non ponesse leggi, poiché la legge, essendo generale, non può prescrivere con precisione ciò che è
bene per ognuno. La legge è tuttavia necessaria e deve conservare la sua funzione educativa; non solo
comandare, ma anche persuadere della propria bontà e necessità.
Platone considera la religione come un incentivo al rispetto della virtù e delle leggi e quindi solido
fondamento di coesione sociale e di stabilità politica. Se si interpreta il mondo come un organismo razionale
e retto da leggi divine, lo stato degli uomini potrà concepirsi come riflesso e impegno di realizzazione di tale
ordine.
A differenza della Repubblica, nelle Leggi abbiamo delle novità che discendono forse dalla consapevolezza
che il precedente stato ideale forse è possibile solo a dei o discendenti di dei. Vengono infatti riammesse la
democrazia, seppur parzialmente, e la proprietà privata.
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Principali autori e temi dell'indagine filosofica 12. L'indagine filosofica di Aristotele
Aristotele nacque a Stagira nel 384-383 a.C. ed entrò nella scuola di Platone a 17 anni. Dopo la morte del
maestro si recò ad Asso. Nel 342 fu chiamato da Filippo re di Macedonia per assumere l’educazione di
Alessandro, ma quando il suo governo assunse le forme di un principato orientale, Aristotele si staccò e fece
ritorno ad Atene, dove fondò il Liceo. Morì nel 322-321, a 63 anni.
Tra le sue opere, occorre distinguere gli scritti acroamatici, composti per la necessità del suo insegnamento,
e gli scritti essoterici. Di questi ultimi, in forma dialogica, sono rimasti pochi frammenti. Mentre nei trattati
scolastici il pensiero di Aristotele appare sistematico, dai frammenti dei dialoghi è possibile rendersi conto
che esso ha subito crisi e mutamenti.
Nei suoi dialoghi Aristotele riprese non solo la forma letteraria del maestro ma anche argomenti e talvolta
titoli delle opere. Nell’Eudemo, Aristotele ammetteva la dottrina dell’anamnesi: l’anima che discende nel
corpo dimentica la sua vita anteriore. Il Protrettico era una esaltazione alla filosofia, e il filosofare è ancora
concepito nel senso platonico, come abbandono del mondo sensibile.
Nel dialogo Sulla filosofia, l’esistenza della divinità era dimostrata con l’argomento dei gradi. In ogni
campo, nel quale vi è una maggiore o minore perfezione, sussiste di necessità qualcosa di assolutamente
perfetto e questo potrebbe essere Dio.
Tra le opere acroamatiche dobbiamo distinguere: scritti di logica, noti col nome di Organon; metafisica in 14
libri, composti in epoche diverse; scritti di fisica, di storia naturale, matematica e psicologia; scritti di etica,
politica, economia, poetica e retorica.
La frattura tra Platone e Aristotele rispecchia il differente indirizzo dell’età classica e di quella ellenistica.
Platone crede nella finalità politica della conoscenza e vede il filosofo come un reggitore e legislatore della
città. Aristotele fissa invece lo scopo della filosofia nella conoscenza disinteressata del reale e vede il
filosofo come un sapiente. Se in Platone prevale il momento politico-educativo, in Aristotele predomina
quello conoscitivo e scientifico.
Ciò si accompagna ad una diversa concezione della struttura del sapere: mentre Platone guarda il mondo
secondo un’ottica verticale e gerarchica, che distingue realtà vere e apparenti, conoscenze superiori e
inferiori, Aristotele guarda il mondo secondo un’ottica orizzontale e unitaria, che pone tutte le realtà e tutte
le scienze su un piano di pari dignità ontologica e gnoseologica. La filosofia diviene così l’anima
unificatrice delle scienze, in quanto studia il loro comune fondamento.
La diversa concezione del sapere si concretizza anche in un diverso metodo di filosofare. Mentre in Platone
vi è un sistema aperto e un filosofare che pone sempre interrogativi, in Aristotele c’è la tendenza al discorso
filosofico in un sistema chiuso, in un insieme immutabile di verità connesse.
