Partendo dal sistema delle fonti del diritto del lavoro, si prende in considerazione l'evoluzione storica del diritto del lavoro e si analizza dettagliatamente gli sviluppi più recenti del diritto del lavoro: dalla crisi del modello concertativo alle politiche di flessibilizzazione del mercato del lavoro.
Diritto del lavoro
di Alessandra Infante
Rielaborazione completa e puntuale del testo del manuale di Edoardo Ghera
inerente al diritto del lavoro.
Partendo dal sistema delle fonti del diritto del lavoro, si prende in
considerazione l'evoluzione storica del diritto del lavoro e si analizza
dettagliatamente gli sviluppi più recenti del diritto del lavoro: dalla crisi del
modello concertativo alle politiche di flessibilizzazione del mercato del lavoro.
Università: Università degli Studi di Bari
Facoltà: Giurisprudenza
Corso: Giurisprudenza
Esame: Diritto del lavoro
Titolo del libro: Diritto del lavoro
Autore del libro: Edoardo Ghera
Editore: Cacucci
Anno pubblicazione: 20021. Le fonti del diritto del lavoro in generale: interrelazione tra legge
e contrattazione collettiva
Partiamo col prendere in considerazione il sistema delle fonti del diritto del lavoro. A norma dell'art.1
disp.prel.c.c. sono fonti del diritto oggettivo le leggi, i regolamenti e gli usi. Con il R.D.L. 721/1943 e col
D.Lgs. 369/1944 vi è stata l'abrogazione di un ulteriore fonte, già contemplata nel succitato art.1, ossia delle
norme corporative. L'art. 5 delle preleggi individuava tra le norme corporative gli accordi economici
collettivi, i contratti collettivi di lavoro, le sentenze della magistratura del lavoro e le ordinanze corporative,
tutte utili come fonti del diritto del lavoro, oggi inutili in quanto fuori dall'ordinamento.
Per quanto concerne le fonti, l'unica utilità proviene dall'art.2078 c.c., il quale precisa che gli "usi" hanno
efficacia in mancanza di leggi o di disposizioni di contratti collettivi, ma aggiunge anche che gli usi
prevalgono sulle leggi se favorevoli al prestatore di lavoro: in tal caso, quindi, si attua una deroga all'art.5
delle preleggi, il quale limita l'efficacia delle consuetudini al solo caso in cui esse siano richiamate da leggi
o regolamenti. Siamo, quindi, dinanzi ad un tipico esempio d'integrazione del contratto di lavoro.
Tuttavia il contenuto delle fonti del diritto del lavoro non proviene solo dalla volontà politica del legislatore,
ma anche dall'intervento dell'autonomia collettiva, ossia del potere di autoregolamento degli interessi dei
gruppi o delle collettività professionali, il quale molto spesso ha ispirato l'opera del legislatore. Le tecniche
della "recezione, consolidazione ed estensione" sono tipiche della legislazione del lavoro, che molto spesso
ha avuto una funzione ausiliaria della contrattazione collettiva (es. L.604/1966 sui licenziamenti individuali,
per i quali esisteva già una disciplina collettiva).
Altrettanto spesso, però, il rapporto tra legislazione e contrattazione collettiva ha seguito il modello della
"legislazione di sostegno", ossia è stato lo stesso potere legislativo, nel disciplinare una materia, a lasciare
ampio spazio all'operato dell'autonomia collettiva. La legislazione del lavoro, in tal caso, ha una funzione
promozionale rispetto alla contrattazione collettiva, e non solamente ausiliaria.
Alessandra Infante Sezione Appunti
Diritto del lavoro 2. L'evoluzione storica del diritto del lavoro: la fase della
legislazione sociale
Volendo tracciare un percorso storico del diritto del lavoro italiano, possiamo individuare 3 fasi, intrecciate
tra loro e spesso sovrapposte all'interno degli stessi periodi di tempo:
•la fase della legislazione sociale, periodo in cui le leggi in materia del lavoro si configurano come norme
eccezionali rispetto al diritto privato;
•la fase dell'incorporazione delle norme sul lavoro nel diritto privato comune e quindi nella codificazione
civile;
•la fase della costituzionalizzazione del diritto del lavoro.
Nella prima fase la "legislazione sociale" si presenta come risposta dell'ordinamento alla questione sociale
sorta in forza della rivoluzione industriale: i lavoratori, aggregati nelle fabbriche e divenuti operai,
incominciano ad avere degli interessi specifici di classe che andrebbero tutelati, mentre il codice civile del
1865 non prevedeva una disciplina del contratto di lavoro, ma la sola "locazione di opere e servizi". Si
riteneva che dovesse essere l'autonomia privata a prevalere nel campo della regolamentazione del lavoro
industriale e che dovesse essere il mercato a fissare salari e condizioni di lavoro. Addirittura in Francia era
vietata la coalizione con fini di rivendicazione ed in Inghilterra venivano represse le libertà sindacali. Verso
la metà del 1800 si incomincia a capire, anche sotto la spinta del problema della questione sociale, che
bisogna intervenire, anzitutto non vietando l'operato dei sindacati, i quali iniziano a porre in essere la propria
funzione di resistenza economica e di promozione politica, e soprattutto salvaguardando tutta una serie di
diritti dei lavoratori, quali la differenziazione di trattamento dei fanciulli e delle donne o il diritto
all'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni: inizia, così, la legislazione sociale. Tuttavia vengono presi
in considerazione solo e solamente i diritti degli operai, perchè meritevoli, secondo il legislatore, di una
maggiore tutela dettata dalla loro particolare condizione. Si ha quindi una "legislazione di classe", che non
abbraccia la disciplina del contratto di lavoro, ma solo talune condizioni economico-sociali.
Al metodo legislativo si accompagnava anche quello contrattuale o dell'autotutela collettiva, grazie
all'operato dei sindacati, che portava allo sviluppo di contratti collettivi, seppur solo a livello locale:
rilevanti, quindi, divennero le consuetudini in materia di diritto del lavoro. Con la L. 295/1893, tra l'altro,
vennero istituiti i "Collegi dei probiviri" (in cui sedevano magistrati, rappresentanti degli imprenditori e
degli operai), i quali avrebbero dovuto dirimere le controversie tra lavoratori ed industriali, il che, in assenza
di una disciplina legislativa, sarebbe stato pressocchè impossibile. Per tal motivo i Collegi si limitavano ad
avere la funzione di conciliatori delle controversie, avviando però una formazione extralegislativa del diritto
del lavoro. La giurisprudenza è così diventata fonte materiale per la disciplina del lavoro, introducendo
norme che in seguito sarebbero state recepite anche dal legislatore.
Alessandra Infante Sezione Appunti
Diritto del lavoro 3. La fase dell'incorporazione del diritto del lavoro nel diritto
privato e nel codice del 1942
Con il passare del tempo si intuisce che la disciplina del diritto del lavoro non può più essere configurata
all'interno di norme eccezionali, ma deve essere accorpata al diritto privato. Al pari del diritto commerciale,
il diritto del lavoro diviene una disciplina fondamentale, che sebbene inserita nel codice del 1942, mantiene
una propria autonomia rispetto al diritto civile ed a quello commerciale. I principi cardini del diritto del
lavoro, quali il principio della tutela del lavoratore come contraente debole che viene rafforzato per quanto
riguarda il trattamento minimo al quale egli ha diritto o il principio secondo cui il lavoratore è subordinato
all'interesse dell'impresa ed all'autorità dell'imprenditore, vengono rafforzati ed il Codice del 1942 si
configura come un punto d'arrivo importante rispetto al passato, punto al quale si giunge soprattutto grazie
alla "LEGGE SULL'IMPIEGO PRIVATO" avutasi grazie al D.Lgs. 112/1919, rafforzata in seguito dalla più
completa redazione del R.D.L. 1825/1924. Gli impiegati, infatti, per la mancanza di una spinta sindacale
simile a quella degli operai, non disponevano di contratti collettivi diffusi, sebbene avessero dei giudici
simili ai collegi dei probiviri. Le condizioni dei contratti di impiego privato erano quindi rimesse
all'autonomia individuale o ai cosiddetti "usi impiegatizi". Per tal motivo nacque l'esigenza di tutelare i
diritti degli impiegati grazie alla suddetta legge.
Altro fenomeno che portò all'incorporazione del diritto del lavoro nel Codice del 1942 fu sicuramente quello
della GIURIDIFICAZIONE DEL CONTRATTO COLLETTIVO, dapprima nella forma del "concordato di
tariffa" fondato sull'adesione volontaria di lavoratori ed imprenditori, e successivamente nella forma
pubblicistica della contrattazione collettiva corporativa, la quale fungeva da fonte del diritto grazie alla
competenza attribuita alla potestà normativa dei sindacati nell'ambito delle categorie professionali. Il
sistema corporativo fascista aveva messo fine alla libertà sindacale (L. 563/1926) ed aveva trasformato il
contratto collettivo in un atto normativo eteronomo, proveniente dal sindacato unico fascista. La
corporazione riuniva rappresentanti sindacali delle due parti contrapposte (lavoratori ed imprenditori) e
stabiliva le norme della produzione, sotto il controllo del Ministero delle Corporazioni. Veniva, poi, affidato
alla Magistratura del Lavoro il compito di dirimere le controversie giuridiche ed economiche. I contratti
collettivi si configuravano come leggi speciali di categoria, mentre in altri Paesi si assisteva all'emanazione
dei primi codici del lavoro.
Il codice civile del 1942 non ha fatto altro che incorporare la legge sull'impiego privato ed i contratti
collettivi corporativi, sottolineando il "principio della prevalenza della norma più favorevole al lavoratore"
all'art. 2077 c.c. Il codice, tuttavia, ha incluso solo le norme generali sul lavoro, lasciando comunque a leggi
speciali l'intera disciplina.
Alessandra Infante Sezione Appunti
Diritto del lavoro 4. La costituzionalizzazione del diritto del lavoro
Abbiamo visto come il legislatore del 1942 avesse inserito il diritto del lavoro tra le componenti
fondamentali del diritto privato, affiancandolo al diritto civile ed a quello commerciale. Va tenuto conto
anche del fatto che il diritto del lavoro contiene al suo interno anche elementi di diritto pubblico, e non solo
privato.
