Il libro di Anolli qui riassunto ripercorre le tappe principali dello studio della cultura e della cultura stessa. Dalle caratteristiche dell'homo sapiens che l'hanno reso soggetto in grado di 'fare cultura', a differenza degli altri primati, all'attualissima necessità di avere una mente multiculturale, che da una zona di frontiera sappia accogliere e arricchirsi dell'intreccio culturale del quale le nostre società ormai si compongono.
La mente multiculturale
di Anna Bosetti
Il libro di Anolli qui riassunto ripercorre le tappe principali dello studio della
cultura e della cultura stessa. Dalle caratteristiche dell'homo sapiens che
l'hanno reso soggetto in grado di 'fare cultura', a differenza degli altri primati,
all'attualissima necessità di avere una mente multiculturale, che da una zona di
frontiera sappia accogliere e arricchirsi dell'intreccio culturale del quale le
nostre società ormai si compongono.
Università: Università degli Studi di Milano - Bicocca
Facoltà: Scienze dell'Educazione
Corso: Scienze dell’Educazione
Esame: Psicologia della comunicazione
Docente: Luigi Anolli
Titolo del libro: La mente multiculturale
Autore del libro: Luigi Anolli
Editore: Laterza
Anno pubblicazione: 20061. Flussi migratori a partire dalla fine del ventesimo secolo
Alla fine del XX secolo il mondo fu scosso profondamente da un fenomeno inatteso e imponente. I flussi
migratori da Sud a Nord e da Est a Ovest comportarono lo spostamento di masse enormi di popolazioni. Con
i loro sogni e bisogni. Soprattutto con le loro culture.
All’inizio, e per migliaia di anni, la cultura si è ancorata a un territorio. Pur essendo in continua evoluzione,
essa presentava confini sufficientemente netti.
Dopo le ultime tragiche guerre mondiali, la specie umana ha riconosciuto la necessità d’istituire un
organismo sovranazionale (l’Onu) con lo scopo di governare i contrasti e i conflitti fra le diverse comunità,
per porre rimedio a forme d’ingiustizia e iniquità e per migliorare le condizioni di vita della nostra specie.
Con l’Onu si è mantenuto uno stato di equilibrio precario per l’umanità. Si sono evitate altre guerre
catastrofiche, ma non siamo riusciti a risolvere altri gravi squilibri, a cominciare dalla fame e dalla sete. Le
risorse continuano a essere distribuite in modo iniquo.
Da questa situazione hanno preso avvio le recenti migrazioni, che stanno modificando profondamente
l’assetto degli equilibri internazionali. Pur in presenza ditale fenomeno, molto spesso sottovalutato, la
maggioranza degli esseri umani ha continuato ad avere una mente monoculturale. Per gli esseri umani del
XXI secolo occorre pensare a soggetti che abbiano a loro disposizione una mente multiculturale. ossia, una
mente che sappia pensare, sentire, credere e comportarsi differentemente nelle diverse situazioni culturali.
Anna Bosetti Sezione Appunti
La mente multiculturale 2. La cultura dall’esterno e dall’interno
Ambiente invisibile in cui siamo totalmente immersi, la cultura dà forma e sostanza all’esistenza umana. Noi
guardiamo il mondo e gli accadimenti attraverso di essa noi guardiamo il mondo adottando una prospettiva
specifica: la nostra cultura.
la cultura è stata concepita e studiata dalle scienze umane in due diversi modi: la cultura vista «dall’esterno»
e la cultura vista «dall’interno».
Anna Bosetti Sezione Appunti
La mente multiculturale 3. La cultura vista dall’esterno
Lo studio della cultura «dall’esterno» è stato chiamato etico. Una determinata cultura è esaminata come se
fosse una realtà esterna, circoscritta e chiusa, alfine d’individuarne le proprietà distintive. L’idea di fondo è
che vi sia una «natura umana» universale e invariata, intesa come dotazione geneticamente ereditaria,
comune a tutti gli umani, regolata da leggi sistematiche e che, in superficie, tale natura umana assuma forme
diverse a seconda delle varie culture.
La comprensione della cultura vista «dall’esterno» avviene sostanzialmente in questo modo: si parte da una
griglia di proprietà che si ritengono generali (come le credenze, le emozioni, le relazioni sociali, ecc.) e poi
si procede con il fare un confronto sistematico fra alcune culture, per individuarne le somiglianze, alla
ricerca di leggi universali sottese alla condotta umana. In questo confronto l’individuazione di eventuali
differenze serve a porre in evidenza le cosiddette variazioni di superficie, di natura locale, prodotte dalle
varie culture.
