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La cultura vista dall’esterno


Lo studio della cultura «dall’esterno» è stato chiamato etico. Una determinata cultura è esaminata come se fosse una realtà esterna, circoscritta e chiusa, alfine d’individuarne le proprietà distintive. L’idea di fondo è che vi sia una «natura umana» universale e invariata, intesa come dotazione geneticamente ereditaria, comune a tutti gli umani, regolata da leggi sistematiche e che, in superficie, tale natura umana assuma forme diverse a seconda delle varie culture.
La comprensione della cultura vista «dall’esterno» avviene sostanzialmente in questo modo: si parte da una griglia di proprietà che si ritengono generali (come le credenze, le emozioni, le relazioni sociali, ecc.) e poi si procede con il fare un confronto sistematico fra alcune culture, per individuarne le somiglianze, alla ricerca di leggi universali sottese alla condotta umana. In questo confronto l’individuazione di eventuali differenze serve a porre in evidenza le cosiddette variazioni di superficie, di natura locale, prodotte dalle varie culture.
L’approccio etico ha dato origine alla psicologia crossculturale (detta anche psicologia transculturale), che si prefigge di procedere al confronto sistematico fra le varie culture facendo ricorso a metodi quantitativi (questionari, test psicologici, ecc.) e a modelli astratti di spiegazione.
Tuttavia, studiare la cultura «dall’esterno» va inevitabilmente incontro a limiti e difficoltà. Per prima cosa non esistono né modelli teorici né indirizzi politici né strumenti di misurazione che siano immuni dalle influenze culturali, poiché essi sono prodotti sempre all’interno di una data cultura.
In secondo luogo, tale tipo di studio comporta il cosiddetto paradosso dell’equivalenza: ossia assumere che ciò che è valido in una certa cultura sia valido anche in un’altra cultura. Questa idea implica il rischio di produrre distorsioni sistematiche. Ritenere che parole che pensiamo universali, come «libertà», «giustizia», «democrazia», «felicità», «amicizia», «verità», ecc, abbiano lo stesso significato presso gli italiani, gli inglesi, i russi, i polacchi, i cinesi, gli indiani o i giapponesi è una vera ingenuità. Per esempio, la parola «felicità» per gli americani corrisponde all’obbligo sociale di ottenere successo e di provare gioia e ottimismo, mentre per i giapponesi la felicità consiste nell’equilibrio fra emozioni positive e negative (yin e yang). Parimenti, il concetto di libertà è assai diverso per gli italiani, gli inglesi, i polacchi e i russi.

Tratto da LA MENTE MULTICULTURALE di Anna Bosetti
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