Con l'emanazione della Costituzione repubblicana il 1 gennaio del 1948, l'evoluzione storica del diritto del
lavoro subisce una notevole spinta. La carta costituzionale pone il diritto del lavoro in una posizione
preminente rispetto al diritto commerciale ed a quello civile, introducendo il concetto di dignità sociale del
cittadino, che poi abbraccerà tutti i rami del diritto. Viene ribadita la protezione del lavoratore come
soggetto-contraente più debole, ma ciò non rappresenta più, come nelle precedenti fasi, un elemento
eccezionale o speciale, una concessione del legislatore, ma un vero e proprio fondamento ideologico. E ciò
si manifesta nel fatto che il lavoro viene tutelato costituzionalmente non solo in linee generali, come avviene
nell'art. 35 per la tutela del lavoro da parte della Repubblica in tutte le sue forme o nell'art.3 per
l'uguaglianza formale e sostanziale, ma anche nella specifica garanzia di determinati istituti del diritto del
lavoro: basti pensare all'art. 36 (retribuzione proporzionata e sufficiente), all'art. 37 (parità retributiva tra i
sessi e tutela del minore lavoratore), all'art.38 (previdenza e sicurezza sociale), agli artt.39 e 40 (sindacato,
contratto collettivo e diritto di sciopero). Quindi la Costituzione oltre a perseguire il fine di tutela del
contraente-soggetto debole, tende a garantire anche quelli che vengono definiti come "diritti sociali". Va,
inoltre, sottolineata la rilevanza della costituzione economica, cioè l'insieme di norme e principi che
regolano l'assetto economico della società, contenuti all'interno della carta costituzionale.
Potremmo concludere dicendo che la Costituzione italiana rappresenta la manifestazione più significativa
dell'importanza del diritto del lavoro non più come disciplina speciale di classe, ma come punto cardine
dell'ordinamento, di cui la Costituzione stessa è il punto fondamentale.
Alessandra Infante Sezione Appunti
Diritto del lavoro 5. Attuazione dei principi costituzionali per mezzo della legislazione
speciale
L'ampio spazio dedicato alla materia del diritto del lavoro all'interno della Costituzione ha posto, però, non
pochi problemi per la discrepanza rispetto al Codice civile del 1942. Il ruolo delle disposizioni codicistiche è
stato del tutto ridimensionato, in quanto la carta costituzionale ha elevato ad elementi fondamentali molti
aspetti della disciplina del lavoro.
Successivamente alla Costituzione, quindi, è possibile distinguere due fasi temporali circa l'evoluzione del
diritto del lavoro: all'interno della prima ci si è rivolti maggiormente verso un'INTEGRAZIONE DELLA
DISCIPLINA CODICISTICA, tramite un perfezionamento della tutela "minimale" del lavoratore visto
come soggetto contrattualmente debole e bisognoso di protezione (si pensi alla legge sul collocamento, sul
contratto di lavoro a termine ecc); in una seconda fase, invece, si ha una maggiore tutela del lavoratore,
considerato non più solo e solamente come un contraente debole nel rapporto di scambio, ma come un
soggetto inserito in una rapporto di produzione, nonché come appartenente ad una categoria socialmente
sottoprotetta. Emergono in tal senso temi come quello della "dignità sociale", della tutela contro la
discriminazione e della parità di trattamento.
Per garantire la dignità sociale di cui sopra vennero attuati diversi interventi, primo fra tutti quello avutosi
con la L.604/1966 inerente la disciplina del licenziamento individuale: si garantì una maggior tutela del
lavoratore tramite la limitazione dei poteri dell'imprenditore, attraverso strumenti quali l'introduzione del
giustificato motivo e la nullità dei licenziamenti intimati per rappresaglia sindacale.
Tramite, poi, lo strumento della "legislazione promozionale" si fece in modo di riequilibrare a favore dei
lavoratori non solo i rapporti di potere all'interno dell'azienda, ma anche all'interno della società civile: è da
questo presupposto che scaturì lo STATUTO DEI LAVORATORI, contenuto all'interno della L.300 del 20
maggio 1970, con la quale si garantì l'osservanza dei principi costituzionali nel rapporto tra lavoratore
dipendente e datore di lavoro, tutelando la dignità e la libertà del lavoratore, oltre a tutelare il diritto al libero
svolgimento dell'attività sindacale sul luogo di lavoro. Tutto ciò venne realizzato garantendo l'osservanza di
uno dei principi cardini costituzionali, ossia quello previsto all'interno dell'art.3 inerente il diritto
all'eguaglianza, facendo in modo di rimuovere "gli ostacoli di ordine economico e sociale che …
impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione dei lavoratori
all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese".
Alessandra Infante Sezione Appunti
Diritto del lavoro 6. Il diritto del lavoro della crisi e la legislazione contrattata
A partire dal 1975 si apre una nuova fase della legislazione del lavoro (si parla di "diritto del lavoro della
crisi"), caratterizzata, diversamente da ciò che era avvenuto in passato, dalla difesa e dalla crescita dei livelli
di occupazione, prevedendo l'estensione delle forme di impiego flessibile della forza-lavoro (si pensi ai
contratti di solidarietà o quelli di formazione) e la riduzione del tasso di inflazione tramite la cosiddetta
"politica dei redditi", volta al contenimento della spesa nel settore previdenziale ed al rallentamento dei
meccanismi di indicizzazione salariale. Oltre alla previsione di una deregolamentazione del mercato del
lavoro, la disciplina protettiva si trasforma da "rigida in flessibile", ampliando l'autonomia negoziale privata
e permettendo deroghe agli stessi principi imperativi della disciplina del lavoro, tramite contratti collettivi o
provvedimenti amministrativi delegati. La tutela dell'occupazione diventa maggiormente rilevante rispetto
alla tutela della posizione debole del lavoratore. Negli anni 80 la legislazione del lavoro si inquadra in una
logica di concertazione tra pubblici poteri e parti sociali (scambio politico o modello neocorporativo nelle
relazioni industriali): la legislazione in materia non è più ispirata dalla contrattazione collettiva, bensì viene
originata dalla partecipazione delle parti sociali: si ha la cosiddetta "LEGISLAZIONE CONTRATTATA".
Alessandra Infante Sezione Appunti
Diritto del lavoro 7. La flessibilizzazione del mercato del lavoro
La politica del diritto del lavoro seguita nel corso degli anni 80 si è maggiormente sviluppata nel decennio
successivo, dando luogo a nuovi modelli di governo delle relazioni industriali (es. legge sullo sciopero nei
Importanti interventi legislativi si sono avuti, inoltre, per rafforzare la tutela apprestata ai lavoratori da parte
di determinati istituti chiave, in forza della sottoprotezione sociale del lavoratore, per garantire una maggiore
protezione della persona-lavoratore e dei suoi diritti fondamentali: basti pensare agli interventi riguardanti le
pari opportunità, la tutela dei minori, la tutela del posto di lavoro.
Importante è stata anche, negli anni 90, la "riforma del pubblico impiego", prevista nell'ottica di
miglioramento nella distribuzione delle risorse statali e di apertura alle logiche della negoziazione privata
per quanto riguarda il lavoro pubblico: in sintesi la disciplina del rapporto di lavoro dei dipendenti pubblici è
stata trasferita dall'ambito del diritto pubblico, denso di privilegi, a quello del diritto civile, più incline al
settore privato.
La partecipazione all'Unione Europea prima e l'adesione alla moneta unica in un secondo momento, hanno
posto all'Italia, come agli altri Paesi, notevoli vincoli inerenti il deficit di bilancio ed il debito pubblico, il
che ha reso necessario un netto intervento dello Stato nel controllo della spesa sociale. E' stato necessario,
inoltre, rivedere il sistema previdenziale, più volte modificato.
Infine con la L.3/2001 è stata attuata una modifica al Titolo V della parte II della Costituzione, il titolo
inerente i rapporti tra Stato ed enti locali: la riforma ha introdotto il federalismo legislativo, dal quale
scaturisce la previsione all'interno dell'art.117 della carta costituzionale, di settori di competenza esclusiva
dello Stato, quali l'ordinamento civile e la previdenza sociale, settori di competenza concorrente tra Stato e
regioni, quali l'istruzione e la formazione professionale, la tutela e la sicurezza sul lavoro, la previdenza
complementare ed integrativa (in cui lo Stato fissa i principi fondamentali e le regioni intervengono nella
regolamentazione della materia) e settori di competenza residua esclusiva delle regioni.
Alessandra Infante Sezione Appunti
Diritto del lavoro 8. Gli sviluppi più recenti del diritto del lavoro: crisi del modello
concertativo e politiche di flessibilizzazione
A partire dal 2001, con l'insediamento del nuovo governo, vi sono stati importanti novità che hanno
riguardato il diritto del lavoro: la legislatura si è aperta con la pubblicazione del "Libro bianco sul mercato
del lavoro in Italia", nel quale venivano indicate le strategie quinquennali del governo, il quale si sarebbe
concentrato per lo più sulla liberalizzazione del mercato del lavoro e sul superamento del precedente sistema
di concertazione con le parti sociali, incapace, data la continua richiesta di unanimismo sindacale, di stare al
passo con il mercato globalizzato. Il governo ha da subito attuato una normativa sul contratto di lavoro a
tempo determinato ed una in materia di tempo di lavoro, entrambe collegate all'attuazione di direttive
comunitarie.
Il governo, inoltre, con il D.Lgs. 276/2003 ha emanato una riforma del mercato del lavoro, la quale ha
previsto nuove figure contrattuali di lavoro atipico e ne ha ridisciplinato delle altre già esistenti, come
il part-time e l'apprendistato, il tutto sempre al fine di flessibilizzare maggiormente il mercato.
Una nuova legge costituzionale, infine, ha sviluppato ulteriormente il processo di devoluzione di
competenze legislative alle regioni.
N.B. il libro parla di referendum popolare a seguito della legge costituzionale, senza conoscerne l'esito. Il
referendum si è svolto il 25 ed il 26 giugno del 2006: il popolo italiano ha respinto la riforma sulla
devolution, inerente il cambiamento di diversi aspetti nell'assetto istituzionale del Paese, il che avrebbe
comportato delle conseguenze anche in materia di diritto del lavoro.
Alessandra Infante Sezione Appunti
Diritto del lavoro 9. Il diritto comunitario ed i rapporti col diritto interno
Nell'ultimo decennio ha assunto sempre maggiore importanza l'ordinamento comunitario, ossia l'insieme di
norme risultanti dai Trattati e da altre fonti pari ordinate agli stessi in forza dei Trattati europei.
