La funzione-stacco della critica
Esiste a questo proposito un vero e proprio meccanismo di differenziazione degli statuti discorsivi che si attua mediante ciò che potremmo chiamare una funzione-stacco. Questo è un momento forte per la costruzione del senso di una recensione, un momento in cui il recensore si confronta con una tradizione che l’ha preceduto e ne prende le distanze mediante l’instaurazione di uno scarto qualitativo più o meno implicito. La recensione assume così un’identità precisa proprio attraverso questo faccia a faccia con la letteratura esistente.
La funzione-stacco, assieme alle scelte lessicali e terminologiche, assieme alle mosse ermeneutiche convenzionali, contribuisce alla creazione di una identità stabile sia per la forma recensione che per il suo lettore implicito modellizzato dalle richieste e dai gusti trasparenti del testo.
È possibile poi che la funzione stacco si eserciti nei confronti di sotto-comunità di discorso sulla base di differenze nazionali o di opzioni metodologiche precise: in questi casi il recensore cerca di differenziare il proprio discorso collocandolo su un piano autonomo anche rispetto ad altri contributi appartenenti alla C.S. stessa.
Un’altra strategia attraverso cui la recensione si definisce come zona discorsiva autonoma può essere considerato l’effetto-metarecensione: qui lo scritto si ritaglia uno spazio di autolegittimazione non attraverso pratiche differenzianti ma giocando ironicamente sul proprio statuto o proponendo una serie di precetti metacritici con funzione di regolazione deontologica.
È poi possibile che la forma recensione veicoli anche una sorta di desiderio – che muove in direzione opposta all’effetto-stacco – di creare una continuità di corpus con discorsi condotti altrove ma ritenuti analoghi e assimilabili ai propri.
Oltre queste tecniche di autodefinizione, esistono altre differenze tra recensioni quotidianistiche e specializzate che riguardano ogni aspetto della retorica dell’interpellazione.
Menarini ha mostrato come sotto la scorza di superficiali cambiamenti riguardanti certi usi sintattici e lessicali, la retorica della C.Q. sia rimasta sostanzialmente invariata per vent’anni: la dispositio degli argomenti non si scosta mai dalla triade introduzione/sinossi/giudizio.
Sul piano della recensione specializzata il discorso è in gran parte diverso. Se da una parte l’assenza di strutture esterne condizionanti come la forma-giornale e la necessità di disporre di strumenti lessicali di descrizione dettagliata hanno favorito il diffondersi di un linguaggio se non propriamente specifico quanto meno descrivibile nei termini di un idioletto critico condiviso – ciò che Menarini chiama vocabolario/sottocodice tecnico riconoscibile –, d’altra parte la recensione specializzata non subisce i vincoli di dispositio e di articolazione concettuale che limitano l’articolo da quotidiano. Il recensore ha una maggiore libertà d’azione, sia per la scelta degli strumenti d’analisi che per quella dei registri del discorso, quando si trova a scrivere su riviste di settore.
La convenzione di riportare la sinossi del film a parte rispetto al brano propriamente interpretativo offre un ventaglio maggiore di possibilità di intervenire sulla successione degli argomenti, come offre la chance di fermarsi su determinati particolari del film, tralasciandone altri.
L’istituzione inoltre incoraggia sempre un approccio personale
all’oggetto di studio perché si aspetta che l’aumentare del grado di
personalizzazione dell’analisi debba essere direttamente proporzionale
al rigore dell’argomentazione. Appelli diretti al lettore,
interpellazioni al regista, confessioni voyeuristiche, descrizioni
metaretoriche sulle distribuzioni degli spazi del discorso; sembra si
essere di fronte ad una esasperazione dell’impiego del registro
icastico-informale che si trova operativo nella C.Q. Solo che qui si è
anche di fronte ad un’esibizione di originalità concettuale: lo stile è
tutto. Il critico specializzato è disposto a passare per un eccentrico
scrittore se e solo se passa per eccentrico analista; dove
l’eccentricità, in questo secondo caso, è sinonimo di novità e
precisione.
Ciò che fa la differenza è un misto di due elementi. Da una parte un
gioco autoironico di carattere egotista, di richiamo alla natura
dell’oratore, una sintassi complessa e articolata ; dall’altra parte un
riferirsi a concetti che rimandano ad una competenza abbastanza
dettagliata, sicuramente non ad una competenza a disposizione di chi
scrive su riviste ad alta tiratura.
Ciò che quindi realmente crea uno scarto netto tra C.S. e C.Q. non è
solo una questione di figure del linguaggio, ma anche una questione di
concetti. Può sembrare una banalità, ma ciò che realmente distingue la
recensione specializzata dalla C.Q. è un richiamo effettuato in modo
assolutamente istintivo e naturale ai saperi del cinema. ciò che cambia
in modo fondamentale è l’enciclopedia di riferimento.
Non è detto che il quotidianista non conosca la storia del cinema,
semplicemente non ritiene fondamentale conoscerla per scrivere le
proprie cinque cartelle.
Ciò che è in gioco è quindi una questione di principi più che di competenze.
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Dettagli appunto:
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Autore:
Nicola Giuseppe Scelsi
[Visita la sua tesi: "A - Menic / Cinema. Da Dada al Progetto Cronenberg"]
- Università: Università degli Studi di Bologna
- Facoltà: Lettere e Filosofia
- Corso: Discipline dell’Arte, della Musica e dello Spettacolo
- Esame: Storia e metodologia della critica cinematografica
- Docente: Franco La Polla
- Titolo del libro: Il linguaggio della critica cinematografica
- Autore del libro: Claudio Bisoni
- Editore: Revolver Libri
- Anno pubblicazione: 2003
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