Appunti per l'esame di Storia e metodologia della critica cinematografica. Grazie a diversi contributi e recensioni, si cercano di spiegare le funzioni della critica cinematografica. Viene affrontato un percorso metacritico in cui la critica cinematografica viene definita, sia come luogo di interpretazione, sia come dispensa di nuovi significati. Secondo queste due concezioni, la critica viene infatti intesa, a seconda dei casi, come un’immagine, e per questo percepita come riflesso del testo, oppure come una pratica, e quindi percepita come re-inaugurazione del testo. Nel testo viene spiegato e affrontato questo contrasto.
Critica cinematografica
di Nicola Giuseppe Scelsi
Appunti per l'esame di Storia e metodologia della critica cinematografica.
Grazie a diversi contributi e recensioni, si cercano di spiegare le funzioni della
critica cinematografica. Viene affrontato un percorso metacritico in cui la critica
cinematografica viene definita, sia come luogo di interpretazione, sia come
dispensa di nuovi significati. Secondo queste due concezioni, la critica viene
infatti intesa, a seconda dei casi, come un’immagine, e per questo percepita
come riflesso del testo, oppure come una pratica, e quindi percepita come re-
inaugurazione del testo. Nel testo viene spiegato e affrontato questo contrasto.
Università: Università degli Studi di Bologna
Facoltà: Lettere e Filosofia
Corso: Discipline dell’Arte, della Musica e dello
Spettacolo
Esame: Storia e metodologia della critica
cinematografica
Docente: Franco La Polla
Titolo del libro: Il linguaggio della critica cinematografica
Autore del libro: Claudio Bisoni
Editore: Revolver Libri
Anno pubblicazione: 20031. Il modello di attività critico - applicativa
Discorso teorico puro VS Esercizio di lettura dei singoli film
La critica in realtà ha sempre parlato di sé; e ogni discorso teorico comprende anche un modello ideale di
attività critico-applicativa.
Smascherare il complotto dell’ideologia tramite quello che Carroll chiama “Althusserian–lacanian paradigm
”.
Scomparsa del cinefilo puro e del teorico puro a causa della “cine-tele-foto-video-fagia”; e di conseguenza
la critica si trova ad agire in un campo di tensioni contrapposte.
Nicola Giuseppe Scelsi Sezione Appunti
Critica cinematografica 2. Marcello Walter Bruno, la morte del cinema
I FASTI CONCETTUALI DEL POSTMODERNO E LE IMPURITÀ DELLA CRITICA
Marcello Walter Bruno
Il cinema è morto, ed è costretto ad andare in autoanalisi.
Da opera d’arte totale, i film divengono generi televisivi.
Dal classico al moderno, e poi al post-moderno.
Dai film d’arte al cinema d’autore, e poi ad un cinema autoriflessivo ma in maniera più facile rispetto al
cinema d’autore.
Quando il cinema collassa nella tv, i registi diventano artisti concettuali.
Il film non più discorso per mezzo della riprovisione, ma sulla riprovisione: prima lo specifico
cinematografico era il montaggio, adesso è l’immagine.
Si passa dal film opera al film operazione. Il livello-opera è quello che si coglie sul piano più superficiale,
mentre al livello operazione si arriva solo con lo strappo metacritico.
Il metacinema non è altro che un’elaborazione del lutto da parte del cinema stesso. Il metacinema non ha
bisogno di interpretazioni perché si interpreta già da solo.
Il critico come stupratore testuale.
Il peccato originale del critico è di credere di essere più furbo e preparato del regista
Per comprendere il cinema postmoderno il critico deve avere un occhio di riguardo per tutta la produzione
audiovisiva, altrimenti rischia di vedere opere là dove non esistono che operazioni. Alla critica
impressionistica che perde tempo a giudicare l’opera, il metacritico oppone la descrizione del meccanismo
messo in atto dall’autore.
I principali metodi del frame-work di Bruno:
1) permettere di spiegare una serie di fenomeni cinematografici molto diversi tra loro, ricorrendo alla
rivisitazione del solo concetto della riflessività;
2) trovare spiegazione attraverso una retorica dell’argomentazione molto smaliziata che mescola il piacere
dell’ambiguità espressiva con la forza dell’aforisma.
La critica della critica è un momento che segue necessariamente alla definizione del quadro cinematografico
postmoderno; primariamente non si devono porre domande all’interpretazione, si devono porre domande
sulla riprovisione.
Il cinema si spiega col cinema, e la critica non può che prenderne atto.