In base ai Trattati le istituzioni europee possono emanare direttive e regolamenti: i regolamenti hanno
portata generale, sono obbligatori in tutti i propri elementi e sono da subito validi all'interno
dell'ordinamento dello Stato membro, facendo insorgere diritti da subito tutelabili dinanzi ai giudici
nazionali; le direttive, invece, sono rivolte agli Stati membri e vincolano i vari Paesi solo negli scopi e nei
principi, lasciando un margine di discrezionalità nella scelta delle forme e dei mezzi tramite i quali dare
applicazione alla direttiva stessa. Non producono, quindi, da subito effetti all'interno dell'ordinamento, salvo
il caso in cui la direttiva risulti particolarmente dettagliata e sia scaduto il termine per l'attuazione da parte
dello Stato membro: in tal caso la direttiva ha anch'essa efficacia diretta. Tale effetto, però, si ha solo nei
rapporti verticali, tra privato e amministrazione pubblica, ma non vige nei rapporti orizzontali, tra privati,
essendo destinatari dell'atto solo gli Stati membri e non i singoli.
Ovviamente nel momento in cui sorge un contrasto tra norme interne e norme comunitarie, il principio del
primato del diritto comunitario impone al giudice nazionale di disapplicare la norma interna e dar luogo a
quella comunitaria, come ribadito dalla Corte di Giustizia e dalla stessa Corte Costituzionale italiana, salvo
il caso in cui la norma comunitaria non entri in contrasto con i principi cardini dell'ordinamento.
Alessandra Infante Sezione Appunti
Diritto del lavoro 10. L'evoluzione delle politiche sociali comunitarie
Possiamo intuire, dopo quanto abbiamo detto, che l'Unione Europea ha assunto un'importanza tale da essere
determinante anche in tema di mercato del lavoro e di rapporti di lavoro all'interno dei singoli Stati.
Le originarie previsione contemplate all'interno del TCE 1957 di Roma, sono state ampiamente modificate
dai vari trattati che si sono susseguiti nel tempo, a partire soprattutto dall'AUE 1986, passando per il TUE
del 1992 sino al Trattato di Lisbona del 2007. L'art.2 del Trattato prevede, oggi differentemente dal passato,
che tra gli obiettivi dell'Unione figuri anche un elevato livello di occupazione e di protezione sociale, oltre al
miglioramento del tenore di vita e delle condizioni lavorative ed alla promozione dell'occupazione auspicate
dall'art.136.
Anche l'autonomia collettiva di livello europeo ha acquisito sempre maggiore importanza, sino a trasformare
il "dialogo sociale" e la contrattazione collettiva di livello europeo in fonte formale in materia sociale: molto
spesso è previsto che la Commissione ascolti le parti sociali obbligatoriamente. Il Trattato prevede, inoltre,
che in molti settori di politica sociale il Consiglio debba osservare la procedura di codecisione con il
Parlamento e sentita la Commissione (es. parità tra uomini e donne,miglioramento dell'ambiente lavorativo),
mentre in altri settori (es. contributi finanziari per la promozione dell'occupazione, sicurezza e protezione
sociale dei lavoratori ecc) è previsto che il Consiglio adotti le decisione all'unanimità, semplicemente
consultando il Parlamento.
principio di sussidiarietà (il quale impone che l'Unione debba intervenire nei settori di propria competenza
solo qualora possa garantire un intervento qualitativo migliore rispetto a quello degli Stati membri), sono
stati introdotti interventi meno autoritativi e maggiormente cooperativi: si tratta del cosiddetto "soft law", il
quale individua degli obiettivi in determinati settori su cui gli Stati devono ricercare degli elementi di
coordinamento.
Alessandra Infante Sezione Appunti
Diritto del lavoro 11. La clausola del Favor e la clausola di non regresso
Importanti sono poi due clausole inerenti l'applicazione dei diritto comunitario: la clausola del FAVOR, la
quale prevede che in caso di applicazione di una normativa comunitaria, uno Stato membro che intenda
applicare una disciplina diversa che attui un maggior livello di protezione, può liberamente farlo; e la
clausola di NON REGRESSO, la quale prevede che l'attuazione di una direttiva comunitaria non possa in
alcun modo costringere uno Stato membro all'attuazione, qualora lo stesso possegga già una disciplina che
garantisce un uguale o maggiore livello di protezione.
Va segnalato, infine, che inizialmente molte materie inerenti il diritto del lavoro non erano incluse nelle
competenze dell'Unione: retribuzioni, diritto di associazione, diritto di sciopero, di serrata ed altri. La Carta
comunitaria dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori del 1989 avrebbe rappresentato un buon punto nel
processo di integrazione della materia a livello comunitario, se non ci fosse stata l'opposizione da parte del
Regno Unito, la quale ha escluso una diretta efficacia vincolante dell'atto. Il progetto di Costituzione
Europea avrebbe dovuto riprodurre fedelmente la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea,
proclamata nel 2000, ma il fallimento del processo costituzionale europeo ha portato al Trattato di Lisbona
del 2007, che come ben sappiamo ha riconosciuto il suddetto documento, ma non lo ha riprodotto
fedelmente, evitando così di attribuirgli una efficacia giuridica vincolante.
N.B. il libro non è al corrente del definitivo abbandono del progetto di costituzione, essendosi fermato
all'anno 2006.
Alessandra Infante Sezione Appunti
Diritto del lavoro 12. La Corte costituzionale ed il suo contributo allo sviluppo del
diritto del lavoro
Abbiamo precedentemente ribadito come, a partire dalla Costituzione del 1948, il diritto del lavoro ha
assunto un'importanza pari, se non addirittura superiore, al diritto commerciale ed a quello civile. Ciò è stato
possibile anche grazie alle innumerevoli pronunce della Corte Costituzionale, la quale non solo ha molto
spesso abrogato norme in materia di diritto del lavoro contrastanti con la Costituzione ed appartenenti a
leggi speciali o addirittura al Codice civile, ma ha spesso emanato sentenze interpretative di rigetto,
ritenendo la questione di illegittimità non fondata ma fornendo l'interpretazione più conforme alla
Costituzione di un enunciato legislativo, e sentenze interpretative di accoglimento, che ritengono illegittimo
un enunciato di una determinata norma, chiarendo come vada interpretata la parte restante. Non sono
mancate, poi, sentenze di accoglimento parziale (sostitutive o additive), le quali hanno molto spesso chiarito
cosa mancasse ad una norma per essere costituzionale o cosa andasse sostituito all'interno della stessa.
La giurisprudenza costituzionale ha quindi garantito una maggiore evoluzione del diritto del lavoro, che ha
assunto negli ultimi anni un ruolo di funzione-guida nell'ambito delle discipline privatistiche.
Alessandra Infante Sezione Appunti
Diritto del lavoro 13. La collocazione del rapporto di lavoro nel libro V del Codice
civile dedicato all'impresa
Il rapporto di lavoro è disciplinato all'interno del codice civile negli artt.2094 ss, all'interno del Libro V
Delle Obbligazioni, titolo II Del Lavoro nell'impresa. Quindi già da una prima lettura possiamo renderci
conto di come il rapporto di lavoro non è disciplinato all'interno del Libro IV Delle obbligazioni (e dei
contratti). Questa previsione codicistica risponde all'esigenza del legislatore del 1942 di unificare il diritto
civile e quello commerciale, senza che vi sia una distinzione tra istituti a seconda che essi vengano posti in
essere o meno all'interno di un'attività commerciale.
Il codice, inoltre, tratta il rapporto di lavoro sotto il mero punto di vista economico, caratterizzato dallo
scambio tra la retribuzione ed una prestazione manuale o intellettuale. Nello stesso Libro V sono poi
disciplinati i rapporti di lavoro che si svolgono al di fuori dell'impresa (si pensi al lavoro domestico), il che
ci fa capire che il lavoro organizzato nell'impresa è quello socialmente più rilevante, il modello normativo
tipico, intorno al quale vi sono i cosiddetti rapporti di lavoro speciali.
Alessandra Infante Sezione Appunti
Diritto del lavoro 14. Il codice civile del 1865: la locazione delle opere
Il rapporto di lavoro subordinato venne disciplinato per la prima volta all'interno del codice civile del 1942.
In precedenza né il codice di commercio del 1882, per la mancanza di connessione istituzionale tra impresa
e lavoro, né il codice civile del 1865 contenevano alcuna traccia del lavoro subordinato.
Il vecchio codice del 1865 conteneva solamente la "locazione delle opere", nella quale rientravano il lavoro
subordinato (LOCATIO OPERARUM) ed il lavoro autonomo (LOCATIO OPERIS). Nell'art.1570 vi era la
definizione di locazione di opere, intesa come <<contratto per cui una parte si obbliga a fare per l'altra una
cosa mediante la pattuita mercede>>. L'art.1627 precisava, poi, i tre tipi di locazione di opere e d'industria:
quella per cui le persone obbligano la propria opera all'altrui servizio (unico caso di lavoro subordinato);
quella inerente il trasporto di cose o persone e quella inerente opere ad appalto o cottimo. Non vi era
nemmeno una netta differenziazione tra lavoro subordinato e autonomo. L'unica norma riferibile al lavoro
subordinato era quella contemplata nell'art. 1628, inerente l'impossibilità di un contratto perpetuo, senza
limiti di tempo. Questo non significa che il lavoro subordinato non esistesse o fosse poco diffuso, ma ci fa
semplicemente render conto che gli artt.1627 e 1628 rappresentavano il punto di arrivo di una tradizione
millenaria, non a casa riprendevano il codice di Napoleone del 1804 ed addirittura la tradizione giuridica
romana.