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Principali autori e temi dell'indagine filosofica 13. La metafisica e il quadro delle scienze in Aristotele
Aristotele distingue tre gruppi di scienze: le scienze teoretiche, pratiche e poietiche o produttive. Le scienze
teoretiche hanno per oggetto il necessario e come scopo la conoscenza disinteressata della realtà. Esse sono
la metafisica, la fisica e la matematica. Le scienze pratiche e poietiche hanno per oggetto il possibile. Le
prime (etica e politica) indagano l’ambito dell’agire individuale e collettivo; le seconde la produzione di
opere (arti belle e tecniche).
Il termine metafisica non è aristotelico. Per indicare tale disciplina, Aristotele usava filosofia prima. Fu
Andronico di Rodi che, ordinando i suoi testi, mise metà tà fusika, cioè dopo i libri di fisica.
Aristotele dà quattro definizioni di metafisica. Essa studia a) le cause e i principi primi, b) l’essere in quanto
essere, c) la sostanza, d) Dio e la sostanza immobile. Quella su cui Aristotele ha più insistito è la seconda:
sostenere che la metafisica studia l’essere in quanto essere equivale a dire che essa ha per oggetto la realtà in
generale. Infatti, il dominio dell’essere è diviso fra le singole scienze, ognuna delle quali ne studia una
dimensione specifica (ad es. la matematica l’essere come quantità). La metafisica è dunque la filosofia
prima, le altre scienze filosofie seconde.
L’essere ha una molteplicità di aspetti e modi di darsi. Aristotele li ha raccolti: a) l’essere come accidente, b)
l’essere come categorie, c) l’essere come vero, d) l’essere come atto o potenza.
Per categorie Aristotele intende le caratteristiche fondamentali e strutturali dell’essere. Esse sono la
sostanza, la qualità, la quantità, la relazione, l’agire, il subire, il dove, il quando. A queste otto Aristotele ne
aggiunge talora altre due, ossia lo stato e l’essere in una certa situazione. Se dal punto di vista ontologico le
categorie sono i generi supremi dell’essere, dal punto di vista logico sono i vari modi con cui l’essere si
predica delle cose.
Di tutte le categorie la più importante è la sostanza poiché tutte le altre la presuppongono. Infatti la qualità è
sempre la qualità di qualche cosa. Se l’essere si identifica con le categorie e le categorie poggiano tutte sulla
sostanza, le domande cos’è l’essere e cos’è la sostanza si identificheranno.
Come le varie scienze si autocostituiscono procedendo per astrazione, così deve procedere la filosofia, la
quale deve ridurre tutti i significati della parola essere ad un significato unico e fondamentale. Per far ciò,
essa ha bisogno del principio di non-contraddizione, espresso da Aristotele in due modi: 1) E’ impossibile
che la stessa cosa inerisca e non inerisca alla medesima cosa e secondo il medesimo rispetto, 2) E’
impossibile che la stessa cosa sia e insieme non sia.
La prima formula esprime l’impossibilità logica di affermare e negare nello stesso tempo uno stesso
predicato intorno ad uno stesso oggetto. La seconda formula esprime l’impossibilità ontologica che un
determinato essere sia e insieme non sia ciò che è.
Il principio di non-contraddizione sostiene che ogni essere ha una natura determinata che è impossibile
negare e che è necessaria. Aristotele chiama appunto sostanza la natura necessaria di un essere qualsiasi. In
questo senso, la sostanza è l’equivalente ontologico del principio logico di non-contraddizione. La sostanza
è dunque l’essere dell’essere, il suo significato fondamentale.
Per sostanza Aristotele intende l’individuo concreto che funge da soggetto reale di proprietà e da soggetto
logico di predicati. Egli la chiama il tode ti, il questo qui. Ogni sostanza forma un sinolo, cioè un unione
indissolubile di forma e materia. Per forma Aristotele intende la natura propria di una cosa, per materia il
soggetto di cui una cosa è fatta, il quid o il materiale che la compone.