L’approccio etico ha dato origine alla psicologia crossculturale (detta anche psicologia transculturale), che si
prefigge di procedere al confronto sistematico fra le varie culture facendo ricorso a metodi quantitativi
(questionari, test psicologici, ecc.) e a modelli astratti di spiegazione.
Tuttavia, studiare la cultura «dall’esterno» va inevitabilmente incontro a limiti e difficoltà. Per prima cosa
non esistono né modelli teorici né indirizzi politici né strumenti di misurazione che siano immuni dalle
influenze culturali, poiché essi sono prodotti sempre all’interno di una data cultura.
In secondo luogo, tale tipo di studio comporta il cosiddetto paradosso dell’equivalenza: ossia assumere che
ciò che è valido in una certa cultura sia valido anche in un’altra cultura. Questa idea implica il rischio di
produrre distorsioni sistematiche. Ritenere che parole che pensiamo universali, come «libertà», «giustizia»,
«democrazia», «felicità», «amicizia», «verità», ecc, abbiano lo stesso significato presso gli italiani, gli
inglesi, i russi, i polacchi, i cinesi, gli indiani o i giapponesi è una vera ingenuità. Per esempio, la parola
«felicità» per gli americani corrisponde all’obbligo sociale di ottenere successo e di provare gioia e
ottimismo, mentre per i giapponesi la felicità consiste nell’equilibrio fra emozioni positive e negative (yin e
yang). Parimenti, il concetto di libertà è assai diverso per gli italiani, gli inglesi, i polacchi e i russi.
Anna Bosetti Sezione Appunti
La mente multiculturale 4. La cultura vista dall’interno
Considerata la difficoltà (o forse l’impossibilità) di capire la cultura «dall’esterno», altri studiosi si sono
proposti di raggiungere il medesimo obiettivo studiando la cultura «dall’interno». E il cosiddetto approccio
emico. Studiare una certa cultura «dall’interno» vuoi dire assumere il punto di vista dei nativi e concentrasi
sulle forme specifiche, contingenti e irripetibili che quella cultura assume in quel momento storico.
L’obiettivo è quello di cogliere l’unicità e l’esclusività di una data cultura. L’idea di fondo è che la cultura è
dentro le persone. Questo punto di vista è stato ripreso anche dalla psicologia culturale, che ha molto
insistito sul concetto di unicità, in quanto ogni cultura è un mondo a sé stante, diverso da ogni altro. Già lo
psicologo russo Vygotskij (1934), che aveva contribuito a fondare la cosiddetta scuola storico-culturale
russa, aveva sottolineato come lo sviluppo delle funzioni mentali superiori (linguaggio e pensiero) sia
profondamente influenzato dalle condizioni sociali della comunità culturale di appartenenza.
Anche le cosiddette psicologie indigene ribadiscono che ogni comunità sviluppa specifiche conoscenze e
competenze per adattarsi al suo ambiente fisico e sociale. La cultura, infatti, varia al variare delle condizioni
ambientali. Per esempio, nelle tribù migratorie che vivono di caccia e raccolta le pratiche di socializzazione
favoriscono la determinazione, l’autonomia, la fiducia in se stessi e la gestione dell’incertezza. Per contro,
nelle comunità stanziali fondate sull’agricoltura sono incrementate caratteristiche come la condiscendenza,
l’obbedienza, la cooperazione e il senso di responsabilità. A loro volta, nel contesto industriale le pratiche di
socializzazione sostengono l’intelligenza tecnologica, le competenze comunicative, la gestione della
distanza relazionale, la difesa dei propri interessi, la competitività.
L’approccio emico segue il metodo idiografico, che privilegia l’uso di procedimenti qualitativi d’indagine,
come le interviste, il dialogo, la partecipazione alle pratiche dei nativi, ecc. Particolare rilievo è attribuito
all’etnografia come dispositivo in grado di favorire la comprensione della situazione contingente attraverso
il punto di vista del nativo. L’etnografia richiede una partecipazione diretta e prolungata alla vita sociale di
una certa comunità con lo scopo di rendere esplicito ciò che è implicito e scontato. Per raggiungere questo
fine si fa spesso ricorso all’osservazione partecipante, intesa come strumento non intrusivo in grado di
cogliere le specificità di una data cultura.