Alessandra Infante Sezione Appunti
Diritto del lavoro 15. Il rischio dell'utilità del lavoro e quello dell'impossibilità del
lavoro
La distinzione tra locatiooperis e locatiooperarum deriva dalle fonti romane e ci è giunta grazie alla dottrina
pandettistica del 1800/1900: essa aveva rilievo solo per stabilire la ripartizione tra le parti contrattuali dei
rischi inerenti la prestazione lavorativa. Il primo di tali rischi poteva ricadere sull'utilità del lavoro
(commodumobligationis) e riguardava il risultato della prestazione, che per motivi di qualsivoglia genere
poteva differire dal risultato voluto. Il secondo rischio ineriva all'impossibilità del lavoro
(periculumobligationis), che per ragioni di vario genere, poteva non essere portato a termine. Facciamo
qualche esempio: si ha rischio di utilità nel momento in cui il prodotto finito di un lavoro viene colpito da un
fulmine, e per tal motivo differisce dal risultato voluto, ovviamente prima della consegna al soggetto
Spiegate le definizioni, dobbiamo specificare su chi ricadesse il rischio: nel caso di impossibilità del lavoro,
il rischio ricadeva sempre sul lavoratore, che veniva esonerato dall'obbligo di eseguire la prestazione, ma
che perdeva anche il diritto alla controprestazione. Nel caso, invece, di rischio d'utilità del lavoro si aveva
una differenziazione tra locatiooperis (lavoro autonomo) e locatiooperarum (lavoro subordinato): nel primo
caso, il rischio ricadeva sempre sul lavoratore autonomo, in quanto egli era obbligato a prestare l'opus
perfectum, ossia l'opera finita, a qualunque costo; nel secondo caso, invece, il rischio ricadeva
sull'imprenditore, in quanto al lavoratore poteva essere richiesto solo e solamente di prestare le proprie
energie di lavoro.
Alessandra Infante Sezione Appunti
Diritto del lavoro 16. La distinzione tra attività e risultato del lavoro e l'emersione
della subordinazione contrattuale
La differenza tra lavoro subordinato e lavoro autonomo, quindi, derivava dal fatto che il primo prendesse in
considerazione l'attività del lavoro, mentre il secondo (quello autonomo) il risultato del lavoro in quanto
tale. Tale distinzione però non precisava quale fosse il comportamento che il soggetto interessato dovesse
porre in essere. Per questo in un secondo momento si è fatto ricorso al criterio della dipendenza nei confronti
del conduttore, utile per capire se il soggetto abbia o meno un rapporto subordinato con l'altra parte
contrattuale.
Alessandra Infante Sezione Appunti
Diritto del lavoro 17. La subordinazione del lavoratore alla direzione ed al controllo
del datore di lavoro nell'impresa industriale
La figura del contratto di lavoro per antonomasia, quindi, coincide con la nozione di lavoro salariato o
dipendente: già l'art.8 della L.215/1893 demandava alla competenza dei collegi probivirali la risoluzione
delle controversie inerenti il "contratto di lavoro", riferendosi al rapporto tra industriali ed operai.
L'operaio, infatti, mettendo la propria opera al servizio dell'imprenditore, è un lavoratore subordinato e
quindi si ha un rapporto di sottoposizione del debitore-locatore, ossia l'operaio, alla direzione o controllo del
creditore-conduttore: la subordinazione è quindi identificata con il comportamento dovuto dal lavoratore in
attuazione della propria obbligazione, il che non è sufficiente ad identificare il rapporto di lavoro
dipendente.
Alessandra Infante Sezione Appunti
Diritto del lavoro 18. La legge sull'impiego privato del 1924 ed il Codice del 1942
Abbiamo visto come la nozione di subordinazione sia mutata nel tempo: dalla tradizionale distinzione tra
attività e risultato si è passati all'individuazione di un rapporto di dipendenza tra operaio ed imprenditore.
Il legislatore del 1942, ma ancor prima quello del 1924 in occasione dell'emanazione della legge sul
contratto d'impiego privato (R.D.L. 1825/1924), prendono in considerazione un ulteriore aspetto del lavoro
subordinato: lo svolgimento di un'attività professionale e l'esercizio di mansioni di "collaborazione
fiduciaria", inerendo al rapporto di fiducia all'interno dell'azienda.
Alessandra Infante Sezione Appunti
Diritto del lavoro 19. La distinzione tra il contratto di lavoro subordinato ed il
contratto di lavoro autonomo
L'art. 2094 c.c. fornisce la definizione di lavoro subordinato, specificando che si tratta di un obbligo a
collaborare nell'impresa prestando il proprio lavoro manuale o intellettuale sotto la direzione
dell'imprenditore, ovviamente dietro retribuzione. L'art. 2222 c.c. fornisce,invece, la definizione di lavoro
autonomo, precisando che manca il vincolo di subordinazione e che esso si estrinseca nel compimento di
un'attività o di un'opera con il lavoro prevalentemente proprio in cambio di un corrispettivo. Notiamo, però,
che entrambe le attività di lavoro (subordinato o autonomo) consistono in un facere economicamente utile
all'altra parte contrattuale. La differenza sta appunto nella presenza o nella mancanza del vincolo di
subordinazione, tenendo però presente che nel caso di lavoro subordinato, il lavoratore si impegna a fornire
le proprie energie per collaborare con l'imprenditore nell'attività di quest'ultimo e sarà retribuito in base al
tempo dell'attività, mentre nel caso di lavoro autonomo la variabile del tempo viene del tutto esclusa,
dovendo il lavoratore autonomo fornire una prestazione consistente in un servizio o un'opera verso il
corrispettivo di un pagamento, al di là di quale che sia il tempo necessario per il compimento di tale opera.
Alessandra Infante Sezione Appunti
Diritto del lavoro 20. I contratti di lavoro autonomo; il contratto d'opera
Abbiamo visto come il lavoratore autonomo sia tenuto alla realizzazione dell'opus perfectum, ossia
dell'opera finita, così come precisato dalla definizione generica fornita dall'art.2222 c.c. Tuttavia oltre al
contratto d'opera in linee generali, per il lavoro autonomo possiamo distinguere 4 figure fondamentali,
aventi tutte una diversa causa (che ricordiamo essere il "perché esistenziale" del contratto, la sua funzione,
uno degli elementi fondamentali del contratto): l'appalto, la cui causa la possiamo ritrovare nello scambio di
un'opera o di un servizio eseguito con la sola organizzazione dell'appaltatore, verso il corrispettivo di un
prezzo; il trasporto, la cui funzione è quella appunto del trasferimento di cose o persone; il deposito
generico, la cui funzione è la custodia di beni altrui; il mandato, incluse le sue sottospecie, in cui la causa è
rinvenibile nella gestione di affari altrui tramite la conclusione di contratti.
Ovviamente in tutti i casi sopracitati manca il vincolo di subordinazione, ma anche nel caso di lavoro
autonomo può esistere una certa sottoposizione del lavoratore al committente: quest'ultimo potrebbe avere
interesse a porre un termine per la realizzazione dell'opera o addirittura a descrivere come l'opera debba
essere eseguita. In questo caso, però, sebbene il debitore debba attenersi a quanto stabilito dal committente,
che in caso contrario potrà recedere per giusta causa ed ottenere il risarcimento del danno, sarà solo e
solamente vincolato alla direzione del committente, ma in nessun modo potrà ritenersi alle proprie
dipendenze.
Alessandra Infante Sezione Appunti
Diritto del lavoro 21. La causa del contratto: la collaborazione e la sua relazione di
scambio con la retribuzione
La causa, è appena il caso di ricordarlo, è la funzione del contratto individuante l'interesse meritevole di
tutela, prevista a norma dell'art.1325 c.c. come elemento essenziale richiesto a pena di nullità. Nel contratto
di lavoro subordinato tale elemento è individuato nello scambio tra le obbligazioni del prestatore di lavoro e
del datore, dunque uno scambio tra la collaborazione da un lato e la retribuzione dall'altro. La
subordinazione compare come elemento essenziale del contratto affinchè si possa parlare di lavoro
subordinato. Ovviamente la collaborazione non sussiste solo per il debitore o lavoratore, il quale deve
conformarsi a quelle che sono le esigenze produttive, ma anche per il creditore o datore, il quale deve
collaborare all'adempimento dell'obbligazione. Non dobbiamo infatti dimenticare che l'art. 1175 c.c.
individua, nell'ambito delle obbligazioni in generale, il dovere di correttezza, presente ovviamente anche
nell'obbligazione da lavoro.
Alessandra Infante Sezione Appunti
Diritto del lavoro 22. La continuità o disponibilità nel tempo della prestazione di
lavoro come assetto essenziale della collaborazione
Possiamo facilmente intuire che la presenza del vincolo di collaborazione come anche di subordinazione del
lavoratore nei confronti del datore di lavoro deve essere duraturo nel tempo, ossia la prestazione di lavoro
nell'impresa deve essere continua o disponibile. Si tratta di una continuità o disponibilità funzionale del
prestatore, in senso ideale e non materiale: il lavoratore subordinato conserva un obbligo di prestazione nel
tempo nei confronti del datore di lavoro, obbligo che non cessa di esistere (e da qui possiamo evincere che
sia ideale e non materiale) anche nel caso in cui vi siano delle pause interruttive dell'esecuzione (ferie,
riposi).
La disponibilità della prestazione di lavoro comporta per il datore anche una responsabilità oggettiva in caso
di illecito comportante danni a terzi da parte del lavoratore: ovviamente si tratta di una responsabilità
oggettiva priva di colpa, ma ben manifesta il carattere della continua subordinazione e disponibilità del
lavoratore nei confronti del datore.
Alessandra Infante Sezione Appunti
Diritto del lavoro 23. Collaborazione e subordinazione nella giurisprudenza
La giurisprudenza ha sempre individuato 4 requisiti fondamentali tipici del rapporto di lavoro subordinato:
l'onerosità, la collaborazione, la continuità e la subordinazione. Questi criteri, però, sono stati giudicati col
passare del tempo come insufficienti e ad essi si sono aggiunti i cosiddetti "indici empirici", ossia una serie
di criteri sul piano concreto che permettono di distinguere il lavoro subordinato da quello autonomo anche
nei casi-limite.
Secondo la giurisprudenza della Corte di Cassazione, per la distinzione tra lavoro autonomo e subordinato è
fondamentale l'assoggettamento del lavoratore al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di
lavoro, che si deve estrinsecare in un'attività di controllo, vigilanza e direzione tale da limitare l'autonomia
del lavoratore subordinato. Ovvio che elementi quali l'assenza del rischio, l'osservanza di un onorario, la
continuità della prestazione restino fondamentali per definire il lavoro subordinato.
Alessandra Infante Sezione Appunti
Diritto del lavoro 24. Critica alla tesi della subordinazione come situazione di
soggezione socio-economica
Una parte della dottrina ha spesso sottolineato come la subordinazione sia un presupposto economicosociale
del rapporto di lavoro subordinato, derivante dalla situazione di debolezza contrattuale del lavoratore. Se il
fatto che il lavoratore molto spesso si trovi in una situazione contrattuale debole è sicuramente vero, al
contrario non lo è sempre: la definizione potrebbe essere giusta per molti lavoratori ed errata per tutti gli
altri che si trovano in una condizione contrattualmente forte.
