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"Il lavoro" di Luchino Visconti



Dopo le polemiche e il sequestro de L’Arialda (altro adattamento da Testori), il conseguente scioglimento della compagnia Morelli-Stoppa e la denuncia per oscenità, oltreché dello scrittore e del regista, dell’impresario Remigio Paone, Visconti va a respirare un po’ d’aria fresca a Parigi, dove presenta Rocco e i suoi fratelli e dirige la messa in scena di un dramma elisabettiano ‘Tis Pity she’s Whore di John Ford con protagonisti Romy Schneider e Alain Delon.
A fine 1961, mettendo a partito l’incontro parigino con Romy Schneider, Visconti la sceglie quale protagonista femminile de Il lavoro (1962), ispirandosi a Au bord du lit di Guy de Maupassant, dove la giovane attrice austriaca è Pupe, la moglie del conte Ottavio che, scoperte le tresche del marito con le prostitute di un bordello di lusso, decide di concederglisi solo a pagamento.
Il mediometraggio (46 minuti totali) fa parte di Boccaccio ’70, un film a episodi firmati da più registi (gli altri episodi sono Le tentazioni del dottor Antonio di Fellini, Renzo e Luciana di Monicelli e La riffa di De Sica), ed è un divertito Kammerspiel che la caratteristica di essere l’unico film dove Visconti parla direttamente, facendone una graffiante e autoironica satira, della propria classe d’appartenenza, la nobiltà milanese.
Un vezzo registico e un esercizio di stile dove è possibile intravedere in una delle inquadrature, su un divano, una copia de Il Gattopardo in versione tedesca. È il personale preannuncio dell’impresa che Visconti sta portando avanti: un film tratto dal romanzo omonimo di Tomasi di Lampedusa.

Tratto da LUCHINO VISCONTI di Marco Vincenzo Valerio
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