Bruno è convenzionalista come spettatore di cinema – il cinema è una convenzione che si spiega solo con il
cinema – e anticonvenzionalista come teorico della critica – il cinema si spiega con il cinema, ma la critica
non si spiega con la critica, perché si spiega anch’essa con il cinema.
Nicola Giuseppe Scelsi Sezione Appunti
Critica cinematografica 3. L'autoriflessività, Marcello Walter Bruno
L’autoriflessività in Bruno è al contempo principio fondamentale di spiegazione di una molteplicità di
fenomeni e concetto dai confini troppo spesso indefiniti e mutevoli; a ben vedere la sua autoriflessività
acquista almeno due diverse valenze:
- contestuale: i film si giudicano solo in relazione ad altri film
- intratestuale-sostanziale: ogni film che mette in scena uno sguardo o un corpo attoriale è già di per sé
metacinema
Il film operazione vale di più del film opera, l’autoriflessività è un destino dell’immagine e proprio per
questo il vero regista è colui che sa raddoppiare l’autoriflessività di base con il plusvalore intenzionale della
propria coscienza metacinematografica: egli essendo sempre perfettamente conscio del proprio meta-operare
è il miglior critico di se stesso.
Allo stesso modo, il metacritico svetta sopra la comunità degli stupratori, entrando in relazione di simpatia
con l’operazione testuale.
Nicola Giuseppe Scelsi Sezione Appunti
Critica cinematografica 4. La critica di Marcello Walter Bruno
I bersagli della polemica di Bruno sono almeno due:
- la critica quotidianistica: ignorante, essa ha qualcosa di ridicolo nella pretesa di fare analisi formale
annotando “bella la fotografia”;
- la critica specializzata: violenta, che non passando attraverso un ermeneutica endogena va
automaticamente incontro alla distruzione del corpo-cinema stesso rendendolo non più godibile.
Il metacinema è una macchina produttrice di seduzione diegetica ma anche un campanello d’allarme
continuo sui poteri di questa seduzione; il metacinema porta con sé il potere e gli antidoti del veleno
dell’ipnosi.
La critica non riesce dove il metacritico riesce: nel concepire il metafilm come oggetto di godimento e come
oggetto di studio.
Dietro allo strappo metacritico di Bruno si legge un desiderio di salvare sia il corpo del cinema, sia il corpo
della teoria, di preservare il piacere-rispetto del testo, di proporre un frame teorico capace di godere della
fastosità concettuale del cinema post moderno senza cadere nella rigida metodologia.
Nicola Giuseppe Scelsi Sezione Appunti
Critica cinematografica 5. Paolo Cerchi Usai ei discorsi sul cinema
Il suo intervento cerca piuttosto di descrivere l’assetto istituzionale dei discorsi sul cinema per individuare la
posizione occupata all’interno dell’assetto della critica stessa. Egli parte dalla constatazione di una diversità
di fondo che caratterizza l’insieme dei discorsi sul cinema dagli insiemi discorsivi riguardanti altre arti.
Il problema è da individuare nella radicale separazione che caratterizza le tre aree degli studi cinematografici
– discorso critico, teorico, storico –: esiste una frattura tra storia e teoria destinata a ripercuotersi anche sulla
critica.
Può diventare interessante vedere come il discorso cinefilico si sia rapportato al discorso critico –analitico,
studiare le influenze che i due tipi di discorso abbiano esercitato reciprocamente l’uno sull’altro, soffermarsi
nei luoghi problematici di questo rapporto difficile.
La questione della cinefilia nasconde il problema del faccia a faccia tra analisi e godimento del testo.
L’amore per il cinema prende in prestito dall’università i suoi criteri d’apprendimento – l’erudizione – e di
giudizio – la scrittura e il gusto classico, riuscendo a ridefinirli all’interno di un percorso controculturale un
dubbio nei confronti degli approcci metodologici: la cinofilia rifiuta il metodo perché è essa stessa un
metodo di vita, una idea di cinema.
Se la cinefilia rimane ancor oggi un fenomeno difficilmente circoscrivibile, del quale sfugge l’essenza, lo si
deve anche ad una sorta di duplicità legata alla sua natura: da una parte essa è produttrice di effetti di
conoscenza rigorosa, dall’altra è sempre stata vittima di un equivoco che voleva la scientificità
dell’approccio analitico al film come freddo e assai poco passionale.
La volontà di godere del film porta con sé una inevitabile volontà di sapere che è imprescindibile
dall’atteggiamento cinefilo e costituisce un tratto fondamentale. Truffaut rimproverava alla precedente
generazione critica non tanto mancanza d’amore, ma di competenza.