La posizione di inferiorità economica condiziona l'autonomia contrattuale del lavoratore, ma non sempre e
nella stessa misura, quindi non si può accettare una tale definizione di subordinazione, in quanto non
omogenea all'intera classe dei lavoratori.
Possiamo concludere, in base a quanto precedentemente osservato, che la subordinazione si può identificare
nella collaborazione del lavoratore nell'impresa, che deve essere continuativa a livello funzionale: non è
quindi la sottoprotezione sociale ad identificare la subordinazione.
L'inserzione del lavoratore nell'organizzazione aziendale è però solo un indice presuntivo della sussistenza
della collaborazione, non un dato assoluto valevole sempre e comunque. Tale inserzione del prestatore
nell'organizzazione aziendale, infatti, sotto forma di collaborazione continuativa e coordinata si può avere
anche in caso di lavoratori autonomi: si parla in tal caso di contratto di lavoro coordinato MA NON
subordinato (c.d. parasubordinato), che molto si avvicina alla situazione del prestatore di lavoro subordinato.
Tuttavia la prestazione d'opera coordinata e continuativa non obbliga il lavoratore autonomo ad essere a
disposizione del committente, benché la propria attività sia legata al ciclo produttivo.
Inizialmente l'equiparazione tra il contratto di lavoro parasubordinato e quello di lavoro subordinato venne
attuata solo sotto il punto di vista processuale, fino a che non è stato prevista la figura della collaborazione
coordinata e continuativa "a progetto", a cui è stata dedicata una particolare disciplina che esamineremo più
avanti.
Alessandra Infante Sezione Appunti
Diritto del lavoro 25. Effetti diretti ed indiretti del rapporto di lavoro subordinato
Ora possiamo intendere qual è la reale differenza tra locatiooperis (lavoro autonomo) e locatiooperarum
(lavoro subordinato): non si tratta più di distinguere due sottotipi della locazione (d'opera e delle opere), ma
bisogna differenziare due tipi di contratti con una regolamentazione diversa. Tra l'altro lo statuto protettivo
del lavoratore ha fatto in modo che all'identificazione del rapporto di lavoro subordinato, coincidano degli
effetti diretti ed indiretti che il lavoratore ha interesse a far valere.
Tra gli effetti diretti, quelli cioè inerenti il contenuto del rapporto e pertanto il rapporto contrattuale,
ritroviamo le condizioni della prestazione e delle remunerazione del lavoro (ferie, riposi, tfrecc).
Gli effetti indiretti, invece, riguardano i presupposti e le conseguenze della costituzione del rapporto, dalle
quali discendono una serie di situazioni di rilevanza previdenziale, amministrativa e talvolta anche penale.
Quindi identificare il tipo di rapporto di lavoro è utile per la tutela stessa del lavoratore.
Alessandra Infante Sezione Appunti
Diritto del lavoro 26. Il rapporto di previdenza sociale. L'attuale sistema
previdenziale
Effetto indiretto del rapporto di lavoro subordinato è sicuramente la costituzione obbligatoria del rapporto di
previdenza sociale, intercorrente tra i soggetti del rapporto di lavoro (prestatore e datore) ed enti
previdenziali.
La dottrina della fine del XIX secolo, sulla base del codice del 1865, aveva elaborato l'idea secondo cui il
rischio di infortuni sul lavoro dovesse ricadere sull'imprenditore, a titolo di responsabilità oggettiva priva di
colpa, al pari di ciò che avveniva per danni causati a terzi dai lavoratori di un'impresa. In seguito, anche per
la scarsa efficacia della responsabilità oggettiva di cui sopra, vennero previste le assicurazioni obbligatorie:
l'imprenditore pagava un premio (salario previdenziale) ad un istituto assicurativo, esonerandosi così da
qualsivoglia responsabilità civile. Lo stesso meccanismo venne attuato Per quanto concerne i contributi, essi
gravano tanto sul lavoratore quanto sul datore di lavoro, ma è su quest'ultimo che ricade la responsabilità per
il versamento dei contributi anche a carico del prestatore (art.2115 c.c.).
Benché la previdenza sociale segua il modello assicurativo, quest'ultimo differisce dalle assicurazioni di
carattere privatistico per l'esistenza del PRINCIPIO DI AUTOMATICITA' DELLE PRESTAZIONI, in
forza del quale le prestazioni sono dovute dall'ente assicuratore anche qualora il datore di lavoro abbia
omesso di versare i contributi (salvo per le pensioni di vecchiaia, nel qual caso l'obbligazione contributiva
può anche prescriversi, ed il lavoratore che non riesca a raggiungere la pensione o comunque veda
menomato il proprio trattamento, potrà chiedere il risarcimento del danno al datore di lavoro).
Le assicurazioni sociali intervengono ogni volta in cui l'esercizio dell'attività lavorativa si sospende (per
malattia, maternità, invalidità, disoccupazione involontaria ecc), indennizzando il soggetto per l'involontaria
o temporanea inattività, o quando l'inattività abbia carattere definitivo (pensioni di vecchiaia o di
invalidità).
Alessandra Infante Sezione Appunti
Diritto del lavoro 27. Pensioni di anzianità e vecchiaia. La tendenza espansiva del
diritto del lavoro
Per quanto concerne le pensioni di anzianità e vecchiaia il sistema tuttora in vigore è quello "A
RIPARTIZIONE", in base al quale l'erogazione delle suddette dipende dalla forza lavoro attiva.
Con la L.238/1968 venne introdotta la PENSIONE RETRIBUTIVA, la cui misura era calcolata in base alla
percentuale di retribuzione corrisposta nell'ultimo periodo ti attività lavorativa (5 anni prima e 10 in
seguito). Con l'invecchiamento della popolazione italiana ed il numero sempre crescente di pensionati e
sempre inferiore di forza lavoro, la pensione retributiva rischiava di minare l'intero sistema a ripartizione: in
sintesi divenivano man mano insufficienti il numero di lavoratori per pagare le pensioni.
L'intera materia è stata rivista con la L.335/1995, che ha sostituito il sistema retributivo con quello
contributivo, molto simile al sistema con cui operano le assicurazioni private: il trattamento pensionistico
viene calcolato sull'ammontare dei contributi versati durante la vita lavorativa di un soggetto, salvo alcuni
correttivi che garantiscano una maggiore equità sociale.
Il sistema, comunque, rimane incentrato sulla solidarietà sociale: anche ai lavoratori autonomi è stata
garantita, col passare del tempo, la possibilità di accedere ad un trattamento previdenziale. Esistono
comunque notevoli differenze di tutela previdenziale: solo in caso di lavoro subordinato si ha la traslazione
del rischio sociale in capo al datore di lavoro e solo in tal caso il rapporto previdenziale si configura come
effetto indiretto del contratto di lavoro.
Alessandra Infante Sezione Appunti
Diritto del lavoro 28. Il lavoro gratuito ed il volontariato come contratto atipico
Il contratto di lavoro è un contratto sinallagmatico, ossia a prestazioni corrispettive, in cui vi è un nesso di
reciprocità (il sinallagma appunto) è costituito da un vincolo di interindipendenza che unisce le due
obbligazioni, da un lato quella del datore di lavoro tenuto a corrispondere la retribuzione, dall'altro quella
del prestatore che deve esercitare la propria attività lavorativa.
Si presume, quindi, che si tratti di un contratto tipicamente oneroso, essendo per sua natura a prestazioni
corrispettive. Tuttavia è possibile che una parte si obblighi ad esercitare la propria attività lavorativa
gratuitamente, il che non configura un contratto illecito, bensì un contratto lecito ma atipico, innominato,
ossia non formalmente disciplinato dal codice. Il lavoro gratuito, infatti, non può in alcun modo rientrare
nella disciplina degli artt.2094 e ss in quanto ha causa e natura diverse rispetto a quello ivi disciplinato.
Potrebbe anche sorgere il sospetto che si tratti di un contratto avente causa illecita, ossia un contratto in
frode alla legge a norma dell'art.1344 c.c., così come è anche possibile che si tratti di prestazioni lavorative
eseguite nell'adempimento di un obbligo morale o sociale (basti pensare a tutte quelle organizzazioni che a
scopo benefico o solidaristico).
Al lavoro gratuito è assimilabile anche il "volontariato", disciplinato con la L.266/1991, con la quale il
legislatore non solo è andato a disciplinare tutte quelle attività svolte senza il corrispettivo di una
prestazione, ma ha anche garantito maggiore tutela e convenienti agevolazioni fiscali a tutte quelle
organizzazioni di volontariato iscritte presso le Regioni. Ovviamente occorre che esse si avvalgano di
soggetti che volontariamente (senza mezzi di costrizione o di incentivazione) esercitano una determinata
attività, salvo che si tratti di casi in cui l'ingerenza nell'organizzazione di lavoratori subordinato o autonomi
sia necessaria al corretto svolgimento dell'attività oggetto dell'organizzazione (si pensi allo psicologo in una
comunità per tossico-dipendenti o per minori a rischio o per donne che hanno subito violenze).
Alessandra Infante Sezione Appunti
Diritto del lavoro 29. "L’impresa sociale" all’interno del D.Lgs.155/2006
Il legislatore, in ragione dell’importanza acquisita dalle organizzazione no profit, ha disciplinato “l’impresa
sociale” all’interno del D.Lgs.155/2006, in attuazione della L.118/2005. Sono considerate imprese sociale le
associazioni e fondazioni, i comitati, le società e le cooperative che esercitino un’attività economica
organizzata, in via stabile e principale, volta allo scambio ed alla produzione di beni o servizi di UTILITA’
SOCIALE in settori individuati dalla legge o comunque volti all’inserimento lavorativo di soggetti
svantaggiati e disabili. Occorre l’assenza dello scopo di lucro, nonché l’assenza di uno stato di soggezione
nei confronti di imprese private e pubbliche. E’ previsto, a favore di tali imprese, un regime derogatorio di
responsabilità patrimoniale, nonché la possibilità di avvalersi di volontari.
Alessandra Infante Sezione Appunti
Diritto del lavoro 30. Il lavoro familiare e l'impresa familiare prevista dall'art.230 bis
c.c.
Si può facilmente presume che il lavoro svolto all'interno dell'ambiente familiare da un coniuge, un figlio,
un fratello o sorella, ma anche da un soggetto stabilmente convivente o da un affine entro un certo grado, sia
da considerare come prestazione gratuita offerta nell'adempimento di un dovere familiare.