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Principali autori e temi dell'indagine filosofica La forma è l’elemento attivo e determinante del sinolo, mentre la materia è l’elemento passivo e
determinato. La forma è ciò che costituisce la sostanzialità della sostanza. Dunque, alla domanda cos’è la
sostanza Aristotele risponderebbe sia dicendo che essa è sinolo di forma e materia, sia dicendo che essa è la
forma o natura che fa si che il sinolo sia quello che è.
L’accidente designa invece le qualità che una cosa può avere o non avere, senza per questo cessare di essere
quella determinata cosa o sostanza. Se la sostanza è l’oggetto proprio della scienza, tutte le scienze hanno lo
stesso valore. Difatti, esse si rivolgono sempre alla sostanza.
Aristotele afferma che la conoscenza e la scienza nascono dalla meraviglia di fronte all’essere e consistono
nel rendersi conto della causa delle cose. Egli però nota che se chiedere la causa significa chiedere il perché
di una cosa, questo perché può differire, per cui vi saranno varie specie di cause. Aristotele enumera quattro
tipi di cause: materiale, formale, efficiente e finale.
La causa materiale è la materia, ciò di cui una cosa è fatta. La causa formale è la forma, l’essenza necessaria
di una cosa. La causa efficiente è ciò che dà inizio al mutamento o alla quiete. La causa finale è lo scopo cui
una cosa tende. Queste quattro cause sono specificazioni della sostanza globalmente intesa, che è dunque la
vera causa dell’essere.
Il principale bersaglio della polemica aristotelica sono Platone e i platonici. Anzitutto, essendo le idee fuori
dalle cose o separate da esse, non si capisce in che senso possano essere causa delle cose. Il principio delle
cose non può che risiedere nelle cose stesse, ossia nella loro forma interiore. Dunque le forme sono intese
non come strutture trascendenti, ma immanenti.
Le idee sono altrettante realtà che si aggiungono alle realtà sensibili, e il filosofo si trova a doverle spiegarle
con maggiore difficoltà. Le idee sono dunque inutili doppioni che complicano anziché semplificare. Infine le
idee, essendo immobili, non spiegano il movimento delle cose sensibili.
Che il divenire esista è fatto, come debba essere pensato è invece un problema. Per Aristotele, il divenire
non implica un passaggio dal non-essere all’essere e viceversa, ma un passaggio da un certo tipo di essere ad
un altro. Il divenire è dunque solo una modalità dell’essere.
Allo scopo di pensare il divenire, Aristotele elabora i concetti di potenza e atto. Per potenza si intende la
possibilità della materia di assumere una certa forma. Per atto si intende la realizzazione di tale capacità. La
potenza sta dunque alla materia come l’atto sta alla forma. Infatti la materia è la possibilità di assumere
forme diverse, mentre la forma è la realtà in atto di tali possibilità.
La conoscenza della potenza presuppone tuttavia un’implicita conoscenza dell’atto. Alla domanda se è nato
prima la gallina o l’uovo, Aristotele risponderebbe la prima. Tutto ciò equivale a dire che l’atto è
ontologicamente superiore alla potenza in quanto costituisce la causa, il senso e il fine della potenza. Il
potenziale, più che una possibilità esprime una necessità. Per Aristotele la necessità costituisce la modalità
fondamentale dell’essere.
Una stessa cosa può essere considerata materia (potenza) o forma (atto) dal punto di vista del movimento.
Questa catena suppone due termini estremi. Da un lato, una materia prima che sia pura potenza, qualcosa
che non è né fuoco né acqua ma può divenirvi, la materia-madre. Essa è un concetto limite. Dall’altro lato il
divenire suppone un atto puro, cioè una perfezione completamente realizzata. Quest’atto puro è la sostanza
immobile e divina, oggetto della teologia.
Nella Metafisica, Aristotele fornisce una prova dell’esistenza di Dio. Tutto ciò che si muove è mosso da
altro, e questo è a sua volta mosso da altro ancora. Tuttavia non si può procedere all’infinito, deve esserci un
principio primo e immobile, causa iniziale di ogni movimento possibile.