Tuttavia, lo studio «dall’interno» della cultura non è esente da limiti e difficoltà. Innanzitutto, la sua
impostazione favorisce il relativismo culturale, rendendo assoluto il valore dell’unicità.
Il relativismo culturale porta con sé, infatti, il problema della traducibilità dei modelli culturali da una
cultura a un’altra. In secondo luogo, oggi il relativismo culturale è stato declinato da parte di alcuni politici e
studiosi sotto forma di fondamentalismo culturale, premessa teorica per la versione attuale del razzismo.
Non è più la razza a dover essere protetta ma la cultura nazionale, omogenea al suo interno e storicamente
fondata. E il razzismo senza razza. Il diritto alla diversità diventa il diritto primario di difesa della propria
unicità, consentendo di evitare ogni forma di contaminazione con altre culture e di procedere all’esclusione
d espulsione di tutte le persone culturalmente diverse.
Anna Bosetti Sezione Appunti
La mente multiculturale 5. La doppia natura della cultura
Lo studio «dall’esterno» (etico) e quello «dall’interno» (emico) della cultura risultano entrambi parziali e
insoddisfacenti. Occorre quindi adottare un nuovo punto di vista. Il punto di partenza può essere dato dalla
constatazione che il luogo della cultura non è né esclusivamente esterno né esclusivamente interno. La
cultura è dentro e fuori dalle menti nello stesso tempo. Di conseguenza, la cultura è ovunque non solo in
termini geografici ma soprattutto in termini psicologici.
Essa è interna alle menti dei soggetti e si manifesta attraverso i loro modelli mentali, il loro sistema di
credenze e valori, la loro sensibilità e focalità emotiva, ecc. Nello stesso tempo, la cultura è esterna alle
menti dei soggetti, poiché trova espressione negli artefatti materiali (tecnologici come il telefonino, artistici
come le cattedrali, ecc.) e nelle istituzioni sociali di una data comunità.
Il legame che esiste fra aspetti interni e aspetti esterni di ogni cultura non è di natura interattiva, bensì
costruttiva, poiché entrambi gli aspetti reciprocamente co-determinano e co-definiscono l’evoluzione dei
percorsi culturali. Tale processo co-costruttivo dà luogo a emergenze culturali imprevedibili e indeducibili
dalle condizioni esistenti. Di conseguenza, l’evoluzione della cultura va attribuita a diverse sorgenti (interne
ed esterne) di trasformazione.
L’evoluzione culturale è covarianza, connessa alle condizioni contingenti del contesto. L’interdipendenza
fra aspetti interni e aspetti esterni della cultura rimanda ai concetti di «interpenetrazione» e
«interazionalismo». Essi comportano un imprevedibile percorso dei sentieri culturali e attribuiscono
rilevanza sostanziale al concetto di nicchia ecologica di ogni cultura.
Grazie alla sua doppia natura, ogni cultura costituisce una certa prospettiva sulla realtà, poiché implica un
modo di concepire, interpretare, spiegare gli avvenimenti. Ogni concezione e interpretazione è
inevitabilmente influenzata e distorta dalla cultura in cui è stata elaborata.
Anna Bosetti Sezione Appunti
La mente multiculturale 6. La cultura come eredità e adattatività
La cultura va dunque intesa come una forma di eredità che si affianca e interagisce con altri percorsi di
eredità che caratterizzano la specie umana. Nello specifico, la cultura può essere definita come l’eredità
cumulativa di costei/azioni simboliche. Ciò significa, innanzitutto, che la cultura è un’eredità, perché ogni
essere umano, quando nasce, si trova a vivere in un ambiente profondamente trasformato dalla cultura di
coloro che lo hanno preceduto. Tale eredità è di natura cumulativa, poiché la cultura procede sempre avanti.
