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"Bellissima" di Visconti, morte dell'utopia neorealista



Nel 1951 Visconti gira, su un soggetto di Cesare Zavattini e una sceneggiatura curata da sé stesso con la collaborazione di Suso Cecchi D’Amico e Francesco Rosi, Bellissima. Il film è, usando parole dello stesso regista, storia di una donna o meglio di una crisi: una madre che ha dovuto rinunciare a certe aspirazioni piccolo borghesi, tenta di realizzarle attraverso la figlia. Poi si convince che, se un miglioramento si può raggiungere, è in tutt’altra direzione. E alla fine torna a casa pulita come è partita; senza lasciare cioè che il mondo del cinema, nel quale ha cercato di lanciare la propria figliola, gliela strappi e gliela distrugga. Usando anche allegoricamente la metafora del cinema, Visconti costruisce un racconto in cui aspetti divergenti della realtà sono sempre in costante dialogo tra loro: vengono contrapposti principio di piacere (Maddalena, il sogno, la fantasia femminile, il cinema) e principio di realtà (Spartaco, lo scetticismo, la forza maschile, la dura realtà quotidiana); esterno (la città dove convivono la magia del cinema e la crudeltà della troupe di Blasetti o le trappole di Annovazzi) e interno (la casa dove ci sono la protezione possente, l’affetto sicuro e il sesso legittimo di Spartaco), il mondo (dove è difficile la lotta per sé stessi e per i propri figli) e la famiglia (dove gli affetti sono sicuri e i progetti plausibili). Si contrappongono quindi un ordine femminile (Maddalena: ambizioni sbagliate/amore al cinema/fallimento) e ordine maschile (Spartaco: concretezza realistica/distacco dal cinema/capacità di creare e conservare un equilibrio razionale). In tal modo lo stesso autore di un inno disperato all’impossibilità del desiderio e alla prigionia della famiglia come Ossessione mostra in questo film come la censura del desiderio sia l’unica strada praticabile e il rifugio della famiglia il solo possibile. E ancora, uno dei padri storici del neorealismo bolla in questo caso il cinema come il luogo dell’intorpidimento favolistico e dell’illusione irrealistica destinata a rimanere delusa. La quiete e la serenità ritorneranno in casa Cecconi solo quando Maddalena, con l’aiuto del marito, caccerà di casa gli inviati di Blasetti, venuti a scrittura la piccola Maria, stabilendo una distanza definitivamente incolmabile tra la famiglia popolare e i rappresentanti dell’industria dei sogni. Lungi dall’essere strumento di coscienza e di crescita, il cinema, tutto il cinema, è solo viatico di vane illusioni e di sogni regressivi, da cui è giusto, doveroso distaccarsi: Bellissima è uno dei primi e più consapevoli atti di morte dell’utopia neorealista. Il film rimane vivido nella memoria grazie ai pregnanti risultati realistici ottenuti sia nel ritratto dolcemente ruvido di Maddalena Cecconi come in quello argutamente cialtronesco dello spiantato cinematografaro Annovazzi e in quello disperato fino alla crudeltà della bellissima piccola Maria, con la sua precoce tristezza di esserino già reificato. Visconti appare magistrale quando dà vita a alcune corpose notazioni ambientali, estremamente funzionali agli effetti della schiettezza cronachistica della storia: quando sottolinea alcune esuberanze vitalistiche (quelle matrone romane così cariche di pagana sessualità, a cominciare dalla stessa protagonista) o quando costruisce, con grande finezza di intuito, alcune sequenze, come quella psicologicamente  significativa del cinema all’aperto e quella così ricca di interni impulsi e di segreti umori di Maddalena e di Annovazzi sul greto del fiume.

Tratto da LUCHINO VISCONTI di Marco Vincenzo Valerio
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