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Principali autori e temi dell'indagine filosofica Aristotele identifica il motore immobile richiesto dal movimento con Dio, riferendogli una serie di attributi
connessi tra loro. Anzitutto Dio è atto puro, ossia atto senza potenza, poiché dire potenza è dire possibilità di
movimento. Inoltre, poiché la materia sta alla potenza come la forma sta all’atto, Dio sarà inoltre pura forma
o sostanza incorporea. Dio è poi realtà eterna, poiché Aristotele ritiene che l’universo e il suo movimento
siano eterni, ed essendo Dio causa di tali movimenti.
Posti questi attributi, ci si domanda però come può muovere un motore immobile. Secondo Aristotele, esso
non muove come causa efficiente, cioè comunicando un impulso, ma come causa finale, cioè come oggetto
d’amore. Dio è dunque una Perfezione o Forma che pur rimanendo impassibile esercita come tale una forza
calamitante sul mondo comunicandogli il movimento.
L’universo è dunque uno sforzo della materia verso Dio, un desiderio di prendere forma: è il mondo che,
aspirando a Dio, si auto-ordina e si auto-determina. Questo Dio, entità perfetta, deve infine appartenere al
genere di vita più alto. Ora la vita migliore è quella dell’intelligenza, e Dio, essendo perfetto, non può che
pensare la perfezione stessa. Dio sarà dunque pensiero del pensiero.
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Principali autori e temi dell'indagine filosofica 14. Il concetto di logica in Aristotele
La logica non trova posto nella classificazione aristotelica delle scienze poiché ha per oggetto la forma
comune di tutte le scienze, cioè il procedimento dimostrativo di cui esse si avvalgono. Secondo
un’interpretazione diffusa, il titolo Organon (strumento) servirebbe a sottolineare la funzione propedeutica
della logica, intesa appunto come strumento di tutte le scienze. L’organon aristotelico si articola in una
logica del concetto, della proposizione e del ragionamento.
Secondo Aristotele, gli oggetti del nostro discorso, i concetti, possono venir disposti entro una scala di
maggiore o minore universalità e classificati mediante un rapporto di genere e specie. Rispetto al genere, la
specie è ad esempio un concetto che ospita un maggior numero di caratteristiche, ma che può venir riferito
ad un minor numero di individui. Di conseguenza, si può dire che la comprensione e l’estensione sono
inversamente proporzionali.
La scala dei concetti giunge sino al concetto di una specie che non ha sotto di sé altre specie (specie infima)
e che presenta quindi la massima comprensibilità e la minima estensione. Tale è l’individuo o sostanza
prima, la sostanza nel senso proprio, che Aristotele distingue dalle sostanze seconde, le specie e i generi
entro cui rientrano le sostanze prime.
Chiarita la natura dei concetti, Aristotele esamina le combinazioni di termini che si chiamano enunciati
apofantici (o dichiarativi), ossia le frasi che costituiscono asserzioni. Esse si identificano con le proposizioni,
atti mentali con cui uniamo o disuniamo i concetti nella struttura soggetto-predicato. Aristotele distingue le
proposizioni in vari tipi: affermative o negative, universali o particolari, e dedica parecchia attenzione ai
rapporti esistenti tra loro
Come risulta dal Quadrato logico, è detta contraria l’opposizione tra le universali affermativa e negativa,
quantitativamente identiche (in quanto entrambe universali) ma qualitativamente diverse; contraddittoria
l’opposizione fra l’universale affermativa e la particolare negativa; sub-contraria l’opposizione tra
particolare affermativa e negativa; subalterna la relazione fra l’universale affermativa e la particolare
affermativa, qualitativamente identiche ma quantitativamente differenti.
Aristotele considera anche il modo in cui avviene l’attribuzione di un predicato ad un soggetto distinguendo
asserzione (A è B), possibilità (A è possibile che B) e necessità (A è necessario che sia B). Secondo
Aristotele, dei termini isolatamente presi non si possono dire né veri né falsi, giacchè vera o falsa è solo una
combinazione o sintesi di essi. Da ciò i due teoremi: la verità è nel pensiero o nel discorso, non nell’essere o
nella cosa; e la misura della verità è l’essere o la cosa.