In secondo luogo, l’eredità della cultura concerne essenzialmente (sebbene non esclusivamente) ie
costellazioni simboliche con cui gli umani comprendono, spiegano e organizzano la vita. Essi sono in grado
di generare simboli astratti, ossia rappresentazioni mentali che in modo convenzionale consentono di
raffigurare situazioni percettive della realtà, anche in assenza dei corrispettivi stimoli sensoriali. I simboli
non sono fotocopie della realtà, ma strutture mentali flessibili e dinamiche, dotate di livelli progressivi di
astrazione, per cui è possibile procedere per zoom mentali, ordinarle in categorie, fare delle rotazioni e
inversioni, condividerle con altri, ecc. Tale competenza è connessa con la capacità di elaborare
rappresentazioni mentali di secondo ordine (rappresentazioni delle rappresentazioni proprie e altrui) e di
giungere a una lettura della mente altrui.
Sul piano psicologico, il concetto di cultura può essere ulteriormente sviluppato, prospettando la cultura
come l’appropriazione (da parte di un novizio) di una rete globale e dinamica, più o meno coerente, di
modelli mentali (cognitivi, emotivi, sociali), di significati e valori, di pratiche di vita attraverso
l’apprendimento sociale e l’interazione con altri consimili indispensabile per adattarsi al proprio ambiente e
per dare senso all’esperienza propria e altrui entro una certa comunità di attori umani.
Il concetto di «appropriazione» sottolinea che la cultura è un processo prima di essere una struttura o un
sistema di artefatti. In quanto processo, non si ha solo l’appropriazione di soluzioni e artefatti, ma soprattutto
di dispositivi di adattamento attivo agli ambienti e ai loro continui cambiamenti. E il concetto di
«adattatività», intesa come capacità di adattarsi attivamente all’evoluzione dell’ambiente al fine di garantirsi
una continuità di funzionamento. In tale dinamica sono compresi anche i cambiamenti ambientali prodotti
dagli stessi esseri umani in funzione delle loro esigenze. In secondo luogo, il concetto di appropriazione
implica che la cultura sia considerata come un dispositivo dominio-generale in grado di affrontare in modo
flessibile tutti gli aspetti dell’esistenza umana, da quelli pratici e operativi a quelli più astratti e teorici. Per
sua natura, la cultura pone un novizio nella condizione di trovare una risposta ai vari problemi della vita.
Ogni cultura sceglie ed enfatizza certe soluzioni locali e contingenti, strettamente connesse con il proprio
contesto di riferimento, differenziandosi in tal modo dalle altre culture. In terzo luogo, il concetto di
appropriazione pone in evidenza il punto di vista del novizio che si distingue, in modo ovvio, da quello
dell’esperto. Ciò che in definitiva conta è il novizio, che deve essere in grado di fare sua la cultura di
riferimento attraverso l’azione dell’esperto e di ricostruirla in funzione della sua esistenza e dei cambiamenti
dell’ambiente in cui vive. Parlare di appropriazione significa superare la logica della cultura come semplice
trasmissione.
La cultura non è un semplice patrimonio o bagaglio di conoscenze e di pratiche che viene consegnato da una
generazione all’altra.
«Appropriazione» significa dunque che i soggetti trasformano la cultura nel momento stesso in cui si
appropriano dei suoi sistemi di credenze, di valori e di pratiche attraverso l’esperto, proponendone alla
generazione successiva una versione modificata e rinnovata, idonea all’adattamento a nuove esigenze
ambientali.
Anna Bosetti Sezione Appunti
La mente multiculturale Il novizio, più che apprendere la cultura dall’esperto, se ne appropria attraverso l’esperto stesso entro una
cornice di partecipazione. Da un lato, tale cornice viene a influenzare la configurazione e il decorso
dell’evento; dall’altro, prepara l’individuo a saper affrontare in modo più adeguato altri eventi simili.
L’appropriazione è un processo di trasformazione e fa riferimento al cambiamento che deriva al soggetto
dalla sua partecipazione a una data attività: la partecipazione è un processo unitario, individuale e sociale
allo stesso tempo.
La cultura è una realtà complessa in continua evoluzione, e il processo di appropriazione consente di
spiegare contemporaneamente l’evidenza del cambiamento culturale (appropriarsi di qualcosa significa
ricombinarla e ricostruirla in qualche modo), sia quella della continuità culturale (una volta che certi aspetti
culturali sono stati appropriati, tendono a restare stabili).