Tuttavia la riforma del diritto di famiglia avutasi con la L.151/1975 ha introdotto all'interno del codice
l'art.230 bis, il quale prevede che nel caso in cui il lavoro di un familiare sia prestato in modo continuativo
nell'ambito della famiglia o dell'impresa famiglia e nel caso in cui non vi sia alcun rapporto di lavoro
subordinato, il familiare che presta il proprio operato, non solo avrà diritto al mantenimento, ma altresì potrà
partecipare agli utili conseguiti anche grazie al suo lavoro, partecipare alle decisioni di maggior rilievo ed
avere diritto ad una liquidazione in denaro al termine dello svolgimento della propria attività o nel caso di
alienazione dell'impresa, oltre ad avere diritto di prelazione in quest'ultima ipotesi. E' stato in tal modo
tutelata la posizione di coloro che quotidianamente e per periodi protratti di tempo mettono la propria
attività lavorativa al servizio della famiglia.
Abbiamo ampiamente analizzato le differenze che esistono tra lavoro subordinato e lavoro autonomo,
accennando anche al lavoro parasubordinato offerto da lavoratori autonomi. Tuttavia queste distinzioni non
esauriscono in alcun modo le forme di organizzazione del lavoro, essendo possibile eseguire la propria
prestazione lavorativa utilizzando modelli contrattuali non solo innominati, ma anche tipici.
Partiamo dai contratti associativi: essi non sono riconducibili in alcun modo al tipico contratto di lavoro
subordinato previsto dall'art.2094 c.c. In tal caso, infatti, il socio esercita un'attività economica in comune
con altri soggetti, potendo scegliere (solo in alcuni modelli societari) di offrire a titolo di conferimento
(elemento essenziale per la partecipazione alla società) la propria prestazione d'opera (prestazione di un
servizio, si parla in tal caso di socio d'opera) o addirittura la propria prestazione lavorativa (laddove al
conferimento di beni si unisce il lavoro del soggetto a favore della società, si parla di socio lavoratore).
Il lavoratore, inoltre, può partecipare ai risultati di un'impresa anche nel caso in cui si tratti di
un'associazione in partecipazione (artt.2549-2554 c.c.), all'interno della quale l'associante gestisce l'impresa,
ma l'associato può partecipare agli utili ed alle perdite verso il corrispettivo della propria attività lavorativa,
senza però che sorga alcun vincolo di subordinazione.
Ultima ipotesi è quella dell'amministratore di società, che può essere tanto un socio quanto un terzo estraneo
alla società, in cui la posizione dello stesso può coesistere con un rapporto di lavoro subordinato nei
confronti della società amministrata.
Alessandra Infante Sezione Appunti
Diritto del lavoro 31. Le cooperative di produzione e lavoro: il socio lavoratore
Tra i rapporti di lavoro associato, ritroviamo anche il lavoro dei soci delle cooperative di produzione e
lavoro: sappiamo bene che nelle società cooperative viene svolta un'attività economica organizzata in
comune per un fine mutualistico, consistente nella ricerca e ripartizione di occasioni di lavoro ed utili a
condizioni migliori di quelle del libero mercato, in cambio della prestazione di lavoro dei soci per
l'attuazione dello stesso scopo societario (art.2511 c.c.). La L.142/2001, inoltre, ha equiparato la posizione
del socio-lavoratore e quella del prestatore di lavoro subordinato: in particolare il socio lavoratore, oltre a
partecipare alla gestione ed al rischio d'impresa, garantisce anche la propria capacità professionale e pertanto
è titolare di due rapporti distinti nei confronti della cooperativa, uno associativo e l'altro di lavoro (sia esso
subordinato, autonomo o di qualsivoglia altra forma). Al socio lavoratore, pertanto, compete un trattamento
economico complessivo (analogo al principio della retribuzione sufficiente in tema di lavoro subordinato) a
carico del capitale sociale proporzionato alla qualità ed alla quantità del lavoro offerto, analogo a quello
garantito, per lavori dello stesso genere, dalla contrattazione collettiva nazionale del settore o della categoria
affine, o comunque incline ai compensi medi in uso per prestazioni simili. Inoltre il socio lavoratore
subordinato gode dei diritti sindacali di cui al titolo III della L.300/1970 (statuto dei lavoratori).
Molto simili alle cooperative di lavoro, sono le cooperative sociali, istituite con la L.381/1991, le quali,
sebbene non sia necessario che escludano lo scopo mutualistico, devono perseguire l'interesse generale alla
promozione ed integrazione sociale di cittadini, gestendo servizi socio-sanitari, educativi, nonché N.B.
Tralascio i rapporti associativi in agricoltura, in quanto lo strumento dell'affitto di fondi rustici, come precisa
il libro, ha quasi definitivamente sostituito i rapporti agrari quali la colonia parziaria, la soccida e la
mezzadria.
Alessandra Infante Sezione Appunti
Diritto del lavoro 32. Le obbligazioni del contratto di lavoro
All'interno della disciplina codicistica viene analizzato per lo più il rapporto di lavoro, rispetto al contratto
che lo disciplina: vengono prese in considerazione le due obbligazioni del rapporto, una a carico del datore,
l'altra del prestatore.
Per quanto concerne, invece, il contenuto del contratto, per esso non si rimanda completamente
all'autonomia negoziale, quanto più che altro ad un'autonomia delle parti stretta nella morsa dei limiti
imposti dalla legge e dall'autonomia collettiva cui lo stesso legislatore fa spesso riferimento: la scelta della
retribuzione, per esempio, può essere fatta dal datore di lavoro, che però deve assicurare un trattamento
economico minimo fissato dai contratti collettivi. L'accordo tra le parti, tuttavia, è sempre necessario ed
indispensabile.
Alessandra Infante Sezione Appunti
Diritto del lavoro 33. La fonte contrattuale del rapporto di lavoro
Il discorso suddetto potrebbe indurci a pensare che il rapporto di lavoro sia quasi acontrattuale, in quanto se
riprendiamo l'art.1321 c.c. e la definizione di contratto ivi contenuta, possiamo notare come l'autonomia
negoziale delle parti sia notevolmente imbrigliata da norme inderogabili imposte dal legislatore.
L'autonomia contrattuale, quindi, non viene del tutto soppressa, ma solo compressa da tali disposizioni, in
funzione della protezione che la legge attribuisce al soggetto contrattualmente più debole, il lavoratore. Il
datore di lavoro, infatti, potrà ben dimostrare che anche all'interno del contratto lavorativo vi è un'autonomia
ampia, ma potrà farlo solo e solamente a favore del lavoratore.
Alessandra Infante Sezione Appunti
Diritto del lavoro 34. L'inderogabilità del regolamento contrattuale imposto dalla
legge
Tutti i contratti di lavoro subordinato che violano le norme imperative imposte dalla legge, subiscono la
nullità parziale di cui all'art. 1419 comma 2 c.c., ossia sono nulli nella parte in cui differiscono dagli
obblighi di legge ed essendo il regolamento contrattuale di per sé inderogabile, vi è l'inserzione automatica,
a norma dell'art.1339 c.c., delle clausole legali. Si tratta, è giusto il caso di ripeterlo, di un'inderogabilità in
peius, ossia di una limitazione unilaterale all'autonomia contrattuale nei confronti del datore di lavoro, in
quanto ogni patto maggiormente favorevole al prestatore, sarà valido ed efficace.
Va ricordata, infine, la Convenzione di Roma del 1980 avente ad oggetto la legge applicabile alle
obbligazioni naturali, la quale si occupa all'art.6 del contratto di lavoro, specificando che qualora le parti
nulla abbiano stabilito a riguardo, il contratto sarà regolato dalla legge del Paese in cui il lavoratore svolge
principalmente la propria attività lavorativa o dalla legge del Paese in cui il lavoratore è stato assunto o dalla
legge del Paese stabilita dalle parti, sempre che quest'ultima non offra garanzie inferiori rispetto alle
suddette.
Alessandra Infante Sezione Appunti
Diritto del lavoro 35. La scelta del tipo contrattuale
Anche la scelta del tipo contrattuale viene influenzata dai limiti imposti dalla legge e dall'autonomia
collettiva alla volontà negoziale delle parti. L'art. 1362 c.c., inerente l'intenzione dei contraenti, ben specifica
come nell'interpretazione del contratto bisogna indagare quale sia stata la vera intenzione delle parti,
andando oltre il significato letterale delle parole e soprattutto si deve valutare (comma 2) il comportamento
delle parti successivo alla stipulazione del contratto. Per quanto concerne il contratto di lavoro, ciò che
abbiamo detto è più che mai vero: la volontà cartolare espressa al momento del perfezionamento del
contratto ha uno scarso valore rispetto al contenuto effettivo del rapporto. Il momento attuativo del rapporto
prevale, quindi, sul momento dichiarativo e non solo ai fini dell'interpretazione della volontà effettiva delle
parti, ma anche per ciò che concerne la scelta del tipo legale di rapporto di lavoro: diversamente da ciò che
avviene negli altri contratti, dove le parti possono optare per la scelta di contratti tipici o atipici, nel caso del
contratto di lavoro subordinato le parti dovranno obbligatoriamente associare la subordinazione con il tipo
legale di contratto. Si parla in tal caso d'indisponibilità del tipo legale, non potendo le parti esulare dalla
scelta di tale tipo qualora vogliano porre in essere quello specifico rapporto di lavoro subordinato.
Alessandra Infante Sezione Appunti
Diritto del lavoro 36. Il principio del favor
L'art.1374 c.c. rubricato come "integrazione del contratto" stabilisce che lo stesso obblighi le parti non solo a
quanto in esso stabilito, ma anche a tutte le conseguenze derivanti dalla legge, o, in mancanza, dagli usi e
dall'equità. Ciò significa che il contratto di lavoro non solo obbliga le parti ad attenersi all'accordo, ma anche
ai precetti inderogabili imposti dalla legge e dall'autonomia collettiva, combinando in tal maniera
l'inderogabilità del regolamento contrattuale con il principio del FAVOR, ossia del trattamento più
favorevole per il lavoratore.
Tale principio, tuttavia, ha subito un notevole ridimensionamento in alcune ipotesi normative previste a
favore della flessibilità nel mondo del lavoro, in forza delle esigenze dell'occupazione e dell'impresa.