Il sillogismo è il ragionamento per eccellenza, un discorso in cui poste le premesse segue neces-sariamente
qualcos’altro per il fatto che quelle sono state poste. Un esempio è: ogni animale è mortale, ogni uomo è
animale, ogni uomo è mortale. Il sillogismo tipo ha così tre proposizioni, due fungono da antecedenti
(premessa maggiore e minore) e la terza (la conclusione) da conseguente.
Inoltre, nel sillogismo si hanno tre termini o elementi: il maggiore, che ha l’estensione maggiore e compare
come predicato minore nella prima premessa, il minore che ha l’estensione minore e compare come soggetto
nella seconda premessa; il medio che ha estensione media e si trova in entrambe le premesse. Nella
conclusione, il termine maggiore e minore si presentano uniti: l’elemento grazie a cui avviene l’unione è il
termine medio, che funge da cerniera. Il sillogismo è dunque la controparte logico-linguistica della sostanza.
In base alla posizione occupata dal termine medio, Aristotele distingue varie figure di sillogismo. Usando le
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Principali autori e temi dell'indagine filosofica abbreviazioni latine dei logici posteriori, sub (da subjectus) e prae ( da praedicatus), avremo tali disposizioni
schematiche: sub-prae (I), prae-prae (II), sub-sub (III), prae-sub (IV).
Gli analitici primi studiano la struttura del sillogismo in modo formale. Tuttavia, Aristotele è consapevole
che la validità di un sillogismo non si identifica con la sua verità, in quanto un sillogismo, pur essendo
corretto, può partire da premesse false e condurre a conclusioni false.
Negli Analitici secondi, Aristotele si sofferma invece sul sillogismo scientifico o dimostrativo, che parte da
premesse vere. Secondo Aristotele, tali promesse si identificano con gli assiomi, ossia con quelle
proposizioni vere di verità intuitiva, che risultano comuni a più scienze.
In realtà tali principi logici generalissimi (come il principio di non-contraddizione, di identità o del terzo
escluso), pur rappresentando condizione necessaria di ogni ragionamento, non sono ancora sufficienti in
quanto non contengono la causa di nessuna verità particolare. Infatti, secondo Aristotele, insieme ad essi
occorrono anche dei principi propri alle singole scienze. E queste sono offerte da una lista di definizioni che
enunciano l’essenza di ciò di cui si sta parlando.
Le definizioni si otterranno a loro volta con l’induzione, il procedimento grazie a cui dal particolare si ricava
dall’universale. Tuttavia l’induzione, limitandosi a registrare ciò che si è constatato di fatto, senza spiegare
perché le cose stanno necessariamente così, non riesce ad attingere il vero universale, ma soltanto
l’universale per lo più, un tipo di universale di cui non si può essere sicuri.
E’ l’intelletto che intuisci i principi delle dimostrazioni, ovvero assiomi e definizioni che stanno alla base
della scienza. Per Aristotele la scienza si configura dunque come un sapere delle essenze fondato un atto di
intuizione intellettuale che opera a contatto con l’esperienza.
I Topici sono dedicati allo studio della dialettica. Mentre i principi della scienza sono necessari, i principi
della dialettica sono probabili, cioè sembrano accettabili a tutti o ai più o ai competenti. A differenza di
Platone che vedeva nella dialettica la scienza più alta, propria del filosofo che mette in discussioni i principi
di tutte le altre scienze, Aristotele scorge nella dialettica solo un ragionamento debole, perché parte da
premesse che sono solo probabili. Sui ragionamenti eristici, egli osserva che le loro promesse non sono né
necessarie né probabili, ma apparentemente probabili.
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Principali autori e temi dell'indagine filosofica 15. La fisica in Aristotele
Mentre le sostanze immobili sono l’oggetto della teologia, le sostanze in movimento percepibili dai sensi
sono l’oggetto della fisica. La fisica è, secondo Aristotele, la seconda scienza teoretica, subito dopo la
filosofia prima. Il suo oggetto è l’essere in movimento.