Anna Bosetti Sezione Appunti
La mente multiculturale 7. Cultura come mediazione
la cultura si prefigura come luogo e processo di mediazione fra le persone e i loro ambienti. Noi guardiamo
il mondo adottando un punto di vista specifico che è, per l’appunto, la nostra cultura. Il rapporto fra il
soggetto e l’oggetto (l’ambiente) può essere in certe occasioni diretto e immediato, ma, in generale, tale
rapporto è mediato dall’impiego di uno o più artefatti. Gli artefatti sono elementi del mondo materiale
assunti nell’azione umana come mezzi e modi per coordinarsi con l’ambiente fisico e sociale. Di per sé,
l’attività umana si serve degli artefatti come mezzi per raggiungere i propri scopi; nello stesso tempo, essa
dipende ed è vincolata dagli artefatti medesimi.
Si distinguono tre categorie di artefatti: a) artefatti primari sono quelli impiegati direttamente per l’attività
umana: essi consistono in strumenti e dispositivi che i soggetti di una data comunità usano abitualmente per
interagire fra di loro e con l’ambiente (dal martello ai nuovi mezzi di comunicazione) e costituiscono la
«cultura materiale»; b) artefatti secondari sono le rappresentazioni mentali degli artefatti primari e dei modi
di azione a essi associati: consistono in modelli mentali e simboli, intesi sia come schemi cognitivi impiegati
per rappresentare gli oggetti sia come aspetti più astratti (norme, credenze, ecc.) presenti nell’interazione
sociale e costituiscono la «cultura ideale»; c) artefatti terziari servono a costruire il mondo
dell’immaginazione e della fantasia nell’ambito del gioco e nell’arena del non pratico; rientrano in questo
ambito i diversi fenomeni e processi artistici nelle loro diverse espressioni creative; qui siamo in presenza
della «cultura espressiva».
Gli artefatti, prodotti dagli esseri umani, occupano una posizione di mediazione fra loro e l’ambiente, poiché
la cultura organizza l’uso di questi mezzi in attività specifiche. La mediazione è un processo attivo che
contribuisce in modo rilevante a organizzare, gestire e controllare le attività e le interazioni fra le persone.
Infatti, gli artefatti vanno intesi come convenzioni e costituiscono pratiche sociali che si trovano, nello stesso
tempo, sia all’interno della mente sia all’esterno nel contesto pubblico. Essi giocano un ruolo essenziale nel
dare forma all’azione, ma non la determinano in modo automatico: gli artefatti esercitano la loro efficacia
solo quando le persone h usano in modo appropriato.
Grazie agli artefatti il rapporto fra soggetto e ambiente è reso culturale. La presenza di un’azione mediata,
tuttavia, non significa che il percorso di mediazione sostituisca quello naturale, così come la comparsa della
cultura nell’evoluzione non vuol dire che la cultura sostituisca l’evoluzione stessa. Il soggetto mantiene una
serie di azioni dirette, come stare con i piedi per terra e guardare l’albero mentre lo colpisce con l’ascia, ma
l’incorporazione di artefatti nell’attività crea una nuova relazione fra organismo e ambiente, relazione in cui
il culturale (ciò che è mediato) e il naturale (ciò che è immediato) operano in modo sinergico.
Come esito di questa condizione si crea un’interdipendenza costante fra le possibilità di una data azione,
l’impiego appropriato degli strumenti attualmente a disposizione, il loro continuo miglioramento e
l’invenzione di nuovi strumenti che vengono ad aumentare le potenzialità dell’azione medesima. Su tale
interdipendenza si fonda il progresso della tecnologia, che costituisce un fattore non secondario di
evoluzione delle singole culture, a qualunque livello si collochino.
La mediazione svolta dalla cultura è universale e trasversale in quanto investe tutti gli ambiti dell’esistenza
umana, da quelli alimentari a quelli medici e biologici, a quelli religiosi e politici, sociali, ludici e artistici.
Essa ci fornisce dispositivi ovvi, scontati e automatici per capire e gestire la realtà. La cultura appare quindi
come una lente incorporata in noi. Si tratta di una lente di cui non ci rendiamo conto fino a quando non
incontriamo culture di altre comunità che fanno riferimento ad artefatti diversi.
Anna Bosetti Sezione Appunti
La mente multiculturale 8. Cultura come partecipazione
La cultura è una invenzione della specie umana attraverso una serie continua di progressi e scoperte. In
quanto produzione umana, la cultura è l’esito di un processo di costruzione sociale attraverso la
partecipazione dei soggetti, poiché essi creano la cultura cui partecipano.
