Riassunto del libro "Luchino Visconti" di Lino Miccichè. La vita e le opere di uno dei più eleganti e raffinati registi italiani. Formatosi tra gli ambienti chic francesi e l'Italia, Visconti ha firmato delle pellicole uniche a livello visivo e tematico. "Ossessione" è una rivoluzione sfacciata contro il perbenismo, l'inizio di una carriera che vedrà il cinema influenzato largamente dalle scenografie teatrali e da un gusto personalissimo per la messa in scena. "Rocco e i suoi fratelli" e "Senso" sono dei capolavori, a cui hanno contribuito la passione di Visconti per la letteratura, la musica e la pittura.
Luchino Visconti
di Marco Vincenzo Valerio
Riassunto del libro "Luchino Visconti" di Lino Miccichè. La vita e le opere di uno
dei più eleganti e raffinati registi italiani. Formatosi tra gli ambienti chic francesi
e l'Italia, Visconti ha firmato delle pellicole uniche a livello visivo e tematico.
"Ossessione" è una rivoluzione sfacciata contro il perbenismo, l'inizio di una
carriera che vedrà il cinema influenzato largamente dalle scenografie teatrali e
da un gusto personalissimo per la messa in scena. "Rocco e i suoi fratelli" e
"Senso" sono dei capolavori, a cui hanno contribuito la passione di Visconti per
la letteratura, la musica e la pittura.
Università: Università degli Studi di Milano
Facoltà: Lettere e Filosofia
Esame: Filmologia
Titolo del libro: Luchino Visconti
Autore del libro: Lino Miccichè1. Gioventù di Luchino Visconti tra Francia e Italia
Quarto di sette fratelli, Luchino Visconti nasce a Milano, il 2 novembre 1906, dal duca di Grazzano e conte
di Modrone Giuseppe Visconti e da Carla Erba. Oltre che all’agiatezza, l’infanzia e l’adolescenza del
giovane Luchino sono improntate alla consuetudine con la cultura e con l’arte, oltre che caratterizzate da una
vita mondana che lo porterà fin dalla tenera età a frequentare con regolarità personalità del mondo dello
spettacolo e intellettuali. Vero e proprio spartiacque della vita di Luchino Visconti sono un luogo e un anno
in particolare: Parigi, 1936. Introdotto negli ambienti cinematografici parigini da Coco Chanel, l’ormai
trentenne lombardo entra a fare parte dell’èquipe di assistenti di Jean Renoir, a partire da Une partie de
campagne (1936) e poi anche in Les bas-fonds (1936). Questa esperienza parigina è fondamentale non solo
per l’apprendistato con Renoir, ma anche per i contatti che Visconti ha con gli ambienti parigini di sinistra,
in fermento in quegli anni per il Front Populaire. Al tempo stesso la sua amicizia con Jean Renoir si rinsalda
talmente che, allo scadere del decennio, quando il regista francese verrà in Italia per girarvi una Tosca, sarà
proprio Luchino Visconti il suo punto di riferimento italiano e colui al quale, nel giugno 1940 (dovendo
Renoir partire per l’esilio negli Stati Uniti, mentre le truppe tedesche stanno sfondando il fronte francese)
lascerà l’incarico di portare a termine l’impresa.
Poco dopo il ritorno dalla Francia, Visconti era entrato in contatto con quel gruppo di giovani intellettuali
che andava gradualmente formando la rivista Cinema, da un periodico solo a tratti spregiudicato, in un vero
e proprio organo di opposizione intellettuale al regime fascista. Tale esperienza si rivela fondamentale per
Visconti, in quanto il futuro regista si rende protagonista non solo grazie ad alcuni scritti di critica
cinematografica, ma anche in qualità di autore del progetto cinematografico che avrebbe dovuto essere
l’opera manifesto del gruppo. L’idea originaria era quella di realizzare un film tratto da L’amante di
Gramigna di Giovanni Verga, autore che con il suo punto di vista verista incarnava l’emblema antitetico
rispetto alla visione univoca, laccata e edulcorata propugnata dalla cultura ufficiale del regime. L’amante di
Gramigna fu bocciato preventivamente dagli organi censori del Minculpop, mentre diversa fortuna ebbe un
altro progetto, questa volta ispirato ad un romanzo americano The postman rings always twice di James
Cain, testo che Visconti aveva conosciuto attraverso una traduzione dattiloscritta datagli da Renoir.
Marco Vincenzo Valerio Sezione Appunti
Luchino Visconti 2. "Ossessione", opera prima di Visconti
Non erano stati tanto i pregi letterari quanto la forza polemica e il valore d’urto che la storia poteva avere nel
contrasto che essa presentava con un panorama cinematografico, e più in generale culturale, dove l’assenza
di conflitti, l’intimismo crepuscolare, il puritanesimo piccolo borghese e la commedia di costume
rappresentavano il comune e non discusso denominatore.