Aristotele ammette quattro tipi fondamentali di movimento: il movimento sostanziale, cioè la generazione e
la corruzione; il movimento qualitativo, cioè il mutamento o l’alterazione; il movimento quantitativo, cioè
l’aumento e la diminuzione; il movimento locale, cioè il movimento propriamente detto, è il movimento
fondamentale a cui gli altri si riducono.
Il movimento locale è di tre specie: il movimento circolare intorno al centro del mondo, il movimento dal
centro del mondo verso l’alto, il movimento dall’alto verso il centro del mondo. Il movimento circolare è
proprio delle sostanze di necessità immutabili, ingenerabili e incorruttibili, L’etere, elemento che compone i
corpi celesti, è l’unico che si muove di movimento circolare.
I movimenti dall’alto in basso o dal basso in alto sono invece propri dei quattro elementi che compongono le
cose terresti o sublunari: acqua, aria, terra e fuoco. Aristotele ne spiega il movimento sostenendo che ogni
elemento ha nell’universo un suo luogo naturale. Se una parte di essi ne viene allontanata, essa tende a
ritornarvi con un moto naturale.
I luoghi naturali degli elementi sono determinati dal peso. Al centro del mondo c’è la terra, seguono poi
acqua, aria e fuoco, con quest’ultimo che costituisce la sfera estrema dell’universo sublunare.
L’universo fisico è secondo Aristotele perfetto, unico, finito ed eterno. Esso è perfetto perché non manca di
nulla. Ma se il mondo è perfetto è anche finito. Infinito significa infatti incompiuto; il mondo, non
mancando di nulla, è dunque finito. D’altronde, nessuna cosa reale può essere infinita, ogni cosa esiste
infatti in uno spazio e ha un limite estremo. La sfera delle stelle fisse segna perciò i limiti dell’universo,
limiti al di là dei quali non c’è spazio. Poiché nessuna linea può protrarsi al di là del suo diametro,
concludiamo che non possono esistere altri mondi al di là del nostro.
In natura non può esistere neppure lo spazio vuoto. Il luogo, per definizione, è sempre luogo-di-qualcosa.
Questa teoria porta a negare non solo il vuoto intracosmico, cioè il vuoto fra oggetto ed oggetto, ma anche il
vuoto extra-cosmico, ossia il vuoto che ospiterebbe l’universo.
Per quanto riguarda il tempo, Aristotele afferma che esso si definisce solo in relazione al concetto di
divenire, poiché in un ipotetico universo di entità immutabili la dimensione tempo non esisterebbe. Il tempo
è la misura del divenire secondo il prima e il poi e presuppone una mente che effettui la misura. Senza la
mente umana ci sarebbe il divenire ma non la sua misura.
La psicologia è una parte della fisica, e studia l’anima. L’anima è oggetto della fisica in quanto forma
incorporata della materia, sostanza che informa e vivifica un corpo. Aristotele distingue tre funzioni
fondamentali dell’anima: la funzione vegetativa, che è la potenza nutritiva e riproduttiva; la funzione
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Principali autori e temi dell'indagine filosofica sensitiva, che comprende sensibilità e movimento; la funzione intellettiva, dell’uomo.
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Principali autori e temi dell'indagine filosofica 16. La teoria della conoscenza e l'intelletto in Aristotele
Per quanto riguarda la teoria della conoscenza, Aristotele comincia la sua analisi dalla sensibilità: si può dire
che se non ci fossero i sensi, non ci sarebbe gli oggetti sensibili (se non ci fosse la vista non ci sarebbero i
colori). Non ci sarebbero in atto: ci sarebbero bensì in potenza. Dal senso si distingue l’immaginazione, che
è la facoltà di produrre, evocare o combinare immagini.
L’universale viene invece alla luce con l’intelletto. Esso, lavorando sui dati offerti dalla sensibilità e
dall’immaginazione riesce ad enucleare, con un processo di astrazione, la forma o sostanza intelligibile delle
cose, ossia a costruire i concetti universali su cui si basa la nostra conoscenza.
Tuttavia, poiché l’intelligibile (il concetto) esiste nel sensibile solo a livello potenziale, e poiché l’intelletto,
in quanto tabula rasa, è pura capacità o potenza di cogliere tali concetti (intelletto potenziale), occorrerà una
x che sappia far sì che l’anima intellettiva diventi intelligente e che l’intelligibile diventi conosciuto.
