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La teoria della conoscenza e l'intelletto in Aristotele


Per quanto riguarda la teoria della conoscenza, Aristotele comincia la sua analisi dalla sensibilità: si può dire che se non ci fossero i sensi, non ci sarebbe gli oggetti sensibili (se non ci fosse la vista non ci sarebbero i colori). Non ci sarebbero in atto: ci sarebbero bensì in potenza. Dal senso si distingue l’immaginazione, che è la facoltà di produrre, evocare o combinare immagini.

L’universale viene invece alla luce con l’intelletto. Esso, lavorando sui dati offerti dalla sensibilità e dall’immaginazione riesce ad enucleare, con un processo di astrazione, la forma o sostanza intelligibile delle cose, ossia a costruire i concetti universali su cui si basa la nostra conoscenza.

Tuttavia, poiché l’intelligibile (il concetto) esiste nel sensibile solo a livello potenziale, e poiché l’intelletto, in quanto tabula rasa, è pura capacità o potenza di cogliere tali concetti (intelletto potenziale), occorrerà una x che sappia far sì che l’anima intellettiva diventi intelligente e che l’intelligibile diventi conosciuto. Aristotele identifica tale x con l’intelletto attuale, che fa passare in atto le verità che nell’intelletto potenziale risultano solo in potenza. Perciò, è detto intelletto attivo.

Ogni azione è fatta in vista di un fine che appare buono. Ma deve esserci un fine supremo cui corrisponda un bene sommo. Secondo Aristotele, tale bene è la felicità, che risiede nella realizzazione della propria natura. Poiché il compito proprio dell’uomo è la vita della ragione, l’uomo sarà felice solo se vive secondo ragione, e questa vita è la virtù. Alla vita secondo virtù è congiunto il piacere, che accompagna qualsiasi attività umana, alimentandola e motivandola.

Secondo Aristotele, ci sono due virtù fondamentali: la prima consiste nell’esercizio della ragione ed è detta intellettiva, l’altra consiste nel dominio della ragione sugli impulsi sensibili ed è detta morale. La virtù morale consiste nella disposizione a scegliere il giusto mezzo e si rinvigorisce con l’esercizio. Il coraggio è ad esempio il giusto mezzo tra viltà e temerarietà.

La principale tra le virtù etiche è la giustizia e può essere distributiva o commutativa. La giustizia distributiva presiede alla distribuzione degli onori, La giustizia commutativa ai contratti, volontari e involontari. Essa è correttiva: mira a pareggiare i vantaggi o gli svantaggi tra i due contraenti.

La virtù intellettiva o dianoetica è propria dell’anima razionale e comprende l’arte, la saggezza, l’intelligenza, la scienza, la sapienza. L’arte è la capacità di produrre un oggetto, la saggezza dirige il comportamento, l’intelligenza coglie i principi primi delle scienze, la scienza ha per oggetto il necessario e l’eterno, la sapienza è il grado più alto della scienza: sapiente è solo colui che ha nello stesso tempo scienza e intelligenza. Poiché la virtù come attività propria dell’uomo è la stessa felicità, la felicità più alta consisterà nella virtù dianoetica più alta (la sapienza).

Nell’etica nicomachea troviamo pure un’analisi dell’amicizia. Secondo Aristotele, può essere fondata sull’utile, sul piacere o sul bene e dunque ve ne saranno tre specie: quella di utilità, di piacere di virtù. Le prime due, accidentali, sono facili a rompersi non appena cessa l’utilità o il piacere. L’amicizia di virtù è l’unica vera, e presuppone intimità e uguaglianza fra gli individui.

L’amicizia va distinta dalla benevolenza, in quanto si ha benevolenza anche verso chi non si conosce. Analogamente, pur essendo una forma d’amore, l’amicizia non va confusa con l’amore, in quanto l’eros ha i caratteri di un’affezione in cui entrano in campo fattori emotivi e sessuali.

Secondo Aristotele l’origine della vita associata è da ricercarsi nel fatto che l’individuo non basta a se stesso e non può da solo provvedere ai suoi bisogni. Egli distingue tre tipi fondamentali di costituzione: la monarchia o governo di uno solo, l’aristocrazia o governo dei migliori, la politia o governo della moltitudine. A questi tre tipi di governo corrispondono tre degenerazioni: tirannide, oligarchia e democrazia (oggi diremmo demagogia). Aristotele preferisce un governo democratico in cui prevale la classe media. La politia di Aristotele è una democrazia temperata con l’oligarchia.

La poesia, e in generale l’arte, è da Aristotele definita imitazione. A differenza di Platone, Aristotele non considera l’arte illusoria. Il mondo sensibile, che l’arte imita, non è per lui semplice apparenza, ma è realtà che può essere oggetto di sapere. Inoltre, Aristotele crede che la tragedia, come la musica, eserciti una funzione purificatrice e liberi l’anima dalle passioni. Egli riconosce dunque all’arte una funzione catartica capace di esercitare uno specifico ruolo educativo.

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Aristotele