In effetti Ossessione fu una clamorosa opera di rottura per il suo esclusivo fondarsi su sanguigne passioni e
per l’inedita sua proposta d’un paesaggio non armoniosamente riposante; per la laica chiusura della vicenda
entro un ambito realisticamente umano refrattario a qualsiasi consolazione; per il fermo rifiuto alla passiva
accettazione del quotidiano e ordinato scorrere delle cose; per il pessimistico concorrere di realtà e di
sentimenti verso un tragico epilogo.
L’opera, inoltre, mette in evidenza, proprio nell’organizzazione del racconto, una notevolissima saldezza
strutturale: diviso in due parti dalla netta cesura/censura del delitto (di cui grazie allo strumento dell’elissi si
raccontano il prima e il dopo, ma non ci viene mostrato l’atto in sé), il racconto si arricchisce di una ulteriore
complessità psicologica. Si registra prima la fatalità dell’incontro Gino/Giovanna e poi l’insostenibilità della
loro convivenza nel rimorso, interrotti, in ambedue le fasi, dal vano proporsi per Gino di una via di fuga dal
suo ineluttabile destino: un’alternativa rappresentata prima dal personaggio dello Spagnolo e poi da quello
della ballerina Anita.
Marco Vincenzo Valerio Sezione Appunti
Luchino Visconti 3. Temi scottanti di "Ossessione"
Ossessione rappresenta quindi una drammatica parabola sull’inesorabilità e l’invivibilità del Fato e fa di
Giovanna, con la sua umanità “scarmigliata e dolente”, un drammatico personaggio costretto alla furia e al
crimine, da un proprio inoppugnabile destino di umiliazione e di selvatichezza.
Assolutamente inediti nel panorama del cinema italiano di quegli anni si presentano elementi come il sesso,
il sangue, le passione, il delitto, l’oscurità etica e l’incertezza esistenziale: l’Italia quietamente assopita sulla
culla della sanità della stirpe acquista in Ossessione un vitalismo esasperato e volutamente deformato che
rompe la quiete borghese, pone interrogativi e affronta le complessità e complessità psicologica
dell’individuo con lucidità e disincanto.
Ossessione rappresenta anche il primo caso di cinema italiano non autoreferenziale e ghettizzato all’interno
dei propri confini: al contrario mostra un notevole respiro internazionale grazie alle influenze della
letteratura americana e del realismo poetico francese con cui Visconti aveva avuto rapporti diretti.
Ossessione è, come del resto a suo tempo lo era stato Gli indifferenti di Moravia, una sorta di shock per
l’intellettualità italiana, ammalata di conformismo e provincialismo, e quindi spiazzata di fronte alla forza
dirompente e innovativa del film d’esordio di Visconti.
L’efficacia polemica del film non sfuggì, tuttavia, alla censura fascista, messa in guardia dall’atteggiamento
di Vittorio Mussolini che, nella serata della prima romana al cinema Arcobaleno, se ne era uscito sbattendo
la porta e negando ad alta voce che quella rappresentata nel film fosse l’Italia. Ossessione uscì così con
notevole ritardo, nella primavera del 1943, tagliata in più parti dagli ossequiosi censori ministeriali,
stroncata dalla stampa più servile e dag molti ambienti vescovili e parrocchiali. Le uniche critiche positive
giunsero da alcuni critici avveduti, riconducibili alle pagine della rivista Cinema.
Marco Vincenzo Valerio Sezione Appunti
Luchino Visconti 4. Visconti tra teatro e cinema
Dopo Ossessione, Visconti sembra trascurare il cinema e si dedica con frenetica vitalità all’attività teatrale.
Non che il regista non coltivasse progetti cinematografici (tra gli altri La Certosa di Parma da Stendhal,
Furore da Steinbeck e Otello da Shakespeare). I progetti cinematografici si trovano a scontrarsi con un
triplice ostacolo: la crisi cinematografica italiana alla fine della guerra, l’esplicita collocazione a sinistra di
Visconti e l’aura di scandalo legata alla sua omosessualità che inizia ad aleggiare intorno alla figura del
regista dopo la fine del conflitto mondiale.
Tra il gennaio 1945 e il febbraio 1947 Visconti compensa la scarsa produttività cinematografica con
un’intensissima attività teatrale, realizzando in questo lasso di tempo ben dodici delle sue quarantacinque
regia di prosa.