Alessandra Infante Sezione Appunti
Diritto del lavoro 37. L'art.2126 c.c. e l'inefficacia dell'invalidità del contratto
Il contratto di lavoro, al pari di tutti i contratti, è invalido nel momento in cui viola l'art.1418 c.c. inerente le
cause di nullità o l'art.1419 c.c. inerente la nullità parziale. Solitamente l'invalidità che affligge il contratto di
lavoro è sancita con la nullità dello stesso. Gli articoli di cui sopra, però, vanno letti in concerto con
l'art.2126 c.c. inerente le prestazioni di fatto con violazione di legge: <<la nullità o l'annullamento del
contratto di lavoro non produce effetto per il periodo in cui il rapporto ha avuto esecuzione>>. Ciò vuol dire
che l'aver dato esecuzione ad una prestazione lavorativa da parte di un soggetto nei confronti di un altro non
costituisce di per sé il rapporto lavorativo, in quanto la nullità retroagisce al momento della conclusione del
contratto, ma tuttavia da luogo agli effetti del rapporto posto in essere in attuazione del contratto (ricordiamo
invalido) che funge da fonte del rapporto obbligatorio.
Al contrario, invece, non risulta assimilabile all'art.2126 c.c. il caso di prestazione di fatto di natura
extracontrattuale, in cui la prestazione viene eseguita dal lavoratore "invito domino" (senza il consenso) o
addirittura "prohibente domino" (contro la volontà) della controparte: è il caso di un soggetto che ha
occupato un fondo rustico esercitandoci un'attività lavorativa; in tal caso non esiste alcun contratto, neanche
invalido, e colui che ha eseguito la prestazione di fatto potrà al massimo, tra l'altro non sempre, esperire
l'azione d'ingiustificato arricchimento.
Abbiamo, quindi, visto come vengano mantenuti in vita gli effetti del contratto in valido in caso di
prestazione di fatto in violazione della legge. Tuttavia è lo stesso art.2126 comma 1 c.c. a precisare che
vengono meno anche gli effetti del contratto in valido nel caso in cui la nullità derivi dall'illiceità della causa
o dell'oggetto. In tutti gli altri casi di nullità, invece, si può parlare d'INEFFICACIA DELL'INVALIDITA',
in quanto dal rapporto posto in essere sorgono le varie obbligazioni. Tra l'altro il comma 2 dell'art.2126 c.c.
precisa che se la nullità deriva dalla violazione di norme protettive del lavoratore, comunque quest'ultimo
avrà diritto alla retribuzione.
E' appena il caso di ricordare che, nonostante quello che abbiamo detto, vige il principio dell'irripetibilità
delle prestazioni eseguite.
Alessandra Infante Sezione Appunti
Diritto del lavoro 38. La capacità del prestatore di lavoro
Prima di trattare l'argomento in questione è opportuno ricordare due definizione importanti: quella di
capacità giuridica e quella di capacità di agire.
La capacità giuridica è l'idoneità di un soggetto di essere titolare di diritti e doveri, la quale si acquista al
momento della nascita. Per capacità di agire, invece, si intende l'idoneità di un soggetto a porre in essere
autonomamente atti negoziali vincolanti con effetti nella propria sfera giuridica e patrimoniale.
L'art.2 c.c., dopo aver fissato il raggiungimento della maggiore età al compimento del 18° anno, al
raggiungimento del quale si acquista la capacità d'agire, precisa (al comma 2) che sono salve le leggi
speciali in materia di capacità a prestare il proprio lavoro. Per poter esercitare un'attività lavorativa occorre
aver concluso il periodo d'istruzione scolastica obbligatoria e comunque aver compiuto, almeno, il
quindicesimo anno di età, salvo il caso in cui la Direzione Provinciale del Lavoro abbia autorizzato il minore
infra quindicenne, col consenso di chi esercita la potestà, ad essere impiegato in attività culturali, artistiche,
sportive, pubblicitarie e di spettacolo, fatto salvo l'obbligo scolastico.
Tra l'altro il minore ultra quindicenne può stipulare autonomamente il proprio contratto di lavoro, senza che
sia necessaria la partecipazione di chi esercita la potestà parentale.
Alessandra Infante Sezione Appunti
Diritto del lavoro 39. La spersonalizzazione dell'imprenditore ed il principio della
continuità dell'impresa
Abbiamo visto che per poter appartenere alla categoria dei lavoratori occorrono dei requisiti particolari che
differiscono da quelli generali per l’acquisizione della capacità d’agire. Per i datori di lavoro, al contrario, i
requisiti rimangono quelli della capacità giuridica e d’agire previsti dal codice.
Una notevole distinzione, invece, viene fatta tra il datore di lavoro – imprenditore e gli altri datori: al primo
è dedicata un’intera disciplina assestante, non già per il fatto che egli svolge professionalmente un’attività
economica organizzata, bensì nell’interesse dei lavoratori alle dipendenze di medio-grandi imprese.
Importante tema da affrontare è quello della “spersonalizzazione dell’imprenditore”, sia sotto il punto di
vista della formazione/conclusione del contratto, sia sotto il profilo della successione nel medesimo.
L’art.1330 c.c., rubricato come morte o incapacità dell’imprenditore, prevede che tanto la proposta quanto
l’accettazione restino valide anche in caso morte o incapacità sopravvenute prima della conclusione del
contratto. Per quanto concerne, inoltre, la successione nei contratti si attua il principio di continuità
dell’impresa contenuto all’interno dell’art.2112 comma 1 c.c., il quale prevede che in caso di trasferimento
di azienda, il rapporto di lavoro continua con il cessionario, con i medesimi diritti precedenti al
trasferimento. Quindi con il concetto di spersonalizzazione, si intende che nel rapporto di lavoro la figura
della persona dell’imprenditore è del tutto irrilevante. Al contrario il contratto lavorativo, per quanto
riguarda la parte del lavoratore, resta dominato dall’intuituspersonae, ossia dalla considerazione della
persona del prestatore, in quanto egli non può, ne mortis causa né tramite atto inter vivos, trasferire il
proprio debito nei confronti del datore ad un terzo, in quanto la prestazione da lui dovuta è infungibile, ossia
può essere compiuta solo e solamente dal soggetto che ha originariamente concluso il contratto di lavoro.
Non è una questione di fiducia nel lavoratore ad imporre un tal ragionamento, quanto più che altro la
necessità dell’identificazione del contraente obbligato.
Alessandra Infante Sezione Appunti
Diritto del lavoro 40. Il procedimento di formazione del contratto di lavoro
Il procedimento di formazione del contratto di lavoro è identico a quello previsto per tutti i contratti: occorre
l’accordo tra le parti e la formazione del contratto si attua nel momento in cui vi è l’incontro tra la proposta e
l’accettazione. Per quanto concerne il momento del perfezionamento, il contratto di lavoro si configura
come un contratto di adesione particolare: se per la generalità dei contratti di adesione è previsto che la parte
contrattualmente forte determini le condizione e la controparte le accetti, per il contratto di lavoro le
condizioni generali sono predisposte bilateralmente dall’autonomia collettiva, alla quale l’autonomia
individuale può sostituirsi solo per includere condizioni maggiormente favorevoli al lavoratore.
Per quanto concerne, inoltre, la forma ed il consenso, va sottolineato quanto questi due elementi siano
imbrigliati nei limiti imposti dalla legge per la tutela del lavoratore. Vige pur sempre il principio della libertà
di forma, ma spesso è il legislatore a prevedere che per uno svariato numero di contratti di lavoro sia
prevista la forma scritta ad substantiam (sotto pena di nullità qualora non sia rispettata): è il caso dei
contratti che appongono un termine o comunque elementi particolari al contratto, e quindi stiamo parlando
dei contratti a progetto, dei contratti d’inserimento, di formazione. Per altri contratti è prevista la forma
scritta ad probationem (quindi ai fini processuali e di prova dell’atto), ed è il caso dei contratti di lavoro
intermittente, di lavoro ripartito, a tempo parziale.
Inoltre il datore di lavoro ha l’obbligo, entro trenta giorni dall’assunzione, di comunicare al prestatore di
lavoro le principali condizioni applicabili al contratto (identità delle parti, luogo di lavoro, qualifica del
lavoratore ecc), all’interno della lettera d’assunzione o in altro documento separato.
Altro aspetto da sottolineare è inerente alla manifestazione del consenso: il momento attuativo
dell’esecuzione del contratto è sicuramente di gran lunga più rilevante rispetto al momento genetico della
formazione, non solo perché serve a qualificare (come detto nel precedente capitolo) il lavoro come
autonomo o subordinato, ma soprattutto perché funge da comportamento concludente che manifesta e da
prova dell’esistenza del contratto e della volontà reale delle parti.
Alessandra Infante Sezione Appunti
Diritto del lavoro 41. Il patto di prova del contratto di lavoro
Elemento accidentale del contratto di lavoro è il patto di prova, per cui l’art.2096 c.c. prevede la forma
scritta: esso serve a stabilire e dimostrare che il lavoratore stia esercitando la propria prestazione lavorativa,
ma sia in prova per un determinato periodo. In tale periodo egli potrà valutare la convenienza del posto di
lavoro, mentre il datore potrà valutare le capacità fisiche e professionali del prestatore. Data la possibilità di
recedere senza obbligo di preavviso da parte del datore, la legge ha previsto che il periodo massimo di prova
debba essere di sei mesi. Qualora, tra l’altro, non venga rispettata la forma scritta del contratto
Alessandra Infante Sezione Appunti
Diritto del lavoro 42. Vizi della volontà nella conclusione del contratto. Attitudine
professionale del lavoratore
La disciplina dei contratti di lavoro, per quel che concerne i vizi della volontà che comportano
l’annullamento del contratto a norma dell’art.1427 c.c., è identica alla disciplina generale dei contratti.
Possiamo facilmente intuire che le varie compressioni dell’autonomia contrattuale imposte dal legislatore,
nonché l’esecuzione di un periodo di prova, riducono di molto le possibilità che il contratto di lavoro sia
viziato: se vi è stato un errore-vizio (anche detto errore motivo) che ha fatto in modo che la volontà
negoziale non si formasse liberamente, entrambe le parti potranno rendersene conto da subito; se vi è stato
dolo, ossia un artificio o raggiro che abbia viziato la volontà contrattuale, il soggetto leso potrà subito
rimediare, accorgendosi dell’inganno subito nello stesso periodo di prova.