La cultura è un processo collettivo, dal momento che non può essere il risultato di un’azione individuale,
anche se ogni soggetto contribuisce a fornire una data fisionomia alla cultura di cui è parte. Per definizione,
la cultura è partecipazione, poiché essa implica la condivisione dei processi di significazione, di
comunicazione, di pratiche e di valori, nonché l’accordo sulle regole da parte delle persone che la
costituiscono.
La situazione di partecipazione rimanda, anzi tutto, al concetto di diversità, intesa come lo scarto culturale
che due o più persone (o gruppi) percepiscono e dichiarano esistere nel momento in cui entrano in una
qualche forma di contatto. In questo senso la diversità non è una proprietà oggettiva bensì è una qualità
percepita di natura relativa. Non si è intrinsecamente diversi, ma si è diversi agli occhi di qualcun altro e
rispetto a un qualche punto di vista.
La cultura non è un territorio circondato da confini. Essa è piuttosto un insieme di confini. Il senso delle
cose è dato dai confini fra le cose medesime e dal confronto fra le loro differenze. Talvolta, questi confini
possono diventare barriere invalicabili, come avviene nelle diverse espressioni di radicalismo culturale che
prevedono forme di chiusura ideologica, valoriale e comportamentale.
Di norma, si tratta di confini invisibili che diventano chiaramente visibili non appena valicati Per esempio.
nel raccontare le sue ricerche antropologiche, Geertz evidenzia che, quando era a Giava e stava studiando la
lingua locale, i suoi insegnanti lo correggevano meticolosamente su tutti gli errori linguistici riguardanti il
rango sociale e trascuravano totalmente gli errori di genere. Quando, invece, si trovò in Marocco, i suoi
istruttori non tolleravano alcun errore di genere, mentre erano indifferenti a quelli concernenti lo status. Ciò
dimostra che la mente è culturalmente definita attraverso discorsi e mondi molteplici.
La consapevolezza culturale, ossia la capacità di comprendere a fondo i processi, i punti forti e i limiti della
propria cultura, costituisce una premessa rilevante per comprendere le culture altrui e per prendervi parte in
modo attivo. Partecipare a una cultura significa essere parte di essa e influenzarla nel momento stesso in cui
se ne è parte. Quando un soggetto partecipa a un’attività culturale, la influenza nel momento stesso in cui ne
è influenzato attraverso un processo reciproco senza fine.
Anna Bosetti Sezione Appunti
La mente multiculturale 9. Come gli uomini sono diventati uomini
Per comprendere la complessità della cultura e le ragioni per cui oggi abbiamo bisogno di una mente
multiculturale, occorre analizzare le modalità in cui è comparsa e si è evoluta la cultura nella specie umana.
La cultura non è nata insieme al genere umano. La cultura è nata molto dopo. Sono passate decine di
migliaia di anni prima che si potesse parlare di cultura.
1.Cenni sull’evoluzione della specie umana
Comparsa di Homo sapiens circa 150.000 anni fa. L’attuale specie umana ha avuto origine in Africa da una
popolazione iniziale alquanto limitata, compresa fra i 10.000 e i 30.000 individui. Essendo una specie
esploratrice e quindi nomade, dedita alla caccia e alla raccolta di cibo, Homo sapiens iniziò a emigrare
dall’Africa circa 80.000 anni fa per colonizzare tutti i continenti in tempi successivi. In Europa Homo
sapiens giunse circa 30.000 anni fa.
Anna Bosetti Sezione Appunti
La mente multiculturale 10. Coevoluzione fra gene e ambiente
Il dibattito fra natura e cultura è proseguito in psicologia con l’opposizione fra innatismo e ambientalismo.
Il primo ritiene che la dotazione genetica attivi condotte specie-specifiche comuni a tutti gli umani e che
quindi sia alla base dello sviluppo dei soggetti e dei gruppi, ovunque essi si trovino. Per contro,
l’ambientalismo pone in evidenza l’influenza determinante della cultura nel definire lo sviluppo
dell’individuo in modo indipendente dalle sue predisposizioni e inclinazioni naturali. Le differenze generate
dalle culture di appartenenza sono ritenute profonde certamente irriducibili.
Non esiste la natura umana nella sua assolutezza, poiché non esiste una natura umana in astratto,
indipendente dalla cultura. Per definizione, la natura umana è culturalmente situata.
Anna Bosetti Sezione Appunti
La mente multiculturale