Tra i molti progetti firmati da Visconti in questo biennio si ricordano Parenti terribili di Cocteau, Quinta
colonna di Hemingway, Il matrimonio di Figaro di Caron de Beaumarchais, Euridice di Anouilh e Zoo di
vetro di Tennessee Williams.
Nella primavera del 1947 parte l’avventura de La terra trema, nato come un documentario destinato alla
promozione elettorale del PCI in vista delle elezioni dell’anno dopo.
L’idea di partenza è quella di una docu-fiction articolata in un episodio del mare, un episodio della solfara e
un episodio della terra che intersecati fra loro insieme a un più breve episodio della città descrivono, in
montaggio alternato, diverse situazioni di lotta di classe. Con un’unica conclusione nettamente vittoriosa,
quella dei lavoratori della terra, che occupano, nonostante i carabinieri e la mafia le terre incolte del feudo, e
vincono grazie alla solidarietà dei lavoratori del mare, delle solfare e delle industrie, scesi tutti in sciopero.
Dopo i sopralluoghi durati diversi mesi, nell’estate del 1947 Visconti abbozza lo schema narrativo del
documentario, suddiviso in tre macroepisodi: MAR (episodio del mare), ZOL (solfara), TER (terra) e CIT
(città). Per l’episodio MAR, nella sua combinazione tra realtà filmata e realtà romanzata, Visconti ha come
punto di riferimento I Malavoglia di Verga, ma ben presto le ambizioni e la portata di questo episodio
assumono dimensioni gigantesche e difficilmente gestibili come episodio all’interno di un progetto multi
comprensivo. Nel giro di qualche mese Visconti abbandona l’idea del film documentario promozionale e
trasforma La terra trema in una rilettura moderna de I Malavoglia.
Marco Vincenzo Valerio Sezione Appunti
Luchino Visconti 5. "La terra trema" di Visconti e differenze con Verga
Rispetto al romanzo originale, Visconti coglie lo spirito dell’opera pur non restando pedissequamente fedele
alla trama. Nel romanzo di Verga, ad esempio, il negozio di lupini voluto da Padron ‘Ntoni turba l’ordine
arcaico e rurale di Aci Trezza ed è uno strumento di emancipazione della famiglia Malavoglia. In Visconti,
il negozio dei lupini viene trasformato nel consapevole tentativo classista del giovane ‘Ntoni, e di tutta la
famiglia Valastro, di appropriarsi dei mezzi di produzione per sottrarsi allo sfruttamento dei mercanti. Se il
tentativo dei Valastro viene sconfitto dalla malasorte (la tempesta) e dalla mancata solidarietà di classe, per
cui il racconto si chiude con una sconfitta storica (‘Ntoni cade di nuovo nelle mani dei mercanti) e con
l’umiliazione dell’intera famiglia, resta però lo spiraglio di una vittoria ideologica (‘Ntoni sa perché ha perso
la sua battaglia) che rende edificante la storia con la s minuscola del protagonista del film e che tende a dare
uno sguardo d’insieme alla Storia con la s maiuscola.
Il racconto corale verghiano è sostituito poi da una sorta di saga famigliare in cui non soltanto emergono il
separato e diverso agire dei personaggi, ma anche la loro solitudine rispetto alla comunità e il loro radicale
isolamento nella lotta. Pur ricorrendo continuamente a Verga per i dialoghi, per l’episodica e per
l’onomastica, Visconti muta, spesso radicalmente, le valenze e il senso del testo letterario. Un esempio su
tutti è quello del personaggio di ‘Ntoni, che nel romanzo diventa un perdigiorno e finisce in galera, mentre
nel film è un proletario cosciente che mette in gioco sé stesso per giungere ad un riscatto sociale e di classe.
La terra trema costituisce un caso esemplare di rapporto creativo tra letteratura e cinema, con una macchina
da presa che non illustra cercando la fedeltà a tutti i costi rispetto al modello narrativo, ma rilegge, ricrea e
rielabora poeticamente la realtà ripresa attraverso il proprio obbiettivo. Nel film è poi presente la doppia
anima viscontiana: da una parte, il cuore con la sconfitta, la distruzione, la disperazione e l’impossibilità
della rivoluzione; dall’altra, la ragione con la fermezza della lotta, la dignità del lavoro, la volontà di
giustizia e la necessità del cambiamento.
Nella compresenza di opposti, coesistono anche due registri linguistici: da un lato, l’italiano, lingua altra,
estranea al mondo dei poveri e rappresentato solo dalla scritte murali o dei documenti; dall’altro, il siciliano
che è la lingua della quotidianità. L’italiano è la lingua degli sfruttatori e degli spettatori, il siciliano
appartiene agli sfruttati e ai rappresentati.
Marco Vincenzo Valerio Sezione Appunti
Luchino Visconti