Nicola Giuseppe Scelsi Sezione Appunti
Critica cinematografica 6. Gianni Canova : Contro la cinefilia
Nel suo intervento, dal titolo Contro la cinefilia, la questione è di ricominciare a pensare la visione come
atto anarchico, e per fare ciò è necessario dire male della cinefilia, che pensa al cinema già fatto, senza che
abbia nessuna capacità di intervenire sul cinema ancora da fare.
Il feticismo del testo( o del meta-testo) in Bruno e l’accademismo un po’ frigido in Cerchi Usai è
conseguenza del virus della cinefilia, che viene ad identificarsi con un atto specialistico che riduce il cinema
ad un’apologia dei metodi di analisi.
Sarà anche vero che la critica impressionista rischia di essere fatta da stupratori, ma è anche vero che il
cinema, forse, è stato inventato per essere stuprato. Da tutti.
La soluzione è nell’adozione di un modello di critica estrema e visionaria, megalomane, che si avvicini più
ad una forma di illuminazione che ad un esercizio metodologico ordinato.
Sono individuate due degenerazioni fondamentali della critica nella difesa sterile del metodo e nell’apologia
dello slogan cinema-cinema.
Canova attacca comunque una concezione della cinefilia che non si può certo far coincidere con la cinefilia
nel suo complesso: è quella rivolta al mondo della ricerca universitaria; non a caso le proposte alternative
che egli porta avanti fanno parte appieno del patrimonio del cinefilo.
Nicola Giuseppe Scelsi Sezione Appunti
Critica cinematografica 7. Roberto Pugliese: la difesa della critica cinematografica
Solo la critica potrà liberarci dalla critica, per cui essa va difesa proprio nel suo specifico di mestiere, con le
sue competenze e la sua inevitabile settorialità.
Difendere la critica non significa necessariamente difendere una corporazione di individui che
singolarmente possono essere screditati: vuol dire soprattutto sconfiggere i luoghi comuni che disegnano il
critico come lo stereotipo del servitore d corte incapace di far altro che ratificare l’esistente.
La critica non fa cinema, ci va; ed è questa la sua grandezza.
Nicola Giuseppe Scelsi Sezione Appunti
Critica cinematografica 8. Flavio De Bernardis : "Il falò delle verità"
Nel suo Il falò delle verità, l’attenzione è posta sul rapporto tra la critica e le conseguenze di considerare il
film come operazione(opera-azione).
Si può essere metacritici almeno in due sensi:
- metacritica come critica e studio del metacinema, come Bruno
- metacritica come critica della critica, conseguenza del cesto teorico di modellizzare il film secondo il
paradigma del testo-film-operazione. La critica, se cerca il Testo, trova se stessa e il suo Mito. Tutto ciò è
perfettamente evidente nelle arti concettuali, come ad esempio Il grande vetro di Duchamp, che è sia pittura
della critica che critica della pittura.
De Bernardis prova ad elaborare un tipo di ricognizione teorica che si fermi al di qua del testo, che non
cerchi di definire l’emergere delle singole unità testuali dall’universo indifferenziato della langue-cinema,
ma che si interroghi sui movimenti istituzionali di tutto l’archivio audiovisivo.
Egli individua nello stacco la funzione enunciativa del linguaggio audiovisivo.
Lo stacco in tv è uno stacco flusso, lo stacco del flusso-blob.
Lo stacco-cinema invece ha la funzione di permettere al cinema stesso di negare ogni affinità con
l’enunciato televisivo.
Lo stacco-tv amalgama e accorpa, lo stacco-cinema tende a separare e a distinguere
Nel numero successivo della rivista, Bruno riassume i termini di un dibattito protrattosi per due anni con un
lungo intervento in due parti.
Nella prima, La commedia degli equivoci, sintetizza le obiezioni mosse al suo metodo interpretativo e
ribadisce i principi cardine: così come ogni opera narrativa è autoriflessivamente una metafora della lettura,
ogni film è una metafora della visione; il film è una riflessione concettuale sull’ipnosi e sull’inganno. Il
critico deve semplicemente ratificare l’esistente e non tentare di imporre i propri gusti allo svolgimento del
film, come vorrebbe lo spettatore anarchico di Canova.
Il rifiuto del principio di non evidenza: sia l’impressionista che il paladino del Metodo, per cui il film è ciò
che è e l’intertesto è l’invenzione castrante di qualche impotente, si lasciano ipnotizzare dai propri transfert
difendendoli rigorosamente come modelli della cosa in sé.
