Essere-nel-mondo o essere-per-la-morte in Heidegger
L’esserci non è solo quell’ente che pone la domanda sul senso dell’essere, ma anche quell’ente che non si lascia ridurre alla nozione di essere, accettata dalla filosofia occidentale che identifica l’essere con l’oggettività, ossia, come dice Heidegger, con la semplice-presenza. L’uomo non può ridursi ad un oggetto puro e semplice nel mondo.
Il modo di essere dell’Esserci è l’esistenza. L’essenza dell’esistenza è data dalla possibilità. L’essere dell’uomo è sempre una possibilità da attuare, e di conseguenza l’uomo può scegliersi. Se l’esistenza è poter-essere, poter-essere vuol dire progettare. L’uomo è dunque progetto e le cose del mondo sono utensili in funzione del progettare umano.
Dunque, l’uomo è-nel-mondo. Ma siccome l’uomo è progetto, il mondo è un complesso di strumenti per l’uomo: essere-nel-mondo significa dunque fare del mondo il progetto delle azioni e dei possibili atteggiamenti dell’uomo, e prendersi cura delle cose che occorrono ai suoi progetti.
Come l’essere-nel-mondo dell’uomo si esprime nel prendersi cura delle cose, così il suo essere-con-gli-altri si esprime nell’aver cura degli altri, ed è la struttura basilare di ogni possibile rapporto tra gli uomini. E l’aver cura degli altri può prendere due direzioni: nella prima si cerca di sottrarre gli altri dalle loro cura, nella seconda li si aiuta ad acquistare la libertà di assumersi le loro cure. Nel primo caso si ha un semplice essere insieme, nel secondo caso si ha un autentico coesistere.
L’uomo si trova dunque sempre in una situazione, e fronteggia questa situazione con il suo progettare. Ma in quanto rivolge la sua cura al piano degli enti nella loro fattualità, l’uomo rimane nell’esistenza inautentica. L’utilizzazione delle cose è fine a se stessa, e il linguaggio si trasforma nella chiacchiera dell’esistenza anonima, che cerca di riempire il vuoto che la caratterizza rincorrendo di continuo il nuovo: essa annega nella curiosità. Alla base del poter-essere c’è la deiezione, vale a dire la caduta dell’uomo sul piano delle cose del mondo.
Posso dedicare la mia vita al lavoro, allo studio, ma tra le varie possibilità ve n’è una a cui non posso sfuggire: la morte. Essa è la possibilità che tutte le altre possibilità divengano impossibili. La voce della coscienza ci richiama al senso della morte, e svela la nullità di ogni progetto. L’esistenza autentica, pertanto, è un essere-per-la-morte. E soltanto comprendendo ciò, l’uomo ritrova il suo essere autentico.
Esistere autenticamente implica avere il coraggio di guardare in faccia alla possibilità del proprio non essere, di sentire l’angoscia dell’essere-per-la-morte. L’esistenza autentica significa l’accettazione della propria finitezza.
Dato che l’esistenza è possibilità e progettazione, tra le determinazioni del tempo, quella è fondamentale è il futuro, il progettarsi-in-avanti. Nell’esistenza autentica, tuttavia, il futuro è un vivere per la morte che non permette all’uomo di venir travolto dalle possibilità mondane. E se il passato autentico è rivivere le possibilità dell’uomo che è già stato, il presente autentico è l’istante in cui l’uomo ripudia il presente in autentico e decide il suo destino.
Dunque, da ciò comprendiamo che i significati del tempo usati nel pensiero comune e nella scienza sono tempo inautentico, giacchè rimandano all’esistenza tra le cose del mondo.
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Dettagli appunto:
- Autore: Domenico Valenza
- Università: Università degli Studi di Catania
- Facoltà: Filosofia
- Esame: Storia della Filosofia - a.a. 2007/08
- Titolo del libro: Protagonisti e testi della filosofia
- Autore del libro: N. Abbagnano, G. Fornero
- Editore: Paravia - Torino
- Anno pubblicazione: 2000
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