Aristotele identifica tale x con l’intelletto attuale, che fa passare in atto le verità che nell’intelletto potenziale
risultano solo in potenza. Perciò, è detto intelletto attivo.
Ogni azione è fatta in vista di un fine che appare buono. Ma deve esserci un fine supremo cui corrisponda un
bene sommo. Secondo Aristotele, tale bene è la felicità, che risiede nella realizzazione della propria natura.
Poiché il compito proprio dell’uomo è la vita della ragione, l’uomo sarà felice solo se vive secondo ragione,
e questa vita è la virtù. Alla vita secondo virtù è congiunto il piacere, che accompagna qualsiasi attività
umana, alimentandola e motivandola.
Secondo Aristotele, ci sono due virtù fondamentali: la prima consiste nell’esercizio della ragione ed è detta
intellettiva, l’altra consiste nel dominio della ragione sugli impulsi sensibili ed è detta morale. La virtù
morale consiste nella disposizione a scegliere il giusto mezzo e si rinvigorisce con l’esercizio. Il coraggio è
ad esempio il giusto mezzo tra viltà e temerarietà.
La principale tra le virtù etiche è la giustizia e può essere distributiva o commutativa. La giustizia
distributiva presiede alla distribuzione degli onori, La giustizia commutativa ai contratti, volontari e
involontari. Essa è correttiva: mira a pareggiare i vantaggi o gli svantaggi tra i due contraenti.
La virtù intellettiva o dianoetica è propria dell’anima razionale e comprende l’arte, la saggezza,
l’intelligenza, la scienza, la sapienza. L’arte è la capacità di produrre un oggetto, la saggezza dirige il
comportamento, l’intelligenza coglie i principi primi delle scienze, la scienza ha per oggetto il necessario e
l’eterno, la sapienza è il grado più alto della scienza: sapiente è solo colui che ha nello stesso tempo scienza
e intelligenza. Poiché la virtù come attività propria dell’uomo è la stessa felicità, la felicità più alta
consisterà nella virtù dianoetica più alta (la sapienza).
Nell’etica nicomachea troviamo pure un’analisi dell’amicizia. Secondo Aristotele, può essere fondata
sull’utile, sul piacere o sul bene e dunque ve ne saranno tre specie: quella di utilità, di piacere di virtù. Le
prime due, accidentali, sono facili a rompersi non appena cessa l’utilità o il piacere. L’amicizia di virtù è
l’unica vera, e presuppone intimità e uguaglianza fra gli individui.
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L’amicizia va distinta dalla benevolenza, in quanto si ha benevolenza anche verso chi non si conosce.
Analogamente, pur essendo una forma d’amore, l’amicizia non va confusa con l’amore, in quanto l’eros ha i
caratteri di un’affezione in cui entrano in campo fattori emotivi e sessuali.
Secondo Aristotele l’origine della vita associata è da ricercarsi nel fatto che l’individuo non basta a se stesso
e non può da solo provvedere ai suoi bisogni. Egli distingue tre tipi fondamentali di costituzione: la
monarchia o governo di uno solo, l’aristocrazia o governo dei migliori, la politia o governo della
moltitudine. A questi tre tipi di governo corrispondono tre degenerazioni: tirannide, oligarchia e democrazia
(oggi diremmo demagogia). Aristotele preferisce un governo democratico in cui prevale la classe media. La
politia di Aristotele è una democrazia temperata con l’oligarchia.
La poesia, e in generale l’arte, è da Aristotele definita imitazione. A differenza di Platone, Aristotele non
considera l’arte illusoria. Il mondo sensibile, che l’arte imita, non è per lui semplice apparenza, ma è realtà
che può essere oggetto di sapere. Inoltre, Aristotele crede che la tragedia, come la musica, eserciti una
funzione purificatrice e liberi l’anima dalle passioni. Egli riconosce dunque all’arte una funzione catartica
capace di esercitare uno specifico ruolo educativo.
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