L’unico vizio della volontà meritevole di attenzione è probabilmente rappresentato dall’errore sulle qualità
personali dell’altra parte contrattuale, quando queste siano determinanti per la conclusione del contratto ed
essenziali per la sua esecuzione: se per esempio ad un prestatore sono richieste determinate capacità
professionali, ovviamente l’assenza delle stesse ha un peso specifico notevole ed incide notevolmente sulla
volontà di proseguire nell’esecuzione del contratto. Ovviamente per tutti quei contratti lavorativi c.d. di
serie, dove le abilità personali e professionali del prestatore non contano, questo tipo di vizio non avrà
ragione di esistere.
Alessandra Infante Sezione Appunti
Diritto del lavoro 43. Il divieto d’indagine sui fatti non rilevanti ai fini dell’attitudine
professionale
L’art.8 della L.300/1970 (statuto dei lavoratori) prevede il divieto, posto a carico del datore di lavoro, di
svolgere, autonomamente o per mezzo di terzi, indagini personali sul prestatore da assumere o addirittura già
assunto. Implicitamente questo articolo prevede che il datore possa indagare sulle capacità professionali del
soggetto, ma deve farlo senza violare la riservatezza del lavoratore, garantita dallo statuto. La violazione di
tale divieto è sanzionata penalmente ed al pari di essa è sanzionata l’indagine del datore rivolta
all’accertamento della sieropositività all’infezione da HIV del lavoratore, sebbene la Corte costituzionale
abbia precisato che si può procedere in tal senso qualora possa essere messa a rischio la salute di terzi.
Alessandra Infante Sezione Appunti
Diritto del lavoro 44. La legge sul trattamento dei dati personali
Il diritto alla riservatezza è stato definitivamente assicurato dalla L. 675/1996, poi definitivamente integrata
dal D.Lgs. 196/2003 (Codice in materia di protezione dei dati personali). Oltre all’istituzione di un’autorità
indipendente, il Garante per la protezione dei dati personali, è stato previsto un soggetto abbia diritto ad
avere conoscenza su chi detiene i propri dati personali, su come li ha ottenuti e per quali scopi li utilizza. Il
consenso del soggetto non è sempre richiesto, ma al contrario è obbligatorio per i dati “sensibili”, ossia per
quelli idonei a rivelare informazioni strettamente personali (opinioni politiche, origini etniche, orientamento
sessuale ecc). La normativa in materia, inoltre, ha ribadito l’importanza degli artt. 4 e 8 della
L. 300/1970 (statuto dei lavoratori), ribadendo il divieto posto a carico del datore di lavoro di ricercare
informazioni personali non attinenti all’attiva lavorativa svolta dal prestatore. Quindi per quanto concerne il
lavoratore, questa nuova normativa va semplicemente a confermare quanto precedentemente imposto
Alessandra Infante Sezione Appunti
Diritto del lavoro 45. La simulazione del contratto di lavoro
Abbiamo già detto che in caso di errore inteso come vizio di volontà, via sia una divergenza tra l’intenzione
di una parte e la volontà manifestata. Talune volte, invece, può accadere che tale divergenza tra volontà e
dichiarazione sia voluta dalle parti, siamo quindi dinanzi ad una “simulazione” in forza dell’art.1414 c.c. che
la disciplina. Le parti, in tal caso, possono celare dietro un determinato accordo, o un accordo totalmente
diverso (il c.d. contratto dissimulato) oppure addirittura nessun contratto. Ovviamente vanno rispettate le
previsioni codicistiche inerenti la forma del contratto simulato, la quale deve rispettare la stessa forma del
contratto voluto, oppure inerenti la liceità della causa del contratto dissimulato. Non si deve, inoltre,
concretizzare un contratto in frode alla legge: la simulazione non deve essere posta in essere per celare un
fine illecito. Qualora un contratto simulato sia posto in essere per non rispettare tutte le norme imperative e
le garanzie apposte dalla legge a favore dei lavoratori subordinati, sia il contratto simulato che quello
dissimulato saranno invalidi (es. viene posto in essere un contratto di lavoro autonomo, il quale cela il un
contratto di lavoro subordinato per aggirare le garanzie offerte da quest’ultimo) e la disciplina sarà sostituita
automaticamente con quella prevista dalla legge. Se invece ad essere illecita è proprio la causa del contratto
dissimulato, a quel punto il contratto sarà nullo definitivamente.
Alessandra Infante Sezione Appunti
Diritto del lavoro 46. Il contenuto della subordinazione lavorativa: la diligenza
Abbiamo visto in precedenza come la collaborazione intesa come disponibilità funzionale della prestazione
lavorativa all’organizzazione dell’impresa, sia uno dei connotati fondamentali del rapporto di lavoro
subordinato, al di là dello scambio tra la prestazione lavorativa e la retribuzione. Abbiamo poi parlato di
subordinazione, specificando che il lavoratore subordinato differisce da quello autonomo per un rapporto di
dipendenza nel tempo dal proprio datore di lavoro. La subordinazione, in realtà, consiste nella diligenza che
il lavoratore subordinato deve adoperare nell’esercizio della propria attività: l’art.1176 c.c., in tema di
obbligazioni in generale, obbliga il debitore ad usare la diligenza del buon padre di famiglia nel
soddisfacimento dell’interesse creditorio (comma 1), oltre a specificare che in caso di attività professionali,
la diligenza va valutata in base alla natura della prestazione (comma 2). L’art.2104 riprende questa
valutazione della diligenza, precisando nel suo primo comma che il prestatore di lavoro deve adoperare la
diligenza richiesta dalla natura della prestazione, dall’interesse dell’impresa e della produzione nazionale.
Con il venire meno del sistema corporativo fascista, l’ultimo presupposto dell’interesse della produzione
nazionale è venuto meno. Per natura della prestazione, tra l’altro, non si deve intendere solo la
differenziazione tra le mansioni, in quanto è ovvio che ad un dirigente sarà richiesta una diversa diligenza
rispetto a quella del suo sottoposto, ed è altrettanto normale che anche in riferimento ad una stessa
mansione, andrà prestata una maggiore attenzione nell’esecuzione di una prestazione rispetto ad un’altra (è
l’esempio del libro del muratore che oggi adopera un materiale di scarsa qualità e domani un materiale
pregiato, dovendo mostrare nel secondo caso una maggiore diligenza). Per tutti questi motivi la diligenza a
seconda della natura della prestazione dovuta si riferisce ai caratteri intrinsechi della prestazione, a quanto
attenzione il lavoratore dovrà prestare nell’esecuzione della propria attività.
Per quel che concerne, poi, il rapporto tra la diligenza richiesta al prestatore di lavoro e l’interesse
dell’impresa, non si può ingenuamente credere che ci si riferisca all’interesse dell’impresa come istituzione.
Sicuramente il riferimento è attribuibile all’interesse dell’imprenditore, anche se non come generico
interesse del creditore ad ottenere l’esatto adempimento, bensì come interesse dell’imprenditore ad ottenere
la collaborazione di cui sopra attraverso, anche, la propria organizzazione del lavoro.
Alessandra Infante Sezione Appunti
Diritto del lavoro 47. L’obbedienza ed il potere direttivo del datore di lavoro
Il secondo comma dell’art.2104 c.c. inerente la diligenza del prestatore di lavoro prevede che il prestatore di
lavoro debba osservare le disposizioni impartite dal datore di lavoro e dai collaboratori dello stesso dai quali
il prestatore gerarchicamente dipende. L’obbedienza alle direttive impartite dall’imprenditore è, al pari della
diligenza, un modo di essere della subordinazione e fa da contraltare al potere direttivo del datore di lavoro
Alessandra Infante Sezione Appunti
Diritto del lavoro 48. Il divieto di concorrenza e le invenzioni del lavoratore
Obbligo fondamentale a carico del prestatore di lavoro è sicuramente quello di prestare subordinatamente la
propria collaborazione nell’impresa, ma l’art.2105 c.c. identifica un obbligo accessorio rispetto all’interesse
primario del datore di lavoro a ricevere la prestazione: si tratta dell’obbligo di fedeltà. Esso, in
corrispondenza con il dovere di buona fede generale nell’adempimento dell’obbligazione, rientra tra gli
“obblighi di protezione” a tutela del creditore ed impedisce al prestatore di lavoro, durante il periodo
lavorativo contrattualmente previsto, di svolgere attività in concorrenza con l’impresa e di divulgare o
quanto meno utilizzare notizie inerenti organizzazione e metodi dell’impresa stessa. Tale divieto di
concorrenza nulla ha a che vedere con la concorrenza sleale di cui parla l’art.2598 c.c., in quanto in
quest’ultima ipotesi non vi è alcun legale tra danneggiante e danneggiato e la concorrenza slealmente posta
in essere si verifica solo nei casi previsti dall’articolo. Inoltre anche tra il prestatore di lavoro ed il datore
può esistere un patto, che deve rispettare la forma scritta ad substantiam, che vieti al lavoratore di entrare in
concorrenza con l’impresa anche dopo la cessazione del rapporto di lavoro per un periodo di tempo pari a tre
anni, cinque per i dirigenti (qualsivoglia vincolo superiore sarà sostituito da quelli previsti dalla legge e deve
essere precisato un corrispettivo per il lavoratore).
Non può in alcun modo costituire concorrenza l’attività inventiva del prestatore di lavoro. Il Codice della
proprietà industriale emanato con D.Lgs. 30/2005 ha previsto che qualora l’invenzione venga fatta dal
lavoratore nell’esecuzione del contratto (invenzione di servizio), i diritti derivanti dall’invenzione spettano
al datore, salvo il diritto di autore del lavoratore. Qualora, invece, si tratti di un’invenzione aziendale, ossia
fatta nell’adempimento del rapporto di lavoro, ma non oggetto del contratto di lavoro stesso, i diritti
derivanti dall’invenzione spettano al datore di lavoro che, qualora si veda riconosciuto il brevetto, dovrà al
lavoratore un equo premio. In ultima ipotesi può trattarsi di un’invenzione occasionale, fatta dal lavoratore
indipendentemente dal rapporto di lavoro, ma rientrante nel campo di attività dell’impresa: in tal caso i
diritti spettano al lavoratore, ma il datore ha diritto d’opzione per l’uso o per l’acquisto del brevetto (che
deve esercitare entro 3 mesi).
L’obbligo di fedeltà, in ultima analisi, può essere inteso anche in senso stretto, inerendo al divieto di
divulgare o utilizzare i “segreti aziendali”.
Alessandra Infante Sezione Appunti
Diritto del lavoro