Sottospecie dell’analista metodologico sono:
- gli stupratori comunisti: troppo impegnati a rispettare le norme di un sistema di pensiero eccessivamente
rigido, scivola dalla condizione di contenutista gramsciano a quella di anarchico impressionista.
- gli stupratori semiotici: che praticano quasi la necrofilia nel loro cadaverizzare il film e farlo a pezzettini.
Nicola Giuseppe Scelsi Sezione Appunti
Critica cinematografica 9. Marcello Walter Bruno e il metacinema
Nel numero successivo della rivista, Bruno riassume i termini di un dibattito protrattosi per due anni con un
lungo intervento in due parti.
Nella prima, La commedia degli equivoci, sintetizza le obiezioni mosse al suo metodo interpretativo e
ribadisce i principi cardine: così come ogni opera narrativa è autoriflessivamente una metafora della lettura,
ogni film è una metafora della visione; il film è una riflessione concettuale sull’ipnosi e sull’inganno. Il
critico deve semplicemente ratificare l’esistente e non tentare di imporre i propri gusti allo svolgimento del
film, come vorrebbe lo spettatore anarchico di Canova.
Il rifiuto del principio di non evidenza: sia l’impressionista che il paladino del Metodo, per cui il film è ciò
che è e l’intertesto è l’invenzione castrante di qualche impotente, si lasciano ipnotizzare dai propri transfert
difendendoli rigorosamente come modelli della cosa in sé.
Sottospecie dell’analista metodologico sono:
- gli stupratori comunisti: troppo impegnati a rispettare le norme di un sistema di pensiero eccessivamente
rigido, scivola dalla condizione di contenutista gramsciano a quella di anarchico impressionista.
- gli stupratori semiotici: che praticano quasi la necrofilia nel loro cadaverizzare il film e farlo a pezzettini.
Nella seconda parte del suo intervento, Bruno attacca gli ultimi seguaci della teoria dell’autore, affermando
che tutto il lavoro sui testi effettuato dalla decostruzione non mira a restituire il senso originario del
messaggio, ma piuttosto a frammentarlo.
Ad un quadro statico in cui la palese evidenza del metacinema imponeva la ricerca di un nuovo metodo,
Bruno sostituisce un concetto meno autoritario dell’interpretazione. La metacritica è un’idea di cinema che
si organizza in teoria selvaggia; si tratta soprattutto di non avere il Metodo con cui stuprare l’opera, ma dei
metodi segmentati secondo una mappa delle operazioni che l’opera può compiere. Non si tratta di dittatura
del metodo, non si tratta di critica a-metologica(come direbbe Canova), ma si tratta di critica
plurimetologica.
La metacritica diventa una euristica. Bisogna costruire uno spazio delle euristiche metacritiche che permetta
di esprimere un albero delle mosse più ricco e creativo della banale applicazione repressiva di un metodo.
È vero che qui l’operazione non è più la verità dell’opera e diventa qui la sua verità superficiale, ma essa
sembra comunque presentarsi alla nostra conoscenza secondo i modi della cosa in sé. Bruno rifiuta in
definitiva il concetto di autoevidenza ma la sua difesa del concetto di operazione riposa appieno sulla tacita
accettazione dell’operazione come cosa autoevidente.
Tra le difficoltà dell’impressionismo e l’ortodossia del metodo, la terza via non è più rappresentata da
un’ermeneutica endogena la cui necessità è data come inevitabile, ma dalla possibilità di individuazione di
operazioni differenti, da un gioco sempre aperto e mutevole di cambiamenti di punti di vista.
Lo scopo della proposta metacritica non sembra più quella di annullare gli scontri critici, ma di fornire un
quadro teorico entro i quali renderli trasparenti.
Nicola Giuseppe Scelsi Sezione Appunti
Critica cinematografica 10. La seconda fase della critica cinematografica
Dopo l’intervento riepilogativo di Bruno il dibattito della critica entra in una seconda fase. La polemica si è
affievolita ed è ora di bilanci e di conclusioni; gli interventi diminuiscono e si stemperano nel tempo. I vari
collaboratori della rivista riprendono la parola per approfondire o ribadire il già detto con l’intento di fornire
un quadro d’insieme.
C’è chi come Alberto Pezzotta, si mostra abbastanza insoddisfatto e polemizza esplicitamente con Bruno.
Per Pezzotta lo scarto che separa critica quotidianistica e riviste specializzate non è poi così netto.
Se da una parte si è attratti da un ideale di critica libera e diretta, dall’altra bisogna riconoscere che il
giudizio di valore è troppo spesso legato a pregiudizi, idiosincrasie, arbitrarietà.
Dire come fa Bruno che il cinema si spiega con il cinema significa commettere: un errore epistemologico e
c’è inoltre il rischio di un’a-problematica ratifica dell’esistente
Pezzotta dichiara di continuare a preferire l’inattualità di chi crede di poter ancora sfuggire alla logica
omologante del flusso, magari proprio attraverso il tentativo di essere consapevoli di cosa ratifichiamo
quando scriviamo.
C’è chi come Flavio De Bernardis, al X convegno di Urbino, ne approfitta per celebrare la morte definitiva
del concetto di testo, che passa attraverso un ritorno all’opera come oggetto concreto e materiale; non si
tratta più di scegliere, ma di catalogare.
Allo studioso non resta che constatare che il testo si conforma a seconda dell’istituzione che si incarica di
tramandarlo.
È quindi necessario abbandonare la dimensione testuale per dedicarsi ad uno studio istituzionale,
abbandonando certe categorie di matrice linguistica.
Complessivamente questa nuova fase del confronto porta in campo l’ennesima reiterazione della
constatazione di una crisi del gesto critico in tutte le sue implicazioni istituzionali e metodologiche. Crisi che
sulle pagine di Segnocinema si manifesta attraverso due strategie dominanti: la personalizzazione del ruolo
del critico e quella che si potrebbe definire la sindrome mimetica della performance interpretativa.
Ciò che salverà la critica non potrà che essere la capacità esercitata dai singoli di sfuggire ai meccanismi
routinieri e impersonali dell’istituzione stessa. Si aspetta sempre più l’illuminazione isolata dell’interprete di
talento, dove il talento si misura solo in termini di rigore formale o metodologico ma anche e soprattutto in
termini di capacità maieutica, capacità di far parlare l’immagine.
L’altra faccia della sfiducia metodologica è la constatazione del grado di indicibilità connaturato alle
immagini e di una conseguente sofferenza verso l’inadeguatezza del significante-scrittura inteso come
inevitabilmente poco ambiguo, lineare, piatto.
Già Bellour parlava dell’analisi testuale come luogo di uno spossessamento perpetuo.
L’analisi, freudianamente, non può che essere analisi interminabile, resa tale da un’irriducibile ricchezza
delle materie dell’espressione coinvolte nel fatto cinematografico
L’unico modo di parlare di un film è fare un altro film: la vera teoria è la pratica.
A chi preferisce però ancora stare davanti allo schermo, non resta che rassegnarsi al fatto che il film è
soprattutto un impaccio che costringe al principio di non evidenza.
Il critico-camaleonte è un critico frustrato a priori: non c’è doppio nel figurale.
Nicola Giuseppe Scelsi Sezione Appunti
Critica cinematografica 11. Definizione di dripping movie
Dripping-movie: ciò che interessa non è tanto il film come unità testuale significante, interessa piuttosto che
il film metta in evidenza le prestazioni, la complessa performance che lo ha reso possibile. La performance
risulta osservabile almeno a tre livelli; può consistere:
- nell’esibizione palese e ostentata delle performances dei corpi – come nel porno e nel film sportivo;
- nella fatica che si intravede dietro le immagini e che è causa della buona realizzazione;
- in tutti i tipi di virtuosismi tecnico espressivi, dai movimenti di macchina molto marcati a quei fenomeni
che garantiscono i processi di spettacolarizzazione iconica.
È venuto ormai il momento della videocritica, che agisca in piena onnipotenza audiovisiva.
La critica cinematografica è esistita come pratica di scrittura o come genere letterario. La critica non esiste
più; la post-critica è letteratura.
C’è oggi bisogno di una critica effimera, agile, duttile, capace di stare al passo con i tempi e con i contesti di
consumo. Il critico migliore è quello che sta fuori dal branco; il critico ideale deve avere il coraggio della
contraddizione, sapendosi rimettere in gioco.
Oggi la critica deve partire da due necessità, che riguardano:
- la vita: necessità di un’insoddisfazione nei confronti di uno scenario politico reale, di un sentimento di
estraneità verso il neo-feudalesimo contemporaneo.
- il cinema: riguarda il gesto indispensabile di pensare il cinema ancora come luogo dell’immaginario legato
ai rituali collettivi; è quindi sconsigliato di assistere alle proiezioni per la critica.
Nicola Giuseppe Scelsi Sezione Appunti